Morchella esculenta, prelibatezza primaverile

Premessa

E’ considerato il fungo primaverile per eccellenza ed ha il privilegio di essere il primo a porgere il suo saluto alla primavera, è molto ricercato ed apprezzato per le sue qualità organolettiche e gastronomiche tanto che gli estimatori attendono con ansia la stagione propizia alla sua fruttificazione per riversarsi nei boschi alla sua ricerca.

Unitamente ad altre specie del genere Morchella e di altri generi affini, fa parte di un gruppo di funghi ricercati e conosciuti sia dai micologi, sia da quanti altri, pur non avendo competenze micologiche specifiche, si dedicano alla raccolta dei funghi per uso alimentare [Ferrari, 1991].

Appartiene alla classe Ascomycetes (1) che raggruppa funghi che sviluppano le spore all’interno di “sacche, astucci” normalmente di forma allungata, similari al baccello di un pisello, chiamati aschi (dal greco askòs, piccolo sacco, otre) [Miceli, 2018].

 

Genere Morchella Dill. ex Pers., (1794)

Al genere appartengo funghi terricoli, di consistenza fragile, dall’aspetto particolare, formati da “cappello” e gambo tra di loro non separabili e costituenti un unico corpo che ingloba, nell’insieme, i due elementi (gambo e cappello) in una entità omogenea che si presenta, in sezione, cava all’interno.

Il cappello, che assume la denominazione specifica di mitra o mitria, per la similarità della sua conformazione al copricapo utilizzato dai vescovi, si presenta con forma globosa, allungata, lobato-globosa, diversamente colorato a seconda della specie di appartenenza. E’ solcato da un insieme di “costolature” disposte in maniera irregolarmente disordinata o in forma regolare che delimitano numerose cellette dette alveoli, costituenti la parte fertile, che conferiscono al fungo un aspetto spugnoso per il quale assume il nome volgare di spugnola. Il gambo si presenta ruvido, solcato o costolato più o meno profondamente a seconda della specie.

All’interno del genere si è soliti suddividere le varie specie in due gruppi di comodo: quello delle “morchelle gialle” e quello delle “morchelle nere”. Al primo gruppo, quello delle “morchelle gialle” appartengono funghi riconducenti, per il colore che va dal giallo-ocra al giallo-crema, al grigiognolo e, raramente, al grigio nerastro, a Morchella esculenta e specie simili; in questo gruppo trovano posto funghi caratterizzati da mitria con forma conico-globosa con alveoli profondi e disposti in maniera disordinata. Al secondo, quello delle “morchelle nere”, riconducente, oltre che per il colore che varia tra il grigio chiaro, grigio scuro, grigio-nerastro, nero, per la forma appuntita della mitria, a Morchella elata e specie simili, vengono posizionati funghi generalmente di dimensioni minori e forma più slanciata, caratterizzati da alveoli delimitati da costolature verticali e venature trasversali più spesse allineate verticalmente [Gava, 2018].

Morchella esculenta var. esculenta (L. : Fr.) Pers.

Syn. meth. fung. (Göttingen) 2: 618 (1801)

Si tratta di un Ascomicete che si presenta sotto forma di fruttificazione complessiva(2) di piccole-medie dimensioni, costituto da cappello e gambo.

Basionimo: Phallus esculentus L. (1753)

Posizione sistematica: classe Ascomycetes, ordine Pezizales, famiglia Morchellaceae, genere Morchella.

Etimologia: Morchella da Morchel, nome tedesco del genere latinizzato da Dillenius [Bresadola, 1954]; esculenta dal latino esculentus = commestibile, per la sua commestibilità.

Sinonimi principali: Helvella esculenta (L.) Sowerby (1797); Morchella distans Fr. (1849); Morchella lutescens Leuba (1890); Morchella rigida (Krombh.) Boud. (1897)

Nomi volgari: Spugnola, Spugnola di primavera, Spugnola gialla, Spongiola

Nomi dialettali: è conosciuto con una miriade di nomi dialettali che variano da un territorio all’altro, in omaggio alla nostra terra di appartenenza: la Sicilia, riportiamo solo i nomi dialettali ivi usati: Sponsa (Spugna); Funci di vecchia (fungo di vecchia); Cugni di vecchia (zigomi di vecchia per l’aspetto raggrinzito del cappello ricco di alveoli); Ventri di pecura (ventre di pecora).

Descrizione macroscopica

Si può presentare con forma piuttosto variabile: arrotondata, ovoidale o conica; con colorazioni che, in considerazione del substrato di crescita e della diversa fascia vegetativa, vanno dal giallo-ocra all’ocra chiaro.

Ascocarpo sotto forma di fruttificazione complessiva, con mitria di forma irregolarmente globoso-ovoidale, subsferica, a volte anche allungata, cava all’interno, formata da numerosi apoteci (3) a forma irregolarmente poligonale la cui unione forma costolature in rilievo disposte in forma disordinata. Imenoforo liscio, di colore variabile dal giallo-crema all’ocra chiaro con i bordi delle costolature concolori. Orlo della mitria regolare ed unito al gambo, senza vallecola.(4) Gambo generalmente tozzo, cilindrico ed allargato alla base dove, a volte, si trovano grossolane costolature, si presenta di aspetto pruinoso, con colorazione biancastra, bianco-crema, crema-ocra, cavo all’interno. Carne elastica, di colore biancastro, paglierino a maturazione avanzata, con odore spermatico, sapore dolce.

 

Habitat

nei boschi di latifoglie, sotto Frassino, Quercia, Olmo, Pioppo; singola o in piccoli gruppi, su terreno sabbioso o sabbioso-argilloso. Specie tipica primaverile, fruttifica, a seconda delle diverse fasce vegetative, da marzo a giugno. Molto comune.

 

Commestibilità, tossicità e curiosità

E’ considerato un ottimo commestibile ma, al fine di eliminare le tossine in esso contenute, deve essere consumato ben cotto lasciandolo cuocere per circa 20–30 minuti. Il consumo da crudo, o dopo cottura non corretta, è causa di sindrome emolitica.

Numerosi sono i casi, riportati in letteratura, di intossicazione da Morchella con conseguente sindrome emolita o con effetti di natura neurologica [Piqueras, 2013].

In molti paesi europei, come Francia, Spagna e Germania, è particolarmente ricercato e commercializzato, a prezzi anche elevati, dopo essere stato essiccato.

In alcuni paesi del nord America è un fungo talmente apprezzato che gli viene dedicata una intera giornata con la denominazione di “festa della morchella”, durante la quale viene cucinato in svariati modi e consumato dai numerosissimi partecipanti [Piqueras, 2013].

 

Forme e varietà

Attorno a M. esculenta roteano numerose varietà, molte delle quali sono considerate, da parte di alcuni autori, sinonimi della stessa, che possono essere distinte, anche se con molte difficoltà, sulla base dei caratteri morfologico-cromatici. E’ opportuno precisare che attuali studi di natura filogenetico molecolare, ancora in corso, tenderebbero a dimostrare l’identità delle numerose varietà con la stessa M. esculenta, sostenendo che si tratta sempre della stessa specie che assume configurazioni morfocromatiche diverse a seconda dei vari stadi di sviluppo. In attesa che il problema venga definitivamente risolto, basandoci sulla letteratura attuale, ricordiamo le principali varietà:

  • Morchella esculenta var. rotunda Pers. : Fr.

Molto simile alla varietà esculenta, si riconosce per la forma della mitria meno globosa e più allungata, con colore similare ma tendente al giallo-paglierino, a volte con macchie rossicce sulla superficie e sulle costolature, con alveoli profondi ed irregolari.

 

  • Morchella esculenta var. umbrina (Boud.) S. Imai

Si diversifica dalla varietà esculenta per le dimensioni più piccole, per il colore bruno-scuro o nero-carbone della mitria che ha i bordi delle costolature di colore ocraceo chiaro con macchioline rossicce.

 

  • Morchella esculenta var. vulgaris Pers.

Si differisce per la forma della mitria che si presenta a forma ovoidale-conica con apice leggermente appuntito, di colore grigio-brunastro.

 

Specie simili

Può essere confusa, come spesso accade, con specie fungine appartenenti al genere Gyromitra, in particolare con G. esculenta:

  • Gyromitra esculenta (Pers. : Fr.) Fr.

Si differenzia per la forma della mitria che si presenta tondeggiante, subglobosa, con costolature sinuose molto irregolari, ricca di anse che gli conferiscono un aspetto “cerebriforme” e per il colore che varia dal rosso-ruggine al bruno, bruno-scuro.

Per la sua spiccata somiglianza con gli ascomi appartenti al Genere Morchella, con i quali spesso è confusa con drastiche conseguenze, viene comunemente chiamata “falsa spugnola” o “falsa morchella.

Anche se in passato è stata considerata specie commestibile, si è resa, come le altre specie appartenenti al genere, per l’alto contenuto di gyromitrina, responsabile di gravi avvelenamenti.

 

Ringraziamenti

Si ringrazia Aldo Bertelli per avere fornito la meravigliosa tavola realizzata dal padre, Gianbattista Bertelli, raffigurante Morchella esculenta; Marco Bianchi per la concessione delle foto di Gyromitra esculenta e Franco Mondello per i consigli forniti e per la concessione delle foto di Morchella esculenta.

 

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  1. I funghi, in considerazione della diversità con cui producono le spore, sono divisi in due grandi classi: Basidiomycetes e Ascomycetes. Alla prima (Basidiomycetes) appartengono funghi che sviluppano le spore all’esterno di elementi allungati, più o meno claviformi, detti basidi (dal latino basìdium ovvero supporto, piedistallo) sulla cui parte apicale si trovano dei particolari sostegni detti sterigmi alla cui estremità si formano le spore. Alla seconda (Ascomycetes) appartengono funghi che sviluppano le spore all’interno di “sacche, astucci” normalmente di forma allungata, similari al baccello di un pisello, chiamati aschi (dal greco askòs, piccolo sacco, otre). Per quanto sopra, le spore dei Basidiomycetes vengono anche definite esospore perché formate all’esterno del supporto di riproduzione, mentre le spore degli Ascomycetes vengono chiamate endospore, perché formate all’interno del supporto di riproduzione [Miceli, 2018]
  2. quando il corpo fruttifero è formato da numerose fruttificazioni singole (apotecio), ovvero numerose celle (alveoli – parte fertile del fungo contenente le spore), separate da costolature disposte in modo verticale o più o meno trasversale che uniscono tra di loro i singoli alveoli formando un insieme omogeneo inserito in una matrice unica.
  3. Con il termine apotecio si è soliti individuare corpi fruttiferi che si presentano con forme di varia natura, spesso a forma di coppa. Sono caratterizzati per la particolare ubicazione dell’imenoforo (zona fertile del fungo dove si formano le spore) che è posizionato sulla superficie interna, ovvero quella più visibile dove, durante tutte le fasi di maturazione, rimane sempre esposto all’aria e non è coperto da alcuno strato protettivo [Miceli, 2018].
  4. Depressione circolare, a forma di solco più o meno profondo, posizionata alla base dei funghi morchelloidi, in corrispondenza del punto di congiunzione tra mitria (cappello) e gambo. Tipica delle morchelle della sezione Distantes dove tale depressione è particolarmente accentuata.

 

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Disegni: Gianbattista Bertelli

Foto: Marco Bianchi e Franco Mondello

 

Bibliografia di approfondimento

  • AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani) – 2013: Io sto con i funghi. Seconda Edizione. La Pieve Poligrafica Eiditore, Villa Verucchio (RN)
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica) -2007: Tutto funghi. Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Bonazzi Ulderico – 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Bresadola Giacomo – 1954: Funghi mangerecci e funghi velenosi. IC Edizione a cura del Comitato Onoranze Bresadoliane. Museo di Storia Natuarle, Trento
  • Di Cocco Gianfranco, Di Cocco Silvio – 2008: I principali funghi commestibili rinvenibili in primavera.MicoPonte – Bollettino del Gruppo MicologicoMassimiliano Danesi. Anno 2008 n. 2: 30-37. Ponte a Moriano (LU)
  • Ferrari Alberto, 1991: Funghi primaverili – I generi: Morchella, Mytrophora, Verpa, Gyromitra. Bollettino del Gruppo Micologico G. Bresadola – Trento. Anno XXXIV n.1-2: 4-55
  • Gava Sara – 2018: Impariamo a riconoscerli: Morchella gruppo M. esculenta. Parte I. Passione Funghi & Tartufi. Marzo 2018 n. 81: 48-55. Erredi Grafiche Editoriali, Genova
  • Gava Sara – 2018: Impariamo a riconoscerli: Le spugnole nere. Parte II. Passione Funghi & Tartufi. Aprile 2018 n. 81: 38-45. Erredi Grafiche Editoriali, Genova
  • Medardi Gianfranco – 2012: Atlante fotografico degli ascomiceti d’Italia, (prima ristampa). AMB Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Miceli Angelo – 2015: Andar per funghi…I funghi primaverili. I Sapori del mio Sud – Periodico di informazione dei soci dell’Associazione Culturale Nasata Anno 11 n. 117: 11-12. Vedi anche https://www.adset.it/articoli/angelo-miceli/365-i-funghi-primaverili
  • Miceli Angelo – 2018: Sarcoscypha coccinea. Passione funghi & tartufi. Marzo 2018 n. 80: 30-32. Erredi Grafiche Editoriali, Genova – vedi anche https://www.adset.it/articoli/angelo-miceli/546-sarcoscypha-coccinea-grey-boud-1885
  • Oppicelli Nicolò – 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Trento
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Gianpaolo – 2004: Funghi d’Italia.Vol. 1, Seconda ristampa. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara
  • Piqueras Josep – 2013: La toxicidad de las colmenillas: hechos, mitos e hipótesis. A.M. Font I quer, 7:32-47

 

Calocybe gambosa, il fungo di San Giorgio

Articolo pubblicato su “Passione Funghi & Tartufi” n. 81 Maggio 2018

Premessa

Comunemente noto, a quanti, conoscendolo, lo apprezzano per le sue ottime qualità gastronomiche, con la denominazione volgare di Fungo di San Giorgio, derivante dalla tipicità del periodo di crescita che lo lega alla ricorrenza della festività del Santo, è solito fare la sua apparizione nei boschi nel periodo primaverile, facendo sì che la sua ricerca sia appannaggio di pochi estimatori che lo cercano, nel periodo di fruttificazione, in maniera costante sempre nelle medesime stazioni di crescita, ove in forma gregaria, si riproduce in numerosi esemplari.

Genere Calocybe Kühner ex Donk 1962

Al genere appartengono funghi simbionti, terricoli omogenei (quando cappello e gambo presentano una struttura cellulare similare tanto da presentarsi attaccate tra di loro, con difficoltà ad essere separati in maniera netta), con imenoforo a lamelle, caratterizzati da portamento tricholomatoide o collibioide (quando assumono un portamento similare a quello dei funghi appartenenti al genere Tricholoma o Collibya), privi di volva e di anello; caratterizzati da cappello con colori vivaci: bianco-giallastro, giallo, arancione, violetto. Lamelle di colore bianco-giallastro, sottili, fitte, solitamente adnate (quando si inseriscono sul gambo per tutta la loro altezza) o subdecorrenti (quando giungendo sul gambo si prolungano leggermente sullo stesso). Gambo fibroso, a volte fistoloso (quando si presenta più o meno cavo all’interno). Spore in massa di colore bianco.

Calocybe gambosa (Fr.) Donk

Beih. Nova Hedwigia 5: 43 (1962)

 

Basionimo: Agaricus gambosus Fr. (1821)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Lyophillaceae, genere Calocybe

Etimologia: Calocybe dal greco Kalòs = bello e kùbe = testa; quindi dal bel cappello; gambosa dal latino gambosus ovvero dal gambo grosso

Principali sinonimi: Agaricus georgii L. (1753); Tricholoma gambosum (Fr.) P. Lumm (1871); Tricholoma georgii (L.) Quél. (1872); Calocybe georgii (L.) Kühner (1938); Lyophyllum gambosum (Fr.) Singer (1943)

Nomi volgari: Fungo di San Giorgio; Prugnolo; Spinarolo; Fungo saetta.

Nomi dialettali: è conosciuto con una miriade di nomi dialettali che variano da un territorio all’altro. Riportiamo, per motivi affettivi che ci legano alla nostra terra, solo il nome utilizzato in Sicilia in alcune zone del territorio messinese come Floresta e Santa Domenica Vittoria: Funciu di farina, così chiamato per il caratteristico odore di farina fresca o di pane caldo [Bonazzi, 2003].

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole-medie dimensioni, generalmente 4-10 cm, inizialmente convesso, poi lentamente appianato con margine involuto (quando si presenta ripiegato su se stesso verso l’interno), a volte ondulato; superficie liscia, opaca, a volte screpolata, di colore crema-biancastro, ocra-giallastro più o meno intenso. Imenoforo costituito da lamelle fitte e poco alte, adnate o smarginate, da biancastre a crema pallido con riflessi crema verso la maturazione, filo lamellare ondulato. Gambo centrale. Slanciato o, a volte, tozzo, cilindrico, ingrossato verso la base, asciutto, ricoperto da una leggera pruina concolore, inizialmente pieno, poi, verso la maturazione, farcito (quando la struttura cellulare interna si presenta poco compatta per la presenza di zone vuote), colore biancastro tendente al crema sporco. Carne consistente, spessa e soda, immutabile al taglio, bianca tendente al crema, con accentuato caratteristico odore di farina o pane fresco, sapore dolce, farinoso.

Habitat

E’ un fungo prettamente primaverile. Cresce in forma gregaria formando lunghe file o cerchi più o meno regolari. Predilige crescere vicino ai Pioppi, nei prati e nei margini boschivi tendendo a fruttificare in associazione a cespugli di piante spinose come il Prugnolo, il Biancospino, la Rosa canina e le rosaceae. Non omogeneamente diffuso nel territorio nazionale, si presenta con regolarità nelle medesime stazioni di crescita ove, anche se raramente, fruttifica pure in autunno.

Commestibilità

Ottimo commestibile. Si presta bene ad essere conservato sott’olio od essiccato. Nelle zone ove la sua crescita è costante viene particolarmente apprezzato e ricercato. In altre zone è semisconosciuto e, a causa dell’odore farinaceo che permane anche dopo la cottura, non viene preso in considerazione ai fini gastronomici.

L’abate Giacomo Bresadola (Ortiseé, 14 febbraio 1847 – Trento, 9 giugno 1929), in merito alla sua commestibilità, affermava: “E’ uno dei funghi più squisiti, e pel forte aroma che possiede si può cuocere anche alla maniera dei tartufi servendosene come di questi per condimento. Si può pure facilmente disseccare alla maniera già indicata per l’Agarico imbuto. Non si può confondere con specie venefiche” [Bresadola, 1899].

Forme e varietà

Calocybe gambosa var. flavida Bellù & Turrini (2014)

Totalmente simile alle specie tipo, si differisce da questa per il colore giallo più intenso e per l’odore farinaceo più forte. Alcuni autori, come Consiglio e Contu, la considerano una semplice “forma” [Consiglio e altri, 2002] mentre altri, in considerazione delle poco rilevanti caratteristiche che la diversificherebbero da C. gambosa, ritengono si tratti della stessa specie che, per vari e non identificati motivi, quali ad esempio il maggiore nutrimento momentaneamente presente nel terreno, ha assunto colori ed odore più intensi.

Specie simili

Le caratteristiche morfologiche generali la rendono facilmente riconoscibile senza rischio di confusione con specie simili. E’ opportuno, in ogni caso, fare attenzione a non confonderla con la mortale Amanita verna, totalmente bianca, che, anche se ha caratteristiche morfologiche ben diverse e chiaramente identificative della specie, potrebbe, solamente per la coincidenza con il periodo di crescita, creare confusione nel cercatore poco esperto.

Note tassonomico-nomenclaturali

Con l’approfondimento degli studi di tassonomia e di sistematica ha subito, nel tempo, come accade per la maggior parte delle specie fungine, vari riposizionamenti in generi diversi: dall’originario genere Agaricus ove era stato inserito da Linneo con l’epiteto di Agaricus georgii, venne ricollocato nel genere Tricholoma con la denominazione di Tricholoma georgii, ed ancora nel genere Calocybe, dove tuttora si trova. In atto alcuni autori considerano la specie appartenente al genere Lyophyllum ove viene inserita, con la denominazione di Lyophyllum gambosum, nella sezione Calocybe.

Curiosità

Calocybe gambosa viene anche conosciuta con il sinonimo di Tricholoma georgii e con il nome comune di Fungo di San Giorgio, entrambi conseguenziali alla sua spiccata tendenza a fruttificare nel periodo primaverile, in prossimità della ricorrenza di San Giorgio (23 aprile), anche se in zone con clima temperato ed in relazione alla tendenza climatica della stagione, può fruttificare anche verso la fine di marzo.

In merito alle altre denominazioni volgari che le vengono attribuite, ci piace precisare:

  • Prugnolo denominazione legata all’habitat di crescita che associa Calocybe gambosa alla presenza di piante di prunus, biancospino, rovi e rosacee in genere [Balestreri, 2011];
  • Spinarolo è conseguenziale alla presenza di spine sulle piante sopra indicate che costituiscono l’habitat ideale di Calocybe gambosa [Balestreri, 2011];
  • Fungo saetta ha origine toscane ed è conseguenziale ad un antico proverbio che recita “Al primo tuono nasce il prugnolo” [Balestreri, 2011] o, come da alcuni ritenuto, per la sua tendenza a disporsi sul terreno a “zig zag”, assumendo, appunto, la tipica forma di una saetta.

 

Ringraziamenti

Un grazie particolare va rivolto all’amico Franco Mondello per i consigli di natura tassonomico-nomenclaturale e per la concessione e l’autorizzazione alla pubblicazione delle foto a corredo.

 

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Foto: Franco Mondello

Bibliografia di approfondimento

  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Balestreri Stefano, 2011: Calocybe gambosa. Estratto da “Appunti di Micologia”. (www.appuntidimicologia.it)
  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi – Um die Pilze nicht zu verwechseln. Casa Editrice Panorama srl, Trento
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Bresadola Giacomo, 1899: I funghi magerecci e velenosi. U. Hoepli, Milano
  • Consiglio Giovanni, Contu Marco, 2002: Il genere Lyophillum P. Kartst. Emend. Kuhner, in Italia. Rivista di Micologia, Anno XLV n. 2: 99-181, A.M.B., Trento
  • Di Cocco Gianfranco, Di Cocco Silvio,2008: I principali funghi commestibili rinvenibili in primavera. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2: 30-38, Ponte a Moriano (LU)
  • Garau Mariano, Merlo Erika, Rosso Michele, Traverso Mido, 1982: I nostri funghi. Sagep Editrice, Genova
  • IF, Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione gennaio 2018
  • MB, Mycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione gennaio 2018)
  • Mondello Francesco, Calocybe gambosa. Estratto da “MicologiaMessinese” (www.micologiamessinese.it)

Sarcoscypha coccinea (Grey) Boud. 1885

Articolo pubblicato su “Passione Funghi & Tartufi” n. 80 Marzo 2018

Un piccolo ascomicete dalla forma particolare e dai meravigliosi colori che, ancora una volta, confermando la nostra teoria che vuole accomunare, limitatamente alla forma ed alle numerose sfumature cromatiche che li caratterizzano, i nostri “amici del bosco” ai fiori, ai quali, riteniamo, i primi possono essere paragonati senza minimamente sfigurare, ci fornisce lo spunto per questa nuova “Riflessione Micologica”.

E’ opportuno, prima di addentraci nella trattazione della specie, fare delle precisazioni di ordine generale che ci consentano di meglio affrontare l’argomento visto che, diversamente a quanto sinora abbiamo fatto, ci accingiamo a trattare di un fungo appartenente alla classe Ascomycetes.

I funghi, in considerazione della diversità con cui producono le spore, sono divisi in due grandi classi: Basidiomycetes e Ascomycetes. Alla prima (Basidiomycetes) appartengono funghi che sviluppano le spore all’esterno di elementi allungati, più o meno claviformi, detti basidi (dal latino basìdium ovvero supporto, piedistallo) sulla cui parte apicale si trovano dei particolari sostegni detti sterigmi alla cui estremità si formano le spore. Alla seconda (Ascomycetes) appartengono funghi che sviluppano le spore all’interno di “sacche, astucci” normalmente di forma allungata, similari al baccello di un pisello, chiamati aschi (dal greco askòs, piccolo sacco, otre). Per quanto sopra, le spore dei Basidiomycetes vengono anche definite esospore perché formate all’esterno del supporto di riproduzione, mentre le spore degli Ascomycetes vengono chiamate endospore, perché formate all’interno del supporto di riproduzione (Vedi Tavola n. 1).

Tavola 1 Aschi e basidi

Le numerosissime specie appartenenti alla Classe degli Ascomycetes si presentano con una pluralità di forme che, senza minimamente volere entrare nel dettaglio della morfologia-sistematica, in considerazione della tipologia delle singole fruttificazioni, riconducono, essenzialmente, a tre tipicizzazioni:

  • Ascocarpi che presentano l’imenoforo completamente esposto all’aria: apoteci
  • Ascocarpi che si presentano quasi completamente chiusi, comunicanti con l’esterno per mezzo di una piccolissima apertura posizionata, generalmente, nella zona apicale: Periteci
  • Ascocarpi completamente chiusi, spesso a crescita ipogea o semiipogea: Cleistoteci

Apotecio (Vedi Tavola n. 2)

Con il termine apotecio si è soliti individuare corpi fruttiferi che si presentano con forme di varia natura, spesso a forma di coppa. Sono caratterizzati per la particolare ubicazione dell’imenoforo (zona fertile del fungo dove si formano le spore) che è posizionato sulla superficie interna, ovvero quella più visibile dove, durante tutte le fasi di maturazione, rimane sempre esposto all’aria e non è coperto da alcuno strato protettivo. L’imenoforo è posizionato su una struttura sterile che funge da supporto denominata excipulum o periderma (Vedi Tavola n. 3) che generalmente risulta formata da più strati [Tolaini F., 2008; Medardi G., 2012]. I corpi fruttiferi possono essere singoli (esempio: Peziza, Otidea…) o aggregati, in tal caso si presentano come fruttificazione complessiva (esempio Genere Morchella).

 

Peritecio (Vedi Tavola n. 4)

Tavola 4 Peritecio
Tavola 4 Peritecio

Con tale termine si identificano corpi fruttiferi di piccole dimensioni, a forma di fiasco, di ampolla, più o meno rotondeggianti o allungati, nei quali la zona fertile (imenoforo) è racchiusa all’interno di un corpo globoso cavo che, a maturità, si apre nella parte sommitale consentendo la fuoriuscita delle spore attraverso un poro chiamato ostiolo [Tolaini F., 2008; Medardi G., 2012]. I corpi fruttiferi possono presentarsi isolati o aggregati, in tal caso, anche questi, assumono la denominazione di fruttificazione complessiva (Es. Genere Podostroma, Daldinia, Cordyceps, ecc.). La parete esterna dei corpi globosi, generalmente di consistenza dura e coriacea, composta da ife aggrovigliate e/o compatte, prende la denominazione di stroma.

 

Cleistotecio (Vedi Tavola n. 5)

Tavola 5 Cleistotecio
Tavola 5 Cleistotecio

Vengono così identificati i corpi fruttiferi completamente chiusi e circondati da una membrana consistente chiamata peridio, al cui interno, inglobati in una struttura più o meno compatta chiamata gleba, trovano posto gli aschi e le spore. Gli aschi sono generalmente disposti in maniera disordinata ed a vari livelli. La dispersione delle spore, a maturità, avviene per frantumazione del peridio [Medardi G., 2012].

 

Fatto questa premessa, dovuta per meglio comprendere l’immenso e complesso mondo degli Ascomiceti, che, tuttavia, è opportuno precisare, non è assolutamente esaustiva ma deve essere intesa solo come una generica e superficiale introduzione da approfondire con la consultazione di testi specifici, ci occupiamo del protagonista della nostra “Riflessione Micologica”: Sarcoscypha coccinea:

Genere Sarcoscypha (Fr.) Boud. (1885)

Al Genere appartengono ascomi tipicamente a forma di apotecio, più o meno profondamente cupolati, sessili o brevemente stipitati (quando si presentano privi o muniti di gambo) con orlo fessurato o liscio; superficie interna (imenoforo) di colore rosso-vivo, rosso-scarlatto; superficie esterna (zona sterile), con leggera e corta peluria, di colore arancione chiaro. Crescita saprofitica su residui legnosi.

Sarcoscypha coccinea (Grey) Boud.

Bull. Soc. mycol. Fr. 1: 103 (1885)

Si tratta di un piccolo ascomicete, a tipica forma di apotecio, con un meraviglioso colore rosso intenso che spicca nel sottobosco ravvivandone i tipici colori freddi e smorti del periodo invernale.

Posizione sistematica: Classe Ascomycetes, Ordine Pezizales, Famiglia Sarcoscyphaceae, Genere Sarcoscypha.

Etimologia: Sarcoscypha dal greco Sarkinos = carnoso e dal latino Scyphus = tazza (coppa) ovvero coppa carnosa. Coccinea dal latino coccineus = rosso vermiglio, scarlatto. Con riferimento alla cocciniglia dalla quale si estraeva un prezioso colorante rosso, molto in voga in pittura e per tingere i tessuti dal periodo della scoperta dell’America fino al 1900.

Sinonimi:

  • Macroscyphus coccineus Gray 1821

 

Descrizione macroscopica

Ascocarpo: sotto forma di apotecio sessile o brevemente stipitato, di piccole dimensioni, fino a 50 mm di diametro, a forma di coppa più o meno chiusa e profonda nella fase iniziale, successivamente, verso la maturazione, più o meno cupolata, a volte imbutiforme.

Imenoforo: posizionato sulla superficie interna, liscio, di un intenso colore rosso vivo, rosso scarlatto.

Superficie esterna: pruinoso-feltrata per la presenza di fine peluria addensata verso l’orlo che si presenta regolare, a volte fessurato ed a lungo involuto. Di colore rosso-chiaro, rosso-biancastro, sempre più pallida della superficie interna.

Gambo: generalmente assente, se presente feltrato, rosso-biancastro come la superficie esterna, biancastro alla base, a volte profondamente infisso nel substrato di crescita.

Carne: esigua, fibrosa ed elastica, chiara, quasi bianca con odore e sapore nulli.

Habitat: cresce da singola o in gruppi di pochi esemplari su legno morto di latifoglie anche marcescente ed interrato, in luoghi umidi e freddi. Specie piuttosto comune e tipica del periodo invernale, da dicembre ad inizio primavera.

Commestibilità: senza valore, di nessun interesse gastronomico.

Specie simili: 

  • Aleuria aurantia (Pers.) Fuckel 1870

Molto simile per le caratteristiche morfo-cromatiche, si differenzia per la superficie esterna della coppa che si presenta quasi liscia e di colore rossastro, mai biancastro e per l’habitat di crescita tipicamente terricolo, in spazi aperti e raramente boschivi, oltre che per il periodo di crescita estivo-autunnale

  • Sarcoscypha austriaca (Beck ex Sacc.) Boud. 1907

Come per diverse altre specie appartenenti allo stesso genere, si presenta, dal punto di visto morfologico cromatico, praticamente uguale, con differenze minime e di difficile interpretazione. Le differenze utili alla diversificazione delle varie specie devono essere ricercate microscopicamente nella conformazione delle spore.

Ringraziamenti

Un grazie particolare va rivolto alla prof.ssa Rosa Carbonaro per la realizzazione delle tavole illustrative, a Marco Della Maggiora ed a Mario Mondello per la concessione delle foto

 

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Disegni: Rosa Carbonaro

Foto: Marco Della Maggiora – Mario Mondello

 

Bibliografia essenziale:

  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2009: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 3. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Della Maggiora Marco – 2009: Funghi dall’aspetto particolare: tre ascomycetes dai colori sgargianti, Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 3: 18-23, Ponte a Moriano (LU)
  • Medardi Gianfranco – 2012: Atlante fotografico degli ascomiceti d’Italia, (prima ristampa). AMB Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Tolaini Francesco – 2008: Funghi sotto la lente: Podostroma alutaceum, un interessante pirenomicete, Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2: 38-41, Ponte a Moriano (LU)

Inonotus hispidus (Bull.) P. Karst 1879

Inonotus hispidus
Inonotus hispidus

Accade spesso, come altre volte abbiamo avuto modo di affermare, che una salutare passeggiata nel centro cittadino possa essere motivo di simpatici incontri con specie fungine interessanti: Inonotus hispidus, ha attirato la nostra attenzione mettendosi piacevolmente in mostra sui pioppi che popolano i viali, purtroppo degradati, della storica Villa Dante nella città di Messina.

Si tratta di un vistoso fungo parassita che si associa a diverse colture arboree di latifoglie assumendo la tipica conformazione di una mensola.

Appartenente al genere Inonotus, viene inserito nel gruppo informale dei Polipori, gruppo estremamente eterogeneo e polifiletico (quando le specie inserite nel gruppo non discendono da un unico antenato), che ospita specie fungine caratterizzate da imenoforo a tubuli non asportabile dalla carne soprastante con la quale forma un insieme strettamente omogeneo; i pori, a seconda delle varie specie, possono essere di forma regolare, arrotondata o irregolare e più o meno allungata. Nel gruppo trovano posto tanto basidiomi privi di gambo (sessili) quanto muniti di gambo (stipitati) che, in tal caso, può essere posizionato centralmente o lateralmente [Boccardo F. e altri, 2008; Miceli A., 2017].

Genere Inonotus P. Karst. 1879

Al Genere appartengono basidiomi annuali (Quando durano una sola stagione esaurendo il proprio ciclo vitale a conclusione del periodo di accrescimento), dall’aspetto fibroso, a forma di mensola, privi o muniti di gambo (sessili o stipitati), con crescita singola o a gruppi sovrapposti. La superficie superiore è caratterizzata da colori giallo-brunastri, rossicci; può essere, a seconda delle varie specie, liscia o tomentosa (quando si presenta ricoperta da leggera e fitta peluria con similarità, al tatto, al velluto), ispida o glabra. La superficie inferiore è composta da tubuli generalmente corti, difficilmente separabili dalla carne soprastante, con pori di colore biancastro, brunastro, piccoli e rotondeggianti. Il contesto (carne) si presenta da soffice-fibroso a coriaceo, suberoso di colore brunastro. I carpofori, a seconda della specie, presentano, anche se non sempre, una massa miceliare rotondeggiante posizionata nel punto di attacco al substrato [Bernichia A., 2005; Miceli A., 2017].

Inonotus hispidus (Bull.) P. Karst

Meddn Soc. Fauna Flora fenn. 5: 39 (1879)

Basionimo: Boletus hispidus Bull. 1784

Posizione sistematica: divisione Basidiomycota, classe Agaricomycetes, ordine Hymenochaetales, famiglia Hymenochaetaceae, genere Inonotus.

Etimologia: dal latino Inonotus = orecchio fibroso e Ispidus = ispido, irsuto per la caratteristica villosità che lo ricopre.

Principali sinonimi: Boletus hirsutus Scop. 1772; Boletus villosus Huds. 1778; Polyporus hispidus (Bull.) Fr. 1818; Inodermus hispidus (Bull.) Quel. 1886; Inonotus hirsutus (Scop.) Murril (1904)

Descrizione macroscopica:

Basidioma annuale (quando dura una sola stagione), privo di gambo (sessile), di grandi dimensioni, con forma appianata, posizionato a mensola, con crescita singola o ad esemplari sovrapposti (imbricati), di consistenza inizialmente molle, spugnosa, poi sempre più solida ed infine secca, friabile, fragile. Saprofita su numerose essenze arboree anche da frutto, agente di carie bianca e causa del marciume del cuore del legno.(1)

Superficie sterile: inizialmente di colore fulvo-giallastro, aranciato-rossastro, poi, verso la maturazione, rosso scuro o marrone fino a nerastro; ondulata, fortemente irsuto-tomentosa (quando è ricoperta da leggera peluria che gli conferisce un aspetto vellutato, feltrato); margine ottuso, ondulato, concolore alla superfice pileica.

Superficie fertile: di colore giallo-olivaceo tendente, verso la maturazione, al bruno-nerastro, costituita da tubuli lunghi non stratificati, di colore bruno rossiccio, bruno scuro, con pori più o meno ampi, irregolari, inizialmente angolosi, poi allungati, di colore crema, tendenti, verso la maturazione, ad ingrigire e a diventare bruno nerastri. E’ caratterizzata dalla presenza, tra i pori, con una distribuzione molto irregolare, di piccoli fori, chiamati idatodi (2) che secernono, specialmente negli esemplari giovani, goccioline acquose di colore giallino.

Contesto: spesso, molle, spugnoso, acquoso, carnoso da giovane, fragile quando è essiccato, bruno giallastro annerente verso la maturazione.

Gambo: assente. Basidiocarpi sessili.

Habitat: parassita su numerose latifoglie vive, anche su alberi da frutto, in particolare meli e peri, in estate, con crescita continua per diversi mesi nell’arco dell’anno. Molto comune, rinvenuto spesso sui pioppi anche nei viali delle città.   

Commestibilità: NON commestibile, legnoso

Specie simili:

  • Inonotus tamaricis (Pat.) Maire 1938

Molto simile nella conformazione morfologico strutturale e di colorazione analoga, si differisce per le dimensioni minori, per la superficie sterile meno ispida; per la superficie poroide che non secerne goccioline acquose e per l’habitat di crescita che lo associa esclusivamente ad alberi di Tamerice.

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  1.  Patologia tipica di numerose culture arboree anche da frutto causata dalla penetrazione del micelio di diverse poliporacee che inserendosi attraverso lesioni o ferite della corteccia raggiunge rapidamente il legno dell’albero ospite che imbrunisce, perde la propria consistenza diminuendo di volume e con formazione di cavità interne [Goiadanich G. 1975].
  2. Idatodi: condotti escretori tipici delle foglie e di alcune specie fungine (I. hispidus) attraverso i quali viene eliminata l’eccessiva umidità atmosferica assorbita che non consente la regolare traspirazione. Tale processo viene scientificamente definito guttazione.

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Foto: Angelo Miceli

Bibliografia di approfondimento:

  • Bernicchia Annarosa – 2005: Polypocaceae s. l.. Edizioni Candusso, Alassio (SV)
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Goidànich Gabriele – 1975: Manuale di patologia vegetale. Vol. II. Edizioni Agricole, Bologna
  • La Spina Leonardo – 2017, Funghi di Sicilia – Atlante illustrato. Tomo III. Eurografica, Riposto (CT)
  • Miceli Angelo – 2017: Inonotus tamaricis. NA.SA.TA Magazine – I Sapori del mio Sud. Periodico di informazione dei soci dell’Associazione Culturale Nasata. Anno XIII n. 145: 10-12. Consultabile anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (https://www.adset.it/articoli/angelo-miceli/494-inonotus-tamaricis-pat-maire-1938) e in “MicologiaMessinese/Andar per funghi” (http://www.micologiamessinese.altervista.org/Miceli/Inonotus_tamaricis.htm).
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara

Riferimenti siti web:

Amanita muscaria, il fungo delle fiabe

Articolo pubblicato su MicoPonte n. 10 – 2017

Introduzione

E’ il “fungo delle fiabe” che con il suo meraviglioso cappello rosso vivo, rosso-scarlatto, ricoperto da numerosi fiocchetti bianchi, vivacizza i colori del bosco nel periodo autunnale. Deve la sua notorietà, senza ombra di dubbio, alla simbologia fiabesca, fumettistica e cinematografica che ha senz’altro contribuito a consolidare la sua fama di fungo malefico e velenoso per antonomasia, spingendosi oltre i confini della realtà ed esaltando in maniera eccessiva la sua effettiva pericolosità. In effetti, in considerazione delle sostanze chimiche che contiene, si tratta di un fungo tossico che provoca intossicazioni anche di una certa entità generalmente risolvibili con un pronto intervento medico ma non è mortale come nell’immaginario collettivo viene considerato.

Genere Amanita Pers. (1797)

Al genere appartengono sporofori ben differenziati e facilmente individuabili, limitatamente alla loro posizione sistematica generica, per la presenza di particolari e caratteristiche ornamentazioni che si formano sul cappello e sul gambo, tanto nella parte apicale quanto nella parte inferiore. Sono funghi bivelangiocarpici ossia muniti di due veli. Uno detto velo generale che avvolge l’intero carpoforo fin dalla sua formazione allo stadio di primordio che lo rende simile, per la sua strutturazione, ad un uovo e per tale caratteristica consente di conferirgli, appunto, la denominazione di “ovolo”; l’altro, detto velo parziale, inteso a proteggere l’imenoforo (parte fertile del fungo – formata, nel caso delle Amanite, da lamelle e situata nella parte inferiore del cappello ove si formano gli elementi riproduttivi: le spore) che dall’orlo del cappello si estende fino al gambo.

La formazione dello sporoforo, con il suo accrescimento sia in altezza sia in larghezza, causa, man mano che il processo di formazione procede, la lacerazione dei due veli; questi, a rottura, lasciano, per quanto riguarda il velo generale, un residuo nella parte bassa del gambo che dà origine alla formazione di una specie di guaina basale detta “volva” ed anche, a volte, alla formazione di residui dissociati sul gambo ed alla formazione, anche se non sempre, sul cappello di ornamentazioni dette, in senso generico, “verruche”. Per quanto riguarda il velo parziale, la sua lacerazione, con il distacco dello stesso dall’orlo del cappello, causa, anche se non sempre, la formazione di un “anello” che va a posizionarsi sul gambo.

Amanita muscaria (L. : Fr.) Lam.

Encycl. Méth. Bot. (Paris) 1(1): 111 (1783)

Basionimo: Agaricus muscarius L. (1753)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Amanitales, famiglia Amanitaceae, genere Amanita.

Etimologia: dal latino muscarius, attinente alle mosche per le proprietà, un tempo riconosciutale, di attirare le mosche.

Sinonimi: Agaricus imperialis Batsch.; A. pseudoaurantiacus Bull.

Nomi volgari: ovolo malefico, ovolaccio.

Amanita muscaria, esemplari in habitat
Amanita muscaria, esemplari in habitat. Foto: G. Di Cocco

Descrizione macroscopica

Cappello di mediegrandi dimensioni, raggiunge facilmente anche i 20-25 cm di diametro, inizialmente sodo e carnoso, poi, verso la maturazione, fragile. Nella fase iniziale si presenta sferico, poi, verso la maturazione, sferico-emisferico, convesso, piano-convesso, a volte anche depresso, con margine prima ottuso, poi regolare con corte e leggere striature. Cuticola facilmente separabile, liscia o vischiosa a tempo umido, di un bel colore rosso vivo, rosso scarlatto, rosso arancio, rosso fragola, generalmente ricoperta da residui del velo generale che si presentano sotto forma di verruche bianche, spesse, appuntite e con forma piramidale, in rilievo e posizionate in forma concentrica, facilmente asportabili per effetto della pioggia o del vento. Imenoforo costituito da lamelle fitte, libere (quando si interrompono prima di raggiungere il gambo), ventricose (quando nella zona centrale presentano una convessità più o meno accentuata), intervallate da lamellule (struttura lamellare di dimensioni minori rispetto alle lamelle) di colore bianco o biancastro, a volte sfumate di giallo con fiocchettature concolori. Le spore in massa, di colore bianco, caratterizzano l’appartenenza della specie al gruppo dei funghi leucosporei. Gambo bianco, cilindrico, robusto, slanciato, attenuato all’apice ed ingrossato alla base per la presenza di un bulbo subsferico-ovoidale. Si presenta pieno, a volte midolloso (quando all’interno ha consistenza molliccia), asciutto, ricoperto da una leggera pruina nella parte superiore ed irregolarmente fioccoso nella zona inferiore. Anello posizionato nella zona medio-alta del gambo, membranoso, ampio, frastagliato con fiocchetti di colore giallo sul margine. Volva totalmente ricoprente il bulbo basale, aderente, dissociata in perline o placchette squamose di colore bianco che si avvolgono in maniera più o meno concentrica sul gambo.

Habitat

Cresce abbondante in gruppi di numerosi esemplari, nel periodo estivo e fino al tardo autunno, associandosi con numerose colture arboree in boschi di latifoglie (faggi, betulle, querce) e di conifere (pecci e pini) ed ancora, con essenze della macchia mediterranea (cisto).

Rappresentazione di Amanita muscaria nei vari stadi di sviluppo
Rappresentazione di Amanita muscaria nei vari stadi di sviluppo. Disegno (incompiuto): G. Bertelli
Esemplari di Amanita muscaria nei primi stadi di sviluppo
Esemplari di Amanita muscaria nei primi stadi di sviluppo, con il velo generale bianco ancora intatto che non lascia vedere il colore rosso della cuticola. Foto: M. Della Maggiora

 

Commestibilità, tossicità e curiosità:

A. muscaria, specie molto nota e universalmente conosciuta in ogni parte del globo terrestre, deve la sua denominazione a Carl von Linné (italianizzato come Carlo Linneo), botanico e naturalista svedese (Råshult, 23 maggio 1707 – Uppsala, 10 gennaio 1778), considerato il padre della nomenclatura binomiale(1), che ne assunse la paternità descrivendola nel 1753 con la denominazione di “Agaricus muscarius”. Tale denominazione, pur non avendo la specie alcun riferimento morfologico alle mosche, la accomuna a questi fastidiosi insetti per la peculiare proprietà, riconosciutale in tempi assai remoti nei paesi del Nord Europa, di attirare ed uccidere le mosche. Era uso comune, tra le popolazioni germaniche, commercializzare il fungo che veniva sbriciolato sui davanzali delle finestre mescolato a sostanze zuccherine per attirare le mosche che rimanevano uccise. Il famoso micologo siciliano Giuseppe Inzenga (Palermo 1815 – 1887), relativamente a tale proprietà si esprimeva in tal senso: “Sin da tempo antico impiegasi questo fungo polverizzato per la distruzione delle mosche e forse di altri insetti, probabilmente mischiato a sostanze zuccherine diverse per adescarne l’appetito e d’onde il suo nome di Agaricus muscurius attribuitogli dal sommo Linneo” [Insenga, 1869].

In merito a questa ipotetica proprietà è stato chiarito, da studi ed esperimenti condotti in varie parti del mondo, che l’acido ibotenico, sostanza tossica contenuta nel fungo, ha solamente un effetto anestetizzante sulle mosche le quali, dopo un periodo più o meno lungo, riacquistano le proprie facoltà motorie. Bisogna sottolineare che la stessa sostanza tossica è contenuta anche in A. pantherina, specie alla quale non sono mai state attribuite proprietà moschicide [Bettin, 1971].

In netta contrapposizione con il suo epiteto specifico, contrariamente a quanto si può pensare, non provoca sindrome muscarinica (2), della quale si rendono responsabili specie fungine appartenenti ai generi Inocybe, Clitocybe e Mycena, bensì sindrome panterinica (3) dovuta essenzialmente ai componenti chimici in essa contenuti che sono stati individuati quali acido ibotenico, muscazone e muscimolo, sostanze idrosolubili resistenti sia alla cottura sia all’essiccamento sia ad ogni altra manovra empirica tendente alla loro eliminazione. Tali sostanze si presentano maggiormente concentrate nella cuticola e nella zona sotto cuticolare, tanto che in alcune zone dell’est Europa ed anche in alcune regioni d’Italia, veniva consumata previa asportazione della cuticola e prebollitura [Cetto, 1970].

Esemplari giovani, con lamelle non ancora esposte, di Amanita muscaria. Foto: G. Di Cocco
Esemplari giovani, con lamelle non ancora esposte, di Amanita muscaria. Foto: G. Di Cocco

Le venivano riconosciute, specialmente in passato e presso alcune popolazioni meso- americane, quali i Maia e gli Atzechi, particolari proprietà eccitanti, afrodisiache ed allucinogene tanto da farlo entrare nell’uso comune della medicina popolare e della stregoneria. Reperti archeologici delle antiche culture di numerose etnie sono, oggi, valida testimonianza del suo uso sciamanico, terapeutico e religioso [Pelle, 2007]. Le sue proprietà allucinogene sono state confermate da Robert Gordon Wasson (etnomicologo statunitense, Great Falls (Montana) 22 settembre 1898 – New Jersey 23 dicembre 1986)  che le ha sperimentate personalmente durante un suo viaggio di studio presso popolazioni indiane nel cuore delle montagne della regione di Mixteco nel Messico meridionale che la utilizzavano con scopi prettamente allucinogeni nel corso di riti tribali, unitamente ad altre specie fungine, registrandone effetti sorprendenti quali sonno profondo e nitide visioni meravigliose [Wasson, 1968; Milanesi, 2015].

Considerato che in alcune regioni della Francia, della Svizzera e della Russia, A. muscaria viene regolarmente consumata senza conseguenze, si ipotizza che la sua tossicità possa essere fortemente condizionata da alcuni fattori estrinseci che influiscono sulla maggiore o minore concentrazione delle micotossine che, secondo varie ipotesi potrebbero essere collegati alla particolarità del terreno di crescita che, stante la propria struttura chimica, limiterebbe la formazione delle tossine o alla abitudine a consumare la specie che avrebbe creato, nei consumatori abituali, una specie di immunizzazione [Buffoni, 1983].

In Giappone, dove viene chiamata “benitengutake” ovvero “tengutake rosso”, per distinguerla da A. pantherina che è conosciuta come “tengutake”, limitatamente alla regione di Nagano, viene regolarmente consumata o conservata in salamoia dopo bollitura ed eliminazione dell’acqua di cottura. Il suo consumo è talmente diffuso che viene addirittura preferita ai porcini che rimangono ignorati dagli abitanti del luogo [Arora, 2000].

Nonostante sia stata utilizzata o continua ad esserlo, in alcune regioni italiane ed in altre parti del mondo, per il consumo alimentare, se ne sconsiglia l’uso precisando che è universalmente conosciuta come fungo NON commestibile, tossico-velenoso, causa di sindrome panterinica a breve incubazione.

Forme e varietà di Amanita muscaria

Molte sono le entità che, tra sottospecie, varietà e forme, a seconda dei vari autori, si muovono attorno ad A. muscaria, per completezza dell’argomento trattato riportiamo le più significative rinviando il lettore, per eventuali approfondimenti, a testi monografici specifici:

  • A. muscaria f. formosa (Pers.) Gonn. & Rabenh., 

Totalmente simile alla specie tipo, A. muscaria, tranne che per i residui del velo generale (verruche e volva) che si presentano inizialmente di un colore giallo intenso, giallo vivo, giallo uovo, tendendo, verso la maturazione dei carpofori, a sbiadire trasformandosi in bianco-crema, bianco-sporco, grigio-giallo-bruno.

Esemplari giovani di Amanita muscaria f. formosa;
Esemplari giovani di Amanita muscaria f. formosa; si noti il velo generale (verruche sul cappello) completamente giallo anziché bianco. Foto: M. Della Maggiora
  • Amanita muscaria f. aureola  (Kalchbr.) J. E. Lange

Si differisce dalla forma muscaria inizialmente per il colore del cappello, mai rosso, rosso-vivo, ma arancione, arancio-scuro, giallo-arancio, sempre privo delle tipiche verruche bianche che caratterizzano la specie tipo e, in maniera prioritaria, per la conformazione della volva che si presenta semilibera, poco aderente al gambo e leggermente dissociata in cercini fioccosi ed irregolari.

  • Amanita muscaria var. inzengae Neville & Poumarat

Varietà dedicata al famoso micologo siciliano Giuseppe Inzenga.

Praticamente molto simile, nella strutturazione morfologico-cromatica, alla specie tipo dalla quale si differisce per il colore dei residui velari (verruche, anello e volva) che si presentano bianchi ma tendenti ad ingiallire e per l’habitat di crescita preferendo fruttificare lontano dagli alberi ed in associazione con colture arbustive di Cistus.

 

Specie simili:

  • A. caesarea (Scop. : Fr.) Pers.

Anche se dal punto di vista morfologico completamente diversa, in caso di pioggia e conseguente perdita delle tipiche ornamentazioni del cappello, A. muscaria, per la similarità della colorazione del cappello, può essere confusa con A. caesarea; in ogni caso, comunque,  presenta una tipica conformazione morfo-strutturale diversa, caratterizzata da lamelle, gambo ed anello totalmente di colore giallo che la rendono perfettamente diversificata da A. muscaria che presenta gli stessi elementi di colore bianco e, quindi, riconoscibile in ogni momento delle sue fasi di crescita. Ulteriore importante elemento differenziante è costituito dalla volva che, in A. caesarea è ampia e membranosa, sacciforme, lobata, con apice libero al gambo, di colore inizialmente bianco candido tendente, verso la maturazione, al crema-biancastro e poi beige chiaro, mentre in A. muscaria è sempre dissociata in perline o placchette squamose di colore bianco.

Note dell’Autore

Nell’affidare questa mia nuova “Riflessione Micologica” alla stampa ed ai moderni sistemi di condivisione mezzo web, intendo sottolineare la particolarità del momento che, con l’inserimento delle meravigliose tavole pittoriche realizzate da Gianbattista Bertelli, mi onora di associare questo modesto lavoro al nome di chi, con la sua notevole ed apprezzata opera pittorica e con le sue profonde competenze micologiche, ha inteso lasciare un notevole e ricco bagaglio culturale al servizio della micologia e di quanti altri, micologi, micofili, micofagi o semplicemente curiosi ed appassionati come me, intendono approfondire le proprie conoscenze su questo meraviglioso campo. Ritengo opportuno, inoltre, sottolineare l’importante opera di diffusione condotta da Aldo, figlio di Gianbattista Bertelli, intesa a diffondere, ai fini conoscitivi, le numerose e meravigliose tavole micologiche realizzate dal padre.

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  1. Nomenclatura Binomiale: prevede che ogni organismo vivente venga identificato da un nome composto da due epiteti: il primo, generico, riferito al genere di appartenenza, il secondo, specifico, riferito alla specie. La combinazione degli epiteti generico e specifico forma il nome che ne identifica la specie: esempio Amanita muscaria; Boletus edulis; Russula vesca; Macrolepiota procera ecc. E’ opportuno precisare che il nome attribuito va sempre indicato in forma latina e scritto in corsivo con l’iniziale maiuscola per quanto riguarda l’indicazione del genere e con l’iniziale minuscola per quanto riguarda l’indicazione della specie. I nomi scientifici dei funghi, come avviene per le piante in genere, vengono attribuiti secondo norme stabilite dal “Codice Internazionale di Nomenclatura per le alghe, funghi e piante” (ICN). Questo viene realizzato e mantenuto aggiornato da botanici provenienti da tutto il mondo che si riuniscono ogni 5 anni in una sessione precongressuale del Congresso Internazionale di Botanica. Il Codice attuale è stato formalizzato nel Congresso di Melbourne nel mese di luglio 2011 ed è operativo dall’anno 2012; è anche conosciuto semplicemente come “Codice di Melbourne”.
  2. Sindrome muscarinica: detta anche colinergica, si tratta di una sindrome a breve latenza (quando si manifesta entro 6 ore dall’ingestione dei funghi), viene causata da un alcaloide isolato, per la prima volta nel 1869, dall’A. muscaria, derivandone, di conseguenza, la propria denominazione: muscarina. La limitata quantità contenuta nell’A. muscaria è irrilevante ai fini dell’insorgenza della specifica sindrome della quale si rendono responsabili specie fungine appartenenti ai generi Inocybe, Clitocybe e Mycena nei quali il contenuto di muscarina risulta essere considerevole.

La sintomatologia tipica si manifesta, tra i 15 minuti e le tre ore dal consumo dei funghi, con dolori addominali, vomito, diarrea, cefalea, ipersalivazione, intensa sudorazione, disturbi visivi, lacrimazione, tremori, bradicardia, broncocostrizione. L’intensa perdita di liquidi può portare a disidratazione.

E’ l’unica forma tossica per la quale è stato individuato un antidoto: l’atropina, anche se il suo impiego non viene più consigliato in quanto può aumentare la fase eccitatoria del sistema nervoso centrale [Milanesi, 2015].

  1. Sindrome panterinica: detta anche micoatropinica o anticolinergica, ha un periodo di latenza variabile tra i 30 minuti e le tre ore (sindrome a breve latenza). I sintomi si manifestano, in un primo momento con disturbi gastrointestinali ed eccitazione psicomotoria, per passare, successivamente, a manifestazioni di euforia, ebbrezza, stato confusionale, difficoltà di coordinazione, allucinazioni, ed ancora, in una fase più avanzata, astenia, sopore, amnesia e, come avvenuto in alcuni casi, decesso, registrati soprattutto per consumo di A. pantherina, con maggiore concentrazione di sostanze tossiche rispetto ad A. muscaria.

I principi tossici sono acido ibotenico, muscazone e muscimolo che si trovano, principalmente, nella cuticola e nello strato sottocuticolare. Anche se la cuticola viene eliminata, come più volte dimostrato scientificamente, il fungo mantiene la sua tossicità.

Le specie responsabili dell’intossicazione sono A. pantherina, A. muscaria, A. junquillea (= A. gemmata s. auct.) e le loro varietà e forme che mantengo la loro tossicità anche dopo bollitura, salatura e/o essiccazione.

Ringraziamenti

Un grazie particolare va rivolto a Aldo Bertelli per avere fornito ed autorizzato la pubblicazione delle/a tavole/a micologiche di A. muscaria artisticamente realizzate dal padre Gianbattista Bertelli ed a Gianfranco Di Cocco per la gentile concessione delle foto

Foto: Marco Della Maggiora; Gianfranco Di Cocco

Bibliografia di approfondimento

A.G.M.T., 2013: Io sto con i Funghi. Seconda edizione. Edit. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN) – I.

Arora D. , 2000: Funghi dal mondo – Amanita muscaria, un fungo…commestibile! Bollettino del Gruppo

Micologico G. Bresadola  Trento. XLIII (2) 38-40. – I.

Assisi F., 2007: Tossicologia del Genere Amanita. In Galli R.: Le Amanite. 2° edizione. Edit. dalla Natura, Milano – I.

Assisi F., Balestreri S. & Galli R., 2008: Funghi velenosi. Edit. dalla Natura, Milano – I.

Balestreri S., 2011: Amanita muscaria. In Appunti di Micologia (www.appuntidimicologia.com).

Bettin A., 1971: Le amanite. L.E.S. Libreria Editrice Salesiana, Verona – I.

Boccardo F., Traverso M., Vizzini A. & Zotti M., 2008: Funghi d’Italia. Ristampa 2013. Edit. Zanichelli, Bologna – I.

Cetto B., 1970: I funghi dal vero, Vol. 1. Edit. Saturnia, Trento – I.

Buffoni L., 1983: Gli avvelenamenti da Amanite tossiche. In Merlo E. et al.: Le Amanite. Sagep Editrice, Genova: 128-137.

Della Maggiora M., 2007: Gli avvelenamenti da funghi. Micoponte 1: 24-40.

Della Maggiora M. & Mannini M., 2013: Funghi buoni … o “buoni da morire”. In A.G.M.T.: Io sto con i Funghi. Seconda Edizione. Edit. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN): 171-204.

Foiera F., Lazzarini E., Snabl M. & Tani O., 1993: Funghi Amanite. Edit. Calderini edagricole, Bologna – I.

Galli R., 2007: Le Amanite. 2° edizione. Edit. dalla Natura, Milano – I.

Gemelli V. & Cicognani A., 2006: I funghi allucinogeni. Pagine di Micologia 25: 83-94.

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Miceli A., 2016: Tra tossine e veleni. Parte Seconda. NA.SA.TA Magazine. I Sapori del mio Sud. Periodico di informazione dei soci dell’Associazione Culturale Nasata. Anno XII n. 128: 10-12. Consultabile anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (www.adset.it); e in “MicologiaMessinese/Andar per funghi” (www.micologiamessinese.it).

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Infundibulicybe geotropa (Bull.) Harmaja

Una stagione, quella dell’autunno 2017, avara di piogge e caratterizzata da una persistente siccità protrattasi per lungo tempo che ha, ovviamente, influito negativamente sulla crescita fungina, deludendo i numerosi micofagi che sono stati, così, privati delle prede più ambite: ovoli e porcini. A questi consigliamo, al fine di rifarsi del mancato bottino, di rivolgere la propria attenzione, nel periodo del tardo autunno, sperando in un cambiamento di tendenza nella fruttificazione fungina, ad un fungo che, anche se non da tutti conosciuto, viene da sempre considerato ottimo commestibile: Infundibulycibe geotropa.

E’ stato conosciuto, ed ancora continua ad esserlo, con la denominazione di Clitocybe geotropa, abbandonata nel 2003, a seguito della creazione, da parte di Harmaja, del nuovo genere Infundibulicybe.

Genere Infundibulicybe Harmaja 2003

Si tratta di un genere di nuova, istituzione, creato appositamente per ospitare quelle specie fungine appartenute al genere Clitocybe che, a seguito studi di natura molecolare, hanno evidenziato caratteri filo-genetici diversi, tali da consentirne il posizionamento in un nuovo genere. In questo trovano posto sporofori con portamento clitociboide (quando presentano caratteristiche generali simili al quelle dei funghi appartenenti al genere Clitocybe) caratterizzate da cappello generalmente asciutto, pruinoso, a volte umbonato, con margine liscio o, per alcune specie, striato. Lamelle decorrenti. Gambo centrale, pieno. Spore in massa da bianco a giallo a crema-rosato identificanti funghi appartenenti al gruppo dei leucosporei.

Infundibulicybe geotropa (Bull.) Harmaja

Annales Botanici Fennici 40 (3) : 216 (2003)

Basionimo: Agaricus geotropus Bull. (1792)

Posizione sistematica: divisione Basidiomycota, classe Agaricomycetes, ordine Agaricales, famiglia Tricholomataceae, genere Infundibulicybe.

Etimologia: infundibulicybe dal latino infundǐbŭlum = imbuto e dal greco kùbe = testa, con riferimento alla forma del cappello che si presenta simile ad un imbuto. Geoptropa dal greco geo = terra e tropèo = rivolto, ovvero rivolto verso terra con riferimento al portamento eretto, con posizione verticale [AMINT, 2007].

Principali sinonimi: Clitocybe geotropa (Bull.) Quél. 1872; Omphalina geotropa (Bull.) Quél. 1886.

Nomi volgari: cimballo, ordinale, Fungo di San Martino [AMINT, 2007 – Sorbi C., 2016]

Nomi dialettali: è conosciuto con una miriade di nomi dialettali che variano da una località all’altra, ne riportiamo solo alcuni tra quelli maggiormente utilizzati nel territorio siciliano: “Funciu imperiali” (diffuso in varie zone della Sicilia), “Funcia i filera” (Messina), “Funciu i filagno” (Catania), “Funcia campagnola”, “Funciu filarinu” (Palermo) [Bonazzi U., 2003].

Descrizione macroscopica

Si presenta praticamente inconfondibile per il caratteristico portamento tipicizzato da un gambo molto lungo rispetto al diametro del cappello [Papetti C., 2004], per la consistenza massiccia, per la forma ad imbuto e la presenza di un umbone centrale. Morfologicamente presenta le seguenti caratteristiche:

Cappello generalmente di medio-grandi dimensioni, può facilmente raggiungere 20-25 cm di diametro, anche se alcuni esemplari, a completa maturità, si presentano con dimensioni ridotte di circa 4-5 cm [Sorbi C., 2016].  Si presenta inizialmente campanulato con orlo fortemente involuto, assumendo, poi, in fase di maturazione, una caratteristica depressione a forma di imbuto, caratterizzata da un grosso umbone centrale sempre presente. Ha superficie liscia, a volte leggermente feltrata, opaca e vischiosa a tempo umido, liscia a tempo asciutto, di colore giallo ocra tendente al beige con, in alcuni casi, tonalità aranciate.

Imenoforo formato da lamelle molto fitte, intercalate da lamellule che tendono a biforcarsi verso il margine del cappello, profondamente decorrenti (quando si prolungano sul gambo in maniera più o meno accentuata) sul gambo, inizialmente di colore bianco-crema, tendente al rosa verso la maturazione. La sporata in massa, di colore bianco, identifica l’appartenenza al gruppo dei funghi leucosporei.

Gambo centrale, cilindrico, inizialmente sodo, poi, verso la maturità, molliccio, grosso e slanciato, leggermente clavato (quando si presenta leggermente ingrossato ad una delle estremità assumendo la forma di una clava) verso la base dove, a volte, è possibile trovare una leggero tomento (peluria) di colore biancastro; concolore al cappello o leggermente più chiaro, con, a volte, nervature superficiali di colore bianco sporco che lo percorrono in senso longitudinale.

Carne compatta e soda, fibrosa nel gambo dove diviene elastica con la maturazione. Inizialmente bianca con tendenza al crema in maturità. Odore gradevole, descritto dai numerosi autori in maniera diversa: aromatico, di mandorle, fruttato, lavanda, mielato, cianico, farinaceo, ecc. Sapore buono, dolciastro e delicato [Sorbi C., 2016].

Habitat

Predilige, considerata la sua natura di fungo saprofita, terreni ricchi di sostanze nutritive e di residui organici morti, fruttificando da autunno inoltrato fino all’inizio dell’inverno, a volte, in dipendenza della latitudine e dell’altitudine del luogo di crescita, anche dopo le prime gelate. Si presenta, solitamente, in gruppi di numerosi esemplari tipicamente disposti in “fila indiana” (caratteristica che gli deriva il nome volgare di “ordinale” o i numerosi nomi dialettali quali “Funcia i filera”, “Funciu i filagno”, “Funciu filarino”) o anche disponendosi in cerchio, così da formare il famoso “cerchio delle streghe”, nelle radure o ai margini di boschi di latifoglie o di conifere, o nei prati e nei pascoli. E’ abbastanza comune e diffuso su tutto il territorio italiano.

Commestibilità e curiosità

Ottimo commestibile, si consiglia la eliminazione del gambo che, specie negli esemplari maturi, è coriaceo e stopposo [AMINT, 2010; Sorbi C., 2016]. E’ un fungo a larga diffusione che cresce, in maniera costante, sempre nello stesso sito, regalando ogni anno, agli estimatori, la possibilità di raccolte abbondanti. Territorialmente, a seconda delle diverse zone geografiche, risulta essere totalmente ignorato dalle popolazioni locali che ne sconoscono la commestibilità [AMINT, 2010] o molto conosciuto ed apprezzato, come in alcune zone della Toscana meridionale dove è preferito anche al ricercato porcino [AGMT, 2013; Sorbi C., 2016]. Le sue ben note qualità gastronomiche sono conosciute da tempi remoti, tanto che il famoso Abate-Micologo Giacomo Bresadola (Ortisé, 14 febbraio 1847 – Trento 9 giugno 1929) esprimeva in merito il suo pensiero: “E’ uno dei funghi più squisiti, e pel forte aroma che possiede si può cuocere anche alla maniera dei tartufi servendone come di questi per condimento. Si presta pure ad essere disseccato, bastando tagliare per metà il cappello e passare per mezzo un filo sospendendolo per alcuni giorni all’aria. Disseccato si deve porre in luoghi asciutti entro sacchetti di carta o cassettine di legno” [Bresadola G., 1899].

Specie simili

  • I. gigas (Harmaja) Harmaja 2003 = Clitocybe maxima (P. Gaertn., G. Mey. & Scherb.) P. Kumm 1871.

Presenta notevoli affinità, differenziandosi principalmente per le dimensioni più grandi che evidenziano un gambo più corto ed un cappello molto ampio costantemente privo di umbone centrale o, a volte, appena accennato.

  • I. gibba (Pers.) Harmaja 2003 = Clitocybe gibba (Pers.) P. Kumm 1871.

Comunemente conosciuta con il nome volgare di “imbutino” differisce per le dimensioni più piccole, per la presenza di un piccolo umbone solo negli esemplari giovani e per il colore generalmente più chiaro.

 

Note dell’autore

Ancora una volta, grazie alla disponibilità di Aldo Bertelli, una mia modesta “Riflessione Micologica” viene arricchita dalla presenza di una tavola pittorica realizzata da Gianbattista Bertelli, padre di Aldo, che riproduce, con l’inconfondibile e caratteristico stile personale, in maniera meravigliosa, le caratteristiche peculiari della specie trattata.

Ringraziamenti

Un grazie di cuore va rivolto ad Aldo Bertelli per avere fornito ed autorizzato la pubblicazione della tavola micologica di I. geotropa, e a Lorenzo Fruscalzo e Nicolò Oppicelli per la cortese concessione delle foto.

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Foto: Lorenzo Fruscalzo, Nicolò Oppicelli

Bibliografia di approfondimento

  • A.M.G.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani) – 2013: Io sto con i funghi. Seconda Edizione. Edit. La Pieve Poligrafica, Villa Vernucchio (RN)
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica) -2007: Tutto funghi.  Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico – 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Bresadola Giacomo – 1899: I funghi mangerecci e velenosi. Ulrico Hoepli, Milano
  • Buda Andrea – 2012: I Funghi degli Iblei. Vol. I. Ass. Micologica Bresadola – Gruppo di Siracusa, Siracusa
  • Garau Mariano, Merlo Erica, Rosso Michele, Traverso Mido -1982: I nostri funghi. Sagep Editrice, Genova
  • Harmaja Harri -2003: Notes on Clitocybe s. latu (Agaricales). Annales Botanici Fennici 40 (3): 216-2018
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione novembre 2017)
  • La Spina Leonardo – 2017, Funghi di Sicilia – Atlante illustrato. Tomo I. Eurografica, Riposto (CT)
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione novembre 2017)
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara
  • Sorbi Claudio – 2016: Infundibulicybe geotropa: fungo dal sapore particolare e dalla crescita “ordinale”. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 9: 15-18, Ponte a Moriano (LU)

Riferimenti siti web:

Fomes fomentarius, (L. : Fr.) Fr. 1849

Comunemente noto e conosciuto come “Fungo dell’esca” fino dai tempi più remoti, deve tale denominazione volgare all’uso comune da parte dell’uomo primitivo, che lo utilizzava, grazie alla sua facile infiammabilità, come esca per accendere il fuoco, utilizzando il primo strato di sostanza, quello posto tra la superficie crostosa del cappello ed i tubuli, opportunamente trattato, avvicinandolo alle scintille scaturite dallo sfregamento della cosiddetta “pietra focaia”.

Tale sua particolarità è stata confermata, nel tempo, da diversi ritrovamenti quale, ad esempio, l’ultimo in ordine cronologico che fa riferimento al rinvenimento, in Trentino Alto Adige, della mummia di “Ötzi” (1) nel cui corredo, tra i numerosi oggetti, furono trovati resti del carpoforo e pezzetti di selce.

Fomes fomentarius trova diffusione in tutte le parti del mondo associandosi, nella doppia conformazione comportamentale di parassita-saprofita, a numerose essenze arboree prevalentemente di latifoglie (pioppo, faggio, quercia, olmo, platano…). La sua presenza sull’albero ospite, sia in piedi che abbattuto, è indicata da vistosi corpi fruttiferi lignificati che si posizionano all’esterno del tronco operando, in maniera molto attiva, quali agenti di carie del legno (2) [Goidànich G. 1975]. Dopo la morte dell’albero ospite e la caduta a terra dello stesso, modifica la sua posizione rispetto al suolo riuscendo a compiere una rotazione su se stesso per riportarsi, con la superficie fertile, in posizione parallela al suolo per meglio diffondere le spore; tale proprietà è conosciuta scientificamente come geotropismo [AMINT, 2007]. Veniva impiegato, in passato, come emostatico ed utilizzato dai barbieri per affilare i rasoi; pratiche queste ormai da tempo abbandonate [AMINT, 2007], risulta, comunque, possedere proprietà antivirali ed antibatteriche.

Viene posizionato, in maniera informale, nel gruppo dei Polipori nel quale vengono inserite specie fungine caratterizzate da imenoforo a tubuli, non asportabile dalla carne soprastante con la quale forma un insieme strettamente omogeneo. I basidiomi possono essere sessili (privi di gambo) o stipitati (muniti di gambo), in tal caso il gambo può essere centrale, sub centrale o eccentrico.

I pori, a seconda delle varie specie, possono essere di forma regolare, arrotondata o irregolare e più o meno allungata. (Boccardo F. e altri 2008)

Genere fomes (Fr.) Fr. 1849

Al genere appartengono basidiomi pluriennali (quando l’accrescimento si protrae per più anni consecutivi aggiungendo nuovi strati di crescita su quelli già esistenti), privi di gambo (sessili), ungulati (quando assumono l’aspetto di uno zoccolo). La superficie sterile si presenta liscia, solcata, crostosa, zonata con colori che vanno dal grigio chiaro al bruno scuro. La superficie fertile, di colore bruno ocraceo, è caratterizzata da pori piccoli, rotondi, con tubuli pluristratificati. La carne, di colore bruno ocraceo, si presenta di consistenza coriaceo-fibrosa.

Fomes fomentarius (L.) Fr.

Summa veg. Scand., Sectio Post. (Stockholm): 321 (1849)

Basionimo: Boletus fomentarius L. 1753

Posizione sistematica: classe Basidiomycota, ordine Poliyporales, famiglia Polyporaceae, genere Fomes

Etimologia: dal latino fomes = esca, inteso come alimento per il fuoco con riferimento all’uso che un tempo veniva fatto

Principali sinonimi: Agaricus fomentarius (L.) Lamm. 1783; Polyporus fomentarius (L.) Fr. 1821

Nomi volgari: fungo dell’esca

Nomi dialettali: Lisca (nome dialettale cosentino) Funcia d’isca, Isca di voscu (nomi dialettali siciliani) [Bonazzi U.].

Descrizione macroscopica

Carpoforo di grandi dimensioni, può raggiungere anche 30-40 cm di diametro ed oltre 2 Kg di peso. Di consistenza legnosa, privo di gambo (sessile) a forma di grosso zoccolo equino (ungulato), margine ricoperto da un leggero tomento (peluria), crescita pluriennale.

Superficie sterile di colore grigio, grigio-bruno, liscia, con evidenti zonature che indicano i vari strati di crescita, ricoperta da una crosta consistente e spessa, margine ricoperto da una leggera peluria, zonato, di colore bruno chiaro.

Superficie fertile costituita da tubuli pluristratificati di colore bruno-ruggine con pori di piccole dimensioni rotondeggianti di colore ocra, ocra-chiaro scurenti in maniera evidente al tocco o allo sfregamento.

Carne spessa circa 2-3 cm, di consistenza tenace, legnosa, fibrosa, di colore brunastro. E’ caratterizzata, nel punto di attacco alla pianta ospite, dalla presenza di una consistente massa di nucleo miceliare di colore bruno con chiazze bianche. Odore acidulo da giovane, sapore acre.

Habitat: inizialmente parassita, continua a fruttificare da saprofita anche su piante morte. Generalmente solitario anche se sullo stesso albero fruttificano, spesso, diversi esemplari. Agente di carie bianca causa la degradazione dei tessuti legnosi dell’ospite fino a causarne la morte. Fruttifica tutto l’anno con larga distribuzione.

Commestibilità: NON commestibile perché particolarmente legnoso.

Specie simili

  • Fomitopsis officinalis  (Vill. : Fr.) Bondartsev & Singer, 1941

di dimensioni generalmente minori, si differisce per la superficie sterile liscia o solcata, di colore bianco, bianco-grigiastro o nocciola, ricoperta da una sottile crosta di consistenza gessosa; per la superficie poroide di colore bianco tendente all’ocra chiaro verso la maturazione, con pori rotondi di piccole dimensioni.

  • Piptoporus betulinus (Bull. : Fr.) P. Karst., 1881

Si differisce per le dimensioni inferiori; per la superficie sterile liscia, di colore bianco, grigio-bruno o nocciola ricoperta da una sottile pellicola papiracea che spesso si presenta screpolata; per il margine involuto che si incurva fino a ricoprire leggermente la superficie fertile caratterizzata da pori piccoli, rotondeggianti, di colore bianco crema tendente a scurire verso la maturazione e per la presenza, anche se non sempre, di uno pseudo gambo che può raggiungere 5-6 cm.

Ringraziamenti

Un grazie particolare va rivolto all’amico Emilio Pini per la cortese concessione e l’autorizzazione alla pubblicazione delle foto.

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  1. Fu casualmente rinvenuta, nel settembre del 1991, da una coppia di turisti tedeschi in Trentino, nella Val Venosta, nel ghiacciaio del Similaun. Si tratta di un corpo mummificato tra i più antichi del mondo appartenuto ad un uomo di circa 40-50 anni d’età, ucciso da una freccia che lo ha colpito alle spalle recedendo l’arteria succlavia, vissuto nell’età del Rame tra il 3350 ed il 3120 a. C. [Zirk A. e altri, 2012]. Il nome di Ötzi, gli fu imposto con riferimento al diminutivo tedesco del luogo del suo ritrovamento. La scoperta riveste notevole importanza dal punto di vista antropologico, biologico e micologico.
  2. La carie, o marciume del legno, è una patologia vegetale che causa la progressiva degenerazione dei tessuti legnosi di piante vive o del legname in conservazione o in opera. Viene diversificata, generalmente, in carie bianca e carie bruna (per maggiori approfondimenti si rimanda ad un testo specifico). Viene causata da numerose specie fungine appartenenti a diversi generi di funghi quali, ad esempio, Fomes, Ganoderma, Phellinus, Polyporus, che assumono, nella fattispecie, la denominazione di “parassiti da ferita” in quanto trovano facilità di attecchimento in corrispondenza delle ferite del tronco arboreo, nei tagli di potatura, nelle ferite provocate da insetti, nelle lesioni traumatiche della corteccia. Normalmente l’attacco invasivo viene realizzato dal micelio che, dopo aver condotto un periodo di vita saprofitario su organi morti della pianta, riesce a penetrare all’interno della massa legnosa attaccandone le parti vive [Goidànich G. 1975].

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Foto: Emilio Pini

Bibliografia essenziale

  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica) -2007: Tutto funghi.  Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Balestreri Stefano – 2012: Fomes fomentarius. Estratto da “Appunti di Micologia” (www.appuntidimicologia.it)
  • Bernicchia Annarosa – 2005: Polypocaceae s. l.. Edizioni Candusso, Alassio (SV)
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2009: Atlante fotografico dei funghi d’Itala. Volume 3. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Goidànich Gabriele – 1975: Manuale di patologia vegetale. Vol. II,. Edizioni Agricole, Bologna
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara
  • Zirk Albert, Franco Alessia, Piombino-Mascali Dario, Egarter-Vigl Eduard, Gostner Paul – 2012: I segreti di Ötzi. Archeologia viva, Anno XXXI n. 154: 46:56. Giunti Editore, Firenze

Riferimenti siti web

Rhodotus palmatus  (Bull.: Fr.) Maire 1926

Un piccolo macromicete dall’aspetto accattivante, pittoresco ed inconfondibile, dai colori rosa-albicocca intensi, ritenuto, considerate le pochissime segnalazioni del suo ritrovamento, alquanto raro e addirittura, in alcune nazioni europee, in fase di estinzione tanto da essere inserito nella Red List delle specie a rischio. La sua presenza e distribuzione nel territorio è strettamente legata al substrato di crescita: l’olmo.

Rhodotus palmatus, ha recentemente attirato la nostra “curiosità micologica” per il gradito invio, sui social network, di una foto che ne evidenzia la particolarità della forma e la bellezza dei colori che, nell’insieme, lo rendono facilmente riconoscibile. E’ solito crescere, quale saprofita, sui tronchi morti di olmo, coltura arborea con la quale sembra avere un rapporto privilegiato ed esclusivo. La sua presenza e distribuzione nel territorio è, infatti, strettamente legata al substrato di crescita: l’olmo che, in Italia, come nel resto dell’Europa, già dai primi decenni del secolo scorso, è stato decimato a causa della “grafiosi dell’olmo(1) causata da un ascomicete (Ophiostoma ulmi (Buisman) Nannf 1934), [Padovan F. 2000], con conseguente ripercussione sulla crescita e sulla salvaguardia del protagonista della nostra “Riflessione Micologica”.

Rhodotus palmatus

Fu descritto per la prima volta nel 1785 da Jean Baptiste Bulliard (medico e botanico francese – Aubepierre-sur-Aube, 24 novembre 1752 – Parigi, 26 settembre 1793) con la denominazione di Agaricus palmatus. Per la particolarità ed unicità delle sue caratteristiche macro e microscopiche non ha trovato, inizialmente, una posizione sistematica adeguata, posizionandosi, secondo i vari autori, in generi e famiglie sempre diverse, fino a giungere, dopo attenta analisi molecolare, nella famiglia Physalacriaceae dove trovano posto altri generi come, ad esempio, Armillaria, Flammulina, Oudemansiella ecc.

Genere Rhodotus Maire 1926

Vi appartengono funghi con portamento tricolomatoide (similare al portamento dei funghi appartenenti al genere Tricholoma), a nutrizione saprofitica, caratterizzati da spore in massa colore rosa [Boccardo F. e altri, 2008]. Ospita solo due specie: R. palmatus e R. asperior Li Ping Tang, Zhu Liang Yang & Bau Tolgor 2013, tipica, quest’ultima, del continente asiatico.

Rhodotus palmatus (Bull.: Fr.) Maire

Bull. trimest. Soc. mycol. Fr. 40 (4): 308 (1926)

Basionimo: Agaricus palmatus Bull. 1785

Posizione sistematica: classe Agaricomycetes, ordine Agaricales, famiglia Physalacriaceae, genere Rhodotus

Etimologia: Rhodutus dal greco rodon = rosa con riferimento al colore del fungo e delle spore; palmatus, dal latino palmato con riferimento all’aspetto disteso del cappello degli esemplari adulti.

Principali sinonimi: Crepitodus palmatus (Bull.) Gillet 1876; Pleurotus palmatus (Bull.) Quél. 1883; Gyrophila palmata (Bull.) Quél. 1896.

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole dimensioni, 2-8 cm, inizialmente convesso, tende ad appianarsi verso la maturazione; margine con andamento a volte irregolarmente lobato (quando si presenta più o meno ondulato); superficie ricoperta, specialmente negli esemplari giovani, da una pellicola separabile gelatinosa che assume l’aspetto di un reticolo irregolarmente alveolato tendente a sparire verso la maturazione. Ha un meraviglioso colore rosa-aranciato, albicocca.

Imenoforo costituito da lamelle spesse, non molto fitte, intervallate da lamellule (struttura lamellare di dimensioni minore rispetto alla lamelle che si interrompe prima di giungere al gambo) e fortemente intervenate (quando sono unite tra di loro trasversalmente) arrotondate all’inserzione con il gambo dove, spesso, formano uno pseudocollare; inizialmente di colore bianco, successivamente, verso la maturazione, di un meraviglioso rosa-salmone concolore al cappello. Sporata in massa rosa-salmone che ne identifica l’appartenenza al gruppo dei funghi rodosporei.

Gambo in posizione decentrata, laterale e spesso eccentrico, cilindrico, spesso ricurvo, concolore alle lamelle ed al cappello, ricoperto, quasi interamente, da una pruina biancastra e, a volte, ornato da numerose guttule (goccioline acquose) di colore giallo-arancione, ambrato.

Carne compatta, gommosa e gelatinosa, bianco-rosato, odore fruttato, sapore amarognolo.

Habitat: dall’inizio dell’autunno fino ad inverno inoltrato, specialmente dopo le gelate. Saprofita, in gruppi di più esemplari, spesso cespitoso, raramente singolo, su legno degradato di latifoglie (olmo). Raro.

Commestibilità: NON commestibile.

Specie simili

per le particolari caratteristiche morfo cromatiche non ha similarità con nessuna altra specie conosciuta.

Ritrovamenti

Ritrovamenti a noi segnalati fanno riferimento alla stagione autunno-inverno degli anni 2011-2012-2013, tutti ad opera di Lorenzo Fruscalzo (Gruppo Micologico Maniago – PN), in bosco misto di latifoglie (Olmo, Castagno, Quercia…), formato da esemplari arborei in età matura, nel Comune di Castelnovo del Friuli (PN) a circa 300 metri s.l.m., su tronco abbattuto di olmo in fase di degradazione, in coabitazione con Auricularia mesenterica e Crepitodus applanatus. Gli sporofori sono stati ritrovati, puntualmente sullo stesso ospite, in gruppi di 2-3 o più esemplari.

Ringraziamenti

Un caldo ed affettuoso grazie va rivolto all’amico Lorenzo Fruscalzo sia per la concessione e l’autorizzazione alla pubblicazione delle foto, sia, e soprattutto, per avere acceso, con la condivisione sui social network dell’immagine di R. palmatus, la nostra “curiosità micologica” che, ancora una volta, ci ha portato ad approfondire l’argomento ed alla stesura di questa nuova “Riflessione” sul tema.

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  1. Grafiosi dell’Olmo, comunemente conosciuta come moria dell’olmo o mal secco dell’olmo [Goidànich G. 1975], è una patologia arborea tipica del genere Ulmus (Olmo), originaria dell’Asia, provocata da un fungo appartenente alla classe Ascomycetes: Ophiostoma ulmi (Buisman) Nannf. 1934, specie tipicamente asiatica, importata in Europa nei primi decenni del secolo scorso. Il meccanismo di azione provoca l’occlusione dei fasci vascolari dell’albero impedendo il regolare scorrimento della linfa e delle sostanze nutritive con conseguente ingiallimento delle foglie e successiva morte di parte dei rami, branche o dell’intera pianta. La diffusione della malattia avviene, principalmente, per opera di un coleottero appartenente al genere Scolytus che vive in gallerie dallo stesso scavate nel legno dell’albero appena sotto la corteccia, fungendo, dopo essere venuto a contatto con il fungo, da veicolo di diffusione delle spore con le quali si imbratta le zampe e le trasporta, successivamente, su altre piante. Ulteriore forma di diffusione della malattia è dovuta anche al contatto tra le radici di alberi contigui (anastomosi radicale) [Sidoti S.]. Una variante più aggressiva del fungo, Ophiostoma novo-ulmi Brasier 1991, si diffuse verso la fine degli anni ’60 causando, in Italia ed in altre nazioni europee, la scomparsa di gran parte del patrimonio boschivo del genere Ulmus. La patologia provoca danni molto gravi alle varie specie di Olmo ed in particolare all’Ulmus campestris, specie di olmo notevolmente diffusa in Italia all’epoca della comparsa del parassita [Goidànich G. 1975].

Foto:

Lorenzo Fruscalzo

Disegni:

Jean Baptiste Bulliard da Herbier de la France

Bibliografia essenziale:

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bulliard Jean Baptiste – 1785: Herbier de la France. Library of New York Botanical Garden
  • Cetto Bruno – 1987: Funghi dal vero, Vol. 5. Saturnia, Trento
  • Goidànich Gabriele – 1975: Manuale di patologia vegetale. Vol. II. Edizioni Agricole, Bologna
  • Mittempergher L. – 1981: Dutch elm disease in Italy: status of the disease and aggressiveness of the isolates of Ceratocystis ulmi. Rivista di Patologia Vegetale Vol. 17 n. 3-4: 115-125, Milano
  • Padovan Fabio – 2000: Rhodotus palmatus. Bollettino del Gruppo Micologico G. Bresadola – Trento, Anno XLIII n. 1: 2, Trento
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara
  • Sidoti Agatino: La moria dell’olmo. Estratto da www.etnalcantara.it
  • Zuntini William, 2014: Strani funghi: Rhodotus palmatus.  Occhio al fungo – Bollettino del Gruppo Micologico Avis – Bologna, n. 104: 2-3, Bologna

Riferimenti siti web:

Inonotus tamaricis (Pat.) Maire 1938

E’ sempre stata una convinzione comune, caratteristica delle regioni meridionali e collegata alla tipicità del clima, diffusa tra quanti in considerazione delle limitate conoscenze sul meraviglioso “Regno dei Fungi” ritengono che i funghi si riproducono esclusivamente nel periodo autunnale ed in concomitanza con le precipitazioni atmosferiche, affermando anche, in maniera ancora una volta errata, che i nostri “amici miceti” sono soliti riprodursi esclusivamente nei boschi.

Nelle nostre, ormai numerose, “Riflessioni Micologiche” abbiamo avuto occasione di affermare, come ancora una volta facciamo, che i funghi, è vero, prediligono, per la propria riproduzione e crescita, la stagione autunnale ricca di piogge e l’ambiente boschivo ma è anche vero che queste preferenze non possono essere un generico riferimento ecologico-naturale che accomuna tutte le specie, esistendone numerose che prediligono stagioni e ambienti di crescita completamente diversi da quelli “tradizionali”.

E’ appunto il caso di fare riferimento ad un nostro personale ritrovamento avvenuto durante l’attuale caldissima estate (agosto 2017) ed in ambiente marittimo come l’arenile della costa tirrenica nel comune di Diamante (CS).

Inonotus tamaricis è, in effetti, una poliporacea tipica dell’ambiente mediterraneo che predilige associarsi, quale saprofita-parassita, a piante legnose di Tamerice(1) (Tamarix gallica o T. africana) sulle quali agisce in maniera relativamente lenta ma progressiva, con risultati distruttivi, quale agente di carie bianca, causando schianti improvvisi di piante anche in apparenti buone condizioni di vegetazione (Sicoli G. e altri 2017) manifestando, quindi, la propria capacità di fare scomparire anche l’intera pianta (Galli R. 1999). Attecchisce con un certa facilità sul fusto e sulle diramazioni principali delle piante, soprattutto durante la tarda età delle stesse, in corrispondenza dei tagli conseguenti alle potature o di ferite della corteccia provocate accidentalmente (Sicoli G. e altri 2017). Per la particolarità della pianta ospite che predilige, quale proprio Habitat, terreni sabbiosi a livello del mare, il protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, di riflesso, nasce, cresce e si riproduce in ambiente marittimo e durante tutto l’anno, confermando, con tale suo comportamento, quanto da noi appena affermato. Risulta essere diffuso su molti litorali e la sua presenza è stata più volte segnalata. La nostra ricerca bibliografica ci conduce a ritrovamenti in Sardegna (Tentori A. 1997), a Finale Ligure (SV) (Galli R. 1999), lungo il litorale marittimo a Amantea (CS -Calabria) (Sicoli G. e altri 2017), a Punta Secca (RG – Sicilia) (La Spina L. 2017) e, per esperienza personale, siamo a conoscenza anche di numerosi altri ritrovamenti a Messina in località Rodia, sull’arenile di Spadafora e Rometta marea (ME), sul lungomare di Venetico marina (ME),  a Santa Marina di Salina (Isole Eolie), a Cefalù (PA) ed in numerose altre località, confermando, quindi, la sua notevole diffusione legata alla presenza di Tamerici.

Nella sistematica fungina viene posizionato, in senso discendente, nella Divisione Basidiomycota, Classe Agaricomycetes, Ordine Hymenochaetales, Famiglia Hymenochaetaceae, Genere Inonotus, trovando posizione nel gruppo informale dei Polipori.

Nel gruppo, estremamente eterogeneo e polifiletico (quando le specie inserite nel gruppo non discendono da un unico antenato) vengono inserite specie caratterizzate da imenoforo a tubuli, non asportabile dalla carne soprastante con la quale forma un insieme strettamente omogeneo. I basidiomi possono essere sessili (privi di gambo) o stipitati (muniti di gambo), in tal caso il gambo può essere centrale, sub centrale o eccentrico.

I pori, a seconda delle varie specie, possono essere di forma regolare, arrotondata o irregolare e più o meno allungata. (Boccardo F. e altri 2008)

Genere Inonotus P. Karst. 1879

Al Genere appartengono basidiomi annuali (Quando durano una sola stagione esaurendo il proprio ciclo vitale a conclusione del periodo di accrescimento), dall’aspetto fibroso, a forma di mensola, privi o muniti di gambo (sessili o stipitati), con crescita singola o a gruppi sovrapposti. La superficie superiore è caratterizzata da colori giallo-brunastri, rossicci; può essere, a seconda delle varie specie, liscia o tomentosa (quando si presenta ricoperta da leggera e fitta peluria con similarità, al tatto, al velluto), ispida o glabra. La superficie inferiore è composta da tubuli generalmente corti, difficilmente separabili dalla carne soprastante, con pori di colore biancastro, brunastro, piccoli e rotondeggianti. Il contesto (carne) si presenta da soffice-fibroso a coriaceo, suberoso di colore brunastro. I carpofori, a seconda della specie, presentano, anche se non sempre, una massa miceliare rotondeggiante posizionata nel punto di attacco al substrato (Bernichia A. 2005).

Inonotus tamaricis (Pat.) Maire 1938

Basidioma a crescita annuale, privo di gambo, con sviluppo a mensola, con crescita singola o a più esemplari sovrapposti. Si presenta carnoso, spugnoso, poi fragile; con dimensioni medio grandi: 10-20 cm di lunghezza ed anche oltre; 10-15 di larghezza e circa 2-6 cm di spessore.
 

Superficie sterile: con varie zonature e striature concentriche, con piccole asperità, inizialmente tomentosa, poi ispida ed ancora liscia verso la maturazione; di colore inizialmente crema, poi giallo-ocra, bruno-ruggine ed infine nerastro, con zonature di colore ocra chiaro. Il margine si presenta inizialmente pubescente (ricoperto da leggera peluria), poi glabro, liscio, con andamento più o meno regolare ed ottuso.

Superficie fertile: è formata da tubuli monostratificati con pori di piccole-medie dimensioni con forma rotondo-angolosa e si presenta, nell’insieme, di colore inizialmente bianco-biancastro, poi giallo-ocra, bruno chiaro tendente a scurire verso la maturazione assumendo toni sempre più scuri fino al bruno-scuro-nerastro.

Contesto: spugnoso, fibroso, rigido, fragile negli esemplari essiccati, di colore giallo-bruno tendente al ruggine, si presenta zonato ed attraversato da striature giallo-brunastre. Nel punto di attacco al substrato è presente un nucleo miceliare di colore giallo-bruno chiazzato di bianco.

Habitat: agente di carie bianca, si associa, da parassita, su piante vive di Tamarix gallica o di Tamarix africana, o da saprofita, su zone morte delle stesse. Cresce fin dall’inizio dell’estate ma si trova facilmente durante tutto l’anno. Specie molto comune dell’ambiente marittimo, diffusa in Sicilia e Sardegna e nelle regioni meridionali d’Italia. Viene facilmente attaccato e distrutto dagli insetti nell’arco di una stagione.

Commestibilità: NON commestibile.

Etimologia: con riferimento all’habitat di crescita che lo vede associato a piante di Tamerice.

Basionimo: Xanthochrous tamaricis Pat. 1904

Nome corrente: Inocutis tamaricis (Pat.) Fiasson & Niemelä 1984

Specie simili:

  • Inonotus Hispidus (Bull.) P. Karst. 1879

Si differisce per la superficie sterile che, pur presentando una colorazione analoga, fa rilevare, al tatto, una consistenza fortemente irsuto-tomentosa; per la superficie fertile che secerne, a carpoforo giovane, goccioline acquose di colore giallastro e per l’habitat di crescita che lo associa a latifoglie o alberi da frutto durante tutto l’anno.

Note:

Basidiocarpo ritrovato, nel mese di agosto 2017, nel comune di Diamante (CS) sul litorale marittimo dell’alto Tirreno cosentino, all’interno di uno stabilimento balneare, a circa mt. 2 s.l.m., su numerose piante di Tamarix africana, sulle quali si presenta in forma singola o a gruppi di due o più esemplari sovrapposti a mensola ed in vari stadi di maturazione: da primordio fino a maturazione avanzata con stadi intermedi. Le numerose piante sulle quali è stato ritrovato, anche in più esemplari, non mostrano alcun segno apparente di sofferenza per la presenza dell’ospite.

Tra i numerosi esemplari ritrovati, la nostra attenzione si è soffermata su un primordio appena abbozzato del quale abbiamo seguito lo sviluppo che, pur nella consapevolezza che lo studio evolutivo di un solo esemplare non costituisce elemento utile a stabilirne una regola comportamentale, intendiamo, ai soli fini conoscitivi e per eventuali confronti con esperienze analoghe, proporre:

Inonotus tamarici - fasi di crescita
Inonotus tamarici – fasi di crescita

Primo esame: allo stadio iniziale di primordio si presenta come una piccola massa appiattita, irregolarmente circolare, di colore bianco-biancastro, con superficie liscia, glabra, priva di ornamentazioni e/o caratteri distintivi, al tatto leggermente umida; per la particolare conformazione sembra che sia totalmente attaccata al substrato di crescita con conseguente impossibilità di distinzione tra superficie sterile e superficie fertile. Non è possibile rilevare alcuna caratteristica utile alla sua determinazione ad eccezione dell’habitat di crescita che, per la sua associazione a Tamerice, riconduce, ipoteticamente a Inonotus tamaricis.

Secondo esame: (circa 15 giorni dopo) è possibile distinguere le parti del carpoforo che, ora aperto, si posiziona a mensola sull’albero ospite mostrando tanto la zona superiore quanto quella inferiore, evidenziando caratteri macroscopici non ancora chiaramente identificativi della specie: superficie sterile bianca, leggermente incrostata e tomentosa; superficie fertile bianca con pori piccoli e tondeggianti.

Esami successivi (dopo 2 e 4 giorni) tanto la superficie sterile quanto quella fertile, incominciano ad assumere i colori tipici della specie: la superficie sterile si presenta, al tatto, tipicamente ispida, biancastra con chiazze di colore bruno-ruggine chiaro, colore che si rileva anche sulla superficie fertile. I caratteri macroscopici riconducono alla determinazione della specie in Inonotus tamaricis che viene confermata con successivo esame microscopico.

Filari di Tamerici a Venetico Marina (Me)
Filari di Tamerici a Venetico Marina (Me)

Altro nostro ritrovamento, nello stesso periodo, nel Comune di Venetico marina, in provincia di Messina, su numerosi alberi di Tamerice: si tratta di un impianto, come facilmente deducibile dal diverso stadio di sviluppo dei numerosi esemplari, effettuato in fasi successive con presenza di piante adulte e piante ancora giovani. L’esame dei numerosi esemplari, allineati sul fronte mare, ha consentito di rilevare quanto segue:

  • Nessuna delle 87 piante giovani esami esaminate risulta attaccata dal fungo;
  • Numerosi esemplari di Inonotus tamiricis, nei vari stadi di accrescimento, sono stati rilevati sulle 115 piante adulte esaminate con una incidenza, orientativa, di circa il 35-40%;
  • La crescita dei carpofori è quasi sempre localizzata in corrispondenza di tagli da potatura o in anfratti e ferite della corteccia;
  • Alcune piante, evidentemente compromesse dal fungo e abbattute con un taglio basale, con chiare tracce di carie interna, hanno dato vita a nuovi polloni presumendo quindi che, in un futuro più o meno prossimo, riusciranno a ricostituirsi totalmente.

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  1. Tamerice: termine comune con cui vengono conosciute specie arbustive ed arboree appartenenti al Genere Tamarix, Famiglia Tamariciaceae. Il genere comprende numerose specie che possono raggiungere anche diversi metri di altezza per le specie arboree. Si tratta di piante legnose con portamento cespuglioso o arboreo con foglioline semplici, addensate in fascetti ad inserzione alterna, costituenti una chioma globosa, arruffata, espansa di colore grigio-azzurrognolo. Piante tipiche dell’ambiente mediterraneo e dei terreni sabbiosi, si riproducono nell’arenile marittimo e lungo i corsi d’acqua, anche sul greto dei torrenti. Considerata la loro elevata resistenza ai venti ed alla salsedine, vengono utilizzate per la formazione di barriere frangivento o per consolidare le dune sabbiose o come ornamento dei viali lungo le fasce costiere (Galli R. 1999).
  • Foto: Angelo Miceli

Bibliografia essenziale:                     

  • Bernicchia Annarosa – 2005: Polypocaceae s. l.. Edizioni Candusso, Alassio (SV)
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Galli Roberto – 1999, Il fungo del mese: Inonotus tamaricis. I funghi…dove, quando. Mensile divulgativo di micologia – Anno 6° n. 55:4-5. Edinatura, Milano
  • La Spina Leonardo – 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo III. Eurografica, Riposto (CT)
  • Sicoli Giovanni, Mannarino Dino – 2017: Inocutis tamaricis, ospite “balneare” nel comune di Amantea (CS). Rivista di Micologia – Bollettino dell’Associazione Micologia Bresadola – Anno LX n.1: 71-78. Trento
  • Tentori Antonio – 1997, Polyporaceae della Sardegna. Rivista di Micologia – Bollettino dell’Associazione Micologica Bresadola – Anno XL n. 3: 213-216, Trento

Riferimenti siti web:

Tricholoma equestre (L.) P. Kumm 1871

L’Agarico dei cavalieri, come comunemente viene conosciuto il protagonista di questa nostra “Riflessione Micologica”, ha attirato, da sempre, l’attenzione mangereccia dei ricercatori-micofagi per le sue – erroneamente ritenute – ottime qualità organolettiche che lo posizionavano tra i primi posti nella classifica dei funghi commestibili, si è reso protagonista, in tempi ormai lontani, di una serie di ricoveri ospedalieri con alcuni esiti mortali che hanno modificato integralmente la sua fama di ottimo commestibile.

Nell’autunno del 2001 la rivista scientifica “The New England Journal of Medicine” (NEJM) pubblica un dettagliato studio condotto da un gruppo di ricercatori francesi collegato a numerosi casi di grave rabdomiolisi (1) registrati in Francia tra l’anno 1992 e il 2000. Nel particolare si evidenziava che ben 12 pazienti, 7 donne e 5 uomini di diversa età, venivano ricoverati circa una settimana dopo aver consumato funghi raccolti nei boschi. Tutti i pazienti, come appurato, avevano mangiato funghi appartenenti alla specie Tricholoma equestre per almeno tre pasti abbondanti e consecutivi. La sintomatologia, comune a tutti i pazienti, veniva caratterizzata da fatica e debolezza accompagnata da mialgia soprattutto nella parte superiore delle gambe, che si manifestava 24 – 72 ore dopo l’ultimo consumo dei funghi. Ben tre dei pazienti, nonostante le cure ricevute, non riuscirono a superare gli effetti dell’intossicazione concludendo l’evoluzione della patologia con il decesso (Bedry R. e altri 2001).

Altro caso di rabdomiolisi per consumo di Tricholoma equestre fu segnalato in Polonia nel 2002 con il coinvolgimento di due persone (madre e figlio), concluso favorevolmente (Brunelli E. 2006 – con riferimento a Chodorowski Z. ed altri 2002). 

In conseguenza di tali episodi, anche se in Italia non sono mai stati registrati casi di intossicazione per il consumo di questa specie: Tricholoma equestre, ritenuto da sempre ottimo commestibile ed inserito tra i funghi eduli elencati negli allegati I e II del DPR n. 376/1995, veniva definitivamente bandito dalla commercializzazione con espressa Ordinanza del Ministero della salute che ne ha vietato la raccolta, commercializzazione, conservazione e consumo (Ordinanza del Ministro della Salute 20 agosto 2002:“Divieto di raccolta, commercializzazione e conservazione del fungo epigeo denominato Tricholoma equestre.” Pubblicata su Gazzetta Ufficiale n. 201 del 28.8.2002)

La specie, ritenuta causa di sindrome rabdomiolitica, (2) si posiziona, nella sistematica fungina, nel Genere Tricholoma, Famiglia Tricholomataceae, Ordine Agaricales, Classe Basidiomycetes.

Genere Tricholoma (Fr.) Staude 1857

Al Genere appartengono funghi terricoli, omogenei (quando cappello e gambo sono formati da struttura cellulare similare tanto che risulta difficile il distacco tra le due parti), carnosi, legati in simbiosi ectomicorrizica (quando le ife fungine si attorcigliano attorno alle radici degli alberi formando un manicotto ifale detto micoclena) con specie arboreree diverse sia di conifere sia di latifoglie. Le numerose specie appartenenti al Genere sono caratterizzate da:

Cappello: viscido o asciutto, generalmente con fibrille radiali, a volte con squame o scaglie più o meno regolari, in alcune specie umbonato; inizialmente emisferico-convesso, poi, verso la maturazione, piano-convesso. La colorazione, a seconda del genere, ruota su quattro colori fondamenti con sfumature e tinte di transizione: Bianco, dal bianco puro al crema-avorio; Giallo, dal colore paglia al giallo vivo, giallo-olivastro fino al verde oliva; Marrone, con le numerose sfumature intermedie dal bruno-chiaro, beige, nocciola, bruno-rosato, bruno-castano, bruno-fulvo, bruno-rossiccio fino al bruno-nerastro; Grigio, dal grigio-acciaio al grigio-topo, al grigio-nerastro fino a nero;

Imenoforo: a lamelle adnate, uncinate, smarginate, decorrenti per un dentino, mediamente fitte ed intercalate da lamellule (struttura similare alle lamelle che si interpone tra le lamelle stesse, con dimensioni minori. Ha origine dal margine del cappello e si interrompe prima di giungere al gambo), in alcune specie molto spaziate. Il colore variabile dal bianco-biancastro al grigio, grigio-verdognolo al giallo più o mento intenso.

Gambo: centrale, generalmente cilindrico, in alcune specie globoso-ventricoso, bulboso o dilatato alla base, a volte radicante; superficie asciutta, liscia, in alcune specie pruinosa, forforacea, punteggiata, granulosa; colore uniforme a volte con sfumature.

Tricholoma equestre (L.) P. Kumm 1871

Cappello: di medie–grandi dimensioni (5-15 cm), carnoso, inizialmente convesso-campanulato, successivamente, verso la maturazione, appianato, a volte con leggero umbone (protuberanza più o meno accentuata al centro del cappello). Superficie asciutta e leggermente viscosa a tempo umido, di colore giallo, giallo-dorato, giallo-fulvo, ornata da piccole squamette nella zona centrale di colore bruno-rossastre. Margine sottile, inizialmente involuto, poi disteso, lobato ed irregolare.

Imenoforo: lamelle fitte ed intercalate da numerose lamellule (quando si presentano meno lunghe delle lamelle e partendo dal margine si interrompono prima di raggiungere il gambo), da libere a smarginate (quando prima di unirsi al gambo formano una piccola ansa concava), di colore giallo intenso, giallo-zolfo, giallo-oro tendenti a scurire verso la maturità, con il filo intero. Spore in massa bianche.

Gambo: cilindrico e regolare, subcilindrico, slanciato, spesso ingrossato alla base, a volte grosso, tozzo, ricurvo e panciuto. Asciutto, liscio, concolore al cappello, giallo chiaro all’apice, più scuro nella zona mediana, giallo-brunastro alla base per la presenza di fibrille più scure.

Carne: compatta, fibrosa nel gambo, bianca con sfumature ocraceo-gialline nella parte esterna, odore gradevole leggermente fungino-farinoso, sapore dolciastro.

Habitat: nel periodo autunnale a gruppi di più esemplari in simbiosi con pini

Commestibilità: Tossico – velenoso. Causa sindrome rabdomiolitica.

Etimologia: dal latino equester = equestre per la similarità con il colore della decorazione dell’Ordine dei Cavalieri della Stella Polare

Basionimo:

  • Agaricus equestris L. 1753

Sinonimi:

  • Tricholoma auratum (Fries) Gillet 1874
  • Tricholoma flavovirens (Pers.) Lundell 1942

Nomi volgari: Agarico dei cavalieri; Agarico equestre; Monachella gialla; Cicalotto giallo.

Specie simili:

  • Tricholoma sulphureum (Bull.) P. Kumm 1871

Specie piccola ed esile, si differisce per il colore delle lamelle che si presentano di un giallo attenuato, meno intenso; per il colore della carne che si presenta gialla anche nella parte interna e per il forte odore di zolfo che emana.

  • Cortinarius splendens Rob. Henry 1939

Specie velenosa, causa di numerosi avvelenamenti anche mortali, si differenzia da T. equestre per il cappello più liscio e viscoso, per la presenza di cortina o resti di cortina sul gambo, di bulbo marginato alla base del gambo e per il colore delle lamelle che da giallo diventano color ruggine per la maturazione delle spore.

Note conclusive:

Le vicende delle quali si è reso protagonista questo meraviglioso “Agarico dei Cavalieri”, avvalorano, ancora una volta, l’assunto che l’immenso “Regno dei Funghi”, nonostante le numerose conoscenze scientifiche alle quali attraverso i secoli si è pervenuti, rimane sempre semisconosciuto lasciando facilmente dedurre che ancora molto c’è da scoprire e da conoscere.

Il giudizio di commestibilità su questo fungo, considerato per lungo tempo ottimo è stato completamente ribaltato dal manifestarsi di vari episodi di intossicazione che suggeriscono, anche a quanti ritengono di essere “esperti” nel riconoscimento dei funghi, di usare prudenza nella raccolta e nel consumo degli stessi. A poco, o nulla, valgono le giustificazioni di quanti sostengono…”lo mangio da quarant’anni”… con i funghi le precauzioni non sono mai troppe! E, soprattutto, non fidarsi mai del parere dei “così detti esperti”.

Consigliamo, come sempre abbiamo fatto, di acquisire, prima del consumo dei funghi, il parere dei micologi addetti al riconoscimento delle specie fungine richiedendo il rilascio della certificazione di commestibilità; il servizio è prestato gratuitamente su tutto il territorio nazionale.

Ritenendo, ancora, che non è la prima volta che si verificano fatti simili (vedi Gyromitra esculenta in passato commestibile ora, come accertato, tossico-velenoso), va da se che quanti operano costantemente nel settore in forma professionale sono aggiornati sulle ultime scoperte e quindi a conoscenza di eventuali nuovi studi che possono incidere sul giudizio di commestibilità delle varie specie.

**********

  1. Rabdomiolisi: patologia umana di grave entità che causa un processo degenerativo della muscolatura liscia e striata. Viene attribuita a cause diverse quali: traumi, sforzi eccessivi e prolungati, farmaci, droghe (cocaina, eroina) e, con riferimento a quanto nel contesto trattato, all’ingestione di tossine contenute nel fungo Tricholoma equestre.
  2. Sindrome rabdomiolitica: viene inserita, in considerazione del tempo di insorgenza, tra le sindromi a lunga latenza (quando i sintomi di intossicazione si manifestano dopo le 6 ore dal consumo dei funghi), si manifesta, generalmente, tra 24-72 ore dopo l’ingestione di abbondanti e ripetuti pasti a base di Tricholoma equestre (anche Russula subnigrigans, specie non presente in Europa, è ritenuta responsabile della sindrome). Si manifesta inizialmente con marcata astenia, dolori muscolari localizzati prevalentemente alle gambe, sudorazione, nausea (senza vomito), urine rosso-scuro (color coca cola). La sintomatologia si aggrava progressivamente con insorgenza di iperpiressia (oltre i 42° C), aritmie acute, miocardite acuta, dispnea, grave alterazione della funzione renale, lesioni muscolari al miocardio ed al diaframma, arresto cardiaco, decesso. Un pronto intervento ospedaliero, effettuato nelle prime fasi dell’insorgenza dei sintomi, riesce a risolvere positivamente l’intossicazione.

E’ stato ipotizzato, anzi affermato – in maniera erronea – dopo uno studio condotto da Liu Jikai e da un gruppo di ricercatori cinesi del Kunming Institute of Botany, Chinese Academy of Sciences, con l’utilizzo di cavie da laboratorio, che anche Tricholoma terreum (fungo molto ricercato e consumato, conosciuto con il nome volgare di Moretta), contiene sostanze tossiche che possono causare sindrome rabdomiolitica (Hepeng J. 2014).

Tale affermazione ha aperto l’ennesima discussione sulla tossicità di specie fungine ritenute commestibili ed è stata contestata, in un primo tempo, da parte della USSM (Union Suisse des Sociétés de Mycologie) in associazione con la VAPKO (Association suisse des organes officiels de controle des champignons) con una presa di posizione a firma della tossicologa Katharina Schenk-Jager (Schenk-Jäger K. 2014) e, successivamente con una dettagliata pubblicazione da parte di un gruppo di micotossicologi italiani che ne hanno  totalmente contestato la validità  tanto nella impostazione scientifica quanto nelle conclusioni (Davoli P. e altri 2016 – Setti N. 2016), ritenendo lo studio dei ricercatori cinesi “improvvisato e superficiale a livello micologico e tossicologico” (Setti N. 2016) restituendo, pertanto Tricholoma terreum, come sempre stato, alla commestibilità ed al consumo.

 

E’ opportuno comunque evidenziare, rimanendo in linea con le nostre precedenti e numerose raccomandazioni sul consumo dei funghi, che questi, di qualunque specie, anche quelli considerati ottimi dal punto di vista gastronomico, non devono mai essere consumati in quantità eccessive ed in pasti ravvicinati.

Foto:

  • Franco Mondello
  • Vincenzo Visalli

Bibliografia essenziale:

  • A. G. M. T. – 2013: Io sto con i Funghi. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN) (Seconda Edizione)
  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano
  • Balestreri Stefano – 2014: Tricholoma equestre. In Appunti di Micologia (www.appuntidimicologia.it)
  • Bedry Regie e altri – 2001: Wild-Mushroom intoxication as a cause of rhabdomyolysis. The New England Journal of Medicine 13 sett. 2001 Vol. 345 n. 11: 708-802. Massachusetts Medical Society. Boston
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bresadola Giacomo – 1927: Iconographia Mycologica, Vol. II.  Società Botanica Italiana, Milano
  • Brunelli Ermanno – 2006: Le nuove sindromi. Atti del 3° Convegno Internazionale di Micotossicologia. Pagine di Micologia 25: 15-20. AMB –   Centro Studi Micologici, Trento
  • Cetto Bruno – 1970: I funghi dal vero, Vol. 1. Saturnia, Trento
  • Davoli P. e altri – 2016: Comment on “Chemical and Toxicologican Investigations of a previously Unknown Poisonous European Mushroom Tricholoma terreum”. Chem. Eur. J. 22: 5786-5788
  • Della Maggiora Marco, 2007: Gli avvelenamenti da funghi. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 1: 24-40, Ponte a Moriano (LU)
  • Della Maggiora Marco, Mannini Maurizio – 2013: Funghi buoni … o “buoni da morire”. In A.G.M.T., 2013: Io sto con i Funghi. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN): 171-204. (Seconda Edizione)
  • Galli Roberto – 2005: I Tricolomi. Dalla Natura, Milano
  • Giacomoni Lucien – 2002: Intoxications par Tricholoma equestre. Atti del 2° Convegno di Micotossicologia. Pagine di Micologia 17: 135-139. AMB – Centro Studi Micologici, Trento.
  • Hepeng Jia – 2014: Fatal Toxins Found in “Edible” Wild Mushrooms. Scientific American 23 giugno 2014 Vol. 310
  • Marra Ernesto, Macchioni Claudio, 2015: Il consumo in sicurezza dei funghi. Regione Calabria Giunta Regionale Dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie – Confederazione Micologica Calabrese
  • Miceli Angelo – 2015: I funghi del tardo autunno e dell’inverno. NA.SA.TA Magazine – I Sapori del mio Sud – Periodico di informazione dei soci dell’Associazione Culturale Nasata. Anno XI n. 116: 11-12 – anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (www.adset.it); e in “MicologiaMessinese/Andar per funghi” (www.micologiamessinese.it)
  • Miceli Angelo – 2016: Tra tossine e veleni – Parte Prima. NA.SA.TA Magazine – I Sapori del mio Sud – Periodico di informazione dei soci dell’Associazione Culturale Nasata. Anno XII n. 127: 11-12anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (www.adset.it); e in “MicologiaMessinese/Andar per funghi” (www.micologiamessinese.it)
  • Miceli Angelo – 2016: Tra tossine e veleni – Parte Seconda. NA.SA.TA Magazine – I Sapori del mio Sud – Periodico di informazione dei soci dell’Associazione Culturale Nasata. Anno XII n. 128: 10-12 – anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (www.adset.it); e in “MicologiaMessinese/Andar per funghi” (www.micologiamessinese.it)
  • Milanesi Italo – 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Pelle Giovanna – 2007: Funghi velenosi e sindromi tossiche.  Bacchetta Editore, Albenga (SV)
  • Schenk-Jäger Katharina – 2014: Prise de position de l’USSM et du Conseil central de la VAPKO concernant la récente publication de l’étude sur la toxicité du tricholome terreux (Tricholoma terreum). USSM-VAPKO, Hettlingen (Suisse)
  • Sitta Nicola – 2016: Considerazioni su Tricholoma terreum “nuova specie tossica europea” e sulla rabdomiolisi nei casi di intossicazioni da funghi.\

Riferimenti siti web:

Boletus emilei Barbier (1915)

= Baorangia emileorum (Barbier) Vizzini, Simonini & Gerlardi (2015)

Abbiamo più volte inteso evidenziare, in precedenti “Riflessioni Micologiche”, come il vasto ed esteso territorio boschivo della provincia di Messina e della Sicilia tutta, grazie alle numerose e varie culture arboree che lo ricoprono, ben si presta alla crescita di specie fungine rare e poco diffuse sul territorio nazionale. Ancora una volta “Madre Natura” ha inteso mostrare la sua generosità, ripagando l’impegno dei ricercatori, consentendo il ritrovamento di altra specie poco conosciuta e poco descritta in letteratura. L’attuale nuovo ritrovamento (estate 2016) effettuato sui Monti Nebrodi in Località Galati Mamertino (ME) Bosco di Magalaviti, ci fornisce lo spunto per questa nuova “Riflessione Micologica”: Boletus emilei = Baorangia emileorum. 

Si tratta di una specie ritenuta rara, della quale si hanno poche segnalazioni di ritrovamenti limitate ad alcune regioni d’Italia. Si riproduce, in simbiosi ectomicorrizica (quando le ife fungine si attorcigliano alle radichette degli alberi formando un vero e proprio manicotto attorno a queste ultime) in boschi di latifoglie, specialmente querce e castagni, ove fa la propria apparizione fin dall’estate, protraendola fino al tardo autunno.

E’ stato da sempre posizionato, nella sistematica fungina, nella Classe Basidiomycetes, Ordine Boletales, Famiglia Boletaceae, Genere Boletus.

In atto, a seguito recenti studi di varia natura, la sua posizione è stata rimodulata ed inserito nel nuovo Genere Baorangia. (1)

Genere Baorangia Wu Gang & Yang Zhu L. (2015) (1)

Nel genere vengono inseriti basidiomi appartenenti alla Famiglia Boletaceae che si differiscono da quelli appartenenti agli altri generi della stessa famiglia per l’imenoforo relativamente sottile. I basidiomi si presentano con cappello emisferico, ricoperto da un leggero tomento (peluria), inizialmente convesso e tendente ad appianarsi verso la maturazione, con margine incurvato negli esemplari giovani;  tubuli relativamente corti, solitamente decorrenti sul gambo, di colore giallo, viranti dal blu chiaro al blu verdastro al taglio; pori angolosi o quasi tondeggianti; gambo liscio o, occasionalmente, con leggero reticolo nella parte superiore; carne giallo pallido, giallastra, virante all’azzurro pallido.

Boletus emilei Barbier (1915) = Baorangia emileorum (Barbier) Vizzini, Simonini e Gerlardi (2015)

Cappello: generalmente di medie dimensioni che a volte si spingono verso misure più grandi raggiungendo anche i 15-20 cm. di diametro, inizialmente emisferico- convesso, tende, a maturazione, ad appianarsi. Si presenta, da giovane, con il margine leggermente involuto (quando tende ad arrotolarsi su se stesso verso il basso), irregolare e sempre lobato (quando si presenta ondulato con sinuosità più o meno profonde). La superficie è caratterizzata da cuticola leggermente viscida a tempo umido, asciutta e lucida a tempo secco, leggermente vellutata negli esemplari giovani. Si caratterizza per il meraviglioso colore rosato, rosa antico, rosa-rosso, rosso-vinoso tendente al rosso-cardinale, colorazione che rende il carpoforo molto simile a Boletus regius e B. pseudoregius (specie recentemente riposizionate nel nuovo genere Butyriboletus).

Imenoforo: si presenta con tubuli inizialmente corti, poi, verso la maturazione, di media lunghezza. Si posizionano sul gambo in maniera adnato-subdecorrente o anche decorrente; di colore inizialmente giallo, tendenti, verso la maturazione, al giallo-verdastro; pori grandi, irregolari, concolori ai tubuli, virano al verde-bluastro alla pressione.

Gambo: centrale, a volte leggermente eccentrico, cilindrico, ingrossato all’apice, attenuato alla base fino a leggermente radicante, giallino nella parte superiore, rosso-brunastro in quella inferiore; non reticolato, con granulosità o fioccosità rossastre all’apice, virante al blù-nerastro al tocco.

Carne: inizialmente soda, molle verso la maturazione; colore giallo chiaro, giallognolo, con viraggio più o meno intenso al taglio verso il grigio-azzurro o, a volte, verso il rosso-vinoso. Odore fruttato e sapore dolciastro.

Habitat: fruttifica, generalmente, dall’estate all’autunno, in boschi di castagno, querce e leccio, con crescita singola o anche cespitosa a gruppi di vari esemplari. In considerazione dei pochi ritrovamenti, limitati solo ad alcune regioni italiane, viene ritenuto specie rara.

Commestibilità: commestibile discreto.

Etimologia: dal nome proprio di persona Emile, con espresso duplice riferimento al micologo francese Jean Luis Emile Boudier (Garnay, 6.1.1828 – Blois, 4.2.1920), e ad Emile Boirac, Presidente della Société Mycologique de la Cote-d’Or

Basionimo :

  • Boletus emilei Barbier (1915)

Sinonimi:

  • Boletus speciosus Frost ss. Marchand (1974)
  • Boletus bicolor Peck ss. Galli (1980)
  • Boletus aemilii Barbier ss. Alessio (1985)
  • Boletus spretus Bertéa (1988)
  • Baorangia emilei (Barbier) Vizzini, Simonini, Gelardi (2015)

Nome corrente :

  • Baorangia emileorum (Barbier) Vizzini, Simonini, Gelardi (2015)

Similarità: si confonde con facilità, specialmente per i colori del cappello, con Boletus regius e Boletus pseudoregius (ora Butyriboletus regius e Butyriboletus. fuscoroseus), i quali si differenziano sia per il colore dei tubuli e dei pori che si presentano gialli, sia per il reticolo che ne adorna il gambo. In particolare il primo è privo di viraggio, il secondo vira all’azzurro.

Note nomenclaturali e tassonomiche:

dal momento della sua prima identificazione ad oggi è stato oggetto, relativamente al suo corretto posizionamento tassonomico, di interpretazioni controverse che hanno creato opinioni contrastanti nel mondo della micologia: identificato, per la prima volta, nel 1915 ad opera di Maurice Barbier, viene posizionato nella Famiglia Boletaceae con la denominazione di Boletus emilei,  Nel 1988, ad opera del micologo Paul Bertéa, viene identificato un carpoforo analogo con la denominazione di Boletus spretus che, dallo stesso autore, viene ritenuto essere diverso dall’esemplare di Barbier del 1915. I due taxa, in considerazione anche dei limitati ritrovamenti, stante le argomentazioni di Bertéa, vengono considerati, per lungo tempo, separati ed identificativi di specie diverse. Oggi, grazie agli approfonditi studi condotti dai micologi italiani Valerio Bertolini e Giampaolo Simonini, in accordo con analogo concetto espresso da Carlo Luciano Alessio (Alessio C. L. 1991) è stata “appurata l’identità tra i due taxa, con priorità obbligatoria per la specie di Barbier in quanto precedentemente pubblicata in modo valido”. (Bertolini V. e altri, 2013).

Successivamente, nel 2015, ad opera dei micologi Vizzini, Simonini, Gelardi, in considerazione di nuovi studi molecolari che hanno portato alla creazione del nuovo Genere Baorangia (1) viene posizionato in tale Genere con la denominazione di Baorangia emilei. Tale epiteto, ancora una volta, per l’applicazione corretta delle norme nomenclaturali previste dal Codice Internazionale di Nomenclatura di Melbourne (ICN- Artt. 60-61-62), viene modificato in Baorangia emileorum (Della Maggiora M. 2016). Tale ulteriore modifica si è resa necessaria in quanto la originaria denominazione, come si evince da una descrizione della specie antecedente quella ufficiale del 1915, venne adottata dal suo autore per rendere omaggio a due personaggi dallo stesso nome: “Le première est un Bolet que nous nommerons Boletus Emilei, rendant par là un même hommage reconnaisant à notre éminent conseiller en mycologie, M. EMILE BOUDIER, et à notre dévoué Président de la Société mycologique de la Côte-d’Or, M. le Recteur EMILE BOIRAC”. (Barbier M. 1914) e, quindi, in applicazione delle norme del Codice Internazionale: “Se il nome di una persona termina per vocale o per “er” l’epiteto sostantivale si forma aggiungendo la desinenza del genitivo accordata al sesso ed al numero delle persone commemorate” (ICN Melbourne 2011, Art 60 Raccomandazione 60C.1.a); nel caso specifico, quindi, si aggiunge “orum” al nome di persona e, con la denominazione corrente di Baorangia emileorum, speriamo che la intricata vicenda nomenclaturale che accompagna questa bellissima ed interessante specie fungina sia definitivamente conclusa.

Si ringrazia:

  • Marco della maggiora per l’interessante materiale bibliografico gentilmente fornito.
  • Vincenzo Migliozzi per la concessione, e l’autorizzazione alla pubblicazione, delle foto.

__________________

1 Baorangia G. Wu & Zhu L. Yang: genere di nuova istituzione, circoscritto, nell’anno 2015, dai  micologi cinesi Gang Wu e Yang Zhu L.. La denominazione deriva dai termini cinesi ”bao” (sottile ) e “rang” (imenio) con riferimento alla tipicità dell’imenio che, caratterizzato da tubuli corti, si presenta tipicamente sottile.

Foto: Enzo Migliozzi

Bibliografia:

  • Alessio Carlo Luciano – 1985: Boletus Dill. ex L.,  Collana Fungi Europaei. Ed. Biella G., Saronno,
  • Alessio Carlo Luciano – 1991: Boletus Dill. ex L., Supplemento. Collana Fungi Europaei. Ed. Biella G., Saronno
  • Barbier Maurice – 1914: Description de deux espcèces probablement nouvelles. Bulletin de la Société Mycologique de la Côte-d’Or n. 8: 12-13
  • Barbier Maurice – 1915 : Description de deux espèces de champignons probablement nouvelles. Bulletin de la Société Mycologique de France n. 3: 53-54.
  • Bertolini Valerio, Simonini Giampaolo – 2013: Problemi nomenclaturali inerenti alla Famiglia Boletacee. I – Tipificazioni: Boletus torosus, B. rhodopurpureus e B. emilei. Rivista di Micologia – Bollettino dell’Associazione Micologica Bresadola – Anno LVI n. 2:117-134, Trento
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Cetto Bruno – 1970, I funghi dal vero, Vol. 6. Saturnia, Trento
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2009: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 3. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Della Maggiora Marco – 2016: Boletaceae Chevall. Stato attuale della nomenclatura. Annali Micologici A.G.M.T., n. 9: 85-116. A.G.M.T. Santa Croce sull’Arno (PI)
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar – 2000: Funghi Boleti. Calderini edagricole, Bologna
  • Galli Roberto – 2013: I Boleti. Micologica, Pomezia
  • ICN – 2011: International Code of Nomenclature for algae, fungi, and plants (Melbourne Code)
  • ICN – 2011: Codice Internazionale di Nomeclatura per alghe, funghi e piante. (Codice di Melbourne) Traduzione italiana dalla versione inglese. Società Botanica Italiana Onlus, Firenze
  • Wu Gang, Zhao Kuan, Li Yan-Chun, Zeng Nian-Kai, Feng Bang, Halling Roy E., Yang Zhu L. – 2015: Four new genera of the fungal family Boletaceae.

Auricularia auricula-judae (Bull.) Quél. 1886

Auricularia auricula-judae, ovvero “Orecchio di Giuda”, come nel linguaggio popolare viene comunemente conosciuto, deve la sua denominazione alla leggenda tramandata attraverso i secoli che vuole che questo curioso basidiocarpo sia cresciuto, assumendo la sua particolare forma, sull’albero dove l’apostolo traditore si impiccò pentito per il suo tradimento.

Si tratta di piccolo fungo dall’aspetto gelatinoso e simile, nella sua conformazione morfologica, per le particolari venature e la forma lobata che lo caratterizzano, ad un orecchio umano, derivandone, per tale motivo, la sua denominazione.

Alla stregua di numerose altre specie fungine è molto conosciuto ed utilizzato nella cucina dei paesi asiatici dove, in considerazione della diversità geografica, viene conosciuto con nomi diversi: in Cina come mù ȇr (woo ear – orecchio del legno); in Giappone kikurage (tree-jellyfish – medusa dell’albero); in Vietnam nȃm tai méo (cat’s ear fungus – orecchio di gatto). In tali paesi, oltre ad essere apprezzato ed utilizzato in svariate preparazioni gastronomiche e coltivato e commercializzato su vasta scala, viene conosciuto per le sue proprietà medicinali e viene utilizzato, unitamente al suo simile Auricularia polytricha, ormai da secoli, specialmente in Cina, nella cura di svariate patologie come il trattamento delle emorroidi, dell’anemia, dell’angina e delle infiammazioni gastrointestinali.

Ha particolari proprietà di reidratazione: dopo essere stato essiccato, rimesso in ammollo riprende la sua iniziale consistenza gelatinosa; per tale proprietà viene chiamato, nei paesi anglosassoni, Jelly fungus (fungo gelatinoso).

Numerosi sono gli studi compiti dalla medicina moderna, nei paesi occidentali, sulle proprietà medicali di questo fungo e sembra che lo stesso abbia numerose altre proprietà che lo rendono sia un ottimo rimedio contro le patologie cardiovascolari, sia un regolatore dei livelli ematici della glicemia e del colesterolo.

Nella sistematica micologica viene posizionato, in ordine ascendente, nel Genere Auricularia, Famiglia Auriculariaceae, Ordine Auriculariales, Classe Basidiomycetes. Era inserito, un tempo, nel gruppo informale dei “Fragmobasidiomiceti”, raggruppamento artificiale nel quale, in passato, venivano inseriti “funghi gelatinosi” appartenenti alla Famiglia Auriculariaceae, Tremellaceae e Dacrymycetaceae, oggi, alla luce di approfonditi studi filogenetici, ritenuto inadeguato.

Auricularia auricula-judae (Bull.) Quel. 1886

Basidiocarpo: di piccole-medie dimensioni, può raggiungere 8-10 cm. di larghezza, sessile (privo di gambo), a volte munito di un piccolissimo e corto gambo, a forma di conchiglia, di coppa rovesciata, verosimilmente somigliante ad un orecchio umano,  superficie esterna pruinosa, vellutata, tomentosa per la presenza di peli molto corti, di colore bruno-rossastro;

Imenoforo: concavo, liscio, lucido, con andamento irregolare, spesso percorso da venature più o meno evidenti; concolore alla superficie esterna;

Carne: tenace, elastica e gelatinosa a tempo umido, assume consistenza dura a tempo asciutto con la disidratazione, reviviscente (quando, dopo la disidratazione, in presenza di umidità, ritorna allo stato originario assumendo la primitiva consistenza), di colore brunastro, dolce e priva di odori particolari;

Habitat: si riproduce, durante l’intero anno, in forma saprofitica, in gruppi di numerosi esemplari su legno morto di diverse latifoglie, tipicamente associato a specie arboree appartenenti al Genere Sambucus, a volte da parassita su alberi viventi.

Commestibilità: considerato commestibile è largamente utilizzato nei paesi asiatici dove è coltivato e commercializzato su larga scala. Non utilizzato, anzi ignorato, per il consumo alimentare nei paesi occidentali dove, in ogni caso, per il proliferare di ristoranti tipici asiatici, incomincia ad essere conosciuto. Il consumo prolungato ed in dosi eccessive, può fare insorgere la sindrome di Szechwan (1)

Etimologia: dal latino auricula, piccolo orecchio, diminutivo di auris = orecchio, e da Juda nome proprio di persona

Sinonimi:

  • Hirneola auricula-judae (Bull.) Berk. 1860

Specie simili:

  • Auricularia mesenterica (Dicks.) Pers. 1822

Si differenzia per la colorazione grigio-brunastro con zonature più scure della parte superiore; per la consistente peluria che ne ricopre il bordo; per la parte inferiore (zona fertile) di colore bruno-porporino, percorsa, come per A. auricula-judae, da nervature più o meno profonde.

  • Auricularia polytricha (Mont.) Sacc. 1885  = Auricularia nigricans (Sw.) Birkebak, Looney & Sànchez-Garcìa 2013

Differisce per le dimensioni mediamente maggiori e per le colorazioni più scure. Specie tipica del continente asiatico poco diffusa in Europa.

  1. Sindrome di Szechwan

E’ caratterizzata da emorragie di varia natura più o meno intense, quali porpore cutanee, epistassi ed emorragie interne. Fu descritta, per la prima volta, nel 1980 dal Dott. D. E. Hammerschmidt, medico-ematologo statunitense, che aveva rilevato tale patologia su un numero cospicuo di pazienti appurando che molti di questi erano consumatori abituali di un tipico piatto cinese chiamato “Mopo dou-fu” a base di Auricularia polytricha, spesso associato anche ad Auricularia auricula-judae. La sindrome venne inizialmente attribuita, in maniera erronea, al consumo di Auricularia auricula-judae, specie successivamente scagionata, individuando in Auricularia polytrica la specie responsabile. Tuttavia viene ipotizzato che anche Auricularia auricula-juade, per il contenuto di sostanze analoghe causi gli stessi effetti, specie se consumata in pasti abbondanti e ravvicinati o se viene associata a spezie quali lo zenzero o a farmaci del gruppo FANS, aspirina ed altri anticoagulanti.

La denominazione della sindrome trova origine nella regione cinese di Sse-tch’ouan, ove queste specie fungine sono coltivate, diffuse e consumate su larga scala, derivandone, quindi, il nome.

Foto: Angelo Miceli – Franco Mondello

Bibliografia essenziale:

  • Angelini Claudio – 2005: Micotossicologia – Intossicazioni da Funghi

http://www.funghiitaliani.it/index.php?showtopic=16820&st=0&p=204904&hl=Szechwan&fromsearch=1&#entry204904

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Cazzavillan Stefania – 2011: I funghi medicinali – dalla tradizione alla scienza. Nuova Ipsa Editore Srl, Palermo
  • Della Maggiora Marco, Mannini Maurizio – 2013: Funghi buoni … o “buoni da morire”. In A.G.M.T., 2013: Io sto con i Funghi. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN): 171-204. (Seconda Edizione).
  • Milanesi Italo – 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara
  • Tolaini Francesco – 2009: Funghi sotto la lente II Auricularia auricula-judae e Tremella mesenterica. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 3: 6 -10, Ponte a Moriano (LU)

Riferimenti siti web:

Battarrea phalloides (Dicks.) Pers. 1801

Ancora una volta la nostra “Curiosità Micologica” viene attratta e sollecitata da un fungo dalle caratteristiche particolari, stranamente ritrovato all’interno di un bidone metallico che, in considerazione delle peculiarità morfologiche risulta, per quanti abbiano una buona base di conoscenze micologiche, facilmente riconoscibile: Battarrea phalloides.

Si tratta di un macromicete che pur presentandosi, ad una prima sommaria osservazione, come un fungo dall’aspetto classico, ovvero munito di gambo e cappello, presenta particolari caratteristiche che lo rendono molto diverso.

E’ stato per lungo tempo inserito nel gruppo informale dei Gasteromiceti: raggruppamento artificiale nel quale trovano posto numerose specie fungine accomunate, tra loro, per la particolare forma di crescita che le vede, almeno nella fase iniziale della loro formazione, racchiuse in un involucro esterno, chiamato peridio, che conferisce ai singoli esemplari, un aspetto generale con forma arrotondato-globosa, tendente, a maturazione, a modificarsi con mutazioni ben precise e diversificate tra una specie e l’altra.

Il protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, che in passato è stato inserito nel Genere Battarrea, Famiglia Battarreaceae, Ordine Tulostomatales, ha visto, oggi, a seguito della applicazione delle moderne tecniche che consentono lo studio molecolare e l’estrazione del DNA fungino, modificata la sua posizione tassonomica ed inserito, nella sistematica fungina, nel Genere Battarrea, Famiglia Agaricaceae, Ordine Agaricales, classe Agaricomycetes, divisione Basidiomycota (M. Della Maggiora, 2016 con riferimento a Martin & Johannesson, 2000 e a Jeffries & McLain, 2004, Kirk e altri, 2008).

Al Genere appartengono specie fungine che si originano, nella loro formazione iniziale, all’interno di un involucro detto esoperidio, molle, gelatinoso, con forma ovoidale allungata, inizialmente ipogeo. Risultano costituite dal capitulo, (assimilabile, nei funghi a forma classica, al cappello), ricoperto da una ulteriore membrana interna chiamata endoperidio che copre la gleba (sostanza mucillaginosa posizionata sulla parte superiore del capitulo, contenente gli elementi fertili del fungo: spore) e dal gambo. Con la maturazione del fungo e con il suo accrescimento, avvengono due importanti azioni meccaniche:
 

  1. Lacerazione dell’esoperidio: causa la formazione, alla base del fungo, di una volva bianca, inizialmente gelatinosa poi secca, a volte svasata, generalmente aderente al gambo che, emergendo dalla volva, si spinge verso l’alto con forma cilindrica, affusolato e ben slanciato, sorreggendo il capitulo, a forma di semisfera, completamente avvolto, nelle prime fasi di sviluppo, dall’endoperidio.
  2. Lacerazione dell’endoperidio: quando la gleba, posizionata nella zona superiore del capitulo, giunge a maturazione, trasformandosi in polvere sporale, l’endoperidio si lacera con una circoncisione netta, circolare, alla base del capitulo, assumendo la forma di una coppetta rovesciata che inizialmente rimane posizionata sulla sommità del capitulo e, successivamente, staccandosi naturalmente e cadendo lascia esposta la gleba matura (ora polvere sporale) all’azione del vento che disperdendola nel territorio contribuisce alla riproduzione della specie.
Fasi di sviluppo di Battarrea phalloides
Fasi di sviluppo di Battarrea phalloides – Disegno: Marco della Maggiora

Battarrea phalloides Dicks. (Pers.) 1801

Basidiocarpo: inizialmente ipogeo, con forma ovoidale allungato verso l’alto per circa 3-4 cm, completamente avvolto da una membrana chiamata peridio di colore bianco, di consistenza molle, gelatinosa, formata da due strati: uno esterno detto esoperidio, l’altro interno detto endoperidio.

Esoperidio: bianco, molle, gelatinoso, con l’accrescimento del carpoforo si lacera in due parti formando alla base una sorta di pseudovolva, consentendo al carpoforo di estendersi verso l’alto, permanendo, a volte, sulla sommità del fungo, sotto forma di brandelli.

Endoperidio: sottile, rigido, bianco, ricopre la gleba posizionata alla sommità del carpoforo ed il capitulo sottostante; si lacera a maturazione delle spore formando una coppetta rovesciata, rigida che si distacca per caduta naturale mentre la parte inferiore, a forma di disco, membranoso e tenace, di colore bianco, permane formando la parte inferiore del capitulo quando la polvere sporale è stata completamente dispersa.

Capitulo: paragonabile al cappello dei funghi a struttura classica, a forma semisferica, di piccole-medie dimensioni, a volte fino a 7 cm. di diamentro. Nella fase iniziale dello sviluppo è totalmente avvolto dall’endoperidio, di consistenza menbranosa e di colore bianco, a volte con tracce di terriccio sollevato durante la fase di crescita. La sua parte inferiore, che nei funghi a forma classica ospita l’imenoforo ed è costituita da lamelle, tubuli o idni, si presenta completamente liscia, sterile, di colore bianco.

Gleba: parte fertile del carpoforo posizionata nella parte superiore del capitulo, ricoperta dall’endoperidio, formata, a maturazione, da polvere compatta, facilmente friabile, di colore ocra carico.

Gambo: costituisce la parte sterile del fungo, emerge dopo la lacerazione dell’esoperidio assumendo una forma cilindrica, allungata anche fino a 30 – 40 cm; diametro circa 2 – 3 cm, in genere profondamente infissa nel substrato di crescita. Ingrossata al centro, legnosa, fibrosa, cava, con superficie ricoperta da grosse squame fibrose, irsute che gli conferiscono un aspetto legnoso, sfilacciato, sfrangiato, squamuloso. Colore ferrugineo. Base ricoperta da volva inizialmente gelatinosa poi secca, fragile e sottile.

Volva: residuo della lacerazione dell’esoperidio, si posiziona alla base del gambo con consistenza inizialmente gelatinosa, poi secca, fragile e sottile, di colore bianco-biancastro. Profondamente infissa nel substrato di crescita, si conforma alla struttura del gambo al quale aderisce anche se a volte assume una forma svasata e distaccata dal gambo stesso.

Habitat: saprofita, tipica di zone aride, su terreno sabbioso, dune, litorali costieri. Spesso ritrovata in ambienti particolari quali: interno di fioriere o bidoni, spesso su abbondanti residui di legno marcescente. Relativamente rara ma costante nei luoghi di crescita.

Etimologia: Battarrea con riferimento al micologo italiano Giovanni Antonio Battarra (Rimini, 9 giugno 1714 – 8 novembre 1789). Phalloides dal latino Phallus e dal grego eidos = forma, aspetto; quindi simile ad un fallo, con espresso riferimento alla tipica forma assunta dal carpoforo allo stadio di ovolo.

Commestibilità: NON commestibile

Basionimo: Lycoperdon phalloides Dicks. 1785

Sinonimi:

  • Battarrea stevenii (Libosch.) Fr., 1829
  • Phallus campanulatus Berk., 1842
  • Battarea guicciardiniana Cesati 1875

Ritrovamento attuale:

In data 13 dicembre 2016, da Giovanni Bombaci (Centro di Cultura Micologica – Messina) in località Rodia –Messina, all’interno di un bidone metallico posizionato nel giardino di una villa in prossimità del litorale marittimo (mt. 2,00 circa s. l. m.), contenente sabbia mista a residui di lettiera per conigli

Curiosità nomenclaturali:

Fu descritta per la prima volta, come specie nuova, anche se negli annali micologici se ne ha una precedente segnalazione priva di denominazione, nel 1785 da James Jacobus Dickson (micologo scozzese, 1738 – 1822) che le attribuì la denominazione di Lycoperdon phalloides. Sucessivamente, nel 1801, fu posizionata, da Christiaan Hendrik Persoon (Capo di Buona Speranza, 1 febbraio 1761 – Parigi, 16 novembre 1836), nel Genere Batarrea appositamente creato in onore del micologo italiano Giovanni Antonio Battarra. L’originaria denominazione del Genere: Batarrea, con una sola “t”, non conforme ai dettami del Codice Internazionale di Nomenclatura (ICN) che richiede, per conformazione al cognome di riferimento, la “doppia t”, quindi “Battarraea”, fu soggetta, nel corso degli anni, ad interpretazioni diverse, ad errori tipografici ed ortografici e a correzioni da parte dei vari autori che portarono a numerose e diverse forme di denominazione quali: Batarrea, Battarea, Battarrea, Battaraea e Battarraea, creando notevole confusione nelle diverse forme d’uso. Ad oggi il termine corretto, utilizzato dai numerosi database consultabili sul web (Index Fungorum, 2016; Myco Bank, 2016), sopportato anche da una sentenza del Comitato di Nomenclatura del 1986 (M. Della Maggiora, 2016 con riferimento a R. Korf, 1988), è rispondente a Battarrea.

Curiosità tassonomiche: per lungo tempo B. phalloides, per la sua particolare somiglianza con B. stevenii, divise gli studiosi di micologia tra quanti ritenevano fossero specie diverse e tra quanti le consideravano unica specie. Recenti studi di natura molecolare, basati sullo studio del DNA fungino, hanno dissipato ogni dubbio affermando la identità tra le due specie.

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Disegni: Marco della Maggiora che si ringrazia per la gentile concessione e l’autorizzazione alla pubblicazione.

Foto: A. Miceli.

Bibliografia:

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Cetto Bruno – 1970: I funghi dal vero, Vol. 4. Saturnia, Trento
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Della Maggiora Marco – 2016: Funghi dall’aspetto particolare: Battarrea Phalloides – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 9: 5-13, Ponte a Moriano (LU)
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara
  • Sarasini Mario – 2005: Gasteromiceti epigei. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento

Riferimenti siti web:

Leucopaxillus agrippinae Buda, Consiglio, Setti & Vizzini 2012

Una nuova specie siciliana, nel ricordo di Andrea Buda

Il suo primo ritrovamento risale al mese di novembre 2003, nel bosco di Santa Maria, nel Comune di Buccheri (SR) e porta la firma del noto micologo siciliano Andrea Buda.(1) Il luogo del ritrovamento, inserito in una vasta area boschiva con vegetazione arborea mista di aghifoglie e latifoglie, con prevalenza di specie appartenenti al Genere Quercus, (Quercia), si posiziona a circa 900 m. s.l.m. ed è caratterizzato da una preponderanza arborea costituita da Quercus cerris (Cerro) ed è, pertanto, ricoperto da numerosi cascami fogliari di tale essenza, sui quali il protagonista della nostra nuova “Riflessione Micologica” trova il proprio habitat naturale dove si riproduce abbondantemente con tipica nutrizione saprofitica.

I successivi ritrovamenti, puntuali nell’autunno di ogni anno, hanno consentito di effettuare approfonditi studi di natura filogenetico-molecolare su numerosi esemplari che, dopo ben nove anni, hanno reso possibile di partecipare, al mondo scientifico e micologico in particolare, l’avvenuto ritrovamento, senza ombra di dubbio, di una nuova specie fungina: Leucopaxillus agrippinae che, stante le peculiari caratteristiche di natura macro e microscopica, ha trovato ideale collocazione nel Genere Leucopaxillus, Famiglia Tricholomataceae, Ordine Agaricales, Classe Basidiomycetes.

Al Genere appartengono specie fungine caratterizzate dal portamento clitociboide, tricholomatoide o paxilloide (similari, nella conformazione generale, a seconda delle varie specie, a funghi appartenenti al Genere Clitocybe, Tricholoma o Paxillus), che si presentano con consistenza carnosa, omogena, con colorazioni variabili tra una specie e l’altra che vanno dal bianco-crema, al giallo-ocra, all’arancione, al bruno-rossastro. Il cappello si presenta, nella conformazione generale, da convesso a depresso, asciutto, liscio o leggermente pruinoso o vellutato, caratterizzato dal margine sempre involuto e, in alcune specie, striato. Le lamelle, a seconda delle specie, si presentano smarginate (quando si inseriscono sul gambo formando una piccola ansa concava a forma di uncino) o lungamente decorrenti (quando si prolungano sul gambo in maniera più o meno prolungata), di colore bianco-biancastro, giallastro, rosato. Il gambo, anch’esso di consistenza carnosa, è spesso caratterizzato, nella zona apicale, dalla presenza di una leggera pruina o piccole squame. La carne è soda, amara e con odore di farina. Il sistema nutrizionale, considerata la tipicità della crescita che predilige lettiere formate da cascami fogliari, è ritenuto saprofitico. Non si rilevano specie tossiche ma, in ogni caso, tutte di scarsa qualità organolettica.

Leucopaxillus agrippinae Buda, Consiglio, Setti & Vizzini 2012

Cappello: di piccole-medie dimensioni (4-10 cm) inizialmente emisferico con largo umbone centrale (prominenza più o meno evidente posizionata al centro del cappello), a maturazione piano, poi depresso; orlo involuto, lobato ed ondulato, a volte con leggere costolature; cuticola asciutta, opaca, molto amara, spesso ricoperta da residui terrosi o vegetali; colore inizialmente biancastro tendente, verso la maturità, al giallo-ocra e poi all’arancione.

Imenoforo: caratterizzato da lamelle decorrenti in maniera marcata sul gambo fino alla zona peseudoanulare dove, a volte, si presentano anastomizzate (unite da setti trasversali che formano un grosso reticolo); con le facce fortemente ondulate e venose che si uniscono fino a formare setti trasversali che danno all’insieme un aspetto labirintiforme-anastomizzato; dal colore inizialmente biancastro, tendono, verso la maturazione, al giallo e poi al giallo-ocra risultando facilmente staccabili dalla carne del cappello.

Gambo: cilindrico, pieno, fibrilloso (quando presenta sottilissime lineature o filamenti posizionati in senso longitudinale), spesso ricurvo, da bianco-beige a giallo-ocra pallido, si posiziona eccentricamente o leggermente laterale, è caratterizzato, appena sotto l’inserzione delle lamelle, da un cercine pseudo anulare di consistenza cotonosa, concolore al gambo e dalla presenza, alla base, di un feltro miceliare che ingloba il substrato.

Carne: inizialmente soda, compatta, poi, verso la maturazione, elastica e molle, fibrosa nel gambo, inizialmente di colore bianco, poi giallo-ocra; odore poco gradevole, sapore molto amaro, sgradevole.

Habitat: cresce da saprofita su terreni ricoperti da residui fogliari e detriti vegetali, in associazione con Cerro (Quercus cerris), fruttificando, in gruppi di diversi esemplari, dal tardo autunno all’inizio dell’inverno.

Commestibilità: trattandosi di specie recentemente scoperta, non si hanno dati attendibili sulla commestibilità. Si ritiene, in ogni caso, che similarmente alle altre specie appartenenti al Genere Leucopaxillus, sia da ritenere non commestibile per lo scarso valore organolettico. Sembra, comunque, che siano stati segnalati casi di intossicazione con sindrome gastroenterica attribuibili al suo consumo.

Etimologia: con espresso riferimento al nome proprio di persona: Agrippina, moglie del micologo Andrea Buda.

Caratteristiche salienti: Leucopaxillus agrippinae viene caratterizzato dalle seguenti particolarità che orientano verso la corretta determinazione della specie:

  • Portamento prettamente clitociboide;
  • Cappello con cuticola intera, liscia dal sapore amarissimo;
  • Imenoforo con conformazione lamellare del tipo labirintiforme-anastomizzata;
  • Gambo eccentrico o leggermente laterale con pseudo anello cotonoso verso l’apice, nella zona sotto lamellare;
  • Carne dal sapore particolarmente amaro.

Specie simili:

Intendiamo omettere la segnalazione di specie fungine similari appartenenti allo stesso Genere, per soffermarci su un piccolo macromicete molto ricercato ed apprezzato in cucina che, per le caratteristiche morfo-cromatiche generali, potrebbe essere facilmente confuso, specialmente dai ricercatori meno esperti, con L. agrippinae con conseguenze poco piacevoli:

  • Cantharellus cibarius Fr. 1821

Si differenzia, per la superficie pileica liscia, brillante e priva di umbone, per il colore giallo, giallo-uovo, giallo-arancio più o meno carico; per la zona imeniale priva di lamelle vere e proprie, sostituite da grosse costolature che si configurano in forma similare alle lamelle ma da queste diverse, definite pliche (Plica: sinonimo di piega, costolatura, usato per indicare l’ispessimento di un tessuto) che dipartendosi dalla parte inferiore del cappello si prolungano sul gambo dando l’idea di pseudo lamelle; per il gambo corto, cilindrico, svasato all’apice, attenuato verso la base, privo di pseudo anello; per la carne con odore e sapore gradevole di albicocca.

 

Note dell’autore:

Ho inteso stilare questa nuova “Riflessione Micologica”  al fine di ricordare, nel primo anniversario della scomparsa, la nobile figura di Andrea Buda, noto micologo siciliano, appassionato amante della natura, il quale con il suo costante impegno, lo studio, la passione e la competenza dimostrata nel corso di un lungo periodo temporale durato quasi 40 anni, ha saputo dare lustro alla micologia italiana ed a quella siciliana in particolare lasciando, causa la sua prematura scomparsa, un grande vuoto tra quanti lo hanno conosciuto ed apprezzato, non solo per la grande competenza nel settore micologico e la notevole attività scientifica svolta, ma anche per le sue innate e generose doti umane e per la profondità dei sentimenti di grande amicizia che è stato capace di elargire a piene mani.

Mio grande rammarico quello di non averlo conosciuto personalmente, cosa alla quale ho cercato di porre un parziale rimedio che mi ha consentito di conoscerlo ed apprezzarlo attraverso le sue pubblicazioni e le sue ricerche che lo hanno indissolubilmente legato, quale “protagonista della storia micologica nazionale”, alla scoperta di Leucopaxillus agrippinae.

Messina, 1 marzo 2017

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Andrea Buda (Siracusa, 26 marzo 1952 – 1 marzo 2016)

Andrea Buda
Andrea Buda

Fondatore, Presidente e Micologo dell’Associazione Micologica Bresadola Gruppo di Siracusa.

Andrea Buda nasce a Siracusa il 26 Marzo 1952 e vi risiede sino al giorno della sua prematura dipartita. All’età di diciotto anni consegue il diploma di “geometra” e dopo alcuni lavori all’estero relativi ai suoi studi, partecipa al concorso indetto dall’Inps, divenendone impiegato prima e funzionario poi. L’attività scientifica di Andrea Buda inizia nel 1980 con il gruppo micologico di Piacenza e continua dal 1984 al 1987 come iscritto al gruppo micologico “Associazione Micologica Bresadola” di Catania. Nel 1988 costituisce, unitamente ad altri amici appassionati di micologia, il gruppo micologico dell’A.M.B. di Siracusa che ha presieduto per ben venticinque anni e sino al giorno della sua dipartita. Sin dal 1988 faceva parte del Comitato Scientifico Nazionale dell’Associazione Micologica Bresadola di Trento e a Siracusa, seguiva in prima persona il censimento delle specie fungine reperite sui Monti Iblei. Dal 1997 al 2010 è stato titolare, con il suo gruppo micologico, della convenzione gratuita con l’Azienda Sanitaria provinciale di Siracusa per il controllo, la prevenzione e la diagnosi delle intossicazioni da funghi. Nel 2003 ha conseguito a Trento l’attestato di micologo ai sensi delle disposizioni legislative nazionali (Legge 23 Agosto 1988 n. 400). Nel 2005 è stato uno dei promotori della legge regionale siciliana, relativa al rilascio tesserino raccolta funghi epigei (Legge Regionale 1 Febbraio 2006 nr. 3). Negli anni 2007 e 2008 ha ricoperto la carica di Vicepresidente dell’Associazione Micologi di Sicilia. Dal 2007 ha ricoperto le cariche di direttore e docente nei corsi per il conseguimento dell’autorizzazione alla raccolta dei funghi, ai sensi delle disposizioni legislative regionali, organizzati dal suo Gruppo di Siracusa, dalla Provincia, dai comuni di Buccheri, Floridia, Melilli e Sortino e dall’Associazione Fungaioli Siciliani in svariati comuni etnei. Negli anni 2009 e 2010 è stato docente per i corsi di approfondimento micologico per i funzionari dell’ispettorato micologico dell’A.S.P. di Catania. Nel 2009 è stato docente in due corsi di formazione micologica organizzati dall’Ispettorato Ripartimentale delle Foreste di Siracusa, per i propri funzionari. Nel 2010 ha organizzato a Siracusa, con il suo Gruppo, ed ha anche presieduto l’Assemblea Nazionale dei Delegati A.M.B. Nel 2010 e 2011 è stato Direttore e docente nei corsi di formazione per il rilascio dell’attestato di Micologo organizzati in Sicilia dall’Unione Micologica Italiana. Nel 2012, dopo nove anni di studio e, grazie alla conferma da parte della biologia molecolare, riceve la notizia di aver scoperto per la prima volta al mondo una nuova specie fungina reperita solamente nel bosco di S. Maria del comune di Buccheri (SR), nel 2003, il “Leucopaxillus agrippinae”, (specie fungina da lui dedicata alla moglie), facendo acquisire ulteriore prestigio a livello nazionale e mondiale sia al comune di Buccheri che all’Associazione Micologica Bresadola nazionale con sede a Trento. Sempre nel 2012 pubblica il suo primo volume de “I funghi degli Iblei”. Con il suo gruppo di Siracusa dal 1988 a tutto il 2015 ha organizzato ben 38 mostre micologiche sia a Siracusa che in diversi comuni della provincia, di cui ben 16 nel comune di Buccheri (la prima delle quali nel novembre del 1988). Ha partecipato a diversi convegni di micotossicologia, seminari e comitati scientifici sia nazionali che internazionali. Ha pubblicato, sempre relativamente ai funghi degli Iblei, diversi articoli su riviste scientifiche sia regionali che nazionali come la Rivista di micologia (bollettino dell’A.M.B. di Trento a carattere nazionale ed internazionale) e Pagine di micologia, ha pubblicato articoli su libri prettamente di micologia come “I Funghi fimicoli” di F. Doveri e ad inizio del 2016, ha finito di preparare il suo secondo volume de “I funghi degli Iblei” che uscirà postumo, entro l’estate del corrente anno (2017). Andrea Buda, persona molto conosciuta a Siracusa ed in provincia, è venuto a mancare, prematuramente, il 01 Marzo 2016 lasciando oltre ad un grande vuoto, anche un grande contributo alla formazione scientifico-culturale della futura vita sociale del suo Gruppo. Sarà ricordato sempre per il suo radioso sorriso, per la sua tranquillità, la sua pacatezza, la sua costanza, la sua amicizia autentica, la sua disponibilità e dedizione verso tutti e tutto, sia a livello scientifico ma soprattutto umano. Lui è e sarà sempre fonte di ispirazione per tutti i soci del suo Gruppo e per tutti gli appassionati di micologia. Alla sua memoria, alla sua amicizia ed alla sua opera scientifica i soci del “suo” gruppo micologico, gli hanno dedicato il Gruppo che, dal mese di Maggio 2016, ne porta il nome: Associazione Micologica Bresadola Gruppo “A. Buda” Siracusa.

N.B. il profilo di Andrea Buda, unitamente alla sua foto ed alle foto nn. 1, 2, 3, é stato gentilmente concesso dall’A.M.B. Gruppo Micologico “A. Buda” di Siracusa

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Foto:

  • Andrea Buda (Foto n. 1, 2, 3) gentilmente concesse dall’A.M.B. Gruppo Micologico “A. Buda” di Siracusa
  • Gianrico Vasquez (foto n. 4) che si ringrazia per la gentile concessione

Bibliografia:

  • Buda Andrea, Consiglio Giovanni, Setti Ledo, Vizzini Alfredo – 2012: Leucopaxillus agrippinae, una nuova specie raccolta in Sicilia. Rivista di Micologia – Bollettino dell’Associazione Micologica Bresadola – Anno LV n. 2: 99-114, Trento

Ringraziamenti:

Un doveroso ringraziamento va rivolto:

  • ai familiari di Andrea Buda
  • al Presidente del Gruppo Micologico “A. Buda” di Siracusa
  • ad Ester Di Giuseppe (Gruppo Micologico “A.Buda” di Siracusa)
  • al Gruppo Micologico “A. Buda” di Siracusa
  • a Gianrico Vasquez (A.M.B. Gruppo di Catania)

per avere reso possibile, per vari e diversi motivi, la redazione  di questa ulteriore “Riflessione Micologica” 

Amanita vittadinii (Moretti) Vittad. 1826

Amanita vittadinii
Amanita vittadinii

Il suo primo ritrovamento risale al 1826, in località Monticelli, frazione del Comune di San Donato Milanese (MI), ad opera di Carlo Vittadini (San Donato Milanese, 11 giugno 1800 – Milano, 20 novembre 1865), la sua prima descrizione porta la firma del Prof. Giuseppe Moretti  (Roncaro, 30 novembre 1782 – Pavia, 2 dicembre 1853), all’epoca titolare della cattedra di botanica presso l’Università di Pavia il quale, ritenendo, a ragione, che l’esemplare fungino “non sia stato peranco descritto da nessun botanico, ne parla in un proprio articolo pubblicato sul “Giornale di fisica, chimica, storia naturale e arti” precisando che “la raccolta avvenne ad opera del signor Vittadini presso Monticelli, a circa sei miglia da Milano….. ho imposto ad esso il nome specifico di questo giovane, che ci dà le più fondate speranze di diventare uno dei più distinti micologi

Seguendo i principi della sistematica dell’epoca che facevano espresso riferimento agli studi ed alla classificazione di Elias Magnus Fries (micologo e botanico svedese – Femsjö, 15 agosto 1794 – Uppsala, 8 febbraio 1878), la nuova specie fu posizionata nel gruppo dei funghi leucosporei (così denominati per il colore delle spore: bianco-biancastro), nel Genere Agaricus, Subgenere Amanita, con l’originaria denominazione di Agaricus vittadinii.

Successivamente, lo stesso Vittadini nella sua tesi “Tentamen mycologicum, seu Amanitarum illustratio” (Saggio micologico, ossia Illustrazione delle Amanite) – con la discussione della quale conseguì, nel 1826, presso l’Università di Milano, la laurea in medicina, descrive in maniera particolareggiata la specie scoperta elevandola, da Subgenere, a livello di Genere. Fatto, questo, di notevole importanza in quanto l’autore, precorrendo i tempi, è il primo studioso di micologia ad elevare il Subgenere Amanita a livello di Genere.

  • Amanita vittadinii (Moretti) Vittad. 1826

Viene posizionata, nella attuale configurazione sistematica, nella Classe Basidiomycetes, Ordine Agaricales, Famiglia Amanitaceae, Genere Amanita.

Si tratta di un fungo di particolare bellezza che, a differenza delle altre specie appartenenti al Genere Amanita, tipicamente legate in simbiosi ectomicorrizica con specie arboree in habitat boschivo, cresce da saprofita in ambiente praticolo. Viene ritenuta, da numerosi micologi, specie rara ma fedele ai luoghi di crescita ove si riproduce, anche in maniera abbondante, con periodicità annuale costante.

La nostra esperienza micologica ci consente di segnalare numerosi ritrovamenti, effettuati personalmente, in località San Marco nel comune di Novara Sicilia (ME) su terreno incolto destinato a pascolo, dove annualmente si riproduce in numerosi esemplari sparsi, sia in forma singola che gregaria, entro un raggio ben delimitato senza mai sconfinare dal sito di crescita.

Si presenta semplicemente bella, slanciata, elegante, totalmente bianca, ornata, su tutta la superficie, da verruche a forma piramidale, somigliante, nella sua strutturazione generale, anche se con marcate differenze specialmente nel colore, a carpofori appartenenti al Genere Lepiota, Macrolepiota o Armillaria, tanto che  Fries  la classificò, nella sua “Epicrisis Systematis” nel 1836, nel Sottogenere Lepiota, precisando, a supporto del suo posizionamento nella sistematica fungina: ”Fungus medius inter Amanita et Lepiota”.

Altri micologi, in considerazione delle particolari caratteristiche morfo cromatiche, hanno inteso posizionarla in altri generi come Lepidella, Aspidella, Armillaria o, come avvenuto recentemente, Saproamanita (S. A. Redhead e altri, 2016).

Nell’aspetto generale, la sua conformazione tipica è variabile in dipendenza dell’ambiente di crescita e delle condizioni ambientali esterne che influenzandone la crescita fanno sì che si presenti piccola e gracile o grande, massiccia, lussureggiante, dal bianco candido al bianco-sporco tendente all’ocra-brunastro.

Cappello: di medie, grandi dimensioni, inizialmente sferico, successivamente, nel progredire della maturazione, convesso, poi convesso-appianato. La cuticola, separabile, di colore bianco o biancastro-sporco, è ricoperta da numerose verruche a forma piramidale, residuo del velo generale, appressate nella zona centrale, che assumono, verso il margine, la conformazione di squamule, concolori negli esemplari giovani ed imbrunenti a maturazione, si presentano di consistenza friabile e, di conseguenza, per effetto della pioggia vengono facilmente asportate. Il margine si presenta eccedente per la presenza di residui fioccosi del velo generale.

Imenoforo: costituito da lamelle fitte, libere al gambo (quando si interrompono prima di arrivare al gambo con il quale, pertanto, non hanno alcun contatto), intervallate da lamellule, inizialmente bianche, tendenti, a maturazione, verso il crema-biancastro, poi giallo pallido, con riflessi verdini a maturazione avanzata. Le spore, in massa, si presentano di colore crema-biancastro, tipico dei funghi appartenenti al gruppo dei leucosporei.

Gambo: alto, slanciato, cilindrico, non bulboso, radicante, pieno, liscio nella zona apicale sopra l’anello, ricoperto da numerose squame in rilievo nella parte bassa. Inizialmente bianche, scurenti verso la maturità.

Anello: in posizione alta, ampio, fioccoso, persistente, bianco-biancastro.

Volva: dissociata in squame concentriche, revolute ed indistinte, inizialmente di colore bianco, scurenti, verso il crema-biancastro, a maturità.

Habitat: si riproduce, quale specie saprofita, sia singolarmente che in gruppi, spesso numerosi, a volte disposti in cerchio (cerchio delle streghe), in ambiente praticolo o in terreni precedentemente coltivati e concimati, nutrendosi delle sostanze organiche residue. Specie poco comune ma abbondante nell’habitat specifico. Da fine estate ad autunno inoltrato.

Commestibilità: commestibile dopo adeguata cottura ma di scarso valore organolettico. Per tale motivo ed anche al fine di evitare possibilità di confusione con specie velenose, si consiglia di non consumarla. Raccomandazione che viene ulteriormente rafforzata in considerazione della rarità della specie che deve essere salvaguardata: limitiamoci ad ammirarla, fotografarla e… lasciamola nel suo habitat naturale a completare il proprio ciclo vitale.

Etimologia: con espresso riferimento al micologo Carlo Vittadini, autore del primo ritrovamento.

Specie simili:

  • Amanita echinocephala (Vittad.) Quél. 1872

Si diversifica per le ornamentazioni sul cappello che si presentano più rade, meno appressate, piccole ed aculeate, per le lamelle che tendono ad ingiallire e per il gambo attenuato verso l’apice, bulboso-radicante alla base; liscio nella parte superiore con volva dissociata in verruche; per l’habitat boschivo essendo simbionte di latifoglie – prevalentemente querce. Specie tossica, responsabile di sindrome norleucinica, nefrotossica, smithiana

  • Amanita codinae (Maire) Bertault 1955

Ritenuta molto più rara, è praticamente simile ad A. vittadinii dalla quale si differenzia per la taglia gracile e per le dimensioni inferiori; per le ornamentazioni più scure, crema-tabacco, fin da giovane e persistenti fino a maturazione inoltrata; per il gambo relativamente corto – con altezza minore del diametro del cappello -; per l’habitat boschivo ove si riproduce in associazione con essenze arboree quali lecci (Quercus ilex) o querce da sughero (Quercus suber).

Curiosità tassonomiche:

Amanita codinae ha diviso e continua a dividere il mondo della micologia tra quanti sostengono che sia una specie a se, diversa da A. vittadini, e tra quanti, invece, sostengono l’identità tra le due specie con precedenza nomenclaturale per A. vittadini.

Affermano, questi ultimi, che le particolarità ipoteticamente diversificanti le due specie (taglia, verruche, colore, dimensione delle spore) sono elementi perfettamente variabili nella stessa specie in considerazione dell’ambiente di crescita e delle condizioni ambientali esterne e, quindi, non caratterizzanti una specie diversa.

La diatriba, a seguito recenti studi di natura molecolare, è stata definitivamente risolta con il riconoscimento di A. codinae quale specie a se ed inserita, alla stregua di A. vittadinii, nel nuovo Genere Saproamanita, con il nome corrente di Saproamanita codinae (Maire) Redhead, Vizzini, Drehmel & Contu, 2016 (S. A. Redhead e altri 2016).

Basionimo:

  • Agaricus vittadinii Moretti 1826

Sinonimi:

  • Lepiota vittadinii (Moretti) Quél. 1873
  • Mastocephalus vittadinii (Moretti) Kuntze, 1891
  • Lepidella vittadinii (Moretti) E.-J. Gilbert, 1925
  • Aspidella vittadinii (Moretti) E.-J. Gilbert, 1940
  • Armillaria vittadinii (Moretti) Locq., 1952

Nome Corrente:

  • Saproamanita vittadinii (Moretti) Redhead, Vizzini, Drehmel & Contu 2016

Recenti studi, condotti dai micologi Scott A. Redhead, Alfredo Vizzini, Dennis C. Drehmel e Marco Contu, hanno consentito, tenendo anche conto della particolarità nutrizionale della specie, che si configura essere a nutrizione saprofitica, di posizionarla nel nuovo Genere Saproamanita (Cfr. S. A. Redhead e altri, 2016: Saproamanita, a new name for both Lepidella E.-J. Gilbert and Aspidella E.-J Gilbert.  IMA Fungus, The Global Mycological Jurnal – Vol. 7 n. 1: 119-129, Madrid)

 

Foto: Emilio Pini che si ringrazia per la gradita concessione

Bibliografia essenziale:

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Brunori AndreaStorie di funghi: l’Amanita vittadiniihttp://abcdeifunghi.altervista.org/storie-di-funghi-l-amanita-vittadinii.html
  • Brunori Andrea, Cassinis Alessandro – 2014: I funghi nella storia. Sandro Teti Editore, Roma
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar – 1993, Funghi Amanite. Calderini edagricole, Bologna
  • Galli Roberto – 2007: Le Amanite. dalla Natura, Milano
  • Lazzari Giacomo, –1973: Storia della micologia italiana. Saturnia, Trento
  • Scott A. Redhead, Alfredo Vizzini, Dennis C. Drehmel & Marco Contu – 2016: Saproamanita, a new name for both Lepidella E.-J. Gilbert and Aspidella E.-J Gilbert (Amaniteae, Amanitaceae).  IMA Fungus, The Global Mycological Jurnal – Vol. 7 n. 1: 119-129, Madrid

Riferimenti Siti Web:

Lactarius tesquorum MalenÇon 1979

Un fungo tipico dell’ambiente mediterraneo.

Le ultime giornate con le quali l’anno 2016 sta per lasciare il posto al nuovo in arrivo, caratterizzate, da noi, a Messina, dalla presenza di un meraviglioso tiepido sole che, nonostante le basse temperature, invoglia  un nutrito gruppo di soci del “Centro di Cultura Micologica”, ad avventurarsi, oggi 30 dicembre, come spesso si è soliti fare, sui vicini monti Peloritani, in località Castanea, alla ricerca di “verdura selvatica”, senza tralasciare, tuttavia, l’ormai radicata passione micologica che, in maniera meccanica e naturale, spinge il senso della vista alla ricerca di qualsivoglia forma fungina.

In tale contesto, come spesso accade, nonostante la stagione poco propizia, ci imbattiamo (Franco Mondello e Angelo Miceli) in alcuni carpofori facilmente identificabili quali appartenenti al Genere Lactarius. Ancora una volta, abbiamo la possibilità di fruire di una delle tante lezioni effettuate, in habitat, dall’amico-micologo, Franco Mondello, il quale dall’attenta osservazione delle caratteristiche morfo-cromatiche dei carpofori, dopo essersi soffermato sulla similarità tra gli stessi ed altri appartenenti allo stesso Genere, identifica il protagonista della nostra nuova “Riflessione Micologica” quale Lactarius tesquorum, specie tipica dell’ambiente mediterraneo.

La nostra curiosità micologica, ancora una volta sollecitata, riceve l’input necessario ad approfondire l’argomento.

Nella sistematica micologica viene posizionato nella classe Basidiomycetes, Ordine Russulales, Famiglia Russulaceae, Genere Lactarius, Sezione Piperites. Sottosezione Piperites.

Al Genere appartengono specie fungine caratterizzate dalla presenza nella struttura del carpoforo (cappello, lamelle, gambo), di una sostanza latiginosa più o meno densa chiamata “latice”, contenuta all’interno di “tubi laticiferi” che fuoriesce in maniera più o meno abbondante alla frattura del carpoforo. Per tale caratteristica risulta semplice, anche per i meno esperti, determinare con facilità il Genere di appartenenza dei singoli carpofori, anche se non è sempre semplice – anzi è piuttosto difficoltoso – pervenire con esattezza al riconoscimento della specie.

Lactarius tesquorum
Lactarius tesquorum

Alla Sezione Piperites, appartengono specie fungine caratterizzate da cappello ricoperto, nella totalità o solamente al margine, da peluria più o meno lunga, persistente o che svanisce verso la maturazione e dalla presenza di latice bianco immutabile o virante verso un colore giallastro.

Volendo approfondire l’argomento, è opportuno precisare che la Sezione è divisa in due Sottosezioni: Piperites, nella quale è inserito il protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, caratterizzata da specie con latice bianco immutabile e Scrobiculati alla quale appartengono specie con latice bianco virante al giallo solforino.

  • Latcarius tesquorum MalenÇon 1979

Cappello: di piccole-medie dimensioni, inizialmente piano-convesso, poi leggermente depresso al centro, sodo e poco carnoso. Colore inizialmente crema-carnicino, tendente, a maturazione, verso il crema-giallognolo, con sfumature rosate nella zona discale. La superficie è, omogenea, non zonata e ricoperta da una fitta ed appiccicosa peluria che gli conferisce un aspetto bambagioso, lanoso. Il margine si presenta inizialmente involuto poi disteso, ricoperto da peli lunghi che risultano meno evidenti verso la maturazione.

Lamelle: mediamente fitte, adnate (quando si inseriscono sul gambo per tutta la loro altezza) o leggermente decorrenti (quando prolungano la loro inserzione sul gambo), intervallate da lamellule (struttura similare alle lamelle che si interpone tra le lamelle stesse, con dimensioni minori. Ha origine dal margine del cappello e si interrompe prima di giungere al gambo) inizialmente di colore crema-pallido con sfumature rosate, poi, verso la maturazione, di colore crema-giallino sempre con sfumature rosate.

Gambo: molto corto, cilindrico, rigonfio nella zona centrale ed attenuato verso la base. Inizialmente farcito, presto cavo, ricoperto da una pruina biancastra nella parte superiore ove spesso si presenta con una zona circolare rosata. Quasi concolore al cappello e biancastro per effetto della pruina, più chiaro verso la base. Generalmente non scrobicolato, a volte con piccoli scrobicoli (piccole depressioni o fossette a forma più o meno circolare che ornano il gambo di alcune specie fungine – tipicamente quelle appartenenti al Genere Lactarius) concolori verso la base.

Carne: biancastra con sfumature carnicine, odore leggero, gradevole, fruttato. Sapore acre.

Latice: scarso, di colore bianco, immutabile anche se isolato e dopo parecchie ore, sapore molto acre.

Habitat: tipico della macchia mediterranea ove si riproduce in simbiosi con il cisto, in particolare con Cistus monspeliensis e Cistus salvifolius. Da autunno inoltrato fino a tardo inverno.

Etimologia: dal latino “loca tesqua” = “landa desertica” con espresso riferimento al suo habitat di crescita caratterizzato da macchia mediterranea.

Nomi dialettali: Pucchiariellu: nome dialettale cosentino; Funciu i Pucchiu: nome dialettale del Pollino (Cosenza); Marieddhu: nome dialettale del Salento (Lecce): Amarieddhu i mucchiu (nome dialettale di Mesagne (Brindisi)

Ritrovamento attuale:

ad opera del micologo Franco Mondello e di Angelo Miceli (Centro di Cultura Micologica – Messina) in località Monti Peloritani – Messina – Villaggio Castanea delle Furie, C.da Tonnaro – in ambiente tipicamente mediterraneo a circa 400 – 450 m. s. l. m., caratterizzato dalla presenza di Erica e Cisto: Cistus salvifolius

Descrizione della raccolta:

numero 6 esemplari di medie dimensioni che evidenziano le caratteristiche tipiche della specie: cuticola bambagiosa con fitta peluria maggiormente accentrata lungo il margine pileico; gambo molto corto con zona anulare rosata nella parte apicale; latice scarso bianco immutabile; habitat tipico legato alla presenza di Cisto: Cistus salvifolius.

Specie similari:

  • Lactarius mairei, specie anch’essa reperibile in habitat mediterraneo ma legata in simbiosi con quercia; presenta il gambo più slanciato; il cappello ornato da peli riuniti a ciuffi; il latice che ingrigisce sulle lamelle;
  • Lactarius tominosus, di dimensioni maggiori e superficie pileica ornata da peli più lunghi; habitat tipico boschivo simbionte con Betulla;
  • Lactarius pubescens, dal portamento tozzo, gambo corto, cappello ricoperto da uno strato bambagioso, margine, negli esemplari giovani, caratterizzato da una fitta e ben evidente peluria; habitat tipico boschivo, simbionte con Betulla.

Curiosità nomenclaturali:

La specie, tipica di habitat costiero-mediterraneo, legata alla presenza di cisto, in particolare Cistus salvifolius, venne descritta, per la prima volta, in tempi recenti (1979), dal micologo George MalenÇon (Parigi 1898 – 1984), tuttavia si ritiene che la stessa sia stata precedentemente raccolta e non riconosciuta come specie a se stante per la particolare similarità con specie diverse appartenenti allo stesso Genere ma tipiche di habitat boschivi. In merito è opportuno sottolineare che precedenti raccolte effettuate in zona costiera mediterranea da diversi studiosi come Maire e Werner, Bertault, Corrias, Laviano, in epoche precedenti ed identificate come L. pubescens e/o L. torminosus, specie tipicamente legate in simbiosi micorrizica con betulle, siano da ricondurre a L. tesquorum in quanto nelle zone costiere dove le raccolte sono state effettuare ben difficilmente si possono trovare le betulle (M. T. Basso 1999).

Note sulla commestibilità e tossicità:

Viene ritenuto, in letteratura, NON commestibile a causa del sapore acre e di sospetta tossicità. Nel Salento è un fungo molto conosciuto con il nome volgare “marieddhu”. Risulta essere molto ricercato e consumato, tanto che viene venduto nei mercati rionali ad un prezzo molto vicino a quello dei Porcini.

E’ buona norma ritenere che solo i lattari secernenti latice rosso – rossastro, ovvero quelli appartenenti alla Sezione Dapetes, siano da ritenere commestibili, limitandone il consumo, tra le varie specie, soltanto ai Lactarius deliciosus, L. sanguifluus, L. sanguifluus Var. violaceus e considerando tutte le altre di scarso valore gastronomico. Alcune specie a latice bianco di sapore mite, come ad esempio L. volemus e L. porninsis sono ritenute commestibili ma ne sconsigliamo il consumo ai fini precauzionali al fine di evitare confusione con specie tossiche. Si ritiene opportuno sconsigliare, nella maniera più assoluta, al fine di evitare spiacevoli conseguenze, il consumo delle specie a latice bianco e con sapore acre o pepato anche se alcune di queste, come il protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, come sopra precisato, vengono regolarmente consumate.

Al genere non appartengono specie velenose ma solo tossiche in grado di provocare disturbi più o meno gravi in considerazione della quantità consumata e delle condizioni fisiche del consumatore. Sono da considerare assolutamente tossiche le seguenti specie: Lactarius vellereus; L. helvus; L. torminosus; L. turpis; L. piperatus; L. scrobiculatus ritenute responsabili di sindrome gastroenterica a breve latenza (quando i sintomi dell’intossicazione si presentano entro 6 ore dal consumo).

Foto: archivio micofotografico del Micologo Franco Mondello

Bibliografia:

  • Basso Maria Teresa – 1999: Lactarius Pers., Funghi Europaei Vol. 7. Mykoflora, Alassio (SV)
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2009: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 3. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Cetto Bruno – 1970, I funghi dal vero, Vol. 5. Saturnia, Trento
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, -1998, Funghi Lattari, Calderini edagricole, Bologna

Trametes versicolor (L.) Lloyd 1921

Non è necessario attendere l’autunno per imbattersi, passeggiando nei boschi, in esemplari di questo meraviglioso basidiocarpo in quanto è solito fruttificare durante l’intero anno prediligendo, considerato il suo sistema nutrizionale che lo posiziona tra i funghi parassiti, associarsi a culture arboree di latifoglie: Trametes versicolor, protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, agente di carie bianca fibrosa (patologia vegetale che causa la graduale e progressiva degradazione dei tessuti legnosi delle piante arboree ed arbustive), si comporta inizialmente da parassita e, successivamente, dopo la morte dell’albero ospite, da saprofita. E’ noto nei paesi orientali, al pari di altre poliporaceae, per le sue proprietà medicinali e, in atto, ormai da numerosi anni, è oggetto di studio per le sue proprietà farmacologiche antimicrobiche e stimolanti del sistema immunitario; sembra, altresì, che per la presenza di polisaccaridi nelle pareti delle sue cellule, possa inibire lo sviluppo di cellule tumorali.

In Giappone è conosciuto come “Kawaratake”, ovvero “fungo della riva del fiume”; in Cina come “Yun-zhi” ovvero “fungo delle nuvole” o anche, per la particolarità della sua forma, “coda di tacchino”.

Trova collocazione, nella sistematica micologica, nella Classe Basidiomycetes, Ordine Polyporales, Famiglia Polyporaceae, Genere Trametes.

Al Genere, sanzionato nel 1836 dal micologo svedese Elias Magnus Fries (Femsjö, 15 agosto 1794 – Uppsala, 8 febbraio 1878) appartengono funghi lignicoli sia stipitati sia sessili (quando sono caratterizzati, nel primo caso, dalla presenza di gambo, nel secondo dalla assenza dello stesso) sia monopileati che pluripileati (quando sono formati da uno solo o da più cappelli sovrapposti), con forma a mensola e con presenza, nella zona imeniale, di pori che, a seconda della specie di appartenenza, variano nelle dimensioni che vanno da piccoli a grandi.

Trametes versicolor (L.) Lloyd (1921)

Cappello: di piccole-medie dimensioni, sporgente, rispetto alla superficie di crescita, fino a 5-8 cm., assottigliato al margine ondulato, con superficie vellutata e spesso lucida, brillante, piana o ondulata, nettamente zonata (quando si presenta a fasce concentriche di colore diverso), di colore molto variabile: grigiastro, bruno-ocraceo, verdastro, bruno-rossastro, bluastro, a volte quasi nero, più chiaro verso la zona marginale.

Imenoforo: costituito da tubuli molto brevi disposti su un solo strato; pori piccoli, tondeggianti, angolosi, concolori ai tubuli, da bianco crema o ocra chiaro.

Carne: molto sottile, inizialmente elastica, tenace, poi rigida, bianca. Odore e sapore fungini.

Habitat: su culture arboree di latifoglie, raramente di conifere. Si posiziona anche ad altezze relativamente notevoli, formando gruppi di diversi esemplari tra di loro sovrapposti. Fruttifica durante l’intero anno.

Commestibilità: Non commestibile. 

Etimologia: dal latino versicolor, di colore variabile, con espresso riferimento alla variabilità dei colori che caratterizza i singoli esemplari

Sinonimi:

  • Boletus versicolor L., (1753)
  • Poria versicolor (L.) Scop., (1772)
  • Agaricus versicolor (L.) Lam., (1783)
  • Polyporus fuscatus Fr., (1818)
  • Polyporus versicolor (L.) Fr., (1818)
  • Polystictus versicolor (L.) Cooke, (1851)
  • Coriolus versicolor (L.) Quél., (1886)

Bibliografia essenziale:

  • Balestreri Stefano – 2012: Trametes versicolor. Estratto da “Appunti di Micologia” (www.appuntidimicologia.com)
  • Bernicchia Annarosa – 2005: Polyporaceae s. l.. Edizioni Candusso, Alassio (SV)
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Marino Rosanna 2005: Funghi con principi medicinali. Rivista di Micologia – Bollettino dell’Associazione Micologica Bresadola – Trento anno XLVIII n. 1: 43 – 50, Trento
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento

Riferimenti siti web:

Andar per funghi: I Cantarelli: Famiglia Cantharellaceae

Si tratta di macromiceti di piccole dimensioni legati in simbiosi ectomicorrizica con diverse specie arboree. Sono soliti fruttificare, sia nei boschi di aghifoglie che di latifoglie, dalla primavera inoltrata al tardo autunno, prolungando spesso la loro crescita fino al periodo iniziale dell’inverno. 

Incontrandoli nei boschi risulta facile riconoscerli per il caratteristico colore giallo-uovo, per l’orlo del cappello lobato e per la particolarità della zona imeniale che risulta percorsa da pseudolamelle, anche se – è opportuna la precisazione – esistono diverse specie di colore bruno, bruno-aranciato, bruno-rossiccio o addirittura grigio-antracite o tendenti al nero-nerastro (Esempio: Cantharellus cinereus; Cantharellus lutescens; Craterellus cornucopioides…).

Sistematica

Nella sistematica micologica vengono posizionati nella Classe Basidiomycetes, Ordine Cantharellales, Famiglia Cantharellaceae, nella quale si trovano i Generi Cantharellus, Craterellus, Pseudocraterellus ed altri. Sono inseriti, in maniera generica, nel gruppo dei funghi Cantarelloidi.

I Funghi Cantarelloidi sono caratterizzati dalla presenza di cappello che si continua, in un tutt’uno omogeno, con un gambo non perfettamente centrale ed un imenoforo (zona del fungo in cui è posizionato l’imenio contenente gli elementi riproduttivi della specie: spore) liscio o corrugato con presenza di pliche (Plica: sinonimo di piega, costolatura, usato per indicare l’ispessimento di un tessuto) che dipartendosi dalla parte inferiore del cappello si prolungano sul gambo dando l’idea di pseudo lamelle. Tale tipologia di imenoforo, viene definito, proprio per la presenza di pliche, “plissettato”. I carpofori si presentano pieni, come nel caso del Genere Cantharellus o cavi ed a forma di cornucopia come nel Genere Craterellus.

I funghi appartenenti a questa tipologia, in maniera particolare le specie appartenenti al Genere Cantharellus, vengono conosciuti, sull’intero territorio nazionale, con il nome generico di Cantarelli, Galletti, Gallinacci, Finferli, denominazioni utilizzate in maniera diversificata a seconda della tipicità in uso nelle varie zone territoriali e arricchite da tantissime altre denominazioni dialettali.

Come sopra accennato, alla Famiglia Cantharellaceae appartengono i Generi Cantharellus e Craterellus. In questa nostra “Riflessione Micologica”, senza addentraci troppo nell’argomento, ci occuperemo di alcune delle specie maggiorente note appartenenti ai due generi:

Cantharellus cibarius Fr.

(Genere Cantharellus (Fr.) Adans – caratterizzato da specie fungine con gambo sempre pieno e pliche molto evidenti)

Cappello: inizialmente piano-convesso, poi depresso al centro e spesso imbutiforme; margine a lungo involuto, lobato (quando presenta anse, sinuosità, più o meno irregolari e profonde); superficie liscia, brillante, di colore giallo, giallo-uovo, giallo-arancio più o meno carico. 

Imenoforo: tipicamente plissettato, formato da pliche (pieghe, costolature) grossolane, molto evidenti, rade, decorrenti sul gambo ed anastomizzate (collegate tra di loro in più punti con setti trasversali); concolori al cappello ed al gambo.

Gambo: pieno, robusto, sodo, corto, cilindrico, svasato all’apice, attenuato verso la base, concolore al cappello.

Carne: soda, compatta, fibrosa nel gambo, bianca nella parte interna, giallognola nella zona superficiale con odore e sapore gradevole di albicocca.

Habitat: cresce in gruppi anche di numerosi esemplari, raramente singolo, dall’estate all’autunno protraendosi anche in inverno, in boschi di conifere ed aghifoglie.

Commestibilità: ottimo commestibile, ricercato e consumato in tutte le regioni d’Italia.

Etimologia: dal latino cantharus = coppa (per la similarità della forma al cantharus, antica coppa utilizzata dai romani per bere) e da cibarius = commestibile.

Nomi volgari: Galletto, Gallinaccio, Finferla 

Nomi dialettali: Cresta de gallo, Ciurrittu, Cricchia i jaddu, Jadduzzu.

Note: in letteratura si fa riferimento a numerose varietà che, a seconda dei vari autori, vengono considerate a volte come semplici varietà o forme, a volte come specie autonome. Per la consistenza della carne, della forma e del colore, è simile a Hydnum repandum e Hydnum rufescens, funghi commestibili con gusto leggermente amarognolo, che differiscono per l’imeforo ad aculei. 

Cantharellus alborufescens (MalenÇon) Papetti & Alberti

(Genere Cantharellus (Fr.) Adans – caratterizzato da specie fungine con gambo sempre pieno e pliche molto evidenti)

presenta notevole similarità, per le caratteristiche morfo-cromatiche, con il Cantharellus cibarius, tanto che, in origine, veniva considerato una varietà di quest’ultimo; recenti studi ad opera dei micologi Papetti ed Alberti (1999) hanno consentito di elevarlo al rango di specie per le seguenti caratteristiche che lo diversificano:

cappello e gambo ricoperti da una fine pruina (strato sottilissimo di consistenza farinosa o pulverulenta, ceroso al tatto) di colore bianco che conferisce al carpoforo un colore giallo sbiadito tendente al biancastro. Alla manipolazione, con esportazione della pruina, manifesta un viraggio tendente inizialmente al giallo e successivamente al rosso-bruno.

Habitat: si associa, in simbiosi, a varie latifoglie, in particolare Leccio. Ritrovamenti effettuati sui Monti Peloritani (Messina) hanno evidenziato la sua associazione anche ad altre latifoglie come Querce e Castagni e la sua crescita in boschi di aghifoglie misti: Cedro e Pini (F. Mondello – www.micologiamessinese.it).

Commestibilità: ottimo commestibile.

Sinonimi: Cantharellus cibarius var. Alborufescens MalenÇon 1975

Cantharellus cinereus (Pers.) Fr.

Craterellus cinereus
Craterellus cinereus

(Genere Cantharellus (Fr.) Adans – caratterizzato da specie fungine con gambo sempre pieno e pliche molto evidenti)

Cappello: di piccole dimensioni, inizialmente appena convesso poi imbutiforme,  margine disteso, lobato-ondulato; superficie leggermente pruinosa e squamosa; colore grigiastro con tonalità tendenti al bruno più o meno accentuato in dipendenza della maturazione e delle condizioni ambientali: più chiare a tempo asciutto, più marcate, tendenti al nerastro, a tempo umido.

Imenoforo: tipicamente caratterizzato da venature e pliche ben evidenti e tra di loro anastomizzate, spaziate e ramificate; colore grigio tendente all’avana con tonalità bluastre negli esemplari giovani, a maturazione tende verso il grigio cinerino per il colore bianco delle spore.

Gambo: pieno da giovane, poi fistoloso, leggermente incurvato percorso, in senso longitudinale, da scanalature, svasato all’apice, attenuato verso la base, concolore al cappello ma leggermente più chiaro.

Carne: bianca tendente al grigiastro nella parte interna, nettamente più chiara del grigio della parte esterna, di consistenza elastica; odore fruttato con sapere gradevole.

Habitat: poco frequente e tipico dei boschi di latifoglie, specialmente castagno. Si tratta di specie poco comune per la quale, per quanto a nostra conoscenza e limitatamente alla nostra esperienza micologica, non si ha notizia alcuna di avvenuti ritrovamenti nel territorio boschivo messinese.

Commestibilità: buon commestibile.

Etimologia: dal latino cantharus = coppa  e da cinereus = cinereo con riferimento al colore simile a quello della cenere.

Sinonimi: Cantharellus hydrolyps Schrot. – Craterellus cinereus (Pers.) Donk – Pseudocraterellus cinereus (Pers.) Kalamees.

Nomi volgari: Cantarello, Finferla.

Note: può essere confuso, per la similarità del colore, con Craterellus cornucopioides  che ha gambo vuoto ed imenoforo pressoché liscio con rugosità longitudinali. 

Craterellus cornucopioides (L.) Persoon

Cratherellus cornucopioides
Cratherellus cornucopioides

(Genere Craterellus Persoon – caratterizzato da specie fungine con gambo cavo e pliche da quasi assenti a marcate)

Cappello: profondamente imbutiforme, a forma di cornetto acustico, cavo all’interno, si prolunga in un insieme unico verso il gambo; l’orlo, inizialmente arrotolato, si allarga a maturazione formando lobi irregolari. Il colore, inizialmente grigio scuro-nerastro, a maturazione ed a tempo secco schiarisce volgendo al grigio-brunastro.

Imenoforo: posizionato nella zona inferiore esterna è pressoché liscio con rugosità verticali; il colore grigio-cenere, grigio-bluastro, tende a schiarire a maturazione anche perché viene condizionato dal colore bianco delle spore, presentandosi, in tal caso, leggermente polverulento.

Gambo: completamente cavo, svasato all’apice ed attenuato verso la base finemente rugoloso e ricoperto da fibrille longitudinali, di colore grigio scuro o nerastro, a volte poco evidenti o non presenti. 

Carne: molto sottile ed elastica, odore piacevolmente fruttato negli esemplari giovani; colore grigio scuro o nerastro.

Habitat: fruttifica dalla tarda estate in autunno, prediligendo boschi di conifere come castagni, faggi, noccioli. 

Commestibilità: buono e gustoso se consumato giovane. Viene anche essiccato e ridotto in polvere o scaglie ed utilizzato come condimento aromatico. 

Etimologia: dal latino craterellus = piccola coppa e cornucopioides = a forma di cornucopia.

Sinonimi: Craterella cornucopioides (L.) Pers. 1797 – Cantharellus cornucopioides (L.) Fr. 1821

Nomi volgari: trombetta da morto, corno dell’abbondanza, cantarello nero.

Note: per le caratteristiche morfo cromatiche può essere confuso con Cantharellus cinereus, fungo commestibile, molto somigliante specialmente per i colori analoghi ma differente per la presenza di pseudo lamelle ben definite e gambo pieno.

Riteniamo opportuno concludere questa nostra “Riflessione Micologica” senza addentraci ulteriormente nel complesso delle numerose altre specie, varietà e forme appartenenti ai generi Cantharellus e Craterellus, rinviando il lettore che volesse approfondire le proprie conoscenze a testi specifici e… ricordate: non consumate funghi senza avere prima consultato un micologo professionista al fine di acquisire il parere e la certificazione di commestibilità.

Foto:

Angelo Miceli – Franco Mondello – Emilio Pini

Bibliografia essenziale:

• Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna 

• Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. I (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, – Trento 

Phaeolus schweinitzii (Fr.) Patouillard

Il “tam tam” dei nostri giorni che, grazie ai moderni SmathPhone ed a WhatsApp, ha sostituito gli ormai arcaici sistemi di comunicazione adottati, in tempi assai lontani, dagli antichi pellerossa, ha diffuso, via etere, proprio ieri sera, la notizia della presenza, nel territorio dei Monti Peloritani, in località Musolino, di due bellissimi esemplari fungini appartenenti all’Ordine Polyporales. La bellezza della specie, soprattutto per il particolare colore giallo zolfo del cappello (come apprezzabile dalle foto diffuse) che, purtroppo, è tale solo negli esemplari giovanissimi, tendendo, gli stessi, a scurire a maturazione, è stata sufficiente a fare scattare la molla della nostra “curiosità fungina” ed a spingerci, dopo avere acquisito indicazioni in merito al loro esatto posizionamento, oggi (18 settembre 2016), di buon mattino, alla ricerca del protagonista della nostra nuova “Riflessione Micologica”.

Le precise indicazioni ricevute ci conducono, con facilità, sul luogo del reperimento ove ritroviamo i basidiocarpi che, seguendo il normale ciclo del loro sviluppo, anche in considerazione delle attuali, calde, condizioni climatiche che ne hanno favorito la maturazione, hanno già perso, purtroppo, il caratteristico, iniziale, colore giallo del cappello che si presenta già in parte annerito, consentendo, in ogni caso, unitamente ad altri elementi morfologici, di determinare con facilità la specie di appartenenza: Phaeolus schweinitzii

Si tratta di specie poco comune che viene posizionata, nella sistematica micologica, nella Classe Basidiomycetes, Ordine Polyporales, Famiglia Fomitopsidaceae, Genere Phaeolus.

Nel genere trovano posto basidiomi muniti di cappello generalmente flabellifome (a forma di ventaglio), con gambo poco evidente, ed imenoforo (parte del fungo posizionato nella zona inferiore del cappello, costituito, ad esempio, da tubuli, lamelle, aculei…), a tubuli e pori che si presentano, questi ultimi, in forma arrotondato angolosa, poco regolare. Crescono e si riproducono da parassiti e/o saprofiti, su culture arboree di aghifoglie.

Phaeolus schweinitzii (Fr.) Patouillard (1900)

Si presenta con forma molto irregolare, generalmente monopileato (formato da un solo cappello) ma, a volte, pluripileato (formato da più cappelli) presentando, in tal caso, cappelli tra di loro concrescenti o sovrapposti che, in caso di crescita laterale, assumono forma semicircolare. E’ un fungo che vive e si riproduce in forma parassitaria su conifere, continuando a vivere da saprofita, dopo la morte dell’albero ospite, sulla ceppaia dello stesso. Per la sua predisposizione ad unirsi alle radici dell’albero, spunta dal terreno creando, a prima vista, l’impressione errata che si tratti di un fungo terricolo.

Cappello: di medie-grandi dimensioni, può raggiungere anche i 30 cm. di diametro ed uno spessore di 4-6 cm. con forma appianata o leggermente depressa, con orlo irregolarmente lobato (quando si presenta ondulato con anse o lobi più o meno profondi) La superficie è corrugata, irsuta, gibbosa ricoperta da tomentosità (peluria) più o meno accentuata. A volte pluripileato (formato da più cappelli sovrapposti). Di un bel colore giallo zolfo da giovane, con l’età si scurisce verso il centro divenendo bruno-arancio, bruno-ruggine; invecchiando scurisce totalmente fino a raggiungere tonalità nerastre. Ad essiccazione naturale, diviene leggero e legnoso.

Imenoforo: costituito da tubuli corti, che si prolungano, in maniera decorrente, sul gambo, di colore inizialmente giallastro, tendente, a maturazione, al giallo-verde, poi al bruno-nerastro. Pori irregolari ed angolosi, labirintiforme, annerenti al tocco.

Gambo: corto e tozzo, irregolare, rugoso, in posizione centrale o spostato lateralmente, a volte assente.

Carne: fibrosa, tenera, molle, spugnosa, imbevuta di acqua a tempo piovoso; fragile, leggera, secca a tempo asciutto. Di colore bruno-ruggine. Sapore amarognolo.

Habitat: cresce, dall’estate all’autunno, sulle radici di aghifoglie, inizialmente da parassita e, dopo la morte dell’albero ospite, da saprofita. Agente di carie bruna. Poco comune.

Commestibilità: NON commestibile.

Etimologia: con espresso riferimento al micologo americano, figlio di genitori tedeschi, Levis David von Schweinitz (1780 -1834)

Sinonimi:

  • Polyporus schweinitzii Fr. (1821)
  • Polystictus schweinitzii (Fr.) P. Karst (1879)
  • Cladomeris schweinitzii (Fr.) Quel. (1886)
  • Inodermus schweinitzii (Fr.) Quel. (1888)
  • Hapalopilus schweinitzii (Fr.) Donk (1933)
  • Coltricia schweinitzii (Fr.) G. Gunn (1948)

Ritrovamenti recenti: in data 17 settembre 2016, in Località Musolino, Colli Peloritani – Messina, a circa 400-450 mt. s.l.m. su radici marcescenti di Pino domestico (Pinus pinea) – Ritrovatore: Santino Bonaccorso (Centro di Cultura Micologica – Messina). Numero 2 esemplari pluripileati dal diametro di circa 15 cm., caratterizzati, data la  fase di crescita non ancora avanzata, da un bel colore giallo zolfo.

Foto: Santino Bonaccorso – Angelo Miceli

Bibliografia essenziale:

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara

Riferimenti Siti Web:

Volvariella bombycina (Schaeff.) Singer

Abbiamo sempre sostenuto, nel corso di numerosi incontri di natura micologica ai quali siamo soliti partecipare, che i Funghi, facendo espresso riferimento limitato alla molteplicità delle forme e delle meravigliose sfumature cromatiche che li caratterizzano, nulla hanno da invidiare alla bellezza morfo-cromatica dei fiori ai quali, riteniamo, possano essere benissimo paragonati senza minimamente sfigurare.

In questa nostra nuova “Riflessione Micologica”, intendiamo parlare di un macromicete poco comune, volendo evitare l’utilizzo del termine “raro”, che riteniamo, per rimanere in linea con quanto sopra asserito, possa essere considerato, con riferimento alla sua forma ed ai suoi delicati colori, sicuramente una delle specie più belle e rappresentative del vasto regno dei funghi che, comportandosi da saprofita, è solito fare la propria apparizione nei boschi fin dall’inizio dell’estate protraendola fino ad autunno inoltrato: Volvariella bombycina.

Nella sistematica fungina trova opportuna collocazione nel Genere Volvariella, Famiglia Pluteaceae, Ordine Agaricales, Classe Basidiomycetes.

Volvariella bombycina
Volvariella bombycina
(Foto: F. Mondello)

Al Genere Volvariella, la cui denominazione è legata al botanico-micologo Carlo Luigi Spegazzini ((Bairo, 20 aprile 1858 – La Plata, 1 luglio 1926, è stato un botanico e micologo di origine italiana naturalizzato argentino), appartengono funghi eterogenei (quando cappello e gambo, formati da cellule con struttura molecolare differente, sono separabili con facilità), muniti di velo generale e, quindi, di volva; caratteristica questa che conferisce al genere la propria denominazione. Il cappello, a seconda delle varie specie, si presenta asciutto o più o meno viscido, liscio o con fibrille o ricoperto da tomentosità (peluria) più o meno consistente ed apprezzabile. Le lamelle sono generalmente fitte e libere (quando si fermano prima di arrivare al gambo con il quale non hanno alcun contatto), di colore carnicino-rosato.   Il gambo cilindrico con, a volte, una base bulbosa, liscio o pruinoso o con striature più o meno evidenti, sempre senza anello. La volva si presenta membranosa, intera o, in alcune specie, lobata, bianca o colorata. Le varie specie, in considerazione del colore rosato delle spore, fanno parte del gruppo dei funghi rodosporei. Prediligono crescere e nutrirsi da saprofiti su detriti vegetali o su zone morte di alberi ancora in vita o in decomposizione; a volte si presentano in associazione, sempre in forma saprofitica, con specie fungine come, ad esempio, Volvariella surrecta che predilige la crescita su vecchi basidiomi di Clitocybe nebularis.

Il recente ritrovamento (9 luglio 2016) di un esemplare del “Nostro Protagonista”, ci fornisce l’opportunità e l’incipit di presentarlo su queste pagine:

Volvariella bombycina (Schaeff.) Singer (1951)

Volvariella bombycina
Volvariella bombycina
(Foto:Federico Stella)

Cappello: di medie-grandi dimensioni, può raggiungere un diametro di 15-20 cm., inizialmente ovoidale, tende, verso la maturazione ad assumere una forma prima conico-campanulata, poi appianato-convessa, con presenza, a volte, di largo umbone. La superficie è ricoperta da fitta tomentosità, sericea, di colore bianco-argenteo che eccede il margine; a volte sono presenti lembi residuali del velo generale.

Imenoforo: (parte inferiore del cappello ove trovano ubicazione gli elementi fertili utili alla riproduzione: le spore) costituito da lamelle fitte, libere al gambo, intervallate da lamellule, inizialmente biancastre, poi, verso la maturazione, rosa-carnicino, ed ancora rosa-salmone.

Volvariella bombycina
Volvariella bombycina
(Foto:Federico Stella)

Gambo: cilindrico, robusto, assottigliato all’apice, con base allargata e spesso bulbosa; di colore bianco tendente ad imbrunire a maturazione. Privo di anello. Spesso, considerato che trattasi di funghi lignicoli con crescita su tronchi d’albero, al fine di consentire il posizionamento in orizzontale del cappello, si sviluppa con andamento curviforme.

Volva: ampia, membranosa, inguainante, alta, lobata, di colore inizialmente biancastro poi ocra-brunastro o giallo-bruno, maculata con chiazze più scure del colore di fondo.

Habitat: poco comune, specie da salvaguardare per la rarità. Cresce da saprofita su parti morte di latifoglie o su tronchi in decomposizione. Cresce dall’estate al tardo autunno.

Commestibilità: commestibile dopo adeguata cottura. Riteniamo opportuno considerala come specie da salvaguardare visto la sua rarità e quindi da non consumare.

Etimologia: dal latino bombix = baco da seta, per la presenza delle ornamentazioni setacee sul cappello. Volvariella con espresso riferimento alla presenza di volva.

Sinonimi:

  • Agaricus bombycinus Schaffer. (1762)
  • Volvaria bombycina (Schaeff.) P. Kumm (1871)

Ritrovamenti recenti:

  • Autunno 2015 – Monti Peloritani – Messina – località Musolino a circa 400 mt. s.l.m. – Ritrovamento effettuato da Angelo Miceli e dal micologo Franco Mondello (Centro di Cultura Micologica – Messina)
  • Estate 2016 (9 luglio) – Monti Peloritani – Messina – località Foresta Vecchia Camaro a circa 250 mt. s.l.m., in un incavo situato alla base di un tronco in decomposizione di pioppo quasi completamente ricoperto da edera.  Ritrovamento effettuato da Federico Stella (Centro di Cultura Micologica – Messina)

Note: i ritrovatori, in entrambe le occasioni, hanno ritenuto opportuno, in considerazione della rarità della specie e della particolare bellezza e fragilità del carpoforo, limitarsi all’esame contemplativo effettuando rilievi fotografici lasciandolo nel proprio habitat a concludere il suo ciclo vitale. In merito al ritrovamento del 2015 si è posizionato, bene in vista, un cartellino indicante la denominazione del carpoforo e l’invito a non distruggerlo e a non raccoglierlo. Sulla scia dell’esempio dei ritrovatori, invitiamo quanti dovessero incontrarlo nei boschi ad emularne il comportamento. Ricordiamo: la natura ci ama… ricambiamola con lo stesso amore.

Foto: Angelo Miceli – Franco Mondello – Federico Stella

Bibliografia:

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Mondello Franco, 2015: Volvariella bombycina. www.micologiamessinese.it/

Riferimenti siti web:

Pulchroboletus roseoalbidus (Alessio & Littini) Gelardi, Vizzini & Simonini

Abbiamo più volte ripetuto, nel contesto delle nostre “Riflessioni Micologiche”, come “l’Andar per Funghi”, nelle diverse stagioni dell’anno, anche quando la produzione fungina è scarsa o, come al momento (giugno 2016), in Sicilia e nelle zone nostrane del messinese, completamente assente, possa essere spesso motivo di svago, dedicandosi ad attività di natura complementare, come, ad esempio, la raccolta di origano, e, al contempo, possa offrire piacevoli sorprese come nell’imbattersi in specie fungine piuttosto rare e poco conosciute.

Pulchroboletus roseoalbidus
Pulchroboletus roseoalbidus
(Foto: F. Mondello)

Proprio questa sera (29 giugno 2016), durante il settimanale incontro dei soci del “Centro di Cultura Micologica”, mentre si stava illustrando, con l’ausilio di diapositive, le specie appartenenti alla Famiglia delle Boletaceae, uno dei più assidui frequentatori, al rientro da una “battuta ad origano”, ha portato, al fine di averne una corretta determinazione, alcuni esemplari di giovani carpofori che, stante alle caratteristiche peculiari, nonostante si tratti di specie piuttosto rara e poco segnalata in letteratura, grazie alla pluriennale esperienza ed alla comprovata capacità professionale dei micologi presenti, vengono immediatamente determinati  quali Pulchroboletus roseoalbus.

Il fatto, carica la molla della nostra curiosità e, al fine di soddisfare il nostro sempre crescente interesse per il “Mondo dei Funghi”, ci spinge ad approfondire l’argomento.

L’esame generale dei carpofori, limitato alla sola osservazione delle caratteristiche morfo cromatiche esterne, in particolare il colore del cappello bianco-rosato, comune a diverse specie, lasciano facilmente dedurre una notevole similarità con altre boletaceae quali Xerocomus armeniacus, Xerocomus persicolor e Xerocomus rubellus, tutte appartenenti al Genere Xerocomus nel quale il “Nostro Protagonista”, a seguito del suo primo ritrovamento veniva inserito per essere spostato, successivamente, prima nel Genere Boletus e poi nel Genere Pulchroboletus.

Pulchroboletus roseoalbidus
Pulchroboletus roseoalbidus
(Foto: F. Mondello)

Si tratta di una specie piuttosto rara e poco descritta in letteratura della quale sono segnalati pochi ritrovamenti: il primo nel 1986 in Gallura (Sardegna) ad opera di Giuseppe Littini con successiva descrizione, nel 1987, da parte dello stesso e di Carlo Luciano Alessio; in tale occasione gli veniva attribuita la denominazione di Xerocomus roseoalbidus (Cfr. R. Galli – 2013), ed inserita, appunto, nel Genere Xerocomus. Successivamente, a seguito recenti studi di natura morfologica ed in conseguenza di appurate correlazioni filogenetiche, condotti dai micologi Gelardi, Simonini e Vizzini, è stata riposizionata, nell’anno 2014, nel Genere Pulchroboletus, appositamente creato per ospitare la nuova specie che, tra l’altro, al momento attuale, è l’unica a farne parte. La sua posizione sistematica, in senso ascendente, la vuole inserita nella Famiglia Boletaceae, Ordine Boletales, Classe Basidiomycetes.

Fatta questa breve parentesi, necessaria a meglio comprendere l’evoluzione sistematica della specie, ci occupiamo, ora, del protagonista della nostra “Riflessione Micologica”:

Pulchroboletus roseoalbidus (Alessio & Littini) Gelardi, Vizzini & Simonini (2014)

si tratta di un piccolo macromicete che vive, in simbiosi ectomicorrizica, in boschi di latifoglie, tipicamente querce (Quercus cerris, Q. pubescens, Q. suber) o castagni (Castanea sativa) si caratterizza e si distingue dalle specie morfocromatiche similari (Xerocomus armeniacus, Xerocomus persicolor, Xerocomus rubellus), per il caratteristico colore rosa chiaro della carne nella zona sotto cuticolare e sopra imeniale. 

Cappello: di piccole-medie dimensioni, inizialmente emisferico, poi convesso-appianato con piccola depressione imbutiforme centrale; margine leggermente involuto con andamento irregolarmente sinuoso. Cuticola asciutta, rosata con zone biancastre, tendenti al crema-rosato.

Imenoforo: costituito da tubuli lunghi che si poggiano sul gambo in maniera adnata fino a leggermente decorrente, si presenta con colori tipicamente giallastri tendenti al giallo-verdastro. I pori, inizialmente piccoli, si allargano, con il progredire della maturità, assumendo un aspetto angoloso; di colore inizialmente giallo tendono, poi, al giallo-verdastro; alla digito pressione virano leggermente al blù-nerastro.

Gambo: tozzo, cilindrico, sinuoso, allargato all’apice, fusiforme alla base, pieno, duro alla digito pressione, fibrilloso e coriaceo, leggermente costolato nella zona superiore e punteggiato-pruinoso in quella mediana ed inferiore; spesso attaccato con il gambo di carpofori vicini. Prevalentemente di colore giallastro con toni rosso-brunastri alla base, blù-nerastri al tocco.

Pulchroboletus roseoalbidus (Foto: A. Miceli)
Pulchroboletus roseoalbidus
(Foto: A. Miceli)

Carne: inizialmente soda e compatta, poi, verso la maturazione, molle, crema-giallognola con toni rosati nella zona immediatamente sottostante la cuticola e in quella soprastante i tubuli; giallo-crema nel gambo con viraggio irregolare verso il grigio-bluastro.

Habitat: cresce, tipicamente, in simbiosi con latifoglie, specialmente querce (Quercus cerris, Q. pubescens, Q. suber) o castagni (Castanea sativa) si presenta singolo o cespitoso, unito per la base con quella di altri carpofori. Molto raro, pochi sono i ritrovamenti segnalati e limitati ad alcune regioni d’Italia.

Commestibilità: data la rarità della specie e le sparute descrizioni in letteratura, riteniamo debba essere considerata ignota.

Etimologia: dal latino roseus = roseo e albus = bianco – bianco rosato con espresso riferimento ai colori del cappello

Pulchroboletus roseoalbidus (Foto: A. Miceli)
Pulchroboletus roseoalbidus
(Foto: A. Miceli)

Sinonimi: Xerocomus roseoalbidus (Alessio & Littini (1987); Boletus Roseoalbidus (Alessio & Littini) G. Moreno & Heykoop (1995)

Ritrovamenti recenti: in data 27 giugno 2016 da parte del Sig. Paolo Currò (Centro di Cultura Micologica – Messina) in bosco di querce nei pressi di “Forte Campone” – Monti Peloritani – in località Musolino a circa 450-500 mt. s. l. m.

Descrizione della raccolta: n. 7 esemplari di piccole dimensioni: 4 allo stadio primordiale concresciuti tra di loro; 3 di dimensioni maggiori, 2- 4 cm., 2 dei quali, come per i precedenti, attaccati per il gambo ed il terzo, di dimensioni pressoché uguali, cresciuto singolarmente.  Tutti in fase già iniziata di disidratazione, motivo, questo, che non ha consentito di apprezzare pienamente il viraggio della carne al taglio che si è manifestato solo in maniera lieve e con maggiore concentrazione alla base del gambo.

Note: l’osservazione de visu ha evidenziato i seguenti particolari:

  • caratteristica bitonalità cromatica della carne del cappello che si presenta, al taglio, giallognola nella zona centrale con tonalità rosate nella parte sotto cuticolare e sopra imeniale. Tali colori sono nettamente contrastanti con i colori del gambo che, al taglio, da inizialmente giallognolo, vira con rapidità verso il grigio-azzurro.
  • tipicità della crescita connata tra i gambi dei vari esemplari rilevata nella quasi totalità degli esemplari esaminati.

Altri ritrovamenti: sempre nel territorio montano-forestale della provincia di Messina:  Monti Nebrodi, nel territorio di Castell’Umberto (ME) ed ancora Monti Peloritani – Messina (Cfr. F. Mondello – www.micologiamessinese.it)

Ritrovamenti successivi: 17 agosto 2016 – Bosco di San Leone – Monti Peloritani – Messina – Comune di Rometta superiore – bosco di querce a circa 700 mt. s.l.m., da parte di Angelo Miceli (Centro di Cultura Micologica – Messina)

Foto:

  • Franco Mondello – Angelo Miceli

Bibliografia essenziale:

  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar – 2000, Funghi Boleti. Calderini edagricole, Bologna
  • Galli Roberto – 2013: I Boleti. IV Edizione – Micologica, Pomezia

Riferimenti siti web:

Pleurotus opuntiae (Durieu & Lévillé) Saccardo

La nostra bella isola di Sicilia, ricoperta da boschi e circondata dal mare, offre, per i numerosi appassionati di micologia, grazie alla varietà delle essenze arboree ed arbustive che ne ricoprono tanto il territorio collinare e montano quanto quello che si estende in prossimità del litorale marittimo, tantissimi spunti per avvicinarsi allo studio di specie fungine di difficile ritrovamento che, grazie alle loro diverse forme nutrizionali, si legano alla vegetazione dell’isola.

Pleurotus opuntiae
Pleurotus opuntiae

In questa nostra nuova “Riflessione Micologica”, prendendo spunto da un recente ritrovamento effettuato dal micologo messinese Franco Mondello, intendiamo occuparci di una specie di difficile reperimento, legata in rapporto di saprofitismo con una pianta con crescita tipica sul territorio siciliano nota come “Ficodindia” e dal cui nome scientifico: “Opuntia ficus-indica” deriva la denominazione del macromicete di cui intendiamo occuparci: Pleurotus opuntiae.

Nella sistematica micologica trova posto nel Genere Pleurotus, Famiglia Pleurotaceae, Ordine Agaricales, Classe Basidiomycetes.

Al genere appartengono funghi dal portamento “pleurotoide”, ovvero caratterizzati da cappello con depressione centrale tendente all’imbutiforme, da lamelle lungamente decorrenti, gambo laterale o eccentrico e crescita spesso cespitosa.

Sono funghi carnosi ed omogenei, con cappello asciutto, lamelle bianche, gambo eccentrico, laterale, mai centrale. Appartengono, per la colorazione delle spore bianco-biancastro-crema, al gruppo dei funghi leucosporei.

Si tratta di specie tipicamente saprofite, privilegiando la loro crescita  sulle parti morte di varie essenze arboree o su residui marcescenti di Ombrellifere (vasta e caratteristica famiglia di piante Dicotiledoni con fiori  disposti in ombrelle semplici o più spesso composte che prende il nome dalla forma dell’infiorescenza); – o, come nel caso specifico, con Cactaceae – con crescita singola o, come per alcune specie, in forma fascicolato-connata (quando si presentano, fin dalla nascita, uniti tra di loro alla base del gambo come a formare un unico cespo).

Al Genere appartengono specie di buona qualità ed apprezzate in cucina; alcune di queste, come ad esempio. Pleurotus eryngii e Pleurotus ostreatus, si prestano alla coltivazione in serra occupando il terzo posto, per quantità prodotte, a livello mondiale, dopo Agaricus bisporus e Lentinula edodes.

  • Pleurotus opuntiae (Durieu & Lévillé) Saccardo

Cappello: nelle varie fasi di accrescimento si presenta inizialmente leggermente convesso per appianarsi in una fase successiva, assumendo, a maturità, una forma concava. Nell’aspetto generale si manifesta conchiforme (a forma di conchiglia), o flabelliforme (a forma di ventaglio), con orlo involuto negli esemplari giovani, lobato in quelli maturi. Superficie inizialmente di colore bianco-candido, con tendenza a scurirsi verso la maturità assumendo colorazioni crema-biancastro o grigio-giallastro; si presenta opaca, leggermente corrugata e tomentosa (ricoperta da peluria fitta e fine, al tatto simile a velluto), decorata da piccole squame distribuite irregolarmente, concolori o fulvastre, poco evidenti.

Lamelle: sottili, strette, tipicamente decorrenti (quando si prolungano sul gambo più o meno lungamente), intervallate da lamellule (struttura lamellare incompleta che si interpone tra le lamelle, interrompendosi prima di raggiungere il gambo), anostomosate (unite da nervature trasversali) in prossimità del gambo. Inizialmente di colore bianco tendenti al biancastro-crema verso la maturazione del carpoforo. Orlo prima intero, poi leggermente ondulato.

Gambo: assente o appena accennato, in posizione eccentrico-laterale, cilindrico, pieno, tenace, fibroso, tomentoso, con feltro miceliare bianco alla base.

Carne: tenera nella fase iniziale di crescita, poi fibrosa, tenace. Colore bianco, sapore gradevole.

Habitat: dalla primavera all’estate, raramente anche in autunno, in forma singola o cespitosa. Si associa, come saprofita, ad Opuntia ficus-indica (ficodindia) trovando habitat ideale sui tronchi o sui cladodi (pale: parti del fusto del ficodindia di forma appiattita che, unite tra di loro, formano delle ramificazioni) morti della pianta. In letteratura sono segnalati ritrovamenti associati anche a Yucca, Agave, Dracena e Cactaceae varie.

Commestibilità: Commestibile da giovane, coriaceo e poco gustoso a maturazione.

“buono e delicato a mangiarsi senza pericolo di veneficio raccolto allo stato giovane, mentre divenuto adulto, acquistando proprietà coriacea, prestasi male alla cottura e perde il gusto che gli è proprio” (G. Inzenza – 1865)

Sinonimi:  Agaricus opuntiae Durieu & Lév., (1850); Dendrosarcus opuntiae (Durieu & Lév.) Kuntze, (1898); Panellus opuntiae (Durieu & Lév.) Z.S. Bi, (1987); Pleurotus ostreatus subsp. opuntiae (Durieu & Lév.) A. Ortega & Vizoso, (1992)

Nomi dialettali: funcia di ficudinnia (Sicilia).

Ritrovamenti recenti: primavera 2015 – Santa Maria di Salina (Isole Eolie – Messina) su resti secchi di Opuntia ficus-indica, ad opera del micologo messinese Franco Mondello.

Curiosità: Opuntia ficus-indica (L.) Mill. (1768), comunemente nota come ficodindia, appartiene alla Famiglia delle Cactaceae, è una pianta succulenta, arborescente, originaria del Messico. Fu importata in Europa dagli esploratori della spedizione di Cristoforo Colombo. Si è particolarmente diffusa in Sicilia dove viene coltivata in maniera intensiva ed è considerata un elemento caratteristico e decorativo del paesaggio.

Foto: archivio mico-fotografico del micologo Franco Mondello

Bibliografia essenziale:

  • Anastase Alfio, La Rocca Salvatore – 1997: Il fungo più “spinoso” di Don Giacomo Bresadola: Pleurotus opuntiae. Bollettino del Gruppo Micologico G. Bresadola – Trento anno XL n. 2-3: 23-38, Trento
  •  Boccardo Fabrizio, Mido Traverso, Vizzini Alnfredo, Mirca Zotti – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bresadola Giacomo – 1981: Iconographia Mycologica. Voll. I – III (Ristampa Museo Tridentino di Scienze Naturali Comitato Onoranze Bresadoliane a cura di Massimo Candusso) Mediolani, Trento
  • Cetto Bruno – 1989: I funghi dal vero. Vol. 6. Arti Grafiche Saturnia, Trento
  • Inzenga Giuseppe – 1865: Funghi Siciliani. Centuria prima. Stabilimento Tipografico di Francesco Lao, Palermo
  • Mondello Francesco – 2015: Pleurotus opuntiae. Estratto da “MicologiaMessinese” (www.micologiamessinese.it)
  • Siquier Jose, Costantino Carlos –1997: Dos especies interesantes de la flora micòlogica de las Islas Baleares (Espana). Bollettino del Gruppo Micologico G. Bresadola – Trento – anno XL.n. 2-3: 441-446, Trento

Riferimenti siti web:

 

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Per approfondire le vostre conoscenze micologiche

frequentate la nostra Associazione:

“Centro di Cultura Micologica”

presso Dopolavoro Ferroviario Via Reggio Calabria Is. 11 Quater – Messina

incontri settimanali mercoledì ore 17,00 – 19,00 con esercitazioni pratiche sul riconoscimento dei funghi dal vero

Info: Enzo Visalli 368676063 Franco Mondello 3282489544 – Angelo Miceli 3286955460

www.micologiamessinese.it/

Laetiporus sulphureus (Bull.) Murrill

E’ una delle numerose “meraviglie della natura” che con i suoi bellissimi ed intensi colori si affaccia dai tronchi di diverse essenze arboree facendo la sua comparsa nei boschi dalla tarda primavera fino ad autunno inoltrato.

E’ un fungo inizialmente parassita che continua il suo ciclo vitale da saprofita sui residui marcescenti dell’albero ospite. Nella sistematica micologica trova posto nel
Genere Laetiporus, Famiglia Polyporaceae, Ordine Polyporales, Classe Basidiomycetes, viene inserito, per la particolare caratteristica dell’imenoforo, nel gruppo informale dei Polipori.

Laetiporus sulphureus

Si tratta di un fungo esclusivamente lignicolo che, in alcune zone di crescita (Sicilia, Basilicata, Puglia, Sardegna) trova ideale associazione con alberi di Carrubo (Ceratonia siliqua), fruttificando anche su altre essenze arboree di latifoglie (castagno, eucaliptus), facendosi facilmente notare ed ammirare per i suoi meravigliosi colori giallo-aranciati che, stante al parere dei popoli anglosassoni, ricordano la cresta di un pollo tanto da attribuirgli la denominazione volgare di “Chicken of the woods” ovvero, letteralmente tradotto, “Gallina dei boschi”. 

Al gruppo dei Polipori appartengono funghi caratterizzati dalla presenza nella parte inferiore del cappello (imenoforo), di numerosi tubuli corti e difficilmente staccabili dalla carne sovrastante, che terminano con un piccolo poro a forma generalmente arrotondata ma anche irregolare o più o meno allungata, dal quale fuoriescono, a maturazione, le spore. 

Laetiporus sulphureus (Bull.) Murrill

Cappello: flabelliforme (a forma di ventaglio), costituito da numerose mensole sovrapposte di forma irregolare che, di dimensioni variabili, possono raggiungere anche i 30-40 cm. di larghezza; si presentano spesse, assottigliate al margine, ondulate e solcate, con orlo regolare e, a volte, involuto (quando si presenta rivolto verso il basso). La pagina superiore è ricoperta da fine pruina che gli conferisce un aspetto vellutato. E’ caratterizzato da un bel colore giallo-uovo, giallo-zolfo, molto intenso che tende a schiarire verso la maturazione

Imenoforo: (parte inferiore del cappello che ospita l’imenio: zona fertile del fungo ove si trovano gli elementi utili alla riproduzione: le spore) caratteristicamente formato da tubuli corti non staccabili dal cappello, di colore giallo zolfo, terminanti con piccoli pori arrotondati di colore variabile dal bianco-giallino al giallo zolfo; secernenti, a volte, piccole goccioline acquose di colore giallo.

Gambo: generalmente assente (sessile) o con un abbozzo laterale utile a tenere insieme le varie mensole di cui il carpoforo è formato.

Carne: di colore giallo pallido, tenera e compatta da giovane, dura, tenace e legnosa a maturazione; fragile e leggera negli esemplari essiccati. Odore gradevole solo negli esemplari giovani.

Habitat: si associa da parassita-saprofita con preferenza verso essenze arboree di latifoglie (castagno, eucalipto, carrubo) ma anche di aghifoglie (larice), anche se raramente, fruttificando tra la tarda primavera e l’autunno inoltrato. Predilige posizionarsi nelle zone alte dell’albero ospite.

Commestibilità: Non commestibile – Tossico da crudo (1).

Etimologia: dal latino sulphureus= sulfureo con riferimento al colore dell’imenio che ricorda quello dello zolfo.

Nomi volgari: Gallina dei boschi, Roscella, Gallinaccio

Nomi dialettali: Funcia di carrubo, tipicamente in uso in Sicilia nelle zone del ragusano; Paglianucca, tipico delle località Campane; Lisca a tonnu, denominazione in uso nel Cosentino; Pinnella gialla, utilizzato in alcune zone della Sila

Nella millenaria tradizione dei popoli orientali, così come avviene per numerosi altri Polipori (vedi, ad esempio, Ganoderma lucidum – “I sapori del mio sud” – Anno XII n. 129 aprile 2016) gli vengono attribuite proprietà terapeutiche. In particolare, a seguito di recenti studi, ancora in fase di approfondimento, si ritiene che abbia proprietà antibiotiche ed antitumorali.

 Nonostante sia considerato NON COMMESTIBILE da numerosi testi di micologia, Laetiporus sulphureus viene regolarmente consumato in alcune regioni del meridione d’Italia ed in altre parti del mondo, In particolare, nelle zone del ragusano, in Sicilia, viene regolarmente utilizzato conservandone sott’olio gli orli dei cappelli di esemplari giovani, o consumato fritto in pastella o utilizzato nella preparazione di risotti. Diviene protagonista incontrastato di alcune sagre paesane dove è molto ricercato e commercializzato a prezzi che, in maniera sovente, superano i 50 euro al chilo.

Viene regolarmente certificato, dai micologi responsabili del servizio    riconoscimento funghi, come commestibile e non sono mai stati segnalati episodi di intossicazione.

E’ inserito nella lista dei funghi commestibili della Regione Calabria (Legge Regionale Calabria 31 marzo 2009 n.  9).

E’ opportuno, in ogni caso, per eventuale utilizzo utilizzo in cucina, che venga consumato  dopo regolare cottura e mai da crudo in quanto risulterebbe tossico per la presenza di lectina ed emolisina, sostanze che possono essere rese inattive dopo bollitura.

A conclusione della nostra “Riflessione Micologica”, indipendentemente dalla commestibilità o meno del “Nostro Protagonista”, intendiamo sottolineare che è opportuno, che un fungo di tale bellezza venga rispettato lasciandolo nei boschi a completare il proprio ciclo vitale e ad essere ammirato da quanti hanno la fortuna di incontrarlo evitando di farlo finire in padella.

Foto:

  • Angelo Miceli –  Franco Mondello

Bibliografia essenziale:

  • Balestreri Stefano – 2016: Laetiporus sulphureus. Estratto da “Appunti di Micologia” (www.appuntidimicologia.it)
  • Bernicchia Annarosa – 2005: Polypocaceae s. l.. Collana Fungi Europaei Vol. 10. Edizioni Candusso, Alassio (SV)
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento

Riferimenti siti web:

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frequentate la nostra Associazione:

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presso Dopolavoro Ferroviario Via Reggio Calabria Is. Quater – Messina
incontri settimanali mercoledì ore 17,00 – 19,00 con esercitazioni pratiche sul riconoscimento dei funghi dal vero

Info: Enzo Visalli 368676063 Franco Mondello 3282489544 – Angelo Miceli 3286955460
http://www.micologiamessinese.altervista.org

 

Langermannia gigantea (Batsch) Rostk

“Accade spesso specie durante incontri di natura conviviale, che uno o più dei presenti, a conoscenza della mia ormai ben nota passione per lo studio dei funghi, mi rivolga qualche domanda, al fine di chiarire le proprie idee e conoscenze o anche per semplice curiosità, su questo meraviglioso mondo che da sempre ha destato l’interesse e la curiosità umana. E fu così che ieri l’altro (5 settembre 2015), sulla spiaggia di Rometta marea, ridente cittadina turistica affacciata sul litorale tirrenico della provincia di Messina, durante un incontro serale con numerosi amici per godere, attorno ad un fumante barbecue, della brezza marina serale in riva al mare a conclusione delle vacanze estive, uno dei presenti, appassionato di trekking, mi ha mostrato, sul proprio smart phone, la foto di un bellissimo esemplare fungino nel quale si era imbattuto durante una delle sue passeggiate naturalistiche, chiedendomi delucidazioni in merito alla sua denominazione e fornendomi, al contempo, lo spunto per questa ulteriore “Riflessione Micologica”.

Langermannia gigantea (Batsch) Rostk. = Calvatia gigantea (Batsch) Lloyd

Con la denominazione originaria di Lycoperdon giganteum, sostituita nel tempo con Langermannia gigantea e, ancora, con la più recente ed attuale denominazione di Calvatia gigantea, si è soliti fare riferimento ad un fungo facilmente identificabile stante le sue peculiari caratteristiche morfologiche e le notevoli dimensioni che generalmente raggiunge. Si posiziona, nella sistematica fungina, nel Genere Langermannia, Famiglia Lycoperdaceae, Ordine Lycoperdales, Classe Basidiomycetes; viene inserito nel Gruppo Informale dei Gasteromiceti (gruppo al quale appartengono funghi con forma globosa al cui interno si formano gli elementi riproduttivi: le spore). Ha dimensioni notevoli che si spingono fino ad un diametro di 50-70 cm, raggiungendo, per gli esemplari più grandi, un peso che può arrivare fino ai 20-25 chilogrammi. Si presenta globoso, privo di cappello e gambo.

Esoperidio (parte esterna che avvolge il fungo – vedi appresso) leggermente feltrato, di colore biancastro con tendenza a screpolarsi ed a scurire a maturazione.

Gleba (parte interna del fungo – vedi appresso) compatta, da inizialmente bianca a giallo-olivastro, poi bruno-olivastro e pulverulenta a maturazione.

Columella (parte della gleba – vedi appresso) assente.

Fruttifica generalmente in estate-autunno, in giardini, prati e pascoli, generalmente su resti marcescenti di piante morte presentandosi, quindi, come fungo saprofita. E’ ritenuto commestibile solo se consumato da giovane, fino a quando è ben consistente e la carne soda e bianca; viene maggiormente apprezzato se tagliato a fette e cucinato a cotoletta.

Non si può dire che i funghi appartenenti a tale gruppo siano inseriti in un ordine vero e proprio, tanto che più che di “Ordine” si può meglio parlare di “Gruppo Informale” in quanto il raggruppamento è piuttosto artificioso ma, in ogni caso, basato su caratteri morfologici comuni ben riscontrati nelle varie specie fungine che ne fanno parte. Al gruppo appartengono funghi di forma globosa, almeno nella fase iniziale della loro formazione, che racchiudono al proprio interno l’imenio (parte fertile del fungo ove si formano le spore) che, quindi, non è esposto all’aria; per tale caratteristica vengono inseriti nella Sottoclasse Gastromyceditae. Per maggiore chiarezza dobbiamo dire che i funghi con imenio esposto all’aria appartengono, invece, alla Sottoclasse Hymenomycetidae.

I Gasteromiceti sono racchiusi, nella generalità delle specie ad essi appartenenti, in un involucro esterno denominato “peridio”, delimitato, all’esterno, da uno strato detto “esoperidio” ed all’interno da uno detto “endoperidio”. All’interno del peridio è racchiusa la parte fertile del fungo chiamata “gleba” ove si formano le spore, deputate alla riproduzione della specie. In alcune specie, nella parte centrale della gleba, è presente una zona sterile chiamata “columella”. La dispersione delle spore, giunte a maturazione, avviene o in maniera naturale con la rottura del peridio attraverso l’apertura di uno o più pori apicali o in maniera meccanica con la rottura del peridio, che rimane permanentemente chiuso, per azioni esterne. In considerazione di ciò la dispersione delle spore avviene in maniera diversa a seconda della specie di appartenenza: le spore che a maturazione diventano masse pulverulente (Genere Lycoperdon, Calvatia, Langermannia, Bovista…) vengono disperse e diffuse dal vento; le spore che sono immerse in una gleba gelatinosa e maleodorante (Genere Phallus, Mutinus, Clathrus…) si disperdono per intervento degli insetti che attirati dal cattivo odore degli esemplari fungini fungono da veicolo di diffusione. Anche le specie ipogee (basidiomi che crescono sotto la superficie del terreno, esempio: Genere Rhizopogon) diffondono le proprie spore utilizzando, quale veicolo di diffusione, gli animali che attirati dal loro odore se ne cibano con conseguente dispersione delle spore.

I Gasteromiceti, come sopra accennato, si presentano, generalmente, in forma arrotondato-globosa e sono privi di cappello e gambo ben definiti. A questa regola fanno eccezione alcuni generi che inizialmente, nella fase primordiale della loro formazione, si presentano in forma sferica, assumendo, a maturazione, una forma generale con gambo e cappello definiti o quasi (Genere Tulostoma, Battaraea, Gyrophragmium, Phallus…).

Langermannia gigante
Langermannia gigante

Per completezza espositiva, concludendo la nostra “Riflessione Micologica”, ci piace precisare che ai Gasteromiceti appartengono le seguenti famiglie: Lycoperdaceae; Geastraceae; Sclerodermataceae; Nidulariaceae; Phallaceae; Hymenogastraceae.

Ricordiamo sempre, come ormai nelle nostre abitudini, di non consumare funghi della cui commestibilità non si è certi, richiedere sempre il giudizio di un micologo professionista accompagnato dal rilascio di certificazione mico-sanitaria.

Foto: Angelo Miceli

Bibliografia essenziale:

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia, Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampalolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia. Vol. I (seconda ristampa), A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Phillips Roger, 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara
  • Sarasini Mario, 2005: Gasteromiceti epigei. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento

Riferimenti siti Web:

www.indexfungorum.org/
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Pubblicato su “I Sapori del Mio Sud” anno XII n. 126 gennaio 2016

Ganoderma lucidum (Curtis) P. Karst

Noto ed utilizzato, ormai da millenni, nella cultura orientale dove è conosciuto come “Reishi” (Giappone) o “Ling-Zhi” (Cina), è largamente commercializzato a fini terapeutici sia di natura curativa che preventiva, attribuendogli, secondo i principi della medicina orientale, proprietà curative eccezionali tanto da identificalo come “Fungo dell’immortalità”

Molto più semplicemente la micologia moderna lo posiziona, con il nome scientifico di “Ganoderma lucidum”, nel Genere Ganoderma famiglia Ganodermataceae, Ordine Polyporales, inserendolo nel gruppo informale dei “Polipori”.

Nel gruppo vengono inserite specie fungine appartenenti a diverse famiglie: Fistulinaceae, Polyporaceae, Ganodermataceae, Bondarzewiaceae, Hymenochaetaceae,… tutte con imenoforo a tubuli, non asportabile dalla carne soprastante con la quale forma un insieme strettamente omogeneo. I basidiomi possono essere sessili (privi di gambo) o stipitati (munti di gambo), in tal caso il gambo può essere centrale, sub centrale o eccentrico.

I pori, a seconda delle varie specie, possono essere di forma regolare, arrotondata o irregolare e più o meno allungata.

Ganoderma lucidum
Ganoderma lucidum

Ganoderma lucidum (Curtis) P. Karst., protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, nelle prime fasi della formazione si presenta come una protuberanza del tronco su cui nasce, con la parte terminale di colore bianco-biancastro non presentando, ancora, caratteristiche morfologiche ben definite e, quindi, difficilmente determinabile. Successivamente, in fase di maturazione, la parte terminale bianca maturerà l’imenio a pori assumendo caratteristiche morfo cromatiche ben precise per le quali è sempre facilmente determinabile e difficilmente confondibile con altre specie:

Cappello: si presenta con forma semicircolare, reniforme (a forma di rene, di fagiolo) o flabelliforme (a forma di ventaglio), a volte assume una caratteristica forma che ricorda quella di un mestolo. Può raggiungere un diametro di 5 – 10 cm, con uno spessore che si spinge fino ai 3 cm. Ha una superficie dura, coriacea, gibbosa e zonata, lucida di aspetto laccato od anche opaco, di colore rosso, rosso porporino più o meno intenso, rosso cupo, rosso fegato, a volte con una zonatura giallastra al margine.

Imenoforo: caratterizzato da tubuli molto corti con pori piccoli, rotondi, concolori ai tubuli, viranti al brunastro alla pressione.

Gambo: posizionato lateralmente al cappello in zona molto marginale esterna, raramente eccentrico, spesso eretto verticalmente, con forma sub cilindrica ed ondulato; concolore al cappello ed ugualmente lucido.

Carne: spessa, legnosa, tenace e fibrosa, inizialmente bianca poi colore ruggine.

Habitat: cresce e si riproduce, anche se apparentemente terricolo, da saprofita, su ceppi e radici interrate di latifoglie, specialmente di Querce; fruttifica tutto l’anno ed è molto comune.

Commestibilità: NON commestibile per il sapore amaro e per la consistenza legnosa.

Tossicità: rilevamenti statistici, anche se riferiti a casi limitati, conducono a ricoveri per grave epatotossicità, conseguenti al consumo di prodotti a base di polveri estratte dal carpoforo. Il principio tossico, ancora sconosciuto, conduce all’ipotesi che la tossicità sia conseguente all’assunzione contemporanea di altre sostanze (I. Milanesi, 2105).

Ganoderma lucidum
Ganoderma lucidum

Etimologia: dal greco gános = lucentezza e dérma = pelle, con la pelle lucente e dal latino lucidus = lucido, per il suo aspetto.

In considerazione degli straordinari poteri curativi che gli vengono attribuiti dalla medicina orientale, attualmente viene coltivato in serra ed è commercializzato, con il nome di “Raishi”, in tutto il mondo. Il suo uso, nella medicina orientale, è conseguenziale ad abitudini consolidate nei secoli e comprovate da studi specifici che hanno consentito di isolare molti dei suoi componenti attivi, mentre tanti altri non risultano ancora conosciuti. Tra le popolazioni asiatiche è posizionano al primo posto tra i rimedi medici per la cura o la prevenzione di numerose patologie come acne, allergie, angina pectoris, artrite, asma, ipertensione arteriosa e tantissime altre ancora.

Il suo utilizzo, sotto forma di derivati in polvere e commercializzati in capsule o quali infusi, si va sempre più affermando anche nelle nazioni occidentali.

Senza volere entrare nel merito delle proprietà terapeutiche dei derivati del Ganoderma lucidum o di altre specie fungine, ritenendo che i funghi, in generale, presentano numerose sfaccettature e che gli elementi in essi contenuti non risultano ancora noti nella loro totalità e nei loro effetti sull’organismo umano, riteniamo opportuno consigliare precauzione nella assunzione di prodotti a base di derivati fungini al fine di evitare spiacevoli inconvenienti collegati ad effetti collaterali. Rimaniamo comunque fermamente convinti che gli studi condotti nell’ambito della micoterapia, scienza in fase progressiva di evoluzione, porteranno, in un prossimo futuro, alla scoperta di nuovi farmaci derivati dalle varie specie fungine e consentiranno di fugare, con certezze scientifiche, i dubbi che attualmente sorgono in merito all’utilizzo di derivati fungini, confermando o meno la validità dei millenari rimedi della medicina orientale.

Foto:

Franco Mondello – Angelo Miceli

Bibliografia essenziale:

  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano
  • Balestreri Stefano, 2013: Ganoderma lucidum, Estratto da “Appunti di Micologia” (www.appuntidimicologia.it)
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Cocchi Luigi, Carmine Siniscalco, 2013: Micoterapia: speranze, illusioni, realtà. Alimenti & Bevande – Anno 16 n. 6: 26 – 33,
  • Marino Rosanna, 2003: Funghi con principi medicinali (I° contributo). Bollettino del Gruppo Micologico G. Bresadola – Trento anno XLVI n. 4: 355-364, Trento
  • Milanesi Italo, 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento

Riferimenti siti web:

www.appuntidimicologia.it

www.micologiamessinese.it

Pubblicato su “I sapori del mio sud” – Anno XII n. 129 aprile 2016