Hydnum repandum L. (1753)

di Angelo Miceli & Carmelo Di Vincenzo

Comunemente conosciuto, su tutto il territorio nazionale, con la denominazione volgare di “Steccherino dorato”, con la quale si è soliti fare riferimento anche ad altre specie fungine appartenenti allo stesso genere, Hydnum repandum, specie polimorfa per la variabilità della forma, delle dimensioni e del colore [Papetti et al., 2004] a crescita ubiquitaria, indifferentemente nei boschi di latifoglie, aghifoglie o misti, risulta essere facilmente riconoscibile soprattutto per la particolare conformazione dell’imenoforo che evidenzia numerosi piccoli aculei molto serrati e per diversi altri particolari cui faremo riferimento nel corso della nostra “Riflessione Micologica”.

Genere Hydnum L. nom. sanct.

Sp. pl. 2: 1178 (1753)

Autore sanzionante: Fries, Syst. mycol. 1: 397 (1821)

Specie tipo

Hydnum repandum L. nom. sanct.

Sp. pl. 2: 1178 (1753)

Etimologia:

Hydnum dal greco ὔδνον (hýdnon) = tubero. Si ritiene che il nome sia stato attribuito arbitrariamente da Linneo senza alcun riferimento alle caratteristiche di questo genere di funghi [Acta Plantarum, 2022];

Al genere appartengono sporofori omogenei, di piccole, medie o grandi dimensioni a crescita terricola, ectomicorrizici, provvisti di cappello e gambo caratterizzati da imenoforo ad aculei detti idni che, a seconda della specie di appartenenza, si presentano con andamento più o meno decorrente sul gambo [Buda, 2011]. Vengono inseriti, per la particolare conformazione dell’imenoforo, nel gruppo informale dei “funghi idnoidi”, chiaramente polifiletico in quanto la specifica conformazione imeniale, caratterizzata dalla presenza di aculei, si è sviluppata in diverse famiglie di funghi, inserite nello stesso gruppo informale, che non risultano filogeneticamente correlate tra di loro quali, ad esempio:Thelephoraceae, Hericiaceae. Hydnaceae…. [Boccardo et al., 2008]. 

L’originario inserimento del genere nell’ordine Cantharellales Gäum., effettuato in origine sulla base della similarità di alcuni elementi microscopici, quali, ad esempio, gli “sticobasidi”,(1) con quelli di altri generi inseriti nello stesso ordine, è stato recentemente confermato da approfonditi studi di natura filogenetico-molecolare condotti da diversi studiosi in varie parti del mondo [Vizzini et al., 2013]. 

Le varie specie appartenenti al genere sono ritenute commestibili e trovano ampia diffusione territoriale su diverse aree geografiche a clima temperato, quali, ad esempio, Europa, Nord America, Asia, Australia e Nuova Zelanda [Olariaga et al., 2012].

Recenti studi di natura filogenetico-molecolare [Niskanen et al., 2018], hanno fornito elementi utili alla descrizione di nuove specie fungine e di suddividere il genere in quattro sottogeneri, tra i quali è stato mantenuto l’originario sottogenere Hydnum:

  • Hydnum sottogenere Alba Niskanen & Liimat., subgen. nov. 

Index Fungorum: IF553874 (2018)

  • Hydnum sottogenere Pallida Niskanen & Liimat., subgen. nov. 

Index Fungorum: IF553879 (2018)

  • Hydnum sottogenere Hydnum L.

Sp. pl. 2: 1178 (1753)

Il sottogenere comprende due sezioni: Hydnum e Olympica.

  • Hydnum sottogenere Rufescentia Niskanen & Liimat., subgen. nov. 

Index Fungorum: IF553889 (2018)

Il sottogenere comprende due sezioni: Rufescentia e Magnororufescentia.

Nei sottogeneri sopra indicati sono state inserite numerose specie quasi tutte istituite, ex novo, nell’anno 2018 [Niskanen], a seguito ritrovamenti effettuati in aree geografiche europee ed extraeuropee, difficilmente determinabili al solo esame macroscopico, rendendosi necessaria, per una corretta determinazione, l’indagine microscopica.

Per ulteriori approfondimenti si rimanda il lettore all’articolo di riferimento sopra citato e meglio specificato in bibliografia.

Le varie specie appartenenti al genere sono caratterizzate da: 

cappello di piccole, medie o grandi dimensioni, può raggiungere, secondo quanto riportato in letteratura, anche 20 cm di diametro [Niskanen et al., 2018], irregolare, ondulato, superficie liscia o appena tomentosa (ricoperta da finissima e fitta peluria), colore variabile da biancastro ad arancione, bruno aranciato [Niskanen et al., 2018]; bordo ottuso, leggermente arrotondato. 

Imenoforo ad aculei più o meno decorrenti o adnati al gambo. 

Gambo irregolare, a volte eccentrico, da biancastro a giallo tenue fino a bruno pallido. Carnecompatta, spessa, fragile, cassante. 

Spore da subglobose a ellittiche, lisce, non amiloidi, prive di poro germinativo. Sporata bianco-crema [Della Maggiore & Pera, 2021]. 

Hydnum repandum L. nom. Sanct.

Sp. pl. 2: 1178 (1753)

Autore sanzionante: Fries, Syst. mycol. 1: 400 (1821)

Accentazione: Hýdnum repándum

Etimologia: repandum dal latino repàndus = riavvolto in alto, per la particolare conformazione del margine del cappello [Buda, 2011; Acta Plantarum, 2022].

Posizione sistematica: divisione Basidiomycota R.T. Moore, classe Agaricomycetes Doweld, ordine Cantharellales Gäum., famiglia Hydnaceae Chevall., genere Hydnum [IF, 2022; MB, 2022]; sottogenere Hydnum L., sezione Hydnum L. [Niskanen et al., 2018].

Principali sinonimi

 Hypothele repanda (L.) Paulet, Icon. Champ. (Paris): tab. 35:1-2 (1812)

≡ Dentinum repandum (L.) Gray, Nat. Arr. Brit. Pl. (London) 1: 650 (1821)

≡ Tyrodon repandus (L.) P. Karst., Revue mycol., Toulouse 3(no. 9): 19 (1881)

≡ Sarcodon repandus (L.) Quél., Enchir. fung. (Paris): 189 (1886)

Hydnum flavidum Schaeff., Fung. bavar. palat. nasc. (Ratisbonae) 4: 99 (1774)

Hydnum rufescens Schaeff., Fung. bavar. palat. nasc. (Ratisbonae) 4: 95 (1774)

≡ Sarcodon rufescens (Schaeff.) Quél., Fl. mycol. France (Paris): 447 (1888)

Hydnum clandestinum Batsch, Elench. fung. (Halle): 113 (1783)

Hydnum medium Pers., Observ. mycol. (Lipsiae) 2: 97 (1800)

Nomi volgari: Gallinaccio spinoso, Steccherino [Bonazzi, 2003]. Steccherino dorato [Bonazzi, 2003; Buda, 2011]; “Wood Urchins” (riccio di bosco), denominazione in uso nei paesi anglosassoni e riferita a tutte le specie appartenenti al genere [Olariaga et al., 2012].

Nomi dialettali: Funciu musca (nome dialettale siciliano [Bonazzi, 2003; Buda, 2011].

Descrizione macroscopica

Cappello di medio-grandi dimensioni, può superare, a volte, i 15 cm [Della Maggiora & Pera, 2021], carnoso, gibboso, con andamento irregolare, inizialmente convesso, poi, verso la maturazione, depresso, superficie liscia, asciutta, finemente vellutata, inizialmente di colore biancastro, giallognolo, giallo-aranciato; margine involuto, poi disteso, sinuoso, lobato. Imenoforo costituito da numerosi aculei (idni) molto fitti, fragili, facilmente asportabili, leggermente decorrenti sul gambo, inizialmente di colore giallognolo, tendenti, verso la maturazione, ad assumere tonalità ocracee. Gambo cilindrico, pieno, robusto, ingrossato alla base, eccentrico o anche laterale, bianco-giallastro, ingiallente alla manipolazione. Spore in massa biancastre. Carne consistente, spessa, soda, cassante (quando alla frattura produce un leggero rumore, come di gesso spezzato [Mazza, 2012], bianca con toni aranciati, ingiallente all’aria. Odore mite, leggero, gradevole; sapore gradevole, a volte amarognolo.

Descrizione microscopica

Spore (7.2) 7.4-8.6 (9.1) x (5.5) 5.6-6.7 (6.9) μm; Q = (1.2) 1.22-1.48 (1.5); V = (118) 135-196 (214) μm3, ellissoidali lisce, con apicolo evidente. Basidi 31,57 x 8,9 μm, tetrasporici, leggermente clavati. Giunti a fibbia presenti. Cistidi imeniali presenti.

Habitat

Specie molto comune, cresce, tipicamente, dall’autunno al periodo invernale, indifferentemente nei boschi di latifoglie, aghifoglie o misti spesso in gruppi molto numerosi anche con esemplari cespitosi.

Commestibilità: commestibile da giovane, preferibilmente privo degli aculei. Gli esemplari maturi sono amarognoli e poco digeribili. Gli esemplari giovani si prestano bene alla conservazione sott’olio [Bertinaria et al., 2020].

Caratteri differenziali

Prima dei recenti studi di natura filogenetico-molecolare che hanno consentito di creare nuove specie, H. repandum risultava facilmente riconoscibile e diversificabile dalle specie appartenenti allo stesso genere per l’imenoforo ad aculei decorrenti sul gambo. Oggi, considerato che sono state create nuove specie con caratteristiche morfologiche perfettamente identiche, per una corretta determinazione si deve ricorrere, necessariamente, all’esame dei caratteri microscopici. In ogni caso, ai soli fini orientativi, ci piace indicare le seguenti

Specie simili

  • Hydnum rufescens Pers.

Observ. mycol. (Lipsiae) 2: 95 (1800)

Hydnum rufescens Foto Angelo Miceli
Hydnum rufescens Foto Angelo Miceli

Specie molto simile e facilmente confondibile, differisce per le dimensioni leggermente inferiori; per il portamento esile; per le colorazioni più vivaci e più sature; per gli aculei adnati sul gambo, mai decorrenti.

  • Hydnum albidum Peck, Bull. 

N.Y. St. Mus. nat. Hist. 1(no. 2): 10 (1887)

Per la particolare colorazione, inizialmente bianco-grigiastra, poi bianco-avorio, dei carpofori, può essere facilmente scambiato con esemplari di H. repandum di colorazione biancastra, differisce per le dimensioni minori; per gli aculei poco o non decorrenti; per l’ingiallimento delle superfici alla manipolazione; per le spore di dimensioni minori.

  • Cantharellus cibarius Fr.

Syst. mycol. (Lundae) 1: 318 (1821)

Cantharellus cibarius Foto Angelo Miceli
Cantharellus cibarius Foto Angelo Miceli

Anche se strutturalmente molto diverso, per la similarità delle colorazioni viene spesso e facilmente confuso dai raccoglitori principianti che, nella fretta della raccolta, non osservano le principali caratteristiche differenziali quali, ad esempio, l’imenoforo costituito da pseudolamelle (pliche lamellari). 

Indichiamo ancora, tra le specie di nuova creazione, differenziabili esclusivamente dalla conformazione delle spore, ma non solo:

  • Hydnum ellipsosporum Ostrow & Beenken sp. nov.

Z. Mykol. 70(2): 139 (2004)

Differenziabile, attraverso esame microscopico, per la forma ellissoidale delle spore. Indicazione a titolo orientativo e non sufficiente, da sola, per una corretta determinazione.

  • Hydnum ovoideisporum Olariaga, Grebenc, Salcedo & M.P. Martín sp. nov.

Mycologia 104(6): 1446 (2012)

Differenziabile, attraverso esame microscopico, per la forma delle spore da ovoidale a largamente ellissoidale o, a volte, cilindrica [Olariaga et al., 2012]. Indicazione a titolo orientativo e non sufficiente, da sola, per una corretta determinazione.

  • Hydnum ovoideisporum f. depauperatum Picillo, Vizzini & Contu, f. nov. Mycosphere 4(1): 37 (2013)

Particolare e rara specie che, nonostante il genere di appartenenza, differisce da tutte le altre specie congeneri per la conformazione dell’imenio che si presenta completamente liscio, ovvero totalmente privo degli aculei [Vizzini et al., 2013]. In particolare, differisce da H. repandum per la conformazione globosa delle spore.

In conclusione, ribadiamo il concetto, consigliamo a quanti volessero approfondire lo studio del genere Hydnum e conoscere l’evoluzione degli studi di natura filogenetico-molecolare che recentemente hanno dato una nuova conformazione tassonomica e sistematica alle varie specie inserite nel genere, di consultare i seguenti riferimenti bibliografici: Olariaga et al, 2012; Vizzini et al., 2013; Niskanen et al., 2018.

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  1. Sticobasidio: “basidio cilindraceo i cui fusi nucleari si trovano in posizione longitudinale e a diverse altezze; con lo sviluppo, esso si allunga progressivamente, emergendo infine dallo strato imeniale [Mazza, 2012].

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Bibliografia

  • Bertinaria Giorgio, Tizzoni Renato, Zorio Piero, 2020: Atlante dei funghi del Biellese. E20ProgettiEditore, Biella. I
  •  Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Ristampa 2013. Edit. Zanichelli, Bologna. I
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  •  Buda Andrea, 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Della Maggiora Marco, Pera Umberto, 2021: Funghi in Toscana. AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani). La Pieve Poligrafica, Villa Verrucchio (RN). I
  • Mazza Riccardo, 2012: Dizionario illustrato dei funghi – Mykonolexikon 2. Romar Srl, Segrate (MI). I
  •  Niskanen Tuula, Liimatainen Kare, Nuytinck Jorinde, Kirk Paul, Ibarguren Ibai Olariaga, Garibay-Orijel Roberto, Norvell LoreleiHuhtinen Seppo, Kytövuori Ilkka, Ruotsalainen Juhani, Niemelä Tuomo, Ammirati Joseph F., Tedersoo Leho, 2018: Identifying and naming the currently known diversity of the genus Hydnum, with an emphasis on European and North American taxa. Mycologia, Vol. 110 (5): 890-918.
  • Olariaga Ibai, Grebenc Tine, Salcedo Isabel, Martin Maria P., 2012: Two new species of Hydnum with ovoid basidiospores: H. ovoideisporum and H. vesterholtii. Mycologia, Vol. 104 (6): 1443-1455
  •  Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I 
  • Vizzini Alfredo, Picillo Bernardo, Ercole Enrico, Voyron Samuele, Contu Marco, 2013: Detecting the variability of Hydnum ovoideisporum (Agaricomycetes, Cantharellales) on the basis of Italian collections, and H. magnorufescens sp. nov. Mycosphere 4:32-44

Sitografia

  • MB (ultima consultazione, dicembre 2022), Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks.

Inonotus rickii

Nuovo ritrovamento in Sicilia a Rometta Marea (ME)

di Angelo Miceli e Carmelo Di Vincenzo

L’articolo completo, in forma originale, è stato pubblicato su “Micologia Toscana” Bollettino dell’Associazione Gruppi Micologici Toscani (AGMT), Anno 2021, n. 3: 45-55
 

Premessa

Siamo ormai abituati, anche sulla scorta dei nostri precedenti ritrovamenti riferiti ad altre

interessanti e rare specie fungine, alle numerose sorprese che il territorio messinese riserva agli studiosi di micologia: protagonista del presente contributo è Inonotus rickii, interessante specie lignicola di origine tropicale appartenente al gruppo informale dei polipori, oggetto di nostri recenti ritrovamenti, che è solita fruttificare ormai da alcuni anni nel territorio messinese.

Nei primi giorni del mese di agosto dell’anno 2019 gli autori ricevono la segnalazione della crescita di una specie fungina a conformazione quasi perfettamente globosa e saldamente attaccata al substrato: un albero vivente di Albizia julibrissin. Le fruttificazioni, ripetute negli anni successivi, consentono agli autori di effettuare numerosi accertamenti di natura macro e microscopica che uniti alla gradita ed importante consulenza della Prof.ssa Annarosa Bernicchia permettono, senza ombra di dubbio, di identificarle come anamorfi di Inonotus rickii (Pat.) D.A. Reid.

Genere Inonotus P. Karst.

Meddn. Soc. Fauna Flora fenn. 5: 39 (1879)

Al genere, la cui specie tipo è I. cuticularis (Bull.) P. Karst., appartengono sporofori annuali,

dall’aspetto fibroso, a forma di mensola, sessili o stipitati, con crescita singola o a gruppi sovrapposti. La superficie superiore è caratterizzata da colori giallo-brunastri, rossicci; può essere, a seconda delle varie specie, liscia o tomentosa, ispida o glabra. La superficie inferiore è composta da tuboli generalmente corti, difficilmente separabili dalla carne soprastante, con pori di colore biancastro, brunastro, piccoli e rotondeggianti. Il contesto si presenta da soffice-fibroso a coriaceo suberoso di colore brunastro. Le fruttificazioni, a seconda della specie, presentano, anche se non sempre, una massa miceliare rotondeggiante posizionata nel punto di attacco al substrato [Bernicchia, 2005; Miceli, 2018; Bernicchia & Gorjón, 2020]. Sistema ifale monomitico o dimitico con ife generatrici da ialine a brune, prive di giunti a fibbia; ife connettive molto ramificate in alcune specie; basidi da clavati a ellissoidali; spore lisce, subglobose, globose, ovoidali o ellissoidali a seconda della specie di appartenenza, ialine, giallastre, bruno rossicce [Bernicchia, 2005; Bernicchia & Gorjón, 2020]. Tutte specie lignicole parassite o saprotrofe con crescita su latifoglie o aghifoglie. I rappresentanti di questo genere sono agenti molto aggressivi di carie bianca che spesso porta a morte sicura la pianta ospite. Tra le specie europee maggiormente aggressive ricordiamo: I. hispidus (Bull.) P. Karst.; I. cuticularis(Bull.) P. Karst.; I. rickii (Pat.) Reid [Intini, 2002; Intini & Tello, 2003].

Inonotus rickii (Pat.) D.A. Reid

Kew Bull. [12] (2): 141 (1957)

Sinonimi

≡ Xanthochrous rickii Pat., Bull. Soc. mycol. Fr. 24(1): 6 (1908) [basionimo]

≡ Polyporus rickii (Pat.) Sacc. & Trotter, Syll. fung. 21: 270 (1912)

≡ Phaeoporus rickii (Pat.) Spirin, Zmitr. & Malysheva, Nov. sist. Niz. Rast. 40: 164 (2006)

= Ptychogaster cubensis Pat., Bull. Soc. mycol. Fr. 12 (3): 133 (1896)

≡ Ceriomyces cubensis (Pat.) Sacc. & P. Syd., Syll. fung. 14 (1): 194 (1899)

= Ceriomyces stuckertii Speg., [as ‘stuckerti’], Anal. Soc. cient. argent. 47 (6): 265 (1899)

= Ptychogaster lucidus Lloyd, Mycol. Writ. 5 (Letter 49): 699 (1917)

= Polyporus rickii f. negundinis J.E. Wright & Iaconis, Revta Investnes agrop. 9: 100 (1955)

Etimologia: dal greco ἴς, ἰνός – ís, inós = muscolo, nervo, fibra e da οὖς, ωτόϛ – oús, otós = orecchio: per lo sporoforo fibroso con l’aspetto di un orecchio [Acta Plantarum, 2021]; rickii con espresso riferimento al micologo brasiliano Johann [João] (Evangelista) Rick (1869-1946) [Patouillard, 1908].

Posizione sistematica: classe Agaricomycetes Doweld, sottoclasse Agaricomycetidae Parmasto, ordine Hymenochaetales Oberw., famiglia Hymenochaetaceae Donk, genere Inonotus P. Karst.
 

Descrizione Macroscopica

Sporoforo di grandi dimensioni, lignicolo, a nutrizione parassitica, patogeno ed altamente

aggressivo, causa di carie bianca. È specie annuale, con sporofori sessili, appianati, a mensola, subglobosi, irregolarmente ungulati, singoli o con esemplari imbricati. Si presenta con una doppia forma di fruttificazione: anamorfa, più frequente e teleomorfa, più rara in Europa. Per tale motivo e per maggiore chiarezza espositiva analizzeremo, nella fase descrittiva e nelle componenti essenziali, le due tipologie di fruttificazione in maniera separata, precisando che relativamente agli esemplari teleomorfi le nostre deduzioni, non essendo stato possibile esaminare lo sporoforo in tale conformazione, sono supportate dall’esame e dallo studio di quanto riportato in letteratura:

Esemplari teleomorfi

Si presentano, generalmente, in forma appianata, a mensola o irregolarmente subglobosa

evidenziando, in ogni caso, una ben distinta superficie poroide.

Superficie sterile inizialmente, soprattutto negli esemplari ancora immaturi, morbida e particolarmente pubescente, di colore bruno chiaro, giallastro, poi, verso la maturazione, ruvida e rugosa con colorazioni più marcate tendenti al bruno ruggine, bruno-rossiccio; margine ottuso, glabro, grigio-giallastro.

Superficie fertile di colore bruno, essudante, specialmente a tempo piovoso, goccioline di liquido acquoso chiaro, composta da tuboli monostratificati, più chiari del contesto, mediamente lunghi (circa 15 mm) con pori piccoli (1) 2-3 per mm, rotondo-angolosi.

Contesto inizialmente sodo, carnoso, di colore bruno, bruno-rossiccio, marrone scuro, più chiaro verso il margine, con evidenti zonature disposte in maniera concentrica.

Gambo assente [Intini, 1988; Gottlieb et al., 2002; Bernicchia, 2005; Ramos et al., 2008;

Bernicchia & Gorjón, 2020].

Esemplari anamorfi

Le fruttificazioni si presentano in forma subglobosa o, a volte, appiattita, guancialiforme, perfettamente aderenti e saldamente ancorati al substrato di crescita, prive di superficie poroide. La superficie esterna degli esemplari immaturi, appare particolarmente morbida tanto da recepire ogni minima pressione che viene evidenziata dal segno di una netta impronta, caratterizzata da peli morbidi e lunghi, vellutata, pubescente, di colore fulvo-rossastro con striature biancastre e presenza di numerose goccioline acquose più evidenti dopo precipitazioni piovose. Successivamente, verso la maturazione, tende a schiarirsi assumendo, al contempo, consistenza cartilaginea, papiracea, secca, con fessurazioni sempre più evidenti. A maturazione avanzata assume la conformazione di un ammasso bruno scuro formato da numerose clamidospore e ife vegetative che alla sezione si presentano come un insieme polveroso frammisto a numerosi filamenti di circa 3-4 cm di colore marrone-rossastro molto scuro.

Descrizione Microscopica

Esemplari teleomorfi

Sporofori con sistema ifale monomitico caratterizzato da ife generatrici a parete sottile o ispessita, ialine o bruno-giallastre, ramificate, settate, prive di unioni a fibbia, assemblate in fasci di numerosi elementi. Sete imeniali e ifali: le prime di colore bruno scuro a pareti ispessite, affusolate, diritte, con apice unico o biforcuto; le seconde affusolate, appiattite, a parete ispessita, di colore bruno scuro. Basidi tetrasporici, ialini, privi di unioni a fibbia basale, ampiamente clavati. Spore a conformazione ellissoidale o ovoidale, di colore giallo-ocraceo, bruno scuro, con pareti ispessite, misure 6-8,5 × 4,5-5,5 μm [Bernicchia 2005]. Clamidospore presenti e numerose contestualmente alle basidiospore, di forma variabile, prima ialine, poi marrone scuro [Intini, 1988; Gottlieb et al., 2002; Bernicchia, 2005; Ramos et al., 2008; Bernicchia & Gorjón, 2020].

Esemplari anamorfi

Clamidospore (6,8) 8,2-11,7 (13,5) × (7,4) 8,2.10,7 (13,2) μm (Fig. 4A-B); Q = (0,9) 1-1,1 (1,3); Me = 10 × 9,6 μm; Qe = 1, a parete spessa e liscia, di conformazione globosa, subglobosa, citriniforme, a barilotto, a pera, con lunga appendice ifoide.

Raccolte studiate

Località Rometta Marea nel Comune di Rometta, (ME) a circa 20 m s.l.m. e a circa 250 m di distanza dalla spiaggia, nel giardino di un fabbricato adibito a civile abitazione in associazione a coltura arborea ornamentale di Albizia julibrissin , tre fruttificazioni successive ad intervallo annuale:

Inonotus rickii – esemplari anamorfi su Albizia julibrissin
Inonotus rickii – esemplari anamorfi su Albizia julibrissin. Foto A. Miceli

Prima fruttificazione: 2 agosto 2019, un solo esemplare, anamorfo, a forma subglobosa 13 × 15 cm, in corrispondenza di ferita da potatura a circa 1,80 m da terra, leg. A. Miceli e C. Di Vincenzo (segnalazione G. Galli).

Seconda fruttificazione: 5 agosto 2020, 4 esemplari sulla stessa coltura arborea, ’esemplare più grande nello stesso punto della fruttificazione dell’anno precedente, con dimensioni, conformazione e colori quasi identici; gli altri tre esemplari, sempre in corrispondenza di ferite da potatura, di dimensioni minori, subglobosi ed uno più o meno appiattito, leg. A. Miceli e C. Di Vincenzo (segnalazione G. Galli). Campioni depositati, con il numero 1148, nell’erbario dell’Associazione “Centro di Cultura Micologica” di Messina.

Terza fruttificazione: 12 agosto 2021, 2 esemplari posizionati ad altezza maggiore delle precedenti, in corrispondenza della zona iniziale delle ramificazioni, uno a forma subglobosa 14 × 16 cm, l’altro appiattito, leg. A. Miceli e C. Di Vincenzo (segnalazione G. Galli).

Caratteri differenziali

Gli esemplari teleomorfi si caratterizzano per la superficie sterile pubescente, inizialmente di colore bruno chiaro poi ruvida e rugosa con colorazioni più marcate tendenti al bruno ruggine, bruno-rossiccio e per la superficie fertile di colore bruno a tuboli monostratificati con pori piccoli e rotondi.

Gli esemplari anamorfi si riconoscono facilmente per la conformazione subglobosa, particolarmente morbida e pubescente, per il colore fulvo-rossastro con striature biancastre e, in maniera particolare, per la parte interna formata da numerose clamidospore e ife che alla rottura dell’involucro protettivo si disperdono nell’ambiente sotto forma di polvere e filamenti di intenso colore marrone-rossastro.

Modalità di riproduzione ed effetti

Considerata la tipicità delle fruttificazioni che possono presentarsi tanto in forma teleomorfa quanto in forma anamorfa, caratterizzate, quindi, dalla presenza di spore e di clamidospore, la riproduzione degli sporofori può avvenire sia in maniera sessuata sia in maniera asessuata rivestendo, quindi, un ruolo molto importante nella diffusione di patogeni molto aggressivi che infettano numerose colture arboree urbane quali, ad esempio: Parkinsonia cubensisSambucus nigraPlatanus acerifoliaRobinia pseudoacaciaSapindus saponariaAlbizia julibrissinAcer negundoSchinus molleCeltis australised altre ancora [Bernicchia, 2005; Mazza et al., 2008; Ramos et al., 2008].

Il patogeno si diffonde per penetrazione del micelio nella struttura dell’albero ospite attraverso lesioni o ferite spesso causate da fattori naturali o da interventi antropici raggiungendo rapidamente la parte più interna dell’albero: il durame, avviando, quindi, la degradazione dei polisaccaridi presenti nel legno.

I sintomi esterni della carie (carie bianca) si manifestano con deperimento generalizzato della pianta, avvizzimento e successiva defogliazione, disseccamento dall’alto verso il basso con andamento lento e progressivo o viceversa, dal basso verso l’alto, con andamento fulminante.

Distribuzione territoriale ed habitat

Trattasi di specie originaria dei paesi tropicali e subtropicali, ampiamente diffusa in Argentina, Brasile, Cuba, Perù, Martinica, Haiti, Isole Hawaii, Giamaica, Bahamas, Florida, Louisiana, Guadalupa, Guinea, India, Pakistan, Birmania [Intini, 1988], rinvenuta, in epoche relativamente recenti, anche in Marocco ed altri paesi dell’area del Mediterraneo: Italia, Montenegro, Creta, Francia, Spagna, Portogallo, segnalata, in quest’ultima nazione, anche a Melo et al. (2002), ex Iugoslavia, Grecia, Malta [Bernicchia, 2005; Bernicchia & Gorjón, 2020]. Inoltre è stata ritrovata in Croazia in diverse stazioni di crescita come fotograficamente documentato dal Dott. Miro Pucar [Bernicchia com. pers.]. La sua presenza in Italia, per quanto è stato possibile appurare dalla nostra ricerca bibliografica, è stata segnalata, per la prima volta in Sicilia, a Palermo all’interno di Villa Giulia su Acer negundo[Venturella & Raimondo, 2004; Bernicchia, 2005; Annesi et al., 2010] e successivamente a Catania su Sambucus nigra [Intini, 1988; Annesi et al., 2010] ed ancora, in numerosi esemplari, su Acer negundoed Albizia julibrissin, nei viali alberati dell’area urbana di Roma [Mazza et al., 2008; Annesi et al., 2010]. Il ritrovamento attuale, del quale ci stiamo occupando nel presente contributo, costituisce, quindi, un ulteriore importante conferma della presenza di I. rickii nel territorio siciliano.

È tipicamente diffusa nelle aree tropicali e subtropicali ove si associa, in qualità di parassita, a numerose latifoglie. Nella regione mediterranea europea veniva considerata specie molto rara ed oggi, nonostante diversi rinvenimenti, continua ad essere ritrovata in maniera piuttosto sporadica. Segnalata sempre su culture arboree ornamentali appartenenti ai generi ParkinsoniaSchinusSambucusAlbizia,Celtis tipiche di parchi, giardini e viali in aree urbane, mai nelle aree boschive, in diverse località della Spagna, Francia, Portogallo, Italia, ex Jugoslavia, Grecia, Israele, Malta [Intini, 2002; Bernicchia, 2005: Bernicchia & Gorjón, 2020]. Fruttifica in corrispondenza delle ferite degli strati corticali specialmente in quelle causate dalla potatura dei rami presentandosi soprattutto in forma anamorfa non riuscendo a riprodursi, se non in casi molto rari, nella forma teleomorfa.

Note tassonomico-nomenclaturali

Un primo ritrovamento, del quale non si ha una contezza temporale precisa, identifica in maniera errata degli esemplari di I. rickii che vengono ricondotti a Fistulina hepatica (Schaeff.) With. Successivamente, nel 1896, il micologo francese Narcisse Teophile Patouillard, sulla base di studi effettuati su esemplari anamorfi provenienti da Cuba, classifica la specie dapprima come Ptychogaster cubensis, e successivamente nel 1908 come Xanthochrous rickii. In seguito, nel 1912, i micologi italiani Pier Andrea Saccardo e Alessandro Trotter chiamano lo stesso organismo Polyporus rickii. Nel 1957, la specie viene trasferita, ad opera del micologo inglese Derek Agutter Reid, nel genere Inonotuscon la denominazione di Inonotus rickii [Calienno, 2014]. 

Nel 2002, uno studio di natura filogenetico-molecolare condotto da un gruppo di ricercatori conferma, sulla scia delle intuizioni di Patouillard, il legame tra la forma anamorfa di I. rickii e P. cubensisepiteto, quest’ultimo, che identifica, in maniera errata, in quanto non consentito dal Codice Internazionale di Nomenclatura per le alghe, funghi e piante (ICN) [Turland et al., 2018], proprio gli esemplari anamorfi di I. rickii, dunque un suo sinonimo [Gottlieb et al., 2002; Calienno, 2014]. È opportuno precisare che, come previsto dal Codice Internazionale di Nomenclatura per le alghe, funghi e piante, un solo epiteto binomiale identifica in modo corretto una specie fungina in tutte le sue forme anche, quindi, nella forma anamorfa [Intini, 1988; Turland et al., 2018].

Pertanto, con la denominazione di I. rickii viene identificata, in maniera corretta, tanto la forma teleomorfa quanto quella anamorfa. È ancora opportuno chiarire che il genere

Ptychogaster, descritto da Corda nel 1838, ospitante, all’epoca la sola specie P. albus Corda, venne ben presto utilizzato per accogliere specie fungine con configurazione anamorfa appartenenti al gruppo informale dei polipori [Stalpers, 2000].

Ringraziamenti

Gli Autori desiderano ringraziare la Prof.ssa Annarosa Bernicchia per il gradito supporto alla corretta identificazione degli sporofori, per la revisione del testo e per avere concesso, autorizzandone la pubblicazione, alcune foto tratte dalla sua recente pubblicazione: Polypores of mediterranean region; il Dott. Emanuele Campo (Gruppo Micologico Sacilese

– Sacile, Trento) per la consulenza di natura scientifica fornita; il micologo Franco Mondello

(Centro di Cultura Micologica – Messina) per la disponibilità ad accogliere e conservare le exsiccata nell’erbario da lui curato; Il Dott. Miro Pucar (Croazia) per avere fornito, per il tramite della Prof.ssa Annarosa Bernicchia, alcune delle foto da noi utilizzate per lo studio

della specie; il Prof. Giovanni Galli (Università di Messina) per la segnalazione relativa alla crescita degli sporofori ai quali abbiamo fatto riferimento per la presente stesura nonché per la pazienza con la quale ha sopportato la nostra continua presenza nella sua abitazione estiva che speriamo sia stata discreta e poco invadente.

Bibliografia

  • Annesi T., D’Amico L., Bressanin D., Motta E. & Mazza G., 2010. Characterization of Italian isolates of Inonotus rickii. Phytopathologia Mediterranea, 49: 301-308.
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  • Bernicchia A. & Gorjón S.P., 2020. Polypores of the Mediterranean Region. Romar Edizioni, Segrate Milano – I.
  • Boccardo F., Traverso M., Vizzini A., & Zotti M., 2008. Funghi d’Italia. Zanichelli (ristampa, 2013), Bologna – I.
  • Calienno L., 2014. Alterazione da funghi ed il caso di Inonotus rickii (Pat.) Reid. In “Stati di alterazione del legno e sviluppo di protocolli di indagine” Tesi di Dottorato di Ricerca di Luca Calienno. Università degli Studi della Tuscia. Viterbo – I.
  • Goidànich G., 1975. Manuale di patologia vegetale. Vol. II. Edizioni Agricole, Bologna – I.
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  • Patouillard N., 1908. Champignons nouveaux ou peu connus. Bulletin de la Société Mycologique de France 24(1): 1-12.
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  • Stalpers J.A., 2000. The genus Ptychogaster. Karstenia 40: 167-180.
  • Venturella G. & Raimondo F., 2004. I funghi cariogeni delle alberature di parchi, giardini e strade. Quaderni di Botanica Ambientale Applicata 15: 181-201.

Sitografia

Acta Plantarum (ultima consultazione, 28-03-2021). Etimologia dei nomi botanici e micologici e corretta accentazione. https://www.actaplantarum.org/etimologia/etimologia.php

  • IF (ultima consultazione, 28-03-2021). Index fungorum database. www.indexfungorum.org.
  • MB (ultima consultazione, 28-03-2021). Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature & Species Banks. www.mycobank.org
  • Turland N.J., Wiersema J.H., Barrie F.R., Greuter W., Hawksworth D.L., Herendeen P.S., Knapp S., Kusber W.-H., Li D.-Z., Marhold K., May T.W., Mcneill J., Monro A.M., Prado J., Price M.J. & Smith G.F. (eds.), 2018. International Code of Nomenclature for algae, fungi, and plants (Shenzhen Code) adopted by the Nineteenth International Botanical Congress Shenzhen, China, July 2017. Regnum Vegetabile 159. Glashütten: Koeltz Botanical Books. DOI https://doi.org/10.12705/Code.2018.

Podoscypha multizonata (Berk. & Broome) Pat. (1928)

di Angelo Miceli, Carmelo Di Vincenzo, Francesco Mondello

L’articolo completo, in forma originale, è stato pubblicato su “Rivista di Micologia” Bollettino dell’Associazione Micologica Bresadola, Anno 2022, 65 (1): 71-78

Riassunto

Gli autori descrivono un ritrovamento effettuato nel territorio boschivo dei monti Peloritani, nel Comune di Tripi, nel territorio metropolitano della città di Messina, di Podoscypha multizonata, specie lignicola originaria da aree tropicali, ambientata in Europa ma considerata rara ed inserita, in alcuni paesi, nella Red list delle specie a rischio di estinzione (Læssøe & Ibarguren, 2014).

Introduzione

Ancora una volta il territorio boschivo dei monti Peloritani regala, agli studiosi di micologia, il ritrovamento di una bella e interessante specie fungina a crescita lignicola che è solita fruttificare alla base o sulle radici interrate di vecchie querce (Quercus spp.) o, a volte, di faggio (Fagus sylvatica) o, anche, genericamente, di colture arboree appartenenti alla Famiglia delle Fagaceae (Læssøe & Ibarguren, 2014).

La specie, anche se ha fatto registrare ritrovamenti in diverse aree boschive viene considerata rara e ritenuta, in alcune nazioni, specie a rischio di estinzione: Podoscypha multizonata (Berk. & Broome) Pat., oggetto del presente contributo, costituisce un ritrovamento personale degli autori risalente al 5 ottobre 2021, ef­fettuato in località “Bàmbina” nel comune di Tripi in provincia di Messina.

Genere PodoscyphaPat.

Essai Tax. Hyménomyc. (Lons-le-Saunier): 70 (1900)

Il genere, la cui specie tipo è Podoscypha surinamensis (Lév.) Pat. 1900, fu istituito da Narcise Teophile Patouillard (micologo e farmacista francese, Macorney,2 luglio 1854 – 30 marzo 1926). Ospita un numero elevato di specie a crescita terricola o lignicola, molte delle quali sono originarie da aree tropicali ed ambientate in Europa. I basidiomi risultano formati da numerosi, piccoli cappelli imbutiformi o flabelliformi, stipitati, spesso fusi tra loro, coriacei, sottili [Patouillard, 1900], disposte a forma di fitta rosetta, caratterizzate da: superficie sterile color rosa-ocra con evidenti zonature di colore rosso-bruno in ambiente umido, e variabili, in ambiente asciutto, da bruno-aranciato chiaro a bruno chiaro o bruno nerastro; margine liscio, inciso o cigliato; superficie fertile liscia, da rosa-ocra a bruno-ocra; gambo delle singole coppette poco delineato. Sistema ifale dimitico con ife generatrici e ife strutturali ialine; giunti a fibbia presenti; basidi bisporici o tetrasporici; spore ialine, da subglobose a ellissoidali [Jülich, 1989].

Podoscypha multizonata (Berk. & Broome) Pat. 

Annals Cryptog. Exot. 1(1): 6 (1928)

Basionimo: Thelephora multizonata Berk. & Broome, Ann. Mag. nat. Hist., Ser. 3 15: 321 (1865) 

Sinonimi

≡ Stereum multizonatum (Berk. & Broome) Massee, J. Linn. Soc., Bot. 27: 167 (1890)

≡ Phylacteria intybacea var. multizonata (Berk. & Broome) Bigeard & H. Guill., Fl. Champ. Supér. France (Chalon-sur-Saône) 2: 453 (1913)

Etimologia: Podoscypha dal greco podòs piede, gambo e da scyphos tazza, coppa, ovvero con il piede a forma di coppa; multizonata da multus “molto” e zona “cintura, orlo” per le numerose zonature che ornano i singoli pilei.

Posizione sistematica: divione Basidiomycota; classe Agaricomycetes; ordine Polyporales; famiglia Podoscyphaceae; genere Podoscypha.

Descrizione macroscopica

Sporoforo complessivo annuale, di medio-grandi dimensioni che può raggiunge 20-25 cm di diametro, lignicolo, a nutrizione saprotrofica, a forma di rosetta, composto da numerosi piccoli lobi (petali), sottili, coriacei [Phillips, 1985], posizionati in maniera concentrica e confluenti su una base comune. Ogni singola formazione è caratterizzata da:

Cappello di piccole-medie dimensioni, sottile e coriaceo. Superficie sterile liscia, ocracea, rosata, con evidenti zonature concentriche di colore rosso-bruno alternate a zone più chiare; orlo sottile, ondulato, inizialmente bianco. Superficie fertile liscia o appena increspata, da leggermente rosata a bruno grigiastro, tendente, verso la maturità, ad assumere colorazioni rosate sempre più marcate. Gambocorto, sottile, quasi inesistente, confluente su una grossa base comune a conformazione tuberosa. Contesto sottile, tenace, coriaceo, molto duro. Odore e sapore non significativi. Sporata bianca.

Habitat

Si associa, generalmente, in qualità di saprotofo, alle radici o ai ceppi di piante morte appartenenti al genere Quercus o anche, ma più raramente, a quelle appartenenti al genere Fagus [Overall & Mottram, 2006; Gàrate-Larrea, 2012]. La nostra ricerca bibliografica ha evidenziato anche un ritrovamento associato a Carpinus betulus risalente al mese di agosto dell’anno 2013 nel parco di Hampstead Heath (Londra) [AA.VV., 2013]. Per la particolare propensione ad associarsi alle radici arboree fuoriesce dal terreno presentandosi, apparentemente, come specie terricola.

Microscopica

Spore (4,5) 5-5,8 (6,1) x (3,6) 4,1-4,8 (5,1) µm; Me 5,4 x 4,4 µm; Q = (1,1) 1,2-1,3 (1,4). Qm = 1,2; n: 30, subglobose o largamente ellissoidali, con papilla, ialine, non amiloidi, con una grossa guttula oleosa rifrangente. Basidi clavati, tetrasporici, 40-55 x 4,5-6,5 µm. Gloeocistidi cilindrico-flessuosi a parete sottile. Sistema ifale dimitico. Ife scheletriche con parete spessa, ondulate, con rari setti e ramificazioni, lisce, x 4-7 µm. Ife generatrici presenti in percentuale maggiore (Bernicchia & Gorjón, 2010), con parete leggermente ispessita, x 3,5-6 µm, lisce, ialine, con ramificazioni e con giunti a fibbia.

Caratteri differenziali

Facilmente riconoscibile per la particolare conformazione dei carpofori formati da numerosi petali flabelliformi che uniti insieme formano una gradevole composizione a forma di rosetta con evidenti zonature concentriche di colore rosso-bruno alternate a zone più chiare, muniti di un gambo molto breve o quasi assente e confluenti su una base comune. Caratteristiche, queste, che da differiscono anche dalle numerose altre specie appartenenti allo stesso Genere [Akata & Sesli, 2017].

Specie simili

  • Cotylidia pannosa (Sowerby) D.A. Reid (1965)

Presenta analoga tipologia di crescita a forma di rosetta, caratterizzata da superficie del cappello inizialmente bianca tendente, verso la maturazione, ad assumere giallo ocra o bruno porporino. Differisce per la conformazione delle spore da ellissoidali ad obblunghe, non guttulate, 6-9 x 3,5-4; per le ife prive di giunti a fibbia e per la crescita terricola in boschi di vare latifoglie.

  • Thelephora caryophyllea (Schaeff.) Pers. (1801)

Presenta carpofori disposti a forma di Garofano o di largo ventaglio, di colore bruno scuro, quasi nerastri al centro e schiarenti al grigio-ocra verso il margine che è biancastro, sfrangiato o dentato. Differisce per la crescita terricola e le spore angolose, aculeate, come tutte le Thelephora

Diffusione territoriale

Si tratta di una specie che in Europa dove è stata segnalata nelle seguenti nazioni: Regno Unito, Francia, Italia, Germania [ECCF, 2001; Bernicchia & Gorjón, 2010; Læssøe & Ibarguren, 2017], Repubblica Ceca, Ungheria [ECCF, 2001], Slovenia [Bernicchia & Gorjón, 2010] Bulgaria [Bernicchia & Gorjón, 2010; Læssøe & Ibarguren, 2017], Spagna [Calonge & Romero De La Osa, 1997]. Il maggior numero di ritrovamenti è stato effettuato nel Regno Unito e, in maniera minore, in Francia [Læssøe & Ibarguren, 2014]. I ritrovamenti italiani risultano localizzati in Emilia Romagna Lazio, Sicilia, Sardegna [ECCF, 2001; Bernicchia & Gorjón, 2010]. Altri ritrovamenti in ambiente mediterraneo sono stati segnali in Turchia, nella foresta di Belgrad a Istanbul [Akata & Sesli, 2017].

In considerazione delle limitate fruttificazioni in territorio europeo, viene considerata specie molto rara ed è inserita nella Red List dei funghi a rischio di estinzione limitatamente all’area geografica dell’Ungheria, della Slovacchia e della Spagna [Læssøe & Ibarguren, 2014].

Raccolta studiata 

Località “Bàmbina” nel Comune di Tripi (ME) a 600 m s.1.m. La stazione di rinvenimento ricade, geograficamente, sul confine convenzionale tra i monti Peloritani e i monti Nebrodi, mentre geologicamente ricade nel comprensorio del Peloritani, in quanto la natura geologica della catena montuosa dei Peloritani si spinge ancora, verso occidente, fino al territorio di Sant’ Agata di Militello, ha esposizione Nord-Ovest, è interessata da un soprassuolo boschivo misto di latifoglie: Quercusgruppo pubescens e Castanea sativa con sottobosco di nocciolo (Corylus avellana). Due ritrovamenti in momenti successivi, nella stessa stazione: 5 ottobre e 12 ottobre 2021, fanno riferimento a un solo esemplare cresciuto sopra una ceppaia in decomposizione di Quercus gruppo pubescens. Leg. A. Miceli, C. Di Vincenzo e F. Mondello. Campioni essiccati sono stati depositati, con il numero 1249, nell’erbario dell’Associazione “Centro di Cultura Micologica” di Messina.

Altri ritrovamenti

  • 23 settembre 2010, nel Comune Caronia (ME), Monti Nebrodi, S.P. 168 Km. 18, un solo esemplare, isolato, in associazione a Quercus pubescens a 1.100 m s.l.m. Essiccata al n. 332 dell’erbario dell’Associazione “Centro di Cultura Micologica” di Messina.
  • 6 ottobre 2011, nel Comune di Ucria (ME), C.da Pineta, un solo esemplare in bosco misto di Quercus ilex e Pinus pinea, a 800 m s.l.m. Essiccata al n. 459 nell’erbario dell’Associazione “Centro di Cultura Micologica” di Messina.

Bibliografia

  • AA. VV., 2013: Podoschypha multizonata. Field Mycology, Vol. 14(4): 134
  • Akata Ilgaz, Sesli Ertuğrul, 2017: Four new records of basidiomycota for the Turkish mycota from Trabzon and Istanbul provinces. The journal of fungus Vol 8(2): 168-177
  • Bernicchia Annarosa, Gorjón Sergio Pérez, 2010: Corticiaceae s. l. Collana Fungi Europaei Vol. 12. Edizioni Candusso, Origgio (VA). I 
  • Calonge F. D. & Romero De La Osa L, 1997: Podoscypha multizonata (Berk. & Br.) Pat., Aphyllophorales, un hongo casi desconocido ed España. Boletìn Sociedad Micològica de Madrid, 22:295-296
  • ECCF (European Council for Conservation of fungi), 2001:Datasheets of threatened mushrooms of Europe, candidates for listing in Appendix I of the Convention. (2001) 34: 30
  • Jülich Walter, 1989: Guida alla determinazione dei funghi, Aphyllophorales, Heterobasidiomycetes, Gastromycetes. Vol. 2°. Arti Grafiche Saturnia, Trento. I
  • Gàrate-Larrea Jose Ignacio, 2012: Podoscypha multizonata (Berk. & Broome) Pat. 1928. Yesca 24: 103-106
  • Overall Andy, Mottram Keir, 2006: Podoscypha multizonata – Zoned Rosette. Field Mycology, Vol. 7(3): 82-84
  • Patouillard Narcisse Téophile, 1900: Essai taxonomique sur les familles et les genres des Hyménomycètes. Université de Paris. Ecole Superieure de Pharmacie, Anno 1900-1901, n. 2: 70-71
  • Phillips Roger, 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara. I

Sitografia

  • Acta Plantarum (ultima consultazione, dicembre 2021)
    Etimologia dei nomi botanici e micologici e corretta accentazione. LINK
  • MB (ultima consultazione, dicembre 2021): Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature & Species Banks. www.mycobank.org

Chlorophyllum molybdites

Specie tossica d’oltre oceano ambientata in Sicilia

Articolo pubblicato su MicoPonte, Anno 2022 n. 14: 37-45

Introduzione

In questo contributo viene trattato un taxon esotico, tipico e molto diffuso nei paesi extraeuropei quali la parte meridionale del Nord America, l’America centrale, l’America del sud, l’Africa, il Madagascar, l’Oceania fino alle isole del Pacifico [Brunelli, 2009]. Alla luce dei numerosi ritrovamenti degli ultimi anni, possiamo affermare che questa specie sia solita fruttificare in maniera abbondante e con una certa frequenza nella zona costiera della Sicilia orientale, un fenomeno che nella nostra regione si può ad oggi riscontrare per numerose altre specie ad analoga tipicità.

Chlorophyllum molybdites ha una conformazione morfologico-strutturale molto simile a tutte leMacrolepiota del gruppo rhacodes, oggi inserite nel genere Chlorophyllum, ma in particolare la somiglianza è condivisa con la più nota Macrolepiota procera, buon commestibile, con la quale viene facilmente confusa dai cercatori meno esperti. La confusione può essere pericolosa in quanto C. molybdites è specie tossica che causa un tipo di sindrome definita Morgana (1). Il suo primo ritrovamento per l’Europa, avvenuto in ambiente naturale e ampiamente documentato,

risale all’anno 2005 e fa riferimento a sporofori ritrovati in Sicilia, nel territorio del comune di Mascali, in provincia di Catania [Signorino, 2006a, 2006b; Signorino, 2015a, 2015b]. La prima intossicazione dovuta al suo consumo viene registrata nell’anno 2014 e coinvolge due persone (madre e figlio), ricoverate per le cure del caso presso l’Ospedale di Giarre (CT) [Signorino, 2015a, 2015b].

Genere ChlorophyllumMassee

Bull. Misc. Inf. Kew (n. 138): 135 (1898)

Il genere, la cui specie tipo è Chlorophyllum molybdites (G. Mey.) Massee, ospita sporofori più o meno carnosi, di taglia medio-grande [La Chiusa, 2013], a portamento lepiotoide che, come già detto, nell’aspetto morfo-cromatico generale manifestano notevoli similarità con le diverse specie del genere Macrolepiota Singer, in particolare con quelle appartenenti al gruppo rhacodes. I rappresentanti di questo genere presentano le seguenti caratteristiche:

Cappello di medio-grandi dimensioni, conformazione inizialmente subglobosa, tendente ad appiattirsi verso la maturazione, superficie biancastra ricoperta da squamule di colore bruno.

Imenoforo a lamelle inizialmente bianco-crema, poi, verso la maturazione, tendenti ad

assumere una colorazione verdastra, inserite in un collarium. Sporata verde.

Gambo centrale, fibroso, fistoloso, superficie liscia da bianco a bruno più o meno scuro, bulboso alla base.

Anello membranoso, scorrevole sul gambo.

Nel tempo, all’interno di questo genere, sono state ricombinate numerose specie già appartenute al genere Macrolepiota come, ad esempio, M. venenata Bon, M. rhacodes (Vittad.) Singer [Maletti, 2016; IF, 2021; MB, 2021], M. brunnea (Farl. & Burt) Wasser, M. oliveri (Barla) Wasser [IF, 2021; MB, 2021]. La ricombinazione delle varie specie dal genere Macrolepiota al genere Chlorophyllum si è resa necessaria soprattutto per la diversa colorazione della sporata: bianca nel primo, verde nel secondo [Maletti, 2016]. Inoltre, l’autonomia dei due generi è supportata anche dai risultati delle analisi filogenetiche pubblicate in diversi studi come ad esempio in Lebel & Syme (2012).

Chlorophyllum molybdites (G. Mey.) Massee

Bull. Misc. Inf., Kew (no. 138): 136 (1898)

Basionimo: Agaricus molybdites G. Mey., Prim. fl. esseq.: 300 (1818).

Etimologia: Chlorophyllum deriva dal greco chlorόs = verde e da phýllon = foglia (lamella), ovvero con le lamelle verdi, con espresso riferimento al colore che assumono le lamelle a maturità; molybditesderiva dal greco mólybditis = piombo, ovvero del colore del piombo, plumbeo, con riferimento al colore dello sporoforo nel suo insieme [Acta Plantarum, 2021].

Posizione sistematica: divisione Basidiomycota R.T. Moore, classe Agaricomycetes Doweld, ordine Agaricales Underw., famiglia Agaricaceae Chevall., genere Chlorophyllum [IF, 2021; MB, 2021].

Principali sinonimi:

≡ Lepiota molybdites (G. Mey.) Sacc., Syll. fung. (Abellini) 5: 30 (1887)

≡ Mastocephalus molybdites (G. Mey.) Kuntze, Revis. gen. pl. (Leipzig) 2: 860 (1891)

≡ Leucocoprinus molybdites (G. Mey.) Pat., Bull. Soc. mycol. Fr. 29: 215 (1913)

≡ Macrolepiota molybdites (G. Mey.) G. Moreno, Bañares & Heykoop, Mycotaxon 55: 

467 (1995)

Chlorophyllum esculentum Massee, Bull. Misc. Inf., Kew (no. 138): 136 (1898)

Mastocephalus morganii (Peck) Kuntze, Revis. gen. pl. (Leipzig) 2: 860 (1891)

≡ Lepiota morganii (Peck) Sacc., Syll. fung. (Abellini) 5: 31 (1887)

≡ Agaricus morganii Peck, Bot. Gaz. 4(3): 137 (1879)

Agaricus congolensis Beeli, Bull. Soc. R. Bot. Belg. 61(1): 92 (1928)

Descrizione macroscopica

Cappello di medio-grandi dimensioni, inizialmente globoso, subgloboso poi, verso la maturità, piano-convesso ed infine espanso, con largo umbone ottuso di colore ocra; margine inizialmente involuto, poi regolare, leggermente striato, a volte con residui del velo parziale. Cuticola asciutta,

negli esemplari immaturi, quando il cappello è subgloboso, di colore grigio-bruno più scuro nella zona discale, successivamente, con cappello appianato, crema-biancastro dissociata in placche grandi di colore bruno concentrate nella zona discale, diradanti verso il margine dove assumono la conformazione di piccole scaglie facilmente asportabili. Imenforo a lamelle, fitte, libere al gambo, inserite in un collarium, intervallate da numerose lamellule, inizialmente di colore bianco-crema, poi, verso la maturazione, grigio-verdastre ed infine verde-brunastre, tendenti ad assumere toni rossastri allo sfregamento. Spore in massa verdastre. Gambo centrale, slanciato, cilindrico, bulboso alla base, fistoloso all’interno, liscio, biancastro al di sopra dell’anello e nella parte bassa, grigio-bruno nella zona centrale, tendente a divenire sempre più scuro con la maturazione. Anello ampio, persistente, supero, doppio, scorrevole, bianco con sfumature verdastre nella pagina superiore a causa del deposito sporale. Carne tenera e molle nel cappello dove si presenta di colore crema, fibrosa nel gambo ove presenta colore brunastro; immutabile al taglio nel cappello, arrosante nella parte bassa del gambo. Odore leggero, gradevole, sapore dolce.

Habitat

Specie tipicamente autunnale, a nutrizione saprotrofa, cresce sui litorali, in terreni sabbiosi ma anche sulle spiagge, aiuole, ville, prati, giardini, agrumeti, uliveti ecc.. 

Ambiente di crescita
Ambiente di crescita

Commestibilità

tossico, causa grave sindrome gastrointestinale identificata come sindrome Morgana. 

Caratteri differenziali e specie simili

Anche se facilmente confondibile con esemplari appartenenti allo stesso genere o al genere Macrolepiota, un attento esame dei particolari appresso riportati rende più facile la determinazione evitando pericolose confusioni. Cappello poco squamettato, con placche larghe concentrate nella zona discale e diradate al margine; gambo liscio, privo di ornamentazioni, grigio-bruno sempre più scuro verso la maturazione, bulboso; lamelle verdastre in fase di maturazione; carne arrossante al taglio.

Specie simili

• Chloroplyllum brunneum (Farl. & Burt) Vellinga

[sinonimi: Macrolepiota brunnea (Farl. & Burt) Wasser; M. rhacodes var. bohemica (Wichanský) Bellù & Lanzoni]

Differisce per il cappello decorato da squame di dimensioni maggiori; per le lamelle bianche, mai verdastre; per il gambo caratterizzato da un grosso bulbo marginato alla base; per l’anello semplice.

  • Chlorophyllum rhacodes (Vittad.) Vellinga

[sinonimo: Macrolepiota rhacodes (Vittad.) Singer]

Differisce per il cappello con grandi squame poligonali irregolari; per il margine del cappello debordante; per le lamelle bianche, mai verdastre; per il gambo con bulbo ingrossato e non marginato ma con analogo anello doppio; per la carne fortemente virante al rosso.

  • Macrolepiota procera (Scop.) Singer

Specie commestibile, ricercata ed apprezzata per le buone qualità organolettiche

che, anche se presenta caratteristiche morfo-cromatiche ben determinanti, può essere facilmente confusa con C. molybdites specialmente dai cercatori meno esperti. Differisce per il notevole sviluppo del carpoforo, sia con riferimento alle dimensioni del cappello, sia a quelle del gambo; per il cappello caratterizzato da tipico umbone liscio e dalla presenza di grosse squame concentriche nella zona marginale; per le lamelle di colore bianco, bianco-crema con riflessi rosati, tendenti a scurire verso il brunastro negli esemplari maturi ma mai con colorazione o riflessi verdastri o verde-brunastri; per il gambo che, anche se munito di similare anello doppio e scorrevole, è sempre decorato da caratteristiche zigrinature che spesso lo ricoprono per intero, estendendosi dal bulbo fino alla zona sottoanulare (liscio in C. molybdites); per la carne bianca immutabile al taglio o appena rosata negli esemplari maturi, mai arrossante nel gambo come in C. molybdites; per l’habitat di crescita che la vede tipica degli ambienti boschivi o delle radure al limitare del bosco.

Diffusione territoriale, note e curiosità

Questa specie, originaria delle aree tropicali e subtropicali, risulta rara in Italia, ma bene ambientata e diffusa in Sicilia dove da numerosi anni fruttifica in maniera abbondante nel litorale jonico nella provincia di Catania estendendo il proprio raggio di fruttificazione anche nel territorio messinese, sia nella zona jonica sia in quella tirrenica ove viene ritrovata sempre più spesso in numerosissimi esemplari.

Ancora oggi, nonostante siano passati 17 anni dalla prima segnalazione sul territorio siciliano, numerosi testi di micologia che trattano specie del nostro territorio nazionale continuano a non considerarla affatto o a trattarla marginalmente come specie genericamente rara [Signorino, 2015a, 2015b], di fatto sottovalutandone la pericolosità.

In effetti, negli ultimi anni, i ritrovamenti, specialmente nel territorio siciliano, si sono fatti sempre più frequenti e sempre più abbondanti, estendendosi, come precisato da Signorino (2015a), dalla “ghiaia del litorale jonico” della provincia di Catania, “ad aiuole cittadine, a giardini privati, dalla collina alle zone pedemontane; in terreni erbosi con presenza di Plantago lanceolataDichondra repensSetaria glauca, accanto ad alberi di ulivo, pini o a piante esotiche come Ceiba speciosa”. Recentemente, numerose fruttificazioni sono state segnalate anche in provincia di Messina, configurando, quindi, la presenza della specie come costante ed invasiva nel territorio siciliano.

Il nostro recente ritrovamento fa riferimento a numerosi esemplari in diverse fasi di sviluppo in Contrada Ciantro nel territorio di Milazzo (ME), nell’aiuola di un parco giochi con colture arboree ornamentali di Schinus molle (falso pepe).

Ufficialmente, la presenza della specie nel territorio siciliano viene segnalata solo in data 29.10.2021, dalla Regione Siciliana – Assessorato Regionale alla Salute – con nota Protocollo n. 45000, inviata alle AA. SS. PP., agli Ispettorati Micologici ed alle Associazioni Micologiche delle Regione Siciliana.

Non vogliamo assumere un atteggiamento polemico in merito a questa tardiva comunicazione, ma non possiamo fare a meno di condividere il parere del micologo Carmelina Signorino, che dalle pagine del quotidiano “La Sicilia” (31 ottobre 2021) evidenzia: “Fa riflettere che il Ministero della Salute “scopra” solo ora, dopo 16 anni, la sua presenza in Sicilia”.

Ringraziamenti

Un grazie particolare va rivolto all’amico Filippo Gabriele La Rosa per la cortese e gradita segnalazione della fruttificazione della specie in località Ciantro del Comune di Milazzo (ME); alla Dott.ssa Carmelina Signorino per la nutrita bibliografia fornita con riferimento ai suoi numerosi contributi in merito alla presenza di C. molybdites in Sicilia; agli amici Carmelo Di Vincenzo e Nino Fiocco per avere cortesemente fornito, autorizzandone la pubblicazione, le foto relative a Chlorophillum brunneum e C. rhacodes, utilizzate a corredo del presente contributo.

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  1. Sindrome Morgana, conosciuta anche come Morganismo, è una sindrome a breve latenza che causa disturbi gastrointestinali di notevole entità. I sintomi dell’intossicazione si presentano tra 30 minuti e 2 – 4 ore dal consumo [Assisi et al., 2008; Della Maggiora & Pera, 2021], si manifestano con disturbi intensi e persistenti quali, ad esempio: pesantezza gastrica, nausea, conati di vomito ripetuti e violenti spesso accompagnati da emissione di sangue, coliche addominali con violente scariche diarroiche spesso sanguinolente, difficoltà respiratoria, vertigini, sudorazioni, riduzione delle capacità di ragionamento, crampi muscolari, colorito subitterico della cute, tachicardia, ipercromia delle urine, ipersecrezione lacrimare e salivale [Brunelli, 2009]. A volte si manifesta anche cianosi labiale e linguale. Il recupero è totale anche senza l’ausilio di una terapia specifica [Della Maggiora & Pera, 2021]. La denominazione della sindrome Morganismo, trova origine in uno dei sinonimi della specie responsabile dell’intossicazione: Lepiota morganii [Assisi et al., 2008].

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Bibbliografia

  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. Edit. dalla Natura, Milano. I
  • Brunelli Ermanno, 2009: Le sindromi emergenti. In Follesa P., 2009: Manuale tecnico pratico per indagini su campioni fungini. A.M.B., Fondazione Centro Studi Micologici Trento: 77-79. Trento. I
  • Della Maggiora Marco, Pera Umberto, 2021: Funghi in Toscana. AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani). La Pieve Poligrafica, Villa Verrucchio (RN), I
  • La Chiusa Lillo, 2013: Funghi Agaricoidi. Vol. 1. Ander Editore, Monza. I
  • Lebel T. & Anna S., 2012: Sequestrate species of Agaricus and Macrolepiota from Australia: new species and combinations and their position in a calibrated phylogeny. Mycologia 104(2): 96-520.
  • Maletti Marco, 2016: Due Macrolepiota spostate nel Genere Chlorophyllum. Micologia nelle Marche, Bollettino del C.A.M.M. (Coordinamento Associazioni Micologiche delle Marche) Anno X (2): 11-15.
  • Signorino Carmelina, 2006a: Un fungo esotico sulla spiaggia del litorale jonico: una lepiota… dalle lamelle verdi. Rivista di Micologia Siciliana 1: 35-42.
  • Signorino Carmelina, 2006b: Segnalazione del ritrovamento in Sicilia di Chlorophyllum molybdites. Bollettino Gruppo Micologico Bresadola-Nuova Serie. BGMB 49((1-3): 95-100
  • Signorino Carmelina, 2015a: Segnalazione della prima intossicazione da Chlorophyllum molybdites in Italia. Rivista di Micologia Anno LVIII (3): 245-252. Trento. I
  • Signorino Carmelina, 2015b: Chlorophyllum molybdites: un fungo infestante e pericoloso. Rivista di Micologia Siciliana, numero speciale: 65-68.

Sitografia

  • IF (ultima consultazione, novembre 2021), Indexfungorum database. www.indexfungorum.org
  • MB (ultima consultazione, novembre 2021), Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks. www.mycobank.org

Suillus granulatus (L.) Roussel (1796)

É una delle numerose specie fungine a tipica crescita autunnale conosciuta, sull’intero territorio nazionale, con la denominazione volgare di “Pinarolo” o “Pinarello”, attribuitale, a ragion veduta, per la sua particolare propensione a fruttificare in associazione simbiotica con colture arboree appartenenti al Genere Pinus. È specie commestibile, posizionata, nella sistematica fungina, nella Famiglia Boletaceae, facilmente identificabile anche dai cercatori meno esperti, che sembra essere, sul territorio nazione e anche oltre, il Suillus più conosciuto [Papetti et al., 2004: Chiari & Papetti, 2021].

Genere Suillus P. Micheli

Nov. pl. gen. (Florentiae): 126 (1729)

Specie tipo:

Suillus luteus (L.) Roussel

Fl. Calvados: 34 (1796)

Etimologia:

Suillus, diminuitivo del termine latino “sus ovvero maiale, maialetto; porcinello [Buda, 2011; Acta Plantarum, 2022].

Al genere appartengono numerose specie fungine a tipica crescita terricola, a nutrizione simbiotica [Mattucci, 2009], carnose e con struttura omogenea (con tessitura ifale continua, ovvero quando il cappello ed il gambo, stante la loro analoga conformazione strutturale, si staccano con difficoltà l’uno dall’altro lasciando tracce evidenti di frattura), che presentano le seguenti caratteristiche morfologico-strutturali:

Cappello di medio-grandi dimensioni, ricoperto da cuticola vischiosa o glutinosa, raramente asciutta, liscia o fibrilloso-squamulosa [Galli, 2013] facilmente separabile dalla carne sottostante in quasi tutte le specie, ad eccezione di S. variegatus e S. bovinus [Matteucci, 2009]. Colore variabile a seconda delle varie specie: giallo, arancione, brunastro [Boccardo et al., 2008].

Imenoforo tipicamente boletoide, costituito da tubuli di media lunghezza, adnati e facilmente separabili dalla carne del cappello [Galli, 2013], con eccezione per S. bovinus [Matteucci, 2009]. Pori inizialmente piccoli poi, verso la maturità, sempre più larghi, irregolari o angolosi [Galli, 2013], di colore giallo, grigio, olivaceo, brunastro [Boccardo et al., 2008]. Spore in massa di colore giallo-brunastro.

Gambo centrale, cilindrico, pieno, vischioso o asciutto, con o senza anello [Boccardo et al., 2008; Galli, 2013], spesso con granulazioni da giallo a bruno-violaceo [Boccardo et al., 2008].

Carne bianca, giallastra, a volte con leggero viraggio al verde-bluastro.

Habitat:

Le numerose specie appartenenti al genere sono solite associarsi in simbiosi ectomicorriza a conifere, preferendo, in particolare, associarsi a colture arboree appartenenti al Genere Larix o Pinus spp.

Commestibilità:

Specie commestibili anche se alcune possono causare effetti lassativi e, per evitare l’inconveniente, devono essere consumate private della cuticola.

Curiosità tassonomiche

Il termine “Suillus”, già conosciuto ed utilizzato dagli antichi romani per identificare un insieme eterogeno di specie fungine, fu adottato, nel 1729, dal micologo italiano Pier Antonio Micheli (Firenze, 11 dicembre 1679 – 2 gennaio 1737 con l’intento di identificare le numerose specie fungine a portamento boletoide. La denominazione non venne però accettata in quanto, in epoca precedente, tali specie erano state identificate dal botanico tedesco Johann Jacob Dillen (detto Dillenius. Darmstadt, 1684 – Oxford, 2 aprile 1747) con la denominazione di Boletus. In seguito, nel 1821, la denominazione fu ripresa dal botanico inglese Samuel Frederick Grey (Londra, 20 dicembre 1766 – Chelsea, 12 aprile 1828) con l’intento di riferirla ad una sola parte dei Boleti che, elevati a rango di Genere, per la particolarità delle caratteristiche morfo-strutturali, potevano, a tutti gli effetti, essere identificati come Suillus. In passato, all’attuale denominazione di Suillus, era preferita quella coniata dal micologo-naturalista francese Lucien Quélet (Monécheroux, 14 luglio 1832 – Hérimoncourt, 25 agosto 1899) nel 1888: Ixocomus (termine derivato dal greco ἰξός (ixos) = vischio, vischioso e da κόμη (cóme) = chioma, con riferimento alla particolare vischiosità del cappello [Acta Plantarum, 2022]). Successivemente, però, con l’assetto della nomenclatura micologica è stata data la precedenza al termine Suillus in quanto cronologicamente anteriore [Alessio, 1985].

Suillus granulatus (L.) Roussel

Fl. Calvados: 34 (1796)

Basionimo: Boletus granulatus Linneo

Sp. pl. 2: 1177 (1753)

Autore sanzionante: Fries., Syst. mycol. 1: 387 (1821)

Accentazione: Suìllus granulátus

Ettimologia: granulatus dal latino gránulum granello (diminutivo di granum): granuloso, cosparso di granuli, punteggiato [Acta Plantarum, 2022], con riferimento alle caratteristiche granulazioni che ricoprono la parte superiore del gambo.

Posizione sistematica: classe Agaricomycetes, ordine Boletales, famiglia Boletaceae, genere Suillus.

Principali sinonimi:

Agaricus granulatus (L.) Lam., Encycl. Méth. Bot. 1(1): 51 (1783)

Viscipellis granulata (L.) Quél., Enchir. fung. (Paris): 156 (1886)

Ixocomus granulatus (L.) Quél., Fl. mycol. France (Paris): 412 (1888)

= Boletus flavorufus Schaeff., Fung. bavar. palat. nasc. (Ratisbonae) 4: 83 (1774)

= Boletus lactifluus With., Arr. Brit. pl., Edn 3 (London) 4: 320 (1796)

Leccinum lactifluum (With.) Gray, Nat. Arr. Brit. Pl. (London) 1: 647

(1821)

Suillus lactifluus (With.) A.H. Sm. & Thiers, Michigan Bot. 7: 16 (1968)

= Ixocomus pictilis Quél., C. r. Assoc. Franç. Avancem. Sci. 22(2): 487 (1894)

Boletus pictilis (Quél.) Sacc. & Traverso, Syll. fung. (Abellini) 19: 170 (1910)

 

Nomi volgari: Boleto granuloso [Bonazzi, 2003]; Pinarolo [Buda, 2011], Pinarello.

Nomi dialettali: Bausu, nome dialettale in uso nella provincia di Messina (Sicilia) [Bonazzi, 2003]; Funciu i zappino, nome dialettale in uso nella provincia di Catania (Sicilia) [Bonazzi, 2003; Buda, 2011].

Descrizione macroscopica

Cappello di medie-grandi dimensioni, generalmente 5 – 12 cm di diametro, a volte anche 16 [Alessio, 1985]. Inizialmente conico-emisferico poi, verso la maturazione, convesso e infine appianato. Margine involuto negli esemplari giovani, regolare in quelli adulti, a volte leggermente sinuoso. Cuticola particolarmente vischiosa, glutinosa specialmente a tempo umido, liscia, brillante, totalmente e facilmente separabile dalla carne sottostante, colore variabile: crema, crema-beige, giallo-beige, giallo-arancio, ocra, ocra-arancio, brunastro. Imenoforo a tuboli inizialmente corti poi, verso la maturazione, mediamente lunghi, adnati al gambo, di colore giallo chiaro negli esemplari giovani, sempre più marcato sino al giallo-verdastro verso la maturazione. Pori inizialmente piccoli e rotondi, poi sempre più ampi e angolosi, caratterizzati, negli stadi iniziali, dalla presenza di goccioline lattiginose, opalescenti che, ben presto, assumono consistenza granulosa e colore brunastro. Spore in massa bruno-ocracee. Gambo centrale, cilindrico, diritto, da corto e tozzo ad allungato, a volte contorto, sodo, pieno, vischioso. Inizialmente bianco-giallino, poi scurente verso tonalità giallo-ocracee. Ricoperto, nella zona apicale, da goccioline lattiginose molto simili a quelle secrete dai pori che, come queste, tendono, nel tempo, ad essiccare assumendo la conformazione di granulosità brunastre. Alla base sono presenti resti miceliari gialline. Anello assente. Carne spessa e tenera negli esemplari giovani, molle e spugnosa negli esemplari adulti specialmente nel cappello, particolarmente predisposta ad assorbire l’acqua a tempo piovoso. Più soda nel gambo. Biancastra nel cappello con una leggera e stretta striscia brunastra nella zona sottocuticolare; bianco-giallastra nel gambo dove, negli esemplari molto maturi, si presenta, alla base, bruno-violacea. Odore debole, sapore dolce.

Habitat: dalla fine della primavera ad autunno inoltrato, spesso a gruppi di numerosi esemplari, in associazione a colture arboree appartenenti al genere Pinus: a due aghi (Pinus sylvestris, P. mugo, P. nigra, P. nigra var. laricio, P. halepensis) ed anche a tre e cinque aghi.

Commestibilità: buon commestibile a condizione che si utilizzino solo esemplari giovani privati totalmente della cuticola che può causare, in soggetti sensibili, effetti gastroenterici-lassativi anche di una certa intensità.

Caratteri differenziali

Si riconosce facilmente per la cuticola vischiosa e viscida a tempo umido, sempre facilmente e totalmente asportabile; per il colore del cappello su toni crema, crema-beige, giallo-beige, giallo-arancio, ocra, ocra-arancio, brunastro; per le goccioline acquose secrete dai pori negli esemplari giovani; per il gambo cosparso, alla sommità, da minute granulazioni; per l’habitat di crescita che lo vede sempre associato a colture arboree appartenenti al genere di Pinus

Specie simili

Tra le numerose specie congeneri che presentano caratteristiche similari a S. granulatus con le quali questi può essere facilmente confuso, ci limitiamo a indicare:

  • Suillus collinitus (Fr.) Kuntze, Revis. gen. pl. (Leipzig) 3 (3): 536 (1898)

Differisce per la cuticula più scura, su toni brunastri, munita di evidenti fibrille radiali; per l’assenza di goccioline lattiginose secrete dai pori; per la presenza, anche se non sempre, di micelio basale di colore rosa-arancio.

  • Suillus luteus (L.) Roussel, Fl. Calvados: 34 (1796)

Sembra essere la specie che maggiormente si presta ad essere confusa con S. granulatus dal quale differisce, essenzialmente, per la presenza di un anello membranoso, di colore inizialmente biancastro, poi bruno-violetto, a volte poco visibile in quanto attaccato al gambo ove si posiziona nella parte superiore; per la presenza, nella parte apicale del gambo, sopra l’anello, di un fine reticolo giallastro e per una fine punteggiatura inizialmente giallastra, poi concolore al cappello, sotto l’anello.

Bibliografia citata

  • Alessio Carlo Luciano, 1985: Boletus Dill. ex L. Collana Fungi Europaei Vol. 2. Libreria editrice Biella Giovanna, Saronno. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Ristampa 2013. Edit. Zanichelli, Bologna. I

  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I

  • Buda Andrea, 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I

  • Chiari Maurizio, Papetti Carlo, 2021: Escursioni di studio alla Fattoria didattica “Catena Rossa”, Cagnache di Sarezzo V.T. – V. Parte terza. Bollettino del Circolo Micologico G. Carini, (81): 37-46

  • Galli Roberto – 2013: I Boleti. Micologica, Pomezia. I

  • Matteucci Sergio, 2009: Le specie più comuni del genere Suillus. MicoPonte (3): 11-17

  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I

Sitografia

Indexfungorum database. www.indexfungorum.org

  • MB (ultima consultazione, settembre 2022), Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks. www.mycobank.org
  • Micologia Messinese (ultima consultazione, settembre 2022) www.micologiamesinese.it

Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T., 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I

  • Bresadola Giacomo, 1954: Funghi mangerecci e funghi velenosi. Museo di Storia Naturale. Trento. (IV edizione a cura del Comitato Onoranze Bresadoliane. Milano-Trento). I
  • Della Maggiora Marco, Pera Umberto, 2021: Funghi in Toscana. AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani). La Pieve Poligrafica, Villa Verrucchio (RN). I
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, 2000, Funghi Boleti. Calderini edagricole, Bologna. I

  • Lavorato Carmine, Rotella Maria, 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I

  • La Chiusa Lillo, 2021: Guida ai funghi d’Europa. Il Cstello. Carnaredo (MI). I

  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali. Genova. I

Macrolepiota rhacodes (Vittad.) Singer (1951)

Specie comune, tipica dei terreni ricchi di humus, a nutrizione saprotrofica, facilmente confondibile con le specie congeneri. Tradizionalmente nota con l’epiteto binomiale di Macrolepiota rhacodes, è stata, in tempi relativamente recenti, unitamente ad altre specie appartenenti al medesimo genere, quali, ad esempio: M. venenata Bon, M. brunnea(Farl. & Burt) Wasser, M. oliveri (Barla) Wasser, riposizionata nel genere Chlorophyllum, di nuova creazione. La ricombinazione delle varie specie dal genere Macrolepiota al genere Chlorophyllum si è resa necessaria soprattutto per la diversa colorazione della sporata: bianca nel primo, verde nel secondo. L’autonomia dei due generi è supportata anche dai risultati delle analisi filogenetiche pubblicate in diversi studi.

Genere Macrolepiota Singer

Pap. Mich. Acad. Sci. 32: 141 (1948)

Specie tipo:

Macrolepiota procera (Scop.) Singer

Pap. Mich. Acad. Sci. 32: 141 (1948) 

Tratto da Miceli, 2021 (118): 28-37

Al genere, la cui denominazione fa riferimento al micologo tedesco Rolf Singer (Schliersee, 1906 – Chicago, 1994), appartengono funghi saprofiti (che crescono su sostanze organiche morte delle quali si nutrono, provocandone la decomposizione), eterogenei (quando il cappello ed il gambo, stante la loro diversità strutturale, si staccano facilmente l’uno dall’altro senza lasciare tracce evidenti di frattura),con imenoforo (parte inferiore del cappello ove è posizionato l’imenio, formato, nel genere Macrolepiota, da lamelle) non asportabile e residui del velo parziale sotto forma di anello, che presentano le seguenti caratteristiche morfologiche:

Cappello di grandi dimensioni, raggiunge facilmente, e spesso supera, in alcune specie, i 30 cm di diametro; inizialmente subgloboso, emisferico, campanulato, poi piano, disteso; caratterizzato in diverse specie alla presenza di un umbone più o meno prominente; generalmente decorato da squame concentriche; colore variabile da nocciola più o meno chiaro a bruno-nocciola, bruno-castano, fino a bruno-ocra, bruno-nerastro.

Lamelle bianco-biancastre, leggermente imbrunenti verso la maturazione in alcune specie. Libere (quando si interrompono prima di raggiungere il gambo) ed inserite in un collarium (struttura anulare posizionata all’apice del gambo sulla quale si inseriscono le lamelle). Le spore in massa di colore bianco identificano le specie come appartenenti al gruppo dei funghi leucosporei (eccezione: M. olivascens che ha sporata rosata).

Gambo cilindrico, slanciato, molto alto, supera spesso i 30-35 cm., liscio in alcune specie, screziato per la presenza di squamule più o meno evidenti in altre. Nella zona apicale è ornato da un anello semplice o doppio, a volte scorrevole; la base si presenta ingrossata e tondeggiante per la presenza di un bulbo più o meno grosso. È costituito da cellule filamentose di consistenza molto fibrosa, cavo all’interno, si schiaccia facilmente alla pressione sfilacciandosi longitudinalmente, formando lunghi e consistenti filamenti. Il colore, sui toni bianco-rosati, varia dal bianco, bianco-biancastro, al bruno, bruno-rosato, bruno-rossastro.

Carne bianca immutabile in alcune specie, più o meno arrossante o imbrunente al taglio in altre specie. Odore e sapore generalmente gradevoli.

Habitat:

al genere, come già detto, appartengono funghi saprofiti che prediligono, quale habitat di crescita, terreni ricchi di humus, pertanto non hanno un legame simbiotico con specie arboree specifiche ed è facile trovarle sia in terreni incolti quanto in radure ai margini dei boschi e nei boschi stessi sia di latifoglie che di conifere.

Fruttificano, generalmente, nel periodo autunno-inverno ma, a seconda delle condizioni climatiche, è possibile trovarle anche in primavera o in estate.

Commestibilità:

il genere comprende specie di buona commestibilità e molto ricercate per il consumo (es. M. procera) e specie tossiche che se consumate provocano sindrome gastrointestinale (es. M. rhacodes = Chlorophyllum rhacodes; M. venenata = Chlorophyllum venenatum). Tutte le specie commestibili devono essere private, prima del consumo, del gambo in quanto particolarmente fibroso, legnoso, difficilmente masticabile ed indigesto. Il cappello, unica parte edule, viene generalmente cucinato a cotoletta o alla griglia, non è commestibile da crudo e deve essere consumato ben cotto.

Etimologia:

la denominazione del genere nasce dall’unione di tre diversi termini: macro = grande, lepis = squama, otos = orecchio… ovvero grande orecchio squamoso.

Le numerose specie appartenenti al Genere, specialmente quando si presentano di piccole dimensioni, si prestano facilmente ad essere confuse con specie fungine appartenenti al Genere Lepiota che, tradizionalmente, ospita specie velenoso-mortali. É consigliabile, al fine di evitare errori di determinazione con conseguenti esiti di natura spesso irreversibile, astenersi dal raccogliere specie fungine ancora poco sviluppate e, in ogni caso, sottoporre, prima del consumo, gli esemplari raccolti all’esame di un micologo professionista al fine di acquisirne la corretta valutazione di commestibilità.

Macrolepiota rhacodes (Vittad.) Singer 

Lilloa 22: 417 (1951)

Basionimo: Agaricus rhacodes Vitt. [as ‘rachodes’] (1835)

Accentazione: Macrolepióta rhacódes

Nome corrente: Chlorophyllum rhacodes (Vittad.) Vellinga

Mycotaxon 83: 416 (2002)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Agaricaceae, Genere Macrolepiota

Etimologia: rhacodes dal greco ῥαχόδες (rhachódes) = lacerato, stracciato, cencioso con espresso riferimento alla particolare conformazione squamulata del cappello

Principali sinonimi: Lepiota rhacodes (Vittad.) Quel. 1872; Mastocephalus rhacodes (Vittad.) Kuntze (1891); Leucocoprinus rhacodes (Vittad.) Pat. (1900); Lepiotophyllum rhacodes (Vittad.) Locq. (1942)

 Descrizione macroscopica

Cappello da oviforme a sferico, poi piano-convesso; superficie discale unita nella zona centrale in una calotta di colore bruno-nocciola, sfaldata nella zona periferica in squame larghe, grossolane, concentriche di colore più chiaro. Imenoforo a lamelle inizialmente bianche poi imbrunenti, facilmente separabili, libere, inserite in collarium. Gambo cilindrico, tozzo con grosso bulbo marginato (delimitato da un bordo netto e ben definito) alla base, liscio, inizialmente bianco-biancastro tende al bruno-rossastro con l’età ed allo sfregamento. Anello doppio, scorrevole, bianco-grigiastro nella parte esterna, brunastro in quella interna. Carne bianca con viraggio al rosso vinoso al taglio, specialmente nel gambo. 

Habitat: in parchi, giardini e boschi misti, dall’estate all’autunno.

Commestibilità: Tossico – non commestibile, provoca sindrome gastrointestinale.

Macrolepiota rhacodes (nome corrente: Chlorophyllum rhacodes) - Foto  Marco Bianchi
Macrolepiota rhacodes (nome corrente: Chlorophyllum rhacodes) – Foto Marco Bianchi

Caratteri differenziali

Si caratterizza per le grandi dimensioni; per la cuticola che si presenta, inizialmente, intera e, successivamente, verso la maturazione, dissociata in squamule poligonali non sovrapposte tra di esse; per l’anello doppio; per la base del gambo ingrossata a forma di bulbo; per il viraggio della carne tendente ad assumere colorazioni su toni rossastri, rosso-brunastri.

Specie simili

  • Macrolepiota rhacodes var. bohemica (Wichanský) Bellù & Lanzoni (1987)

[Nome corrente: Chlorophyllum brunneum (Farl. & Burt) Vellinga (2002)]

Differisce per le dimensioni mediamente maggiori; per il rivestimento del cappello di colore bruno, inizialmente unito, poi, verso la maturazione, dissociato in squame grosse e regolari disposte in maniera concentrica; per l’anello semplice, senza doppia corona; per il gambo liscio, con bulbo marginato e leggermente arrosante solo alla base; per il viraggio della carne al taglio che, anche se analogamente arrossante, si presenta con una minore intensità. 

Ritenuta, inizialmente, una semplice varietà, è stata elevata, successivamente, al rango di specie ed inserita nel Genere Chlorophyllum.

  • Macrolepiota venenata Bon (1979)
    [Nome corrente: Chlorophyllum venenatum (Bon) C. Lange & Vellinga (2004)]

Macrolepiota venenata (nome corrente: Chlorophyllum venenatum) - Foto Marco Bianchi
Macrolepiota venenata (nome corrente: Chlorophyllum venenatum) – Foto Marco Bianchi

Specie molto simile e facilmente confondibile presentando analoghe caratteristiche morfologiche ed analogo viraggio della carne. Differisce per l’anello semplice e per la base del gambo che ha bulbo marginato.

Sulla posizione tassonomica della specie c’è diversità di vedute tra i vari studiosi, alcuni dei quali ritengono che sia da sinonimizzare con Chlorophyllum brunneun, quindi anche con Macrolepiota rhacodes var. bohemica, altri, invece, ritengono possa considerarsi specie autonoma ed inserita nel genere Chlorophyllum.

Curiosità tassonomico-nomenclaturali

La prima descrizione della specie fa riferimento al micologo italiano Carlo Vittadini (San Donato Milanese, 11 giugno 1800 – Milano, 20 novembre 1865), che la descrisse in maniera eccellente e molto accurata in “Funghi Mangerecci” (1835) con l’originaria denominazione di “Agaricus rachodes” che, in seguito, per probabile errore di trascrizione, molti micologi a lui successivi, fatta eccezione per alcuni, trasformarono in “rhacodes” [Candusso & Lanzoni, 1990], facendo scivolare la “h” che compone l’epiteto di un paio di posizioni. Successivamente, per problematiche di natura etimologica, assolutamente indiscutibili, come approvato da numerosi linguisti, si convenne di utilizzare definitivamente l’ortografia “rhacodes” [Bon, 1993] che deve essere considerata, a tutti gli effetti, quella corretta.

La specie, dopo l’originaria descrizione e l’inserimento nel genere Agaricus, fu riposizionata, nel tempo, prima nel genere Lepiota, poi nel genere Macrolepiota e infine nel genere Chlorophyllum.

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Foto: Marco Bianchi, Carmelo Di Vincenzo, Nino Fiocco, Marco della Maggiora, Graziella Starvaggi.

Bibliografia Essenziale:

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Ristampa 2013. Edit. Zanichelli, Bologna. I
  • Bon Marcel, 1993: Flore Mycologique d’Europe. 3. Les Lépiotes. Doc. Mycol. Mémoire hors série n. 3. CRDP De Picardie. Amiens Cedex. F
  • Candusso Massimo, Lanzoni Gianbattista, 1990: Lepiota s. l. Collana Fungi Europaei Vol.4. Libreria Editrice Giovanna Biella, Saronno. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • La Chiusa Lillo, 2013: Funghi Agaricoidi, Vol. I – Agaricaceae. ANDER Editore, Monza. I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria, 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Maletti M., 2016: Due Macrolepiota spostate nel Genere Chlorophyllum. Micologia nelle Marche. Bollettino del C.A.M.M. (Coordinamento Associazioni Micologiche delle Marche) Anno X(2): 11-15.
  • Miceli Angelo, 2021: Macrolepiota procera. Passione Funghi & Tartufi, (118): 28-37. ErrediGrafiche, GE. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Sorbi Claudio, 2010: Le Macrolepiota più comuni delle nostre zone, le mazze di tamburo. MicoponteBollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 4: 5-12, Ponte a Moriano (LU). I
  • Vittadini Carlo, 1935: Funghi mangerecci più comuni dell’Italia e de’ velenosi che possono co’ medesimi confondersi. Edizioni Felice Rusconi, Milano. I

Sitografia

Agaricus augustus

È una delle poche specie fungine appartenenti al genere Agaricus a crescita, anche se non esclusiva, boschiva. Per le particolari caratteristiche morfologico-strutturali, risulta facilmente determinabile anche dai meno esperti.

Genere Agaricus L. nom. sanct.

Sp. pl. 2: 1171 (1753)

Autore sanzionante: Fries, Syst. mycol. 1: lvi, 8 (1821)

Tratto da Miceli, 2021 (XXXIX): 68-76

Al genere appartengono basidiomi con crescita terricola o, in pochi casi, fimicola ma mai lignicola [Cappelli, 1984], di piccole, medie e grandi dimensioni, generalmente carnosi, con tipica nutrizione saprotrofica anche se le specie crescenti in prossimità degli alberi lasciano pensare ad una probabile forma di nutrizione micorrizica [La Chiusa, 2013]. In merito è opportuno precisare che alcuni micologi considerano le varie specie appartenenti al genere quali simbionti con piante erbacee. Tutte le specie appartenenti al genere hanno uno sviluppo bivelangiocarpico, ovvero risultano ricoperti, specialmente nella fase iniziale di crescita, da due veli: uno detto generale che avvolge l’intero carpoforo, l’altro detto parziale che ricopre l’imenio, parte fertile del fungo, anche se entrambi i veli, specialmente quello generale, possono essere poco persistenti e molto fugaci tanto da non lasciare alcuna traccia a maturazione dello sporoforo. [Galli, 2004].

Agaricus augustus
Agaricus augustus

I carpofori si presentano carnosi, eterogenei (quando presentano struttura molecolare diversa tra cappello e gambo e, di conseguenza, sono facilmente separabili l’uno dall’altro), con imenoforo (parte fertile del fungo ove maturano le spore) a lamelle non asportabili; con residui del velo generale presenti solo in alcune specie con resti alla base del gambo sotto forma di placche o fiocchi; mentre i resti del velo parziale sono sempre presenti in tutte le specie sotto forma di anello semplice o doppio [Boccardo ed altri, 2013].

Il genere Agaricus risulta facilmente identificabile dal semplice esame delle caratteristiche morfologiche. L’elemento maggiormente caratterizzante è costituito dal colore delle lamelle che, a seconda delle varie specie, varia dal grigio-biancastro al rosa-grigiastro, al rosa-beige, al rosa chiaro nei primi stadi di sviluppo dei carpofori per divenire, con l’avanzare della maturazione, sempre più scuro verso tonalità rosa-rossastre, rosa-brunastre, bruno, fino al bruno-porpora o bruno-nerastro negli esemplari in avanzato stato di maturazione. Il colore delle lamelle è conseguenziale al colore delle spore che maturando assumono tonalità sempre più scure con chiara identificazione di carpofori appartenenti al gruppo dei funghi iantinosporei, ovvero con spore di colore bruno-porpora.

É possibile pervenire alla determinazione delle singole specie osservando, nelle varie combinazioni, i caratteri macroscopici dei singoli carpofori quali, ad esempio, la conformazione dei residui velari, in particolare la posizione e la forma dell’anello (supero, infero, semplice, doppio, a ruota dentata ecc.), la desquamazione della superficie del cappello, il viraggio della superficie per sfregamento, il colore della carne al taglio [Cappelli, 2010]. É importante fare riferimento, sempre ai fini della determinazione della specie, anche ai caratteri organolettici, in particolare all’odore. In generale un intenso viraggio al giallo, conseguente allo strofinio delle superfici o al taglio della carne concentrato nella parte bassa del gambo, unitamente ad un apprezzabile odore di iodoformio o di fenolo (inchiostro, inchiostro di china), è identificativo di specie tossiche causa di sindrome gastroenterica, quindi non utilizzabili per il consumo; mentre un piacevole odore di anice o di mandorle è identificativo di specie commestibili. Preferiamo, ritenendo che l’argomento sia molto vasto e, di conseguenza, poco agevole da trattare nelle poche righe di una “Riflessione Micologica”, invitare il lettore al suo approfondimento consultando i testi e, in particolare, le monografie indicate nella bibliografia a corredo [Miceli, 2021].

Le numerose specie appartenenti al genere, la cui specie tipo è Agaricus campestris, sono caratterizzate dai seguenti elementi morfologio-strutturali:

Cappello: da piccole a medio, grandi dimensioni, più o meno carnoso, inizialmente emisferico poi, verso la maturazione, convesso e, infine, appianato, a volte con umbone centrale. Superficie con colorazioni variabile dal bianco-biancastro al giallastro, ocra, grigiastro, fino al brunastro, inizialmente uniforme poi, verso la maturazione, anche se non sempre, dissociata in fibrille o squamette fibrillose. Ingiallente per sfregamento o immutabile.

Imenoforo: a lamelle sottili, fitte, intervallate a lamellule, libere al gambo. Inizialmente di colore rosato o grigiastro, a volte molto chiaro e tendente al bianco poi, a maturazione, bruno-porpora sempre più scuro fino a quasi nero. La mutazione della colorazione è dovuta alla progressiva maturazione delle spore che assumono, maturando, colorazione sempre più intensa [Cappelli, 1984].

Gambo: centrale, diritto, a volte ricurvo, cilindrico o clavato, spesso con base bulbosa, bianco, biancastro o tendente al nocciola chiaro, ingiallente, arrossante o immutabile per sfregamento. Caratterizzato dalla costante presenza di residui del velo parziale sotto forma di anello supero o infero, semplice o doppio. Raramente presenti, alla base, residui del velo generale sotto forma di pseudo-volva.

Carne: bianca, caratteristicamente virante al taglio, per autossidazione, verso colorazioni rossastre o giallastre più o meno intense e marcate a seconda della specie di appartenenza. Odore variabile a seconda della specie, a volte di anice o mandorle amare, a volte di fenolo, inchiostro di china o iodoformio.

Habitat: tipicamente terricolo, predilige prati, campi, pascoli, parchi, giardini, serre, terreni molto concimati e ricchi di humus. Alcune specie si riproducono facilmente anche in ambiente boschivo.

Commestibilità: al genere appartengono specie di buona commestibilità e altre che possono risultare tossiche. Alcune specie si prestano ottimamente alla coltivazione e trovano larga diffusione commerciale in tutto il mondo.

Suddivisione del genere Agaricus

É ovvio, come normalmente avviene in ambito micologico, che anche il genere Agaricus abbia subito, nel tempo, numerose suddivisioni che, secondo i diversi punti di vista degli autori proponenti, hanno assunto una strutturazione sistematica molto varia e differente. Tra gli autori che hanno lascito il proprio contributo, come riportato da Cappelli (1984) e Galli (2004), citiamo: Alfred Möller (1950-1952), Albert Pilàt (1951), Paul Konrad e René Maublanc (1952), Robert Kühner e Henri Romagnesi (1953) Henri Essette (1964), Meinhard Moser (1967-1983), Rolf Singer (1975), Paul Heinemann (1978), Salomon P. Wasser (1980) [Cappelli, 1984; Galli, 2004] e ancora, come continua Galli (2004), David Pegler (1983), Alberto Cappelli (1984), Marcel Bon (1985) e altri ancora fino a Marijke M. Nauta (2002) che hanno inteso dare, questi ultimi, una impostazione più moderna con la creazione di nuove Sezioni, sottosezioni e nuovi taxa [Galli, 2004]. Non vogliamo, essendo la nostra “Riflessione Micologica” di natura prettamente divulgativa, entrare nel merito della questione e rimandiamo, per eventuali approfondimenti, i nostri lettori ad un testo monografico tra quelli da noi citati. Non possiamo, però, anche per completezza informativa, esimerci dal dare una indicazione di massima al fine di meglio orientare i lettori: il genere Agaricus, relativamente alle sole specie crescenti in ambiente mediterraneo, facendo riferimento alla suddivisione adottata da Cappelli (1984) e Galli (2004) che riteniamo possa essere di facile comprensione e applicata praticamente anche dai ricercatori meno esperti, viene solitamente suddiviso in:

  • Sottogenere Agaricus (L.) Heinem.

[Sinonimo: Rubescentes Möller]

ospita sporofori arrossanti sia al taglio sia allo sfregamento superficiale con odore fungino, gradevole, oppure sgradevole, come di acqua salmastra, pesce in salamoia o di urina, mai di anice, mandorle, fenolo, inchiostro o iodio [Galli, 2004]. Il sottogenere viene, a sua volta, diviso nelle seguenti sezioni: Bitorques (Kühner et Romagnesi) Bon et Cappelli, Agaricus (L.) Karsten, Sanguinolenti (Möller et Schäffer) Singer [Cappelli, 1984; Galli, 2004].

  • Sottogenere Flavoagaricus Wasser

[Sinonimo: Flavescentes Möller et Schäffer]

Ospita sporofori ingiallenti tanto al taglio quanto allo sfregamento superficiale, caratterizzati da tipico odore gradevole: anice, mandorle amare, amaretto o tipicamente sgradevole come di fenolo, inchiostro o iodio [Galli, 2004]. Il sottogenere viene, a sua volta, diviso nelle seguenti sezioni: Minores Fries, Arvenses Konrad et Maublank, Xanthodermatei Singer, [Cappelli, 1984; Galli, 2004], Intermedii Galli [Galli, 2004].

In merito alle specie inserite nelle singole sezioni e alle loro caratteristiche morfologiche, come già in precedenza consigliato, rimandiamo il lettore alla consultazione di un testo monografico specifico.

Agaricus augustus Fr.

Epicr. syst. mycol. (Upsaliae): 212 (1838)

Accentazione: Agáricus augùstus

Etimologia: Agaricus dal greco agarikòn = campestre con riferimento alla tipica crescita su prati e campi e pascoli ricchi di humus;

augustus dal latino augĕo (ingrandire, prosperare, innalzare, accrescere) con espresso riferimento al portamento nobile, elevato, maestoso e alle dimensioni dei singoli esemplari.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Agaricaceae, genere Agaricus, sottogenere Flavoagaricus, sezione Arvenses

Principali sinonimi: Psalliota augusta (Fr.) Quelet (1872); Pratella augusta (Fr.) Gillet (1878); Orcella augusta (Fr.) Kuntze (1891); Fungus augustus (Fr.) Kuntze (1898); Agaricus perrarusSchulzer (1879); Psalliota perrara (Schulzer) Bres. (1887); Agaricus peronatus Massee (1892); Fungus peronatus Kuntze (1898).

Descrizione macroscopica

Cappello di grandi dimensioni, può raggiungere anche i 30 cm di diametro [Oppicelli, 2020: Della Maggiora & Pera, 2021], inizialmente globoso-emisferico o tronco-emisferico, poi, verso la maturazione, convesso ed infine disteso; margine a lungo involuto e appendicolato per la presenza di residui biancastri del velo parziale; cuticola liscia nella zona centrale, dissociata, nella verso il margine, in numerose squame colore ocra-brunastro o bruno-rossiccio su fondo crema che assume colorazioni gialle più o meno intense allo sfregamento. Imenoforo a lamelle libere, fitte, strette, inizialmente molto chiare, a lungo biancastre, poi crema-grigiastre, rosate e infine bruno-cioccolato, bruno-nerastre con filo più chiaro. Gambo centrale, cilindrico, claviforme con bulbo basale, inizialmente pieno e robusto, poi, verso la maturazione, midolloso (quando all’interno presenta consistenza spugnosa, molliccia), bianco, ingiallente allo sfregamento e ricoperto da piccole squame di colore biancastro, brunastre con l’età, nella zona centrale, liscio e di colore rosato nella parte superiore nella zona sovrastante l’anello. Anello supero (quando si forma iniziando dalla alta del gambo e va allargandosi verso il basso), ampio, persistente, liscio nella pagina superiore, fioccoso per la presenza di squame lanose, brunastre, nella pagina inferiore. Carne bianca, con leggere tonalità salmone, brunastra alla base. Odore di mandorle amare, sapore dolce.

Habitat: tipicamente nei boschi di latifoglie e di aghifoglie, ma anche nei prati e nei pascoli, sia in primavera che in autunno. Specie non molto frequente.

Commestibilità: specie commestibile.

Caratteri differenziali

Si presta ad una facile determinazione per la taglia robusta caratterizzata dalla presenza di numerose squamette di colore ocra-brunastro sul cappello; per il gambo ricoperto da squamule; per la presenza di un evidente e largo anello; per il forte odore di mandorle amare.

Specie simili

  • Agaricus subrufescens Peck (1984)

Differisce per le dimensioni generalmente minori; per il gambo pruinoso e privo di squamule fioccose; per i caratteri miscroscopici.

  • Agaricus sylvaticus Schaeff. (1774)

Molto simile, sia per la presenza di squamule brunastre sul cappello, sia per la crescita boschiva. Differisce per la taglia più esile e per la carne fortemente arrossante.

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Foto: Angelo Miceli

Tavole micologiche: Gianbattista Bertelli, gentilmente concesse dal figlio Aldo.

Bibliografia citata

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli. Bologna (ristampa 2013)
  • Cappelli Alberto, 1984: Agaricus L. : Fr. Collana Fungi Europaei. Libreria editrice Biella Giovanna. Saronno. I
  • Cappelli Alberto, 2010: Approccio al genere Agaricus – I. Rivista di Micologia, Anno LIII n. 2: 99-118. A.M.B.. Trento. I
  • Della Maggiora Marco, Pera Umberto, 2021: Funghi in Toscana. AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani). La Pieve Poligrafica, Villa Verrucchio (RN). I
  • Galli Roberto, 2004: Gli Agaricus. dalla Natura. Milano. I
  • La Chiusa Lillo – 2013: Funghi Agaricoidi. Vol. 1 – Agaricaceae. ANDER Editore, Monza. I
  • Miceli Angelo, 2021: Agaricus urinascens. Il Fungo, Periodico del Gruppo Micologico “R. Franchi” Anno XXXIX: 68-76. Reggio Emilia. I
  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I

Sitografia

Bibliografia di approfondimento

  • Bertinaria Giorgio, Tizzoni Renato, Zorio Piero: 2020: Atlante dei funghi del Biellese. E20ProgettiEditore, Biella. I
  • Cappelli Alberto – 2011: Approccio al genere Agaricus – IV. Rivista di Micologia, Anno LIV n. 1: 3-27. A.M.B.. Trento. I
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo, 2009: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 3. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici. Trento. I
  • Parra Sánchez L. A.- 2013: Agaricus L. – Allopsalliota (Parte II). Candusso Editrice, Varese. I

Phallus impudicus L. (1753)

Ci piace presentare, in questa nuova “Riflessione Micologica”, sulla scia di altre precedenti che ci hanno consentito di addentrarci nel meraviglioso mondo dei funghi Gasteromiceti, una specie fungina che per la particolare conformazione morfologico strutturale presenta tutti i requisiti per essere considerata specie “dall’aspetto particolare” [Della Maggiora, 2008].

Phallus impudicus appartiene, infatti, per la caratteristica conformazione morfologico-strutturale, al gruppo informale dei Gasteromiceti nel quale vengono posizionati funghi a sviluppo angiocarpico (quando il fungo si sviluppa all’interno di una membrana protettiva, detta peridio, che avvolge la zona fertile evitando contatti con l’esterno fino alla completa maturazione). Viene caratterizzato, come tutte le specie fungine appartenenti alla famiglia delle Phallaceae, dalla particolarità del ciclo vitale e dalla conformazione morfologico strutturale.

Si presenta, nella fase embrionale della sua formazione, inizialmente semiipogeo, con forma globoso-ovoidale, con caratteristici cordoni miceliari (rizomorfe) che uniscono i numerosi carpofori che, ancora chiusi o già aperti, si formano, tipicamente, nella stessa area [Sarasini, 2005]; viene protetto da una membrana esterna chiamata peridio formata da tre strati funzionali che, a partire dalla parte più esterna, assumono le seguenti denominazioni: esoperidio, mesoperidio, endoperidio. Durante la fase di maturazione iniziale si forma, all’interno del peridio, uno spesso strato gelatinoso che racchiude, nella parte inferiore, un piccolo nucleo di tessuto primordiale di colore biancastro collegato al cordone miceliare. Tale nucleo durante la maturazione perde sempre più la consistenza gelatinosa assumendo la conformazione di una struttura portante, sempre più allungata, chiamata ricettacolo. Procedendo verso la maturazione, sotto la spinta del ricettacolo che raggiunge dimensioni anche quadruplicate rispetto a quelle inziali, il peridio si lacera lasciando fuoriuscire il ricettacolo stesso che ha completamente perso l’iniziale consistenza gelatinosa ed assunto una nuova conformazione strutturale alla cui sommità presenta numerose cellette imeniali contenenti una sostanza mucillaginosa di colore verde e di odore nauseabondo chiamata gleba (parte fertile del fungo che contiene le spore).

Durante questa ultima fase alcuni lembi del peridio, a volte, restano attaccati alla sommità del ricettacolo ricoprendo parzialmente la zona contenente la gleba. Contemporaneamente la parte più consistente dello stesso peridio, lacerandosi, si deposita alla base del ricettacolo assumendo la conformazione di una volva basale afflosciata, assottigliata e priva dell’iniziale strato gelatinoso [Sarasini, 2005]. A conclusione della fase di accrescimento, la gleba, posizionata alla sommità della struttura portante, diventa, per il caratteristico e nauseabondo odore che emana, una forte attrazione per mosche ed insetti che si cibano delle sostanze zuccherine in essa contenute divenendo veicolo di diffusione delle spore che vengono depositate sul territorio anche a notevole distanza. Difatti, le spore ingerite non vengono digerite e possono quindi essere depositate, con la defecazione, in altri luoghi favorendo la crescita di nuovi carpofori [Miceli. 2020].

Phallus impudicus Disegno Andrea Cristiano
Phallus impudicus Disegno Andrea Cristiano

(Per approfondire l’argomento consultare Sarasini, 2005: Gasteromiceti epigei – Opera citata in bibliografia).

Genere phallus Junius ex L. nom. sanct.

Sp. pl. 2: 1178 (1753)

Autore sanzionante: Persoon, Syn. meth. fung. 2(1): 242 (1801)

Al genere, la cui specie tipo è Phallus impudicus, appartengono carpofori di dimensioni medio-grandi, a sviluppo angiocarpico e a nutrizione saprotrofica. Si presentano, inizialmente, con forma globoso-ovoidale con vistose rizomorfe basali; successivamente, con la maturazione e a seguito della lacerazione del peridio, a struttura falliforme, ricoperta nella zona apicale dalla gleba, gelatinosa e maleodorante. Presentano, alla base, una volva formata dai residui della lacerazione del peridio. Prediligono habitat ricchi di humus e residui legnosi [Buda, 2011]. 

Phallus impudicus L., nom. sanct.

Sp. pl. 2: 1178 (1753)

Sporoforo inizialmente a forma globoso-ovoidale, determinabile con facilità, specialmente allo stadio adulto, tanto per la tipica conformazione fallica quanto per l’odore repellente che emana dovuto alla presenza, nella parte superiore, della gleba. 

Basionimo: Phallus impudicus L. (1753)

Autore sanzionante: Persoon, Syn. meth. fung. 2(1): 242 (1801)

Accentazione: Phállus impudícus

Etimologia: Phallus dal greco φαλλός (phallós) = fallo, pene, con riferimento alla caratteristica forma fallica che assume a maturazione. Impudicus dal latino: sfacciato, impudico, svergognato, per la particolare conformazione fallica.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Phallales, famiglia Phallaceae, genere Phallus.

Principali sinonimi: Morellus impudicus (L.) Eaton (1818); Ithyphallus impudicus (L.) Fr. (1823); Phallus volvatus Batsch (1783); Phallus foetidus Sowerby (1801);Hymenophallus togatus Kalchbr. (1884); Phallus mauritianus Lloyd (1910); Ithyphallus mauritianus(Lloyd) Sacc. & Traverso (1910).

Nomi volgari: pisciacane, satirione [Bonazzi, 2003; Buda, 2011], uovo del diavolo [Bertinaria et al., 2020].

Nomi dialettali: carogna; pizzi fitenti, utilizzati in Sicilia [Bonazzi, 2003; Buda, 2011].

Descrizione macroscopica

Basidioma a crescita diversificata che, a seconda dei vari stadi, si presenta inizialmente sub-globoso, ovoidale, di consistenza molliccia e dal peso specifico elevato, poi, a maturazione, aperto con ricettacolo allungato verticalmente, sub cilindrico, provvisto di cappello alveolato interamente ricoperto dalla gleba.

É opportuno, per una maggiore chiarezza descrittiva prendere in esame le principali fasi di maturazione:

  • Primo stadio (basidioma ancora chiuso – ovolo)

Inizialmente semiipogeo o, a volte, anche ipogeo, di forma globoso-ovoidale, di consistenza molliccia e dal peso specifico elevato, con presenza, alla base, di un unico, lungo cordone miceliare, racchiuso da una membrana esterna di colore biancastro chiamata peridio costituita da tre strati funzionali: esoperidio (strato esterno), sottile e membranoso, inizialmente liscio poi leggermente squamuloso con granulazioni sparse, a volte screpolato, di colore biancastro a volte macchiato di ocra; mesoperidio(strato intermedio) molto spesso (3 – 7 mm) costituito da una sostanza gelatinosa di colore verde chiaro, giallo-verdastra che segue i contorni dell’esoperidio fino alla base dove si interrompe per la congiunzione tra quest’ultimo e l’endoperidio; endoperidio (strato interno) sottile, membrano, biancastro, segue il contorno del mesoperidio interrompendosi all’apice, nella zona centrale, in un anellino posizionato sopra il ricettacolo. Altri elementi dello sporoforo, in questo primo stadio che lo vede ancora conformato ad ovolo, sono: il ricettacolo, a forma vagamente ellissoidale, di colore biancastro, alveolato e cavo nella parte centrale; la gleba, ancora racchiusa tra il mesoperidio e il ricettacolo, compatta e di colore verdastro [Papetti et al., 2004; Sarasini, 2005; Boccardo et al., 2008; Buda, 2011; La Spina & Signorino, 2018; Della Maggiora & Pera, 2021].

  • Secondo stadio (basidioma maturo – aperto)

In questo secondo stadio lo sporoforo subisce una radicale trasformazione morfologica dovuta al notevole accrescimento del ricettacolo che esercitando una forte spinta verso l’esterno causa la rottura del peridio mettendo in evidenza i seguenti caratteri strutturali: ricettacolo, parte simile ad un gambo,lungo, fragile, spugnoso, cilindrico, a volte leggermente ricurvo, cavo, bianco; pileo (cappello) posizionato nella parte sommitale del ricettacolo, di aspetto spugnoso, a forma di mitra, di colore giallo-verdastro, meno intenso a tempo secco fino al verde chiaro o crema, caratterizzato da numerose cellette e da un foro apicale contornato da un anellino; gleba, posizionata all’interno delle numerose cellette che formano il cappello, mucillaginosa, verde-brunastra, odore intenso, fetido, nauseabondo, cadaverico tanto da attirare numerosi insetti; volva formata dai residui della lacerazione del peridio, posizionata alla base del ricettacolo, bianca, afflosciata, assottigliata, con residui dello strato gelatinoso, caratterizzata dalla presenza di un lungo ed unico cordone miceliare alla base; carne molto fragile, spugnosa, poco consistente, bianca nel ricettacolo, odore sgradevole [Papetti et al., 2004; Sarasini, 2005; Boccardo et al., 2008; Buda, 2011; La Spina & Signorino, 2018; Della Maggiora & Pera, 2021]. 

Habitat: dall’estate all’autunno, cresce in terreni umidi e ricchi di humus, indifferentemente nei boschi di conifere e latifoglie ed anche su terreno nudo ai margini del bosco o nelle radure, nei giardini o nelle aiuole, dalla pianura alla montagna. Cresce isolato o in gruppi di numerosi esemplari in vari stadi di sviluppo. 

Deiescenza (1)

Come già precisato questa avviene in conseguenza della spinta del ricettacolo che, per la sua vistosa elongazione, causa la lacerazione del peridio con conseguente deposito di frammenti residuali dello stesso sotto forma di volva alla base del corpo fruttifero consentendo, allo stesso tempo, la fuoriuscita del ricettacolo che porta all’esterno della sua sua parte sommitale, nei numerosi alveoli presenti, la gleba matura contenente le spore utili alla riproduzione della specie.

Commestibilità: Anche se specie innocua è da ritenere NON commestibile sia per l’odore repellente sia per la consistenza gelatinosa della carne [A.G.M.T., 2013]. In letteratura si fa riferimento a probabile utilizzo alimentare: Buda (2011) riferisce che in Francia viene utilizzata la parte centrale del fungo quando questo è ancora chiuso; in Cina viene essiccato ed utilizzato dopo che la gleba è stata asportata dagli insetti, mentre, nel territorio catanese viene utilizzata, per la preparazione di risotti, la sostanza mucillaginosa contenuta nel mesoperidio [Buda, 2011].

Proprietà medicinali

Per il suo contenuto di polisaccaridi è ritenuto un valido supporto per la cura del cancro essendo in grado, come dimostrato da studi condotti dal Dott. Ralph Moss dell’Istituto Nazionale della salute degli USA, di ridurre notevolmente la formazione dei tumori contrastandone lo sviluppo, trovando, per tale motivo, uno specifico uso in chemioterapia [Angeli, 2010]. 

Caratteri differenziali

Si riconosce facilmente, specialmente a sviluppo completo, per la particolare conformazione fallica, per il cappello alveolato e ricoperto di gleba, per la presenza di un foro apicale circondato da un anello piccolo e poco appariscente; per la volva basale bianca. Allo stadio di ovolo si riconosce per il peridio liscio e, alla sezione, per l’interno di colore verdastro. 

Specie simili

  • Phallus impudicus var. Togatus (Kalchbr.) Costantin & L.M. Dufour (1895)

Unica differenza che lo distingue da P. impudicus è la presenza di un indusio ben differenziato che, negli esemplari maturi, si presenta come un velo, un “gonnellino” bianco, perforato, formato da maglie di dimensioni diverse, pendente al di sotto del cappello per circa 2 cm e allargato verso il basso.

  • Phallus hadriani Vent., nom. sanct. (1798)

Molto simile nella conformazione strutturale sia allo stadio di ovolo sia a completa maturazione, differisce per le dimensioni minori; per il peridio-volva che presenta una colorazione rosa-violacea; per l’anello alla sommità del cappello più vistoso, prominente e, a volte, con l’orlo denticolato; per l’habitat di crescita costituito da terreni sabbiosi. 

  • Mutinus caninus (Huds.) Fr. (1849)

Differisce per le dimensioni nettamente inferiori, per il cappello di colore rosa-arancione che si presenta come una continuazione del ricettacolo dal quale non viene differenziato.

  • Clathrus ruber P. Micheli ex Pers., nom. sanct.(1801)

Completamente diverso nella conformazione morfo-strutturale a maturazione. Allo stadio di ovulo si presenta molto simile differendo per il peridio che evidenzia, all’esterno, caratteristiche areolature poligonali, assenti in P. impudicus; per la sezione che all’interno è rossa mentre in P. impudicus è verdastra. 

Ringraziamenti

Un grazie di cuore va rivolto all’amico Andrea Cristiano, Vice Presidente del Gruppo Micologico Cecinese di Cecina (LI), per avere accettato, con entusiasmo, di realizzare la tavola illustrativa utilizzata nel presente contributo. 

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  1. Deiescenza, termine utilizzato in botanica per indicare il sistema con cui apparati vegetali chiusi si aprono per lasciare uscire il loro contenuto. Nello specifico, in micologia, fa riferimento al sistema di apertura dei funghi Gasteromiceti che consente loro, giunti a maturità, di disperdere le spore nell’ambiente circostante.

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Foto: Carmelo Di Vincenzo, Angelo Miceli, Franco Mondello

Tavole micologiche: Andrea Cristiano

Bibliografia

  • A.G.M.T., 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • Angeli Pierluigi, 2010: Micoterapia. I funghi nella medicina popolare tradizionale e contemporanea. Annali Micologici A.G.M.T. n. 3: 30-39
  • Bertinario Giorgio, Tizzoni Renato, Zorio Piero,2020: Atlante dei funghi del biellese. E20progetti Editore, Milano. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. (ristampa 2013). Zanichelli, Bologna. I 
  • Buda Andrea, 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Della Maggiora Marco, 2008: Funghi dall’aspetto particolare: le Phallaceae e le Clathraceae. Micoponte Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2: 15-23, Ponte a Moriano (LU). I
  • Della Maggiora Marco, Pera Umberto, 2021: Funghi in Toscana. AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani). La Pieve Poligrafica, Villa Verrucchio (RN). I
  • La Spina Leonardo, Signorino Carmelina, 2018: I funghi di Santo Pietro, antico bosco di Sicilia. Eurografica S. r. l. Riposto (CT). I
  • Miceli Angelo, 2020: Clathrus ruber P. Micheli : Pers. 1801. Passione Funghi e Tartufi Anno IX n. 100: 26-33. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I 
  • Sarasini Mario, 2005: Gasteromiceti epigei. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I

Sitografia

  • MB (ultima consultazione, gennaio 2022), Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks. www.mycobank.org

Amanita rubescens Pers. (1797)

Specie elegante, dalle dimensioni, a volte, considerevoli e dall’aspetto accattivante, comunemente conosciuta su tutto il territorio nazionale con la denominazione volgare di “Tignosa vinata” attribuitale per la caratteristica proprietà della carne di virare al rosso-vinoso. Anche se presenta un aspetto molto mutevole nella forma, nella taglia e nelle tonalità cromatiche, risulta, in ogni caso, riconoscibile con una certa facilità anche da parte dei cercatori meno esperti.

 

Genere Amanita Pers.

Tent. disp. meth. fung. (Lipsiae): 67 (1797)

Il genere, la cui specie tipo è A. muscaria, ospita sporofori di medio-grandi dimensioni,

eterogenei, caratterizzati da cappello convesso sul quale, spesso, si trovano residui velari, con margine liscio o tipicamente striato; lamelle libere; gambo più o meno ingrossato alla base, con presenza o assenza di anello; con volva basale; sporata in massa bianca. Si conoscono specie di ottima qualità e altre, non poche, velenoso-mortali la cui ingestione provoca sindromi tossiche di varia natura: sindrome falloidea, panterinica, muscarinica, emolitica ecc. [Miceli, 2019].

In merito alla particolare e caratteristica crescita degli sporofori, alla formazione dei residui velari ed alle caratteristiche specifiche del genere, per eventuali approfondimenti, si rimanda il lettore ad un nostro precedente lavoro pubblicato su questo stesso sito web [Miceli & Di Vincenzo, 2021].

Il Genere viene suddiviso, al fine di ottenere gruppi sempre più omogenei, in Sottogeneri e Sezioni. Nello specifico A. rubescens viene posizionata nella Sezione Validae del Sottogenere Lepidella[Neville & Poumarat, 2004; Galli, 2007; Morini et al., 2020].

Sottogenere Lepidella (Gilbert) Vesely

Il sottogenere ospita sporofori di medio o medio-grandi dimensioni che, a seconda delle varie specie e delle caratteristiche comuni diverse, trovano posto in Sezioni diverse. Presentano le seguenti caratteristiche: Velo generale a struttura sferico-vescicolosa che gli conferisce un aspetto friabile e fioccoso. Cappello inizialmente carnoso ma ben presto di consistenza tenera, con margine regolare, intero, privo di residui velari appendicolari. Cuticola separabile, a seconda della specie di appartenenza, da poco vischiosa a non vischiosa, asciutta, liscia, ricoperta da numerosi residui del velo generale che, sempre secondo la specie di appartenenza, si presentano sotto forma di verruche detersili, più o meno acuminate o più o meno appiattite oppure piramidali e sempre in rilievo o sottoforma di placche più o meno larghe e appiattite. Imenoforo a lamelle, più o meno fitte, libere al gambo, intervallate da lamellule, inizialmente bianche, tendenti, in alcune specie, verso la maturità, ad assumere colorazioni giallognole o a macchiarsi di tinte rossastre. Gambo, sempre a seconda della specie e della Sezione di appartenenza, cilindrico, centrale, inizialmente pieno all’interno, poi midolloso, con grosso bulbo basale, radicante, a volte bulboso, quasi liscio o ricoperto di scaglie o residui fioccosi. Anello supero, ampio, persistente, a volte bambagioso e presto fugace. Volva aderente e farinosa, dissociata in piccole perle concentriche o in squame verrucose o fioccose posizionate nella zona soprastante il bulbo basale. Carne arrossante o appena imbrunente per alcune specie, o bianca e generalmente immutabile altre. Spore, sempre secondo la specie e la Sezione di appartenenza, da ellittiche a ovoidali-ellittiche, sempre amiloidi, da bianche a biancastre in massa [Galli, 2007].

Sezione Validae (Fries) Quelet

La Sezione ospita sporofori di medio o medio-grandi dimensioni, caratterizzati da Velo generale friabile, fioccoso, composto in prevalenza da ife formate da cellule globose, subglobose o arrotondate. Cappello inizialmente carnoso ma ben presto di consistenza tenera, con margine regolare, intero, privo di residui velari appendicolari. Cuticola separabile, da poco vischiosa a non vischiosa, asciutta, liscia; ricoperta da numerosi residui del velo generale che si presentano sotto forma di verruche detersili, più o meno acuminate o più o meno appiattite. Imenoforo a lamelle più o meno fitte, intervallate da lamellule inizialmente di colore bianco. Gambo centrale, cilindrico, sempre con bulbo basale, inizialmente pieno poi, verso la maturazione, midolloso (così quando la struttura interna comincia a degradarsi progressivamente). Anello supero, ampio, membranoso e persistente. Volva farinosa, aderente al gambo, a volte, in alcune specie, dissociata in perline concentriche posizionate al di sopra del bulbo. Carne bianca, a volte arrossante o leggermente imbrunente. Carne a volte arrosante o leggermente imbrunente. Spore ialine (trasparenti, prive di colore), bianche in massa, a forma ellittico-ovoidale, amilodi (quando a contatto con soluzioni a base di iodio come, ad esempio, il reattivo di Melzer, assumono una colorazione bluastra più o meno intensa).

Amanita rubescens Pers., nom. sanct.

Tent. disp. meth. fung. (Lipsiae): 67 (1797)

Basionimo: Amanita rubescens Pers. (1797)

Autore sanzionante: Fries, Syst. mycol. 1: 18 (1821)

Accentazione: Amaníta rubéscens

Etimologia: Amanita, dal greco ἀμᾱνῖται (amanìtai), appellativo utilizzato dagli antichi greci riferito a specie fungine mangerecce rinvenute sul monte Ἄμᾱνoς (Amanòs) nella Turchia asiatica; rubescens dal latino rubesco diventare rosso con riferimento al viraggio della carne.

Posizione sistematica: Classe Basidiomycetes, Ordine Amanitales, Famiglia Amanitaceae, Genere Amanita, Sottogenere Lepidella, Sezione Validae [Galli, 2007].

Principali sinonimi:Agaricus rubescens (Pers) Fr. (1821); Limacium rubescens (Pers.) J. Schröt. (1889); Amplariella rubescens (Pers.) E.-J. Gilbert (1940); Agaricus verrucosus Bull. (1787); Agaricus magnificus Fr. (1857); Amanita magnifica (Fr.) Gillet (1874); Lepiota magnifica (Fr.) P. Karst.(1879).

Nomi volgari: Amanita vinata, Agarico rosseggiante [Bonazzi, 2003], Amanita rosseggiante [Bonazzi, 2003; Morina et al., 2020], Tignosa vinata [Bonazzi, 2003; Buda, 2017].

Nomi dialettali: Funciu di cerza [Buda, 2017]; Funciu pelis [La Spina, 207]; Funciu vinusu, nomi dialettali in uso nel territorio siciliano.

Descrizione macroscopica

Cappello di medio-grandi dimensioni, può raggiungere anche 15 – 18 cm di diametro, inizialmente emisferico, poi, verso la maturazione, convesso e, infine, appianato-disteso, a volte depresso; margine intero, inizialmente ottuso, poi regolare, a volte leggermente lobato; cuticola separabile, asciutta a tempo secco, vischiosa a tempo umido, leggermente eccedente, integra, liscia, colore variabile da crema-rosato a rossastro più o meno marcato fino a bruno-rosso-vinoso con riflessi brunastri nella zona centrale e macchie vinose sparse, inizialmente totalmente ricoperta da verruche più o meno ampie, irregolarmente a rilievo o più o meno appiattite, di consistenza farinosa, detersili, di colore grigiastro, grigio-brunastro. Imenoforo a lamelle fitte, intercalate da lamellule tronche di diversa lunghezza, sottili, libere al gambo, bianche, leggermente macchiate di rosso a maturità o al tocco. Spore in massa bianche. Gambo centrale, cilindrico, robusto, inizialmente pieno poi farcito (così quando, verso la maturazione, la struttura interna comincia a diventare meno compatta) svasato all’apice, con bulbo basale da sferico-ovoidale a napiforme, a volte anche radicante, ricoperto da una fine pruina nella parte superiore, fioccoso nella zona centrale ed inferiore, colore bianco con piccole macchie rosa-vinoso nella parte alta, biancastro sfumato di rosa-vinoso più o meno carico altrove.Anello supero posizionato nella zona medio-alta del gambo, persistente, membranoso, ampio, fioccoso al bordo, striato nella pagina superiore, farinoso in quella inferiore, da biancastro a rosato. Volvafriabile, aderente al bulbo, indistinta, dissociata in perline fioccose grigio-brunastre disseminate irregolarmente nella zona soprastante il bulbo. Carne soda negli esemplari giovani, molle ed acquosa in quelli maturi, colore bianco virante al rosa-vinoso nelle parti erose e alla base del gambo. Odore debole, sapore gradevole.

Habitat

Da fine primavera ad autunno anche inoltrato, a tipica crescita gregaria, anche in diversi esemplari, ubiquitaria, sia in boschi di latifoglie: Castanea sativa (castagno), Quercus suber (sughera); Quercus ilex (leccio), sia in boschi di conifere: Picea abies (peccio) e Pinus (pini) sp. pl.

Commestibilità: commestibile dopo adeguata cottura, contiene tossine termolabili (1). Deve essere consumata solo dopo essere stata bollita con eliminazione dell’acqua di cottura. Tossica se consumata cruda o poco cotta, provoca sindrome emolisinica (2) [Della Maggiora & Pera, 2021].

Caratteri differenziali

Specie di facile determinazione, si distingue per il portamento robusto e per le grandi dimensioni; per i colori bruno-rossastri del cappello; per il viraggio al rosso-vinoso della carne; per le verruche sul cappello di colore grigio, grigio-brunastro, mai di colore bianco; per l’anello persistente, pendulo; per il viraggio della carne al rosa-vinoso; per la volva dissociata in perline.

Forme e varietà

La particolare caratteristica della sua mutabilità sia nell’aspetto, sia e soprattutto nella diversificazione cromatica, ha favorito la creazione di diverse forme e varietà, tutte, in ogni caso, molto discutibili e probabilmente legate alle condizioni ambientali di crescita [Galli, 2007]. Ci soffermiamo su quelle maggiormente riportate in letteratura:

  • Amanita rubescens f. Alba (Coker) Sartory & L. Maire (1922)

Perfettamente uguale nella conformazione morfologico-strutturale, differisce per il colore totalmente bianco di ogni sua parte.

  • Amanita rubescens Var. Annulosuphurea (Gillet) J. E. Lange (1915)

Differisce per il portamento meno robusto; gracile, per la colorazione meno intensa; per la presenza di anello giallo.

Specie simili

  • Amanita pantherina (DC.) Krombh. (1846)

Specie tossica, può facilmente indurre in errori di determinazione i raccoglitori poco esperti. Differisce per le verruche sul cappello sempre bianche; per le striature al margine del cappello; per la volva circoncisa e ben individualizzata; per la carne bianca e immutabile; per le dimensioni minori.

  • Amanita franchetii (Boud.) Fayod (1889)

È la specie che presenta maggiori similarità dal punto di vista morfo-cromatico. Differisce per il colore del cappello su toni beige-olivastri; per le verruche di colore giallastro; per l’anello giallastro con fiocchetti gialli al margine; per la carne bianca, immutabile e priva di tonalità rossastre; per la volva che, pur presentandosi analogamente dissociata in perline fioccose, è di colore giallo-grigiastro; per il portamento meno massiccio.

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  1. Tossine termolabili: (eliminabili con il calore) quando la struttura chimica delle tossine può essere modifica con il calore. Portando i funghi ad una temperatura di circa 70-80 gradi centigradi per un tempo prolungato, circa 20-30 minuti, le tossine in essi contenute modificano la loro struttura chimica divenendo prive di tossicità e inoffensive per l’organismo umano. Ne consegue che alcune specie di funghi, ritenute tossiche da crude, possono essere regolarmente consumate dopo adeguata cottura [Miceli, 2016].
  2. Sindrome emolisinica o emolitica: si tratta di sindrome a breve latenza (quando i sintomi dell’intossicazione si manifestano entro 6 ore dell’ingestione dei funghi) che si manifesta, generalmente entro poche ore dal consumo dei funghi provocando disturbi gastroduodenali seguiti da oliguria, pallore, anemia, emoglubinuria, ittero emolitico [Milanesi, 205]. Il principio tossico è costituito dalle emolisine, tossine che vengono rese inattive con la bollitura e la successiva eliminazione dell’acqua di cottura, che hanno la proprietà di provocare la lisi degli eritrociti [Milanesi, 2015].

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Foto: Angelo Miceli

Tavola micologica: Gianbattista Bertelli, gentilmente concesse dal figlio Aldo che si ringrazia per la consueta disponibilità.

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Bibliografia citata

  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Buda Andrea, 2017: I Funghi degli Iblei. Vol. 2. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Della Maggiora & Pera Umberto, 2021: Funghi in Toscana. AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani). La Pieve Poligrafica, Villa Verrucchio (RN), I
  • Galli Roberto, 2007: Le Amanite. 2^ edizione. Edit. dalla Natura, Milano. I
  • La Spina Leonardo, 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo I. Eurografica, Riposto (CT). I
  • Miceli Angelo, 2019: Amanita porrinensis, una specie rarissima ritrovata sui Monti Peloritani.Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 12: 27-33. Ponte a Moriano (LU). I
  • Miceli Angelo, Di Vincenzo Carmelo, 2021: Amanita verna, bella, subdola, mortale. https://www.adset.it/articoli/angelo-miceli/646-amanita-verna-bella-subdola-mortale
  • Milanesi Italo, 2015: Conoscere i funghi velenosi e i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • style=”margin-bottom: 11px; text-align: left;”>Morini Stefano, Illice Mirko, Todeschini Renato, 2020: Atlante dei macromiceti della famiglia Amanitaceae nella provincia di Bologna. Edizioni Tipoarte, Ozzano dell’Emilia (BO). I
  • style=”margin-bottom: 11px; text-align: left;”>Neville Pierre, Poumarat Serge, 2004: Amanitae. Amanita, Limacella & Torrendia. Fungi Europaei 9. Edizioni Candusso, Alassio (SV) – I.

Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i Funghi. 2^ Edizione. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN). I
  • Bettin Antonio, 1971: Le amanite. L.E.S. Libreria Editrice Salesiana, Verona. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, -1993, Funghi Amanite. Calderini edagricole, Bologna. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali. Genova. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I

Sitografia

Credits:

  • Foto: Angelo Miceli.
  • Tavole micologiche: Gianbattista Bertelli 

Gymnopilus penetrans (Fr.) Murrill (1912)

Un piccolo basidiomicete molto comune ed a larga diffusione territoriale, a tipica crescita lignicola nel periodo estivo-autunnale: Gymnopilus penetrans, protagonista della nostra “Riflessione Micologia”, si lascia facilmente riconoscere per la crescita di numerosi esemplari che spesso invadono, colonizzandoli, i tronchi di conifere in fase di degradazione.

Genere Gymnopilus P. Karst

Bidr. Känn. Finl. Nat. Folk 32: XXI (1879)

Al Genere, la cui specie tipo è Gymnopilus liquiritiae (Pers) P. Karst, appartengono basidiomi lignicoli a nutrizione saprotrofica, a crescita singola o cespitosa, omogenei, di taglia da piccola a grande, concappelloconvesso, non striato, con colori variabili da giallo ocra a giallo dorato a bruno aranciato, viscoso a tempo umido; imenoforo non asportabile formato da lamelle adnate (quando risultano inserite sul gambo per tutta la loro altezza) o appena smarginate (quando si inseriscono sul gambo formando una piccola ansa concava).  Il velo generale è sempre assente mentre in alcune specie rimangono tracce di velo parziale sotto forma di cortina o anello. Le spore in massa si caratterizzano per colorazione bruno-ruggine.

Gymnopilus penetrans (Fr.) Murrill

Mycologia 4 (5): 254 (1912)

Basionimo: Agaricus penetrans Fr.(1815)

Accentazione: Gymnopílus pénetrans

Etimologia: Gymnopilus da greco γυμνός (gymnós) = nudo e da πῖλος (pílos) = cappello, ovvero con il cappello, privo di ornamentazioni. Penetrans da pénetro, ovvero penetrante, per la capacità di penetrare nel substrato di crescita.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Hymenogastraceae, genere Gymnopilus.

Principali sinonimi: Dryophila penetrans (Fr.) Quél.(1886); Flammula penetrans (Fr.) Quél. (1886); Naucoria penetrans (Fr.) Henn. (1898); Fulvidula penetrans (Fr.) Singer (1937); Flammula croceolamellata Pilát (1939); Flavidula croceolamellata (Pilát) Romagn. (1944).

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole-medie dimensione (da 2 a 5-6 cm), inizialmente emisferico poi, verso la maturazione, convesso e, infine, disteso, spianato. Superficie asciutta, glabra, liscia, con colorazione variabile dal fulvo-giallastro al giallo-arancio fino ad arancione più o meno carico, tipicamente macchiata di rosso ruggine. Margine regolare, liscio, intero, acuto. Imenoforo a lamelle fitte, adnate o smarginate, inizialmente biancastre, poi gialline, tendenti a macchiarsi di rosso ruggine verso la maturazione. Gambo cilindrico, leggermente ingrossato alla base dove è ricoperto da fioccosità biancastra più o meno evidente, superficie striata, fibrillosa, di colore giallo chiaro, giallo-ocraceo; farcito all’interno; a volte con zona pseudoanulare di colore ruggine nella parte superiore. Carne sottile, tenace, biancastra nel cappello, crema nel gambo. Odore nullo. Sapore amaro.

Habitat

specie molto comune, lignicola, a larga diffusione territoriale, fruttifica fino a tardo autunno in numerosi esemplari spesso a crescita cespitosa che colonizzano tronchi e rami di aghifoglie (generalmente Pinus) in fase di degradazione.

Commestibilità

NON commestibile

Caratteri differenziali

Si riconosce con una certa facilità per la crescita in numerosi esemplari su residui degradati di conifere ed anche sulle pigne sparse sul terreno; per le piccole dimensioni; per il colore fulvo-giallastro; per le lamelle chiazzate di rosso ruggine negli esemplari adulti.

Specie simili

  • Gymnopilus hibridus(Gillet) Maire (1933)

Differisce per l’assenza di chiazze colore ruggine sulle lamelle; per le tracce residuali di anello cortiniforme sul gambo; 

  • Gymnopilus sapineus (Fr.) Murrill (1912)

Differisce per il cappello fibrilloso-squamuloso; per le lamelle di colore giallo oro; per il gambo di colore giallastro con sfumature brune verso la base assottigliata e ricoperta da residui velari cortiniforme.

  • Gymnopilus spectabilis (Weinm.) A.H. Smith (1949)[nome corrente Gymnopilus junonius (Fr.) P.D. Orton (1960)]

Specie che spesso raggiunge dimensioni notevoli, si possono confondere solo gli esemplari di piccole dimensioni che, in ogni caso, si distinguono per la presenza di anello sul gambo e per la tipica crescita su aghifoglie.

  • Hypholoma fasciculare (Huds.) P. Kumm.1871

Differisce per la tipica crescita cespitosa; per la colorazione del cappello appiattito con colorazione più gialla; per le lamelle di colore verdastro.

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Foto: Angelo Miceli

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Bibliografia di approfondimento

  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo, 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. (ristampa 2013). Zanichelli, Bologna. I 
  • Della Maggiora Marco, Pera Umberto, 202: Funghi in Toscana. AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani). La Pieve Poligrafica, Villa Verrucchio (RN). I
  • La Chiusa Lillo, 202: Guida ai funghi d’Europa. Il Castello Srl, Cornaredo (MI). I
  • La Spina Leonardo, 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo II. Eurografica, Riposto (CT) – I
  • La Spina Leonardo, Signorino Carmelina, 2018: I funghi di Santo Pietro, antico bosco di Sicilia. Eurografica S.r.l. Riposto (CT). I
  • Moser Meinhard, 1980: Guida alla detrminazione dei funghi. Art Grafiche Saturnia. Trento, I
  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali. Genova. I 

Sitografia

  • MB (ultima consultazione, febbraio 2022), Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks. www.mycobank.org
  • MicologiaMessinese (ultima consultazione, febbraio 2022) www.micologiamessinese.it

 

 

Clitopilus prunulus (Scop.) P. Kumm. (1871)

Viene comunemente conosciuto su tutto il territorio nazionale come “fungo spia” per la particolare propensione a fruttificare nello stesso periodo e nello stesso habitat di crescita dei ben noti e ricercati porcini. In effetti è possibile ritrovare nelle sue vicinanze, visto lo stesso habitat di crescita, anche “Sua Maestà il Porcino”. Per il suo colore bianco è facilmente individuabile nel bosco e una attenta osservazione della zona circostante permette, spesso, l’avvistamento di porcini sfuggiti ad una ricerca veloce in quanto ben mimetizzati nell’ambiente boschivo. 

Genere Clitopilus (Fr. ex Rabenh.) P. Kumm.

Führ. Pilzk. (Zerbst): 23 (1871)

Al genere, la cui specie tipo è Clitopilus prunulus, appartengono basidiomi di medio-piccole dimensioni, a crescita terricola e nutrizione saprotrofica che presentano i seguenti caratteri:

Cappello irregolare, liscio.

Imenoforo a lamelle decorrenti sul gambo, inizialmente bianche poi, verso la maturazione, rosa o bruno rosate. Sporata rosa.

Gambo generalmente eccentrico, a volte centrale, ben sviluppato o quasi assente, attenuato alla base.

Carne spessa, fragile, bianca.

Habitat specie terricole o su residui legnosi a nutrizione saprotrofica.

Clitopilus prunulus (Scop.) P. Kumm.

Führ. Pilzk. (Zerbst): 96 (1871)

Basionimo: Agaricus prunulus Scoop. 1872

Autore sanzionante: Fries, Syst. mycol. 1: 193 (1821)

Accentazione: Clitopílus prúnulus

Etimologia: Clitopilus dal greco κλῑτύς (clitús) = pendio e da πῖλος (pílos) = cappello, ovvero con il cappello inclinato, con riferimento alla posizione inclinata che assume il cappello; prunulus dal latino prunus = pruno, susino, con riferimento alle piante del genere prunus.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Entolomataceae, genere Clitopilus.

Principali sinonimi: Paxillus prunulus (Scop.) Quél. (1886); Pleuropus prunulus (Scop.) Murril (1917); Paxillopsis prunulus (Scop.) J.E. Lange (1939); Agaricus orcella Bull. (1793); Pleuropus orcellus (Bull.) Gray (1821); Clitopilus orcella (Bull.) P. Kumm. (1871); Hexajuga orcella (Bull.) Fayod, (1889).

Nomi volgari: spia del porcino, prugnolo, falso prugnolo, questi ultimi due trovano origine nel fatto che il suo penetrante odore di farina fresca è molto simile a quello del “prugnolo” (Calocybe gambosa) che, in ogni caso, presenta numerosi altri caratteri morfologici diversi [AGMT, 2013].

Nomi dialettali: funciu spia (Bonazzi, 2003; Buda, 2011), chiapparedda (Buda, 2011) utilizzati in Sicilia.

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole-medie dimensioni, inizialmente convesso, poi, verso la maturazione, appianato ed infine depresso. Cuticola biancastra con sfumature grigie più o meno marcate, finemente vellutata, liscia a tempo secco, ondulata, gibbosa, leggermente eccedente. Margine spesso ondulato, irregolarmente lobato, appena involuto. Imenoforo a lamelle fitte, decorrenti sul gambo, intervallate da lamellule di diversa lunghezza, facilmente separabili dalla carne del cappello, inizialmente biancastre, tendenti ad assumere una colorazione rosata sempre più marcata verso la maturazione. Sporata rosa-brunastro. Gambo da centrale ad eccentrico, breve, svasato in alto e attenuato alla base o rigonfio, diritto ma anche ricurvo, inizialmente pieno, poi farcito, concolore al cappello, con residui miceliari alla base. Carne fragile, compatta, friabile, biancastra. Odore ben marcato e tipicamente di farina. Sapore gradevole, farinoso.

Habitat: specie molto comune, ubiquitaria, solitamente gregaria, a tipica crescita estivo-autunnale. 

Commestibilità: commestibile di ottima qualità.

Caratteri differenziali:

risulta facilmente riconoscibile per il fragrante odore di farina fresca; per la carne molto fragile; per le lamelle secedenti, ovvero che si staccano facilmente dalla carne del cappello, caratterizzate, in maniera più evidente verso la maturità, da sfumature rosate dovute alla presenza delle spore di colore rosa.

Specie simili:

  • Clitopilus cystidiatus Hauskn. & Noordel.

Öst. Z. Pilzk. 8: 200 (1999)

È la specie che presenta maggiori similarità, quasi un sosia, differisce per il portamento tricholomatoide, per le dimensioni minori, per il colore grigiastro del cappello e delle lamelle, per il gambo ben sviluppato e per i caratteri microscopici [Buda, 2011; AGMT, 2013; Della Maggiora & Pera, 2021].

Può, inoltre, essere facilmente scambiato, specialmente da parte dei raccoglitori poco esperti, con molte specie fungine tossiche di colore bianco appartenenti al genere Clitocybe quali, ad esempio:

  • Clitocybe candicans (Pers.) P. Kumm. (1871) 

[nome corrente Leucocybe candicans (Pers.) Vizzini, P. Alvarado, G. Moreno & Consiglio, 2015]

  • Clitocybe cerussata (Fr.) P. Kumm. (1871)
  • Clitocybe dealbata (Sowerby) P. Kumm. (1871) 
  • Clitocybe phyllophila (Pers.) P. Kumm. 1871] 
  • Clitocybe rivulosa (Pers.) P. Kumm. (1871) 

che differiscono per la consistenza della carne che si presenta tenace, elastica e fibrosa (fragile, friabile e facilmente soggetta alla rottura in C. prunulus); per le lamelle mai asportabili dal cappello, sempre di colore bianco (rosate e facilmente asportabili dal cappello in C. prunulus); per l’odore mai di farina fresca come in C. prunulus.

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Foto: Franco Mondello; Angelo Miceli

Bibliografia

  • A.G.M.T., 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Buda Andrea, 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Della Maggiora Marco, Pera Umberto, 2021: Funghi in Toscana. AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani). La Pieve Poligrafica, Villa Verrucchio (RN), I

Sitografia

https://www.funghiitaliani.it/topic/15085-clitopilus-prunulus-scop-fr-quel-1871/

  • IF (ultima consultazione, dicembre 2021), Indexfungorum database. www.indexfungorum.org
  • MB (ultima consultazione, dicembre 2021), Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks. www.mycobank.org
  • MicologiaMessinese (ultima consultazione, dicembre 2021), Clitopilus prunulus

https://micologiamessinese.altervista.org/Funghi%20C.htm#Clitopilus%20prunulus

Altra bibliografia di approfondimento

  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria, 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Mazza Riccardo, 2010: I funghi, guida al riconoscimento. VI Edizione. Fabbri Editori. Milano. I
  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali. Genova. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I 

Tricholoma sulphureum (Bull. : Fr.) P. Kumm (1871)

 Un basidiocarpo di medie dimensioni che si lascia facilmente notare per il colore totalmente giallo che gli conferisce un aspetto particolarmente attraente che contrasta apertamente con l’odore solforoso, intenso e repellente: Tricholoma sulphureum é solito fruttificare nel periodo autunnale, in forma singola o gregaria, indifferentemente nei boschi di conifere e latifoglie, viene posizionato, anche se in maniera informale con l’intento di fornire a quanti si avvicinano allo studio del genere una chiave di determinazione facilitata, nel “Gruppo dei “Tricholoma gialli”.(1)

Genere Tricholoma (Fr. : Fr.) Staude (1857) 

tratto da Miceli [2020 (107): 18-24]

Al genere, la cui specie tipo è T. equestre, appartengono funghi terricoli, omogenei (quando cappello e gambo sono formati da struttura cellulare similare tanto che risulta difficile il distacco tra le due parti), carnosi, con portamento generalmente robusto detto, appunto, tricholomoide, legati in simbiosi ectomicorrizica (quando le ife fungine si attorcigliano attorno alle radici degli alberi formando un manicotto ifale detto micoclena) con specie arboree diverse sia di conifere sia di latifoglie. Le numerose specie appartenenti al Genere sono caratterizzate da: Cappello viscido o asciutto, generalmente con fibrille radiali, a volte con squame o scaglie più o meno regolari, in alcune specie umbonato; inizialmente emisferico-convesso, poi, verso la maturazione, piano-convesso, con orlo liscio o scanalato, generalmente più o meno involuto negli esemplari giovani, disteso e sottile in quelli maturi. La colorazione, a seconda del genere, ruota su quattro colori fondamenti con sfumature e tinte di transizione: Bianco, dal bianco puro al crema-avorio. Giallo, dal colore paglia al giallo vivo, giallo-olivastro fino al verde oliva. Bruno-Marrone, con le numerose sfumature intermedie dal bruno-chiaro, beige, nocciola, bruno-rosato, bruno-castano, bruno-fulvo, bruno-rossiccio fino al bruno-nerastro. Grigio, dal grigio-acciaio al grigio-topo, al grigio-nerastro fino a nero-nerastro o nero [Riva, 1988 – Galli, 2005]. Imenoforo a lamelle adnate, uncinate, smarginate, decorrenti per un dentino (quando prima di unirsi al gambo formano una piccola ansa concava), mediamente fitte ed intercalate da lamellule (struttura similare alle lamelle che si interpone tra le lamelle stesse, con dimensioni minori. Ha origine dal margine del cappello e si interrompe prima di giungere al gambo), in alcune specie molto spaziate, colore variabile dal bianco-biancastro al grigio, grigio-verdognolo al giallo più o mento intenso. Spore in massa di colore bianco-biancastro. Gambo centrale, generalmente cilindrico, in alcune specie globoso-ventricoso, bulboso o dilatato alla base, a volte radicante; superficie asciutta, liscia, in alcune specie pruinosa, forforacea, punteggiata, granulosa; colore uniforme a volte con sfumature [Miceli, 2018]. Il genere include specie di ottima qualità e molto ricercate per le proprietà organolettiche e specie tossiche responsabili di sindromi di grave entità: sindrome rabdomiolitica(2) e sindrome gastrointestinale(3) [Boccardo et al., 2013].

Tricholoma sulphureum (Bull. : Fr.) P. Kumm.

Führ. Pilzk. (Zerbst): 133 (1871)

Basionimo: Agaricus sulphureus Bull. 1784

Accentazione: Tricholóma sulphúreum

Etimologia: Tricholoma da greco thrikòs = pelo e loma = orlo con espresso riferimento al margine del cappello peloso, lanoso, tipico di molte specie di Tricholomasulphureum dal latino sùlphur = zolfo: sulfureo, di colore giallo zolfo con espresso riferimento al colore giallo zolfo che il carpoforo presenta in tutte le sue parti.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Tricholomataceae, genere Tricholoma.

Principali sinonimi: Gymnopus sulphureus (Bull.) Gray (1821); Gyrophila sulphurea (Bull.) Quél. (1886).

Nomi volgari: Agarico zolfino [Mazza, 2018].

Descrizione macroscopica

Cappello di medie dimensioni, fino a 8 cm, inizialmente emisferico-convesso, poi, verso la maturazione, convesso-campanulato ed ancora piano con presenza di umbone appena accennato; cuticola asciutta, liscia, leggermente debordante, a volte pubescente, giallo-ocra, giallo zolfo, con chiazze bruno-rosate più scure nella zona discale; margine sottile, ondulato, a volte leggermente revoluto. Imenoforo a lamelle spaziate, smarginate, intervallate da numerose lamellule irregolari, giallo zolfo, imbrunenti verso la maturità. Spore in massa biancastre. Gambo centrale, cilindrico, slanciato, fragile, più o meno incurvato, leggermente ingrossato verso la base, inizialmente pieno poi fistoloso (percorso all’interno, per tutta la lunghezza, da un sottile canale) [Della Maggiora & Pera, 2021]. Carne poco consistente, molliccia nel cappello, fibrosa nel gambo, colore giallo-verdastro con debole viraggio al rosa-brunastro negli esemplari molto maturi. Odore molto pronunciato, sgradevole di gas illuminante [Riva, 1988; Papetti et al., 2004; Galli, 2005; Illice et al., 2011; Mannina, 2014; Mazza, 2018; Oppicelli, 2020; Della Maggiora & Pera, 2021]. Sapore: contrastanti sono i pareri espressi in letteratura dai numerosi autori, alcuni lo considerano sgradevole, disgustoso, simile all’odore [Riva, 1988; Papetti et al., 2004; Galli, 2005; Illice et al., 2011; Mannina, 2014; Della Maggiora & Pera, 2021], altri, invece, lo ritengono gradevole, come di nocciola [Mazza, 2018; Oppicelli, 2020]. Riteniamo opportuno, in merito, riportare integralmente l’interessante parere di Riccardo Mazza (2018: 309): “Un caso particolare è rappresentato da Tricholoma sulphureum (agarico zolfino) che possiede un inteso odore come di gas o feci (o diversamente etichettato), quasi sempre giudicato sgradevole. Ebbene, da sempre il fungo in questione à considerato non commestibile proprio a causa del suo peculiare ed intenso odore. Sebbene gravino forti sospetti di tossicità su questa specie, T. sulphureum non può essere qualificato come velenoso. Piuttosto la non idoneità al consumo di T. sulphureum è da attribuire anche ai giudizi riguardanti il suo sapore che, di riflesso – pensando all’odore – viene ‘immaginato’ come simile e, in quanto tale, disgustoso. Con vera sorpresa occorre precisare che il sapore di questo appariscente Tricholoma è molto gradevole, di nocciola acerba. Tale giudizio va consolidandosi sempre più anche fra i micologici da quando lo scrivente, in tempi non più recenti, ha voluto testarlo più volte per smentire quanto venisse indicato con troppa disinvoltura in pubblicazioni divulgative e scientifiche: altrettanto sgradevole (con illusione all’odore) / disgustoso / nauseoso / che ricorda l’odore e così via…” 

Tricholoma sulphureum – Tavola  incompiuta di Giambattista Bertelli
Tricholoma sulphureum – Tavola incompiuta di Giambattista Bertelli

 

Habitat: specie molto diffusa ed ubiquitaria, fruttifica da fine estate ad autunno, indifferentemente nei boschi di aghifoglie e latifoglie, dalla pianura alla montagna.

Commestibilità: NON commestibile sia per le caratteristiche organolettiche sia perché tossica e causa di sindrome gastrointestinale.

Caratteri differenziali

Facilmente riconoscibile sia per il particolare colore giallo zolfo marcato ed uniforme su tutto il carpoforo, sia per l’intenso e sgradevole odore. 

Specie simili

  • Tricholoma equestre (L.) P. Kumm.

Führ. Pilzk. (Zerbst): 130 (1871) 

Specie tossica, causa di sindrome rabdomiolitica, si presenta con analoga colorazione gialla, differisce per il portamento più robusto, per la carne bianca e per un lieve odore di farina fresca. 

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  1. [tratto da Miceli, 2020 (107): 18-24] Si è soliti ricorrere, affinché si possa pervenire ad una più facile determinazione delle numerose specie appartenenti al Genere Tricholoma, ad un raggruppamento di comodo basato sul colore del cappello dei singoli esemplari che dà origine ai seguenti quattro gruppi:
  2. Gruppo dei Tricholoma bianchi: comprende specie con colore di base bianco, bianco-crema, bianco-verdognolo. Il colore del cappello è, generalmente, bianco puro o con sfumature crema, ocracee, verdastre o giallastre. Indichiamo, a puro titolo orientativo, alcune delle specie appartenenti al gruppo: T. Album, T. pseudoalbum, T. terreum, T. columbetta, T. Albidus ed altre ancora.
  3. Gruppo dei Tricholoma grigi: raggruppa specie caratterizzate da colore di base grigio, grigio-bruno o nerastro. La colorazione si può presentare uniforme o mescolata a sfumature bianco-biancastre o bruno-azzurrognole. Appartengo al gruppo: T. filamentosum, T. terreum, T. gaupasatum, T, cingolatum, T. triste, T. potentosum e tanti altri ancora.
  4. Gruppo dei Tricholoma gialli: ospita specie caratterizzate da colori di base giallo, giallo-oliva, verde sia puri che mescolati tra di loro dando origine a numerose sfumature che oscillano tra il giallo-cromo, giallo-oliva, giallo-verdastro, verdastro, giallo aranciato. Ad esempio indichiamo: T. sulphureum, T.Sejunctum, T. equestre ecc.
  5. Gruppo dei Tricholoma bruno-marroni: caratterizzato da specie con colore di base giallo-rosato, nocciola, più o meno inteso, puro o con sfumature di gradazione diversa dal bruno-chiaro, beige, nocciola, bruno-rosato, bruno-castano, bruno-fulvo, bruno-rossiccio fino al bruno-nerastro su sfondo banco o giallastro. Fanno parte del gruppo, ad esempio, T. imbricatum, T. fulvum, T. aurantium, T. colossus ecc.

I gruppi sopra indicati costituiscono una valida “Chiave di determinazione” delle numerose specie basata sull’osservazione dei soli caratteri morfo-cromatici che si ritiene, per il genere Tricholoma, essere sufficiente senza dovere ricorrere all’esame microscopico. È opportuno, in ogni caso, sottolineare che il colore è spesso condizionato dalle mutevoli condizioni climatiche tendendo a sbiadire a tempo secco e dalle condizioni ambientali come la presenza di corpi estranei (foglie, aghi, terriccio ecc.) sul capello che ne impedisce la normale formazione della pigmentazione [Galli, 2005]. Ovviamente abbiamo voluto fornire solo delle indicazioni generiche del tutto indicative invitando il lettore che volesse approfondire l’argomento a consultare i testi indicati in bibliografia con particolare riferimento a Riva (1988) e Galli (2005). 

  1. Sindrome rabdomiolitica 

Viene inserita tra le sindromi a lunga latenza (quando gli effetti dell’intossicazione si manifestano dopo le 6 ore dall’ingestione dei funghi), il periodo di latenza varia da 24 a 72 ore.

La rabdomiolisi è una patologia che colpisce la muscolatura scheletrica e cardiaca; è provocata oltre che dall’ingestione di tossine contenute nel fungo Tricholoma equestre anche da numerosi altri fattori come traumi, sforzi eccessivi, uso di sostanze tossiche…. 

Sintomi principali: astenia, dolori muscolari, eritema facciale, sudorazione, nausea modesta senza vomito, urine scure, rossastre. Nella fase evolutiva si manifestano: iperpiressia (oltre 42° C), aritmie cardiache, miocardite acuta, aumento della dispnea, grave alterazione della funzione renale. In seguito, con la lesione e distruzione delle fibre muscolari del diaframma e del miocardio avviene il decesso. L’intossicazione evolve positivamente se il trattamento medico è tempestivo e prestato nelle prime fasi dell’insorgenza dei sintomi.

La specie responsabile è stata individuata nel Tricholoma equestre, conosciuto ed apprezzato da sempre come ottimo commestibile che, invece, si è reso responsabile di intossicazioni di grave entità, anche mortali, dopo il consumo abbondante ed in pasti ravvicinati (effetto accumulo). La casistica in materia fa riferimento ad episodi di intossicazione collettiva verificatisi in una circoscritta zona della costa atlantica della Francia interessando ben 12 persone, con evoluzione infausta per tre di esse. Il fatto è stato documentato da un gruppo di ricercatori francesi nel 2001 con una ricerca approfondita. Anche se in Italia non sono mai stati registrati casi di intossicazione da Tricholoma equestre, il consumo e la raccolta di questa specie sono stati vietati, per disposizione di legge, su tutto il territorio nazionale (Ordinanza Ministero della Salute del 20 agosto 2002) [Cfr. Assisi et al., 2008; Follesa, 2009; Milanesi, 2015].

  1. Sindrome gastrointestinale o resinoide

Viene inserita tra le sindromi a breve latenza (quando i sintomi dell’intossicazione si manifestano entro 6 ore dall’ingestione dei funghi)

Si manifesta a circa 2-3 ore dal consumo dei funghi con manifestazione di nausea, vomito, diarrea, crampi addominali, prostrazione. L’elenco delle specie responsabili è abbastanza lungo tanto da rendere difficoltosa la sua stesura, si ritiene che possa allungarsi nel tempo a seguito di ulteriori approfonditi studi che potrebbero individuare altre specie, in atto ritenute commestibili o di commestibilità non comprovata, responsabili di tossicità [Cfr. Assisi et al., 2008; Follesa, 2009; Milanesi, 2015].

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Foto: Antonio Contin, Angelo Miceli

Tavole micologiche: Gianbattista Bertelli, gentilmente concesse dal figlio Aldo

Bibliografia

  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. Edit. dalla Natura, Milano. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. (Ristampa 2013) Zanichelli, Bologna. I
  • Della Maggiora Marco, Pera Umberto, 2021: Funghi in Toscana. AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani). La Pieve Poligrafica, Villa Verrucchio (RN), I
  • Follesa Paola, 2009: Manuale Tecnico-pratico per indagini su campioni fungini. Edit. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Bagnolo Mella (BS) – I
  • Galli Roberto, 2005: I Tricolomi. dalla Natura, Milano. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • Mazza Riccardo, 2018: Gli odori e i sapori nei funghi. ROMAR Srl, Segrate (MI) I
  • Miceli Angelo, 2018: Tricholoma equestre (L.) P. Kumm 1871. Il Fungo, Periodico de1 Gruppo Micologico e Naturalistico “Renzo Franchi” Anno XXXVI settembre 2018 n. 2: 13-22. Reggio Emilia. I 
  • Miceli Angelo, 2020: Tricholoma portentosum (Fr. : Fr.) Quél. (1873). Passione Funghi e 

Tartufi Anno X n. 107: 18-24. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I

  • Milanesi Italo, 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. 

Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I 

  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali. Genova. I 
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I 
  • Riva Alfredo, 1988: Tricholoma (Fr.) Staude. Collana Fungi Europaei 3. Libreria Editrice Govanna Biella, Saronno. I

Sitografia

  • Acta Plantarum (ultima consultazione, novembre 2021): Etimologia dei nomi botanici e micologici ecorretta accentazione.
  • IF (ultima consultazione, novembre 2021), Indexfungorum database.
  • MB (ultima consultazione, novembre 2021), Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks.

 

Daldinia concentrica (Bolton : Fr.) Ces. & De Not. (1863)

di Angelo Miceli & Carmelo Di Vincenzo.

Non sempre i funghi, come nell’immaginario collettivo si è soliti ritenere, si presentano nella classica conformazione strutturale che li identifica formati da cappello e gambo ben definiti. Spesso, anzi molto spesso, si presentano nelle forme più strane tanto che difficilmente vengono riconosciuti come tali da quanti hanno poca dimestichezza con il meraviglioso, immenso, affascinante ed intricato “Regno dei Funghi”.

Daldinia concentrica, protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, si identifica pienamente in tale categoria presentando caratteristiche morfocromatiche ben diverse dai funghi a strutturazione classica tanto da potere essere considerata, a ben diritto, specie dall’aspetto particolare [Cfr. Della Maggiora, 2021].

Precisazioni di ordine generale – tratto da Miceli (2018: 32 – 35)

E’ opportuno, prima di addentraci nella trattazione della specie, fare delle precisazioni di ordine generale che ci consentano di meglio affrontare l’argomento.

I funghi, in considerazione della diversità con cui producono le spore, sono divisi in due grandi classi: Basidiomycetes e Ascomycetes. Alla prima (Basidiomycetes) appartengono funghi che sviluppano le spore all’esterno di elementi allungati, più o meno claviformi, detti basidi (dal latino basìdium ovvero supporto, piedistallo) sulla cui parte apicale si trovano dei particolari sostegni detti sterigmi alla cui estremità si formano le spore. Alla seconda (Ascomycetes) appartengono funghi che sviluppano le spore all’interno di “sacche, astucci” normalmente di forma allungata, similari al baccello di un pisello, chiamati aschi (dal greco askòs, piccolo sacco, otre). Per quanto sopra, le spore dei Basidiomycetes vengono anche definite esospore perché formate all’esterno del supporto di riproduzione, mentre le spore degli Ascomycetes vengono chiamate anche endospore, perché formate all’interno del supporto di riproduzione (Vedi Tavola n. 1).

Tavola n.1 - Aschi e Basidi	 Disegno: Rosa Carbonaro
Tavola n.1 – Aschi e Basidi Disegno: Rosa Carbonaro

Le numerosissime specie appartenenti alla Classe degli Ascomycetes si presentano con una pluralità di forme che, senza minimamente volere entrare nel dettaglio della morfologia-sistematica, in considerazione della tipologia delle singole fruttificazioni, riconducono, essenzialmente, a tre tipicizzazioni:

  • Ascocarpi che presentano l’imenoforo completamente esposto all’aria: apoteci
  • Ascocarpi che si presentano quasi completamente chiusi, comunicanti con l’esterno per mezzo di una piccolissima apertura posizionata, generalmente, nella zona apicale: Periteci
  • Ascocarpi completamente chiusi, spesso a crescita ipogea o semiipogea: Cleistoteci

Apotecio (Vedi Tavola n. 2)

Con il termine apotecio si è soliti individuare corpi fruttiferi che si presentano con forme di varia natura, spesso a forma di coppa. Sono caratterizzati per la particolare ubicazione dell’imenoforo (zona fertile del fungo dove si formano le spore) che è posizionato sulla superficie interna, ovvero quella più visibile dove, durante tutte le fasi di maturazione, rimane sempre esposto all’aria e non è coperto da alcuno strato protettivo. L’imenoforo è posizionato su una struttura sterile che funge da supporto denominata excipulum o periderma (Vedi Tavola n. 3) che generalmente risulta formata da più strati [Tolaini, 2008; Medardi, 2012]. I corpi fruttiferi possono essere singoli (esempio: Genere Peziza,Otidea, Aleuria, Sarcoscypha, Helvella…) o aggregati, in tal caso si presentano come fruttificazione complessiva (esempio Genere Morchella).

 

Peritecio (Vedi Tavola n. 4)

Con tale termine si identificano corpi fruttiferi di piccole dimensioni, a forma di fiasco, di ampolla, più o meno rotondeggianti o allungati, nei quali la zona fertile (imenoforo) è racchiusa all’interno di un corpo globoso cavo che, a maturità, si apre nella parte sommitale consentendo la fuoriuscita delle spore attraverso un foro chiamato ostiolo [Tolaini, 2008; Medardi, 2012]. I corpi fruttiferi possono presentarsi isolati o aggregati, in tal caso, anche questi, assumono la denominazione di fruttificazione complessiva (Es. Genere PodostromaDaldinia, Cordyceps,….). La parete esterna dei corpi globosi, generalmente di consistenza dura e coriacea, composta da ife aggrovigliate e/o compatte, prende la denominazione di stroma.

Tavola n. 4 - Peritecio	Disegno Stefania Calascione
Tavola n. 4 – Peritecio Disegno Stefania Calascione

Cleistotecio (Vedi Tavola n. 5)

Vengono così identificati i corpi fruttiferi completamente chiusi e circondati da una membrana consistente chiamata peridio, al cui interno, inglobati in una struttura più o meno compatta chiamata gleba, trovano posto gli aschi e le spore. Gli aschi sono generalmente disposti in maniera disordinata ed a vari livelli. La dispersione delle spore, a maturità, avviene per frantumazione del peridio [Medardi, 2012].

Tavola n. 5 - Cleistotecio  Disegno Rosa Carbonaro
Tavola n. 5 – Cleistotecio Disegno Rosa Carbonaro

 

Fatto questa premessa, dovuta per meglio comprendere l’immenso e complesso mondo degli Ascomiceti che, tuttavia, è opportuno precisare, non è assolutamente esaustiva ma deve essere intesa solo come una generica e superficiale introduzione da approfondire con la consultazione di testi specifici, ci addentriamo nella trattazione della nostra “Riflessione Micologica”

Genere Daldinia Ces. & De Not. 

Comm. Soc. crittog. Ital. 1(fasc. 4): 197 (1863)

Al Genere, la cui specie tipo è Daldinia concentrica, appartengo ascocarpi inseriti nel gruppo informale dei pirenomiceti (1) che si presentano sotto forma di fruttificazione complessiva caratterizzata dalla presenza di numerosi periteci inglobati in una formazione miceliare costituita, appunto, dal micelio che portandosi in superficie, sullo strato di crescita, incomincia ad agglomerarsi compattandosi sempre più, fino ad assumere una forma tendenzialmente globosa di vari centimetri di diametro, di consistenza dura, di colore nero-nerastro, definita stroma, sulla cui superficie esterna si affacciano gli ostioli dei singoli e numerosi periteci che in ogni singola formazione miceliare possono essere anche centinaia [Della Maggiora, 2021].

Le singole fruttificazioni, di forma irregolarmente globosa, di medio-grandi dimensioni, a volte anche notevoli, presentano una superficie esterna nerastra o bruno-rossiccio-nera, ruvida per la presenza della parte sommitale (ostiolo) dei singoli periteci; sono caratterizzate, alla sezione, per lo stroma zonato che alterna vari strati concentrici a bande chiare e scure [Medardi, 2006; Consiglio et. Al., 2009]. 

Microscopicamente sono caratterizzate da spore largamente ellissoidali o subreniformi con fessura germinativa disposta longitudinalmente [Medardi, 2006; Consiglio et. Al., 2009].

Daldinia concentrica (Bolton : Fr.) Ces. & De Not.

Comm. Soc. crittog. Ital. 1(fasc. 4): 197 (1863)

Basionimo: Sphaeria concentrica Bolton (1792)

Posizione sistematica: Divisione Ascomycota, Classe Sordariomycetes, Ordine Xylariales, Famiglia Hypoxylaceae, Genere Daldinia.

Etimologia: Daldinia, con espresso riferimento ad Agostino Daldini; concentrica, chiaramente riferito alle zonature concentriche, molto evidenti alla sezione, che la caratterizzano.

Principali sinonimi: Peripherostoma concentricum (Bolton) Gray (1821); Stromatosphaeria concentrica (Bolton) Grev. (1828); Hypoxylon concentricum (Bolton) Grev. (1828); Hemisphaeria concentrica (Bolton) Klotzsch (1843); Valsa tuberosa Scop. (1772); Sphaeria tuberosa (Scop.) Timm (1788); Daldinia tuberosa (Scop.) J. Schröt. (1881); Hemisphaeria tuberosa (Scop.) Kuntze (1898); Lycoperdon atrum Schaeff. (1774).

Descrizione macroscopica

Corpo fruttifero sotto forma di fruttificazione complessiva, tendenzialmente globoso, subgloboso, piriforme o, a volte, anche appianato. Superficie esterna inizialmente di colore rossastro, bruno violaceo poi, verso la maturazione, causa l’espulsione delle spore che vi si depositano ricoprendola, sempre più scura fino al nero intenso; leggermente ondulata, asciutta, opaca, fragile, spesso caratterizzata da una fine screpolatura; nei primi stadi dello sviluppo è possibile avvertire, al tatto, la presenza degli ostioli dei periteci (anche centinaia) non ancora maturi che la rendono più o meno ruvida. Carne inizialmente, negli esemplari giovani, tenace e dura poi, verso la maturazione sempre più carboniosa, con eccezione per la corteccia che si presenta subito fragile e carboniosa; alla sezione presenta caratteristiche zonature concentriche che si alternano con colorazioni grigio e nere più o meno intense. Periteci irregolari con conformazione globoso-allungata, colore nero-nerastro, dimensioni circa 0,5 x 2,0 mm. Odore nullo.

Descrizione microscopica

Spore ellittiche, lisce, dimensioni medie 11 x 7 µm, brunastre a maturità, con fessura germinativa longitudinale, posizionate, all’interno dell’asco in forma uniseriata (ovvero disposte su una unica fila, una dietro l’altra) ed in numero  Aschi cilindrici, 8-sporici, amiloidi (ovvero cambiano di colore tingendosi di grigio-nerastro-bluastro quando vengono trattate con un reagente a base di iodio), dimensioni fino a 200 x 11 µm circa [Cfr. Consiglio et al., 2003; Medardi, 2006; Della Maggiora, 2021] .

Habitat: in gruppi di diversi esemplari o anche in forma singola su legno morto di varie latifoglie in preferenza frassino ed ontano ed anche, come segnalato da Medardi (2006), su legno bruciato.

Commestibilità: Non commestibile

Caratteri differenziali

Facilmente riconoscibile per la conformazione globosa, per il caratteristico colore nerastro della superficie e per le zonature interne

Specie simili

Diverse sono le specie simili appartenenti allo stesso genere che possono facilmente essere confuse con D. concentrica ma solo poche sono quelle rinvenibili in habitat mediterraneo che siano state sino ad oggi ritrovate e correttamente determinate. Ci limitiamo ad indicarne solo alcune rinviando il lettore, per un eventuale approfondimento, ai testi indicati in bibliografia [Cfr. Stadler et al., 2004; Della Maggiora, 2021]

  • Daldinia vernicosa Ces. & De Not. (1863)

Differisce per la particolare lucentezza della superficie esterna che la fa sembrare “verniciata” (inde nomen); per la tendenza a presentarsi più o meno stipitata; per le zonature interne che alternano bande bianche larghe a bande scure strette;

  • D. martinii  M. Stadler, Venturella & Wollw. (2004)

Specie recentemente ritrovata in Sicilia [Venturella, 2009; Della Maggiora, 2021], differisce da D. concentrica per le spore più grandi e con maggiori ornamentazioni; per l’habitat di crescita che la lega a Quercus suber (Sughera).

  • D. raimundi M. Stadler, Venturella & Wollw. (2004)

Anche questa ritrovata recentemente in Sicilia [Venturella, 2009; Della Maggiora, 2021], differisce da D. concentrica per la superficie stromatica sempre priva di fessurazioni; per le spore molto più ornamentate e per la nascita su Leccio (Quercus ilex).

Origine e funzione delle zonature

Uno dei primi studi condotti al fine di accertare l’origine e la funzione delle caratteristiche zonature concentriche che identificano le numerose specie appartenenti al genere Daldinia, risale alla fine del secondo decennio del secolo scorso e fa riferimento al botanico inglese Jessie Sproat Bayliss-Elliott il quale riteneva che le zonature fossero la conseguenza della mancata completa formazione dei periteci in ogni singolo strato, che erano costretti ad interrompere la loro crescita, abortendo, causa la sovrapposta formazione della zonatura successiva [Bayliss-Elliott, 1919]. Tale teoria, però, non ha trovato alcuna conferma in studi successivi condotti, per circa 20 anni e conclusi nel 2015, da un gruppo di studio guidato da Ahmed Khalil (Dipartimento di Microbiologia, Facoltà di Scienze, Università Al-Azhar, Cairo, Egitto), che non è riuscito a trovare alcun sostegno a supporto della teoria di Bayliss-Elliott [Della Maggiora, 2021 con riferimento a Khalil et al., 2015]. 

Tale ultimo studio, inteso ad accertare l’esatta natura delle zonature, condotto su numerosi esemplari di D. concentrica e D. eschscholtzii (Ehrenb.) Rehm sia allo stato fresco che dopo essiccazione, ha chiaramente evidenziato che la diversa colorazione, caratteristica delle zonature concentriche, è dovuta al cambiamento nell’orientamento della crescita ifale, deduzione questa che ha rafforzato la teoria espressa da Ju et al. (1997) sulla proprietà della ritenzione idrica delle Daldinia [Khalil et al., 2015; Della Maggiora, 2021]. In effetti, come ipotizzato da Ju, le zonature servirebbero a trattenere l’acqua per un periodo più lungo ed a rilasciarla nel tempo nei periodi di siccità. Quindi l’alternanza dell’orientamento ifale, nel punto di congiunzione tra due zonature, verrebbe a formare un ostacolo per l’acqua costretta a trattenersi per un periodo più lungo all’interno della struttura stromatica [Della Maggiora, 2021 con riferimento a Ju et al., 1997 e Khalil et al., 2015]. Inoltre, l’insieme dei periteci disposti sullo strato esterno, che si presenta duro e compatto, contribuisce, probabilmente, a ritardare l’evaporazione dell’umidità conservata all’interno della struttura stromatica (Ju et al., 1997; Della Maggiora, 2021]. Ipotesi, quest’ultima, confermata anche da Marc Stadler [Stadler et al., 2014; Della Maggiora, 2021].

Note tassonomico-nomenclaturali

L’iter tassonomico-nomenclaturale di D. concentrica, come avviene per tutte le specie fungine, è strettamente correlato alle conoscenze del tempo in cui si opera ed agli studi condotti dai numerosi micologici che, a seconda del proprio punto di vista e delle deduzioni cui pervengono, ritengono opportuno assegnare una o un’altra posizione tassonomica alle specie di cui si stanno occupando. 

Il Genere Daldinia, che attualmente la ospita, venne istituito nel 1863 su iniziativa di Vincenzo Cesati (botanico e micologo italiano, Milano, 24 maggio 1806 – Napoli, 3 febbraio 1883) e di Giuseppe De Notaris (medico e botanico italiano, Milano, 18 aprile 1805 – Roma, 22 gennaio 1877), con l’intento di separare dalle specie simili i pirenomiceti a fruttificazione complessiva caratterizzati da grandi dimensioni e dalle evidenti zonature interne [Stadler et. Al., 2014; Della Maggiora, 2021]. Il Genere venne dedicato, dagli autori, a Agostino Daldini (botanico e micologo svizzero, Vezia, 20 marzo 1817 – Orselina, 9 maggio 1895) [Stadler et. Al., 2014; Della Maggiora, 2021; Acta Plantarum, 2021]. 

Ovviamente, in origine, le è stata assegnata una posizione tassonomica diversa che, nel tempo, prima di giungere all’attuale, ha subito diverse rimodulazioni. Ci piace quindi, anche se in maniera generica ed appena accennata, ripercorrere le principali tappe del suo percorso. 

Inizialmente, nell’anno 1772, fu posizionata, per opera di Giovanni Antonio Scopoli (medico-naturalista italiano, Cavalese, 3 giugno 1723 – Pavia, 8 maggio 1788), nel Genere Valsa Adans, con l’epiteto binomiale di V. tuberosa Scop.

Successivamente, nel 1774, venne riposizionata, ad opera di Jacob Christian Schaeffer (botanico e micologo tedesco, Erfurt, 30 maggio 1718 – Ratisbona, 5 gennaio 1790) nel Genere Lycoperdon P. Micheli con l’epiteto specifico L. atrum Schaeff., assumendo, sempre nello stesso Genere, nell’anno 1778, ad opera di William Hudson (botanico statunitense, Kendal 1730 – 23 maggio 1793) l’epiteto specifico di L. fraxineum Huds. 

Ancora dopo, nel 1792, viene denominata, da James Bolton (naturalista inglese, Alifax, 1750 – 1799), Sphaeria concentrica Bolton, epiteto con il quale viene sanzionata, nell’anno 1823, da Emile Magnus Fries (micologo svedese, (Femsjö, 15 agosto 1794 – Uppsala, 8 febbraio 1878) nella sua opera fondamentale Systema Mycologicum 2. 

Nel 1863 assume, su iniziativa dei micologi italiani Cesati e De Notaris, l’attuale epiteto binomiale di Daldinia concentrica (Bolt.) Ces. & De Not. [Child, 1932; Stadler et al. 2014; Della Maggiora, 2021], in tale occasione fu evidenziato che in D. concentrica le zonature stromatiche erano più evidenti che nelle altre specie simili [Child, 1932].

Precisamo ancora che una prima testimonianza storica di una non meglio identificata specie fungina appartenente al Genere Daldinia risale all’anno 1686 e fa riferimento a John Ray (botanico e naturalista inglese (Black Notley, 29 novembre 1627 – Black Notley, 17 gennaio 1705) che, come riportato da Fries (1823) la descrisse come: “Fungus fraxineus, niger, durus, orbiculatus” [Fries, 1823; Stadler et. Al., 2014].

Riteniamo opportuno, nel rimandare il lettore per eventuali approfondimenti alla letteratura specifica, precisare che, nel tempo, numerosi altri epiteti sono stati utilizzati per identificare la specie che attualmente vengono considerati sinonimi. [Cfr. IF, 2021; MB, 2021].

Relativamente alla posizione del Genere Daldinia nella Famiglia Xylariaceae Tul. & C. Tul., ove il Genere, e quindi anche D. concentrica, è stato per lunghissimo tempo posizionato, è opportuno precisare che a seguito di recenti studi, anche di natura filogenetico-molecolare condotti da Wendt et al. (2018), il Genere Daldinia, e tutte le specie ad esso appartenenti, è stato riposizionato nella famiglia Hypoxylaceae DC. appartenente all’Ordine Xylariales Nannf. [Wendt et al., 2018; Della Maggiora, 2021]. 

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  1. Pirenomiceti termine derivante dal greco pyrèn ovvero nucleo, seme, granello e da mykes ovvero fungo, con il significato letterale, quindi, di “funghi con la forma di granello” dovuto al fatto che possiedono un ascocarpo cavo e di piccole dimensioni [Medardi, 2006]. In generale il termine viene utilizzato per identificare specie fungine di piccole dimensioni, da uno a pochi millimetri, di consistenza dura, carboniosa, con forma globosa, allungata, di fiasco [Della Maggiora, 2021].

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Bibliografia

  • Bayliss-Elliott Jessie Sproat, 1919: On the formation of conidia and the growth of the stroma of Daldinia concentrica. Transactions of the British Mycological Society 6(3): 269 – 274.
  • Cesati Vincenzo, De Notaris Giuseppe, 1863: Schema di classificazione degli sferiacei italici aschigeri più o meno appartenenti al genere Sphaeria nell’antico significato attribuitogli da Persoon. Commentario della Società Crittogamologica Italiana 1(4): 177 – 240.
  • Child Marion, 1932: The Genus Daldinia. Annals of the Missouri Botanical Garden. Vol. XIX: 429 – 496.
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo, 2009: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 3. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Della Maggiora Marco, 2021: Funghi dall’aspetto particolare XII – Il genere Daldinia e Daldinia concentrica. Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 13: 7 – 16, Ponte a Moriano (LU). I
  • Fries Elias Magnus, 1823: Systema Mycologicum 2. Officina Berlingiana, Lund – S.
  • Ju Yu-Ming, Rogers Jack D., San Martin Felipe, 1997: A revision of the genus Daldinia. Mycotaxon 61: 243-293.
  • Khalil Ahmed, Lee Hyum, Sharples George, Sihanonth Prakitsin, Suwannasai Nuttika, Sangvichien Ek, Whalley Margaret, Whalley Anthony, 2015: Daldinia: The nature of its concentric zones. Mycoscience 56: 542-548.
  • Medardi Gianfranco, 2006: Atlante fotografico degli Ascomiceti d’Italia. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Miceli Angelo, 2018: Sarcoscypha coccinea (Grey) Boud. 1885. Passione Funghi e Tartufi, Anno VI n. 80: 32 – 35. Erredi Grafiche, Genova. I
  • Stadler Marc, Læssøe Thomas, Fournuer Jacques, Decock Cony, Schmieschek Beata, Tichy Hans-Volker, Peršoh Derek, 2014: A polyphasic taxonomy of Daldinia (Xylariaceae). Studies in Mycology 77: 1 – 143
  • Tolaini Francesco, 2008: Funghi sotto la lente: Podostroma alutaceum, un interessante pirenomicete, Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2: 38-41, Ponte a Moriano (LU). I
  • Venturella Giuseppe, 2009: Recording and mapping the Mediterranean mycota: the case of Sicily (S Italy). Phytologia Balcanica 15 (3): 299-304.
  • Wendt Lucile, Sir Esteban, Kuhnert Eric, Heitkämper Simone, Lambert Christopher, Hladki Adriana, Romero Andrea, Luangsa-Ard Jennifer, Srikitikulchai Prasert, Peršoh Derek, Stadler Mark, 2018:Resurrection and emendation of the Hypoxylaceae, recognised from a multi-gene genealogy of the Xylariales. Mycological Progress 17: 115-154.

Sitografia

Altra bibliografia di approfondimento

  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama srl, Trento. I
  • La Spina Leonardo, Signorino Carmelina, 2018: I funghi di Santo Pietro, antico bosco di Sicilia. Eurografica S. r. l. Riposto (CT). I
  • Mazza Riccardo, 2010: I Funghi – Guida al riconoscimento di oltre 400 specie. Fabbri Editori. Milano. I

Leucocoprinus flos-sulphuris (Schnizl.) Cejp, (1948)

Di Angelo Miceli e Carmelo Di Vincenzo

Sembra ormai assodato, da diversi anni a questa parte, che alcune specie fungine originarie da aree tropicali e/o subtropicali abbiano iniziato, con successo, una forma di trasmigrazione verso le regioni del mediterraneo ove, come dimostrano vari ritrovamenti, hanno trovato un habitat ideale alla loro fruttificazione. Ricordiamo, tra i nostri precedenti ritrovamenti, a mero titolo indicativo, Amylosporus campbellii (Berk.) Ryvarden (1977) [Cfr. Miceli et al., 2020] Inonotus rickii (Pat.) D.A. Reid (1957) [Miceli & Di Vincenzo in fase di pubblicazione]; Leucocoprinus fragilissimus (Ravenel ex Berk. & MA Curtis) Pat., (1900) [Miceli & Di Vincenzo in fase di pubblicazione] ai quali si unisce, oltre alle numerose specie fungine oggetto di ritrovamento da parte di altri studiosi di micologia, l’ultimo, in ordine di tempo, recente nostro ritrovamento di Leucocoprinus flos-sulphuris, protagonista del nostro nuovo contributo micologico.

Leucocoprinus flos-sulphuris (Schnizl.) Cejp, 

Česká Mykol. 2(3): 78 (1948)

Accentazione: Leucocóprinus flòs-sulphúris

Basionimo: Agaricus flos-sulphuris Schnizl. 

in Sturm, Deutschl. Fl., 3 Abt. (Pilze Deutschl.) 6 (32): 2 (1851)

Etimologia: Leucocoprinus, dal greco λευκός (leykos) = bianco e da Coprinus ovvero Coprinus con le spore bianche, con espresso riferimento alla similarità morfologica con le specie fungine appartenenti al Genere Coprinus dalle quali differisce, essenzialmente, per il colore bianco-biancastro delle spore; flos-sulphuris dal latino = fiore di zolfo con espresso riferimento al particolare colore giallo zolfo che caratterizza la superficie dei carpofori in giovane età.

Posizione sistematica: 

Divisione Basidiomycota, classe Agaricomycetes, ordine Agaricales, famiglia Agaricaceae, genere Leucocoprinus.

Principali sinonimi: Agaricus luteus Bolton (1788); Agaricus birnbaumii Corda (1839); Lepiota flammula (Alb. & Scchw.) Gillet (1874); Lepiota lutea (Bolt.) Godfrin (1897); Lepiota aurea Massee, (1912); Agaricus aureus F.M. Bailey (1913); Lepiota incerta Mattir. (1918); Lepiota flos-sulphuris(Schnizl.) Mattir. (1918); Leucocoprinus luteus (Godfrin) Locq. (1945); Leucocoprinus birnbaumii (Corda) Singer (1962).

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole-medie dimensioni, inizialmente cilindrico-ovoidale con caratteristica conformazione a ditale poi, verso la maturazione, campanulato ed ancora quasi completamente aperto, spianato, spesso con piccolo umbone tronco; caratterizzato, specialmente negli esemplari giovani, da un intenso colore giallo: giallo citrino, giallo zolfo che tende a sbiadire verso colorazioni brunastre a maturazione avanzata ed a tempo secco; zona discale più scura: giallo-ocra, ocra-brunastro. Superficie cuticolare dissociata in piccole squame o fiocchi minuti di colore più o meno intenso variabile dal giallo-oro al giallo-brunastro al bruno-brunastro. Margine acuto ed involuto, inizialmente tipicamente plissettato, poi striato (caratteristica, quest’ultima, che identifica tutte le specie appartenenti al genere. Imenoforo a lamelle fitte, larghe, libere ed inserite in un collarium, intervallate da lamellule; colore giallo pallido, quasi biancastro con tendenza ad imbrunire. Gambo centrale, cavo, clavato, allargato alla base con una formazione bulbare di forma ovoidale, , asciutto, concolore al cappello, più scuro verso la base dove sono presenti sottili rizomorfe biancastre. Anello fragile, sottile, membranoso, fugace, giallo-giallastro tendente a sbiadire con l’avanzare della maturazione. Carne tenera, sottile, giallastra, amarognola, priva di odori o sapori particolari.

Microscopia

Spore ovali con poro germinativo ed apicolo, giallastri in massa

Habitat a tipica nutrizione saprotrofica predilige terreni ricchi di humus fruttificando a gruppi, a volte cespitosi, su residui legnosi marcescenti, nelle serre e nei vasi da fiore.

Commestibilità: NON commestibile

Caratteri differenziali

Si riconosce facilmente per il colore giallo dell’intero carpoforo, tipico degli esemplari giovani; per il gambo clavato con presenza di anello; per il cappello con umbone centrale più scuro e cuticola dissociata in fiocchetti gialli e margine striato; per l’habitat di crescita in serre o vasi da fiori.

Specie simili

  • Leucocoprinus fragilissimus (Ravenel ex Berk. & M.A. Curtis) Pat. (1900)

Simile nella conformazione strutturale e per la colorazione giallo-giallastra, differisce, principalmente, per la fragilità della carne che tende a sfaldarsi al minimo tocco e per le evidenti striature che si dipartono dalla zona discale per estendersi fino al margine del cappello.

  • Leucocoprinus cepistipes (Sowerby) Pat. (1889)

Presenta similarità nella conformazione strutturale ma è privo di colorazioni gialle, differisce per il cappello con zona discale e squamette ocra-grigiastre e per ledimensioni maggiori.

  • Leucocoprinus brebissonii (Godey) Locq. (1943)

Differisce per la mancanza di colorazioni gialle; per la zona discale e le squamette di colore bruno-nerastro; per il gambo meno ingrossato; per le dimensioni minori.

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Foto: Mariagrazia Battaglia, Carmelo Di Vincenzo, Angelo Miceli, Enzo Puglisi

Bibliografia

  • Adikaram Nimal, Yakandawala Deepthii, Jayasinghe Lalith, 2020: Leucocoprinus birnbaumii (Agaricales: Basidiomycota), attractive yellow houseplant mushroom, revisited after 100 years. Ceylon Journal of Science 49 (2): 209-211
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. (ristampa 2013) Zanichelli, Bologna. I 
  • Candusso Massimo, Lanzoni Gianbattista, 1990: Lepiota s. l.. Collana Fungi Europaei Vol.4. Libreria Editrice Giovanna Biella, Saronno. I
  • La Chiusa Lillo, 2013: Funghi Agaricoidi, Vol. I – Agaricaceae. ANDER Editore, Monza. I
  • Miceli Angelo, Di Vincenzo Carmelo, 2020: Amylosporus campbellii (Berk.) Ryvarden (1977) primo ritrovamento nel territorio messinese. RMR (Rivista Micologica Romana) Bollettino Amer (Associazione Micologica Ecologica Romana) n. 11 Anno XXXVI (3): 135-141. Roma. I
  • Verma Ram Keerti, Pandro Vimal, 2018: Diversity of macro-fungi in Central India-XIII: Leucocoprinus badhamii and Leucocoprinus birnbaumii. Van Sangyan, Vol. 5, N. 5-6 (28-37).

Sitografia

  • Acta Plantarum (ultima consultazione, luglio 2021)

Etimologia dei nomi botanici e micologici e corretta accentazione.

https://www.actaplantarum.org/etimologia/etimologia.php

http://www.mushroomexpert.com/leucocoprinus_fragilissimus.html

  • MB (ultima consultazione, luglio 2021): Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks.www.mycobank.org

Volvopluteus gloiocephalus (DC. : Fr.) Vizzini, Contu & Justo (2011)

Specie molto comune che è solita fruttificare tra il periodo primaverile e l’autunno inoltrato nei pascoli e nei terreni incolti. Inizialmente inserita nel Genere Volvariella(1) con la denominazione specifica di Volvariella gloiocephala, è stata riposizionata, a seguito indagini di natura filogenetico-molecolare che hanno evidenziato una maggiore affinità di caratteri con le specie appartenenti al Genere Pluteus (2), nel Genere Volvopluteus, appositamente creato in epoca relativamente recente.

Volvopluteus gloiocephalus	Disegno Gianbattista Bertelli
Volvopluteus gloiocephalus Disegno Gianbattista Bertelli

 

Genere Volvopluteus Vizzini, Contu & Justo 

 Fungal Biology 115 (1): 15 (2011)

Si tratta di un Genere di nuova e relativamente recente istituzione nel quale sono state riposizionate alcune specie fungine già appartenenti al Genere Volvariella che all’esame filogenetico molecolare hanno evidenziato caratteristiche strettamente correlate a quelle delle specie appartenenti al Genere Pluteus dalle quali morfologicamente si differenziano per la presenza di volva, elemento questo che ha suggerito la creazione del nuovo Genere Volvopluteus.

Al Genere, la cui specie tipo è Volvopluteus gloiocephalus, appartengono specie fungine di piccole, medie e grandi dimensioni, tutte a nutrizione saprotrofica, molto comuni ed a larga diffusione territoriale. Sono caratterizzate da: 

Cappello inizialmente conico-campanulato tendente, verso la maturazione, ad appiattirsi, con colorazioni variabili dal bianco-biancastro al grigio-marrone più o meno intenso, tipicamente ricoperto da cuticola viscida e glutinosa. 

Imenoforo a lamelle libere al gambo, inizialmente bianche poi, verso la maturazione, rosate e sempre più, man mano che le spore vengono prodotte, tendenti al rosa-brunastro marcatamente più intenso. Sporata rosa, bruno-rosata. 

Gambo centrale, cilindrico, liscio, bianco-biancastro tendente a scurire verso la maturazione assumendo sfumature bruno-grigiastre, caratterizzato dalla costante presenza di una volva membranosa bianco-biancastra alla base.

Volva sempre presente con conformazione morfo-strutturale diversa tra le varie specie.

Spore da ellissoidali a oblunghe, relativamente grandi (oltre 11 µm di lunghezza); Basidi claviformi, tetrasporici a volte anche mono o bisporici.

 

Volvopluteus gloiocephalus (DC. : Fr.) Vizzini, Contu & Justo 

Fungal Biology 115 (1): 15 (2011)

Accentazione: Volvoplùteus gloiocéphalus

Basionimo: Agaricus gloiocephalus DC. [come ” glojocephalus “] (1815)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Pluteaceae, genere Volvopluteus.

Etimologia: Volvopluteus = Pluteus con la volva con espresso riferimento alla relazione intercorrente tra i generi Pluteus e VolvariellaGloiocephalus dal greco “gloiòs” = glutine e da “Kefalé” = testa ovvero “testa glutinosa” con riferimento alla presenza di glutine sul cappello.

Principali sinonimi: Agaricus pubescens Schumach. (1803); Amanita speciosa Fr. (1818); Agaricus speciosus (Fr.) Fr. (1821); Pluteus speciosus (Fr.) P. (1836); Volvaria gloiocephala (DC.) Gillet (1876); Volvaria speciosa (Fr.) P. Kumm. (1871); Volvariella gloiocephala (DC.) Boekhout & Enderle (1986); Volvariella speciosa (Fr.) Singer (1951); Volvariopsis gloiocephala (DC.) Murrill (1917); Volvariopsis speciosa (Fr.) Murrill (1918)

Nome volgare: Volvaria vischiosa

Nome dialettale: funciu i pagghia (nome dialettale siciliano) 

Descrizione macroscopica

Cappello di medio-grandi dimensioni, carnoso, inizialmente, negli esemplari giovani, ha conformazione ovoidale, conico-campanulata, successivamente, verso la maturazione, diviene convesso ed infine piano-convesso, a volte con largo e basso umbone; margine incurvato, liscio o lievemente e finemente striato. Superficie cuticolare liscia, glabra e brillante a tempo secco, vischiosa per la presenza di un evidente strato di glutine a tempo umido, presenta diverse colorazioni che variano dal bainco-biancastro al grigio-ocra, grigio-bruno, grigio-verde, spesso con sfumature marrone-ocracee localizzate nella parte centrale. Imenoforo a lamelle fitte, ventricose, libere al gambo, inserite in un collarium appena accennato, intervallate da numerose lamellule, inizialmente di colore bianco-biancastro, poi grigio-rosato ed infine bruno-rosato. Spore in massa rosa-carnicino, rosa-brunastre. Gambo cilindrico, centrale, pieno, fragile, asciutto, inizialmente bianco, poi grigio ed ancora grigio-brunastro, pruinoso nella parte apicale, progressivamente allargato verso la base leggermente bulbosa con presenza di volva. Anello assente. Volva ampia, sacciforme, fragile, inizialmente membranosa, poi cremosa, molto aderente alla base, staccata all’orlo, lobata, di colore bianco-biancastro o bruno-grigiastro. Carne fragile, esigua, biancastra, leggermente ingrigente. Odore e sapore debole, dolce, rafanoide.

Habitat

Specie molto comune, a larga diffusione territoriale, predilige terreni incolti, pascoli, prati, orti, giardini, radure erbose ai margini del bosco. Fruttifica tipicamente dalla primavera ad autunno anche inoltrato spesso a gruppi di numerosi esemplari.

Commestibilità

commestibile ma di pessimo valore organolettico. Sconsigliato il consumo anche per la possibilità di confusione con specie velenose.

Caratteri differenziali

Facilmente riconoscibile per il colore bianco-grigiastro del cappello negli esemplari giovani tendente a scurire verso il grigio-bruno, grigio-verdastro negli esemplari maturi; per la presenza, a volte, di un largo umbone ottuso; per la cuticola vischiosa; per il colore rosato delle lamelle; per la volva bianco-biancastra molto aderente al gambo; per l’assenza di anello. 

Specie simili:

  • Pluteus cervinus (Schaeff.) P. Kumm. (1871)

Molto simile nella conformazione morfo-cromatica, differisce per la tipica crescita lignicola e per l’assenza di volva.

Evoluzione tassonomico-nomenclaturale

Come abbiamo avuto modo di evidenziare nella parte introduttiva di questa nostra “Riflessione Micologica”, Volvopluteus gloiocephalus veniva posizionato, in origine, nel Genere Volvariella con la denominazione di Volvariella gloiocephala e successivamente riposizionato, dopo opportuni studi di natura filogenetico-molecolare condotti da un gruppo di studiosi [Cfr. Justo et al., 2011], nel Genere Volvopluteus di nuova istituzione. Riteniamo opportuno, quindi, nel proseguire, fare alcune precisazioni utili a meglio focalizzare la problematica trattata: la Famiglia Pluteaceae Kotl. & Pouzar annoverava, un tempo, tre soli generi fungini: Chamaeota (W. G. Sm.) Earle, Pluteus Fr. e VolvariellaSpeg. accomunati, tra di loro, per la presenza di specie fungine con le seguenti caratteristiche morfologiche: lamelle libere al gambo, spore in massa di colore rosa o rosa-marrone, lisce, non amiloidi e non destrinoidi, trama lamellare inversa. Gli studi condotti hanno evidenziato che il Genere Volvariella, annoverando numerose specie fungine con caratteristiche differenti, risultava essere polifiletico e non tutte le specie fungine ospitate mostravano possedere elementi di affinità utili a confermare l’appartenenza al clade Pluteus mostrando maggiori similarità genetiche con specie appartenenti ad altri generi [Justo et al., 2011]. In maniera particolare, Volvariella gloicephala veniva posizionata in un “sister clade” di Pluteus rendendo necessario il suo riposizionamento in un nuovo genere appositamente creato e l’attribuzione di una nuova denominazione, appunto Volvopluteus gloiocephalus [Cfr. Vizzini et al., 2011]. Per ulteriori approfondimenti si consiglia di consultare letteratura specifica come indicato in bibliografia [Cfr. Justo et al., 2010; Justo et al., 2011].

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  1. Genere Volvariella Speg., Anal. Mus. nac. Hist. nat. B. Aires 6 : 119 (1898)

Ospita basidiomi eterogenei (quando cappello e gambo sono formati da strutture cellulari diverse che consentono una facile separazione dei due elementi), saprotrofi, a crescita terricola, su detriti vegetali o su legno, a volte anche su altre specie fungine (Es. Volvariella surrecta, tipicamente legata a Clitocybe nebularis). Presentano cappello asciutto o viscido, liscio o tomentoso (quando è ricoperto da peli corti e morbidi che, al tatto, trasmettono la sensazione del velluto); imenoforo a lamelle di colore carnicino-rosato, libere al gambo (quando si interrompono prima di giungere al gambo); gambo cilindrico, a volte bulboso, da liscio a pruinoso, a volte striato, con residui del velo generale sotto forma di volva membranosa bianca o colorata. Spore in massa rosa, rosa-ocracee.

  1. Genere Pluteus Fr., Fl. Scansione: 338 (1836)

Al genere appartengono basidiomi eterogenei con imenoforo a lamelle libere al gambo, privi di anello e di volva, saprotrofi, a crescita generalmente lignicola. Spore in massa rosa, rosa-ocracee.

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Foto: Carmelo Di Vincenzo, Angelo Miceli.

Tavole micologiche: Gianbattista Bertelli, gentilmente concesse dal figlio Aldo.

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Bibliografia

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. (ristampa 2013) Zanichelli, Bologna. I 
  • Buda Andrea, 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • Justo Alfredo. Minnis Andrew M., Ghignone Stefano,Menolli Nelson J.,Capelari Marina, Rodriguez Olivia, Malysheva Ekaterina, Contu Marco, Vizzini Alfredo, 2010: Species recognition in Pluteus and Volvopluteus (Pluteaceae, Agaricales): morphology geography and phylogeny. Mycological Progress, Vol.10 (4): 453-479
  • Justo Alfredo, Vizzini Alfredo, Minnis Andrew M., Menolli Nelson Jr., Capelari Marina, Rodriguez Olivia, Malysheva Ekaterina, Contu Marco, Ghignone Stefano, Hibbett David S., 2011: Phylogeny of the Pluteaceae (Agaricales, Basidiomycota): Taxonomy and Character Evolution. Fungal Biology, 115 (1): 1-20
  • La Spina Leonardo, Signorino Carmelina, 2018: I funghi di Santo Pietro, antico bosco di Sicilia. Eurografica S. r. l. Riposto (CT). I
  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I

Sitografia

Daedalea quercina (L. : Fr.) Pers. (1801)

Ritorniano, ancora una volta, nel meraviglioso ed intricante mondo dei funghi lignicoli, ovvero quelli che sono soliti crescere in associazione a colture arboree vive o in fase di degradazione. Daedalea quercina, protagonista della nostra nuova “Riflessione Micolgica” è un fungo dalla conformazione imeniale particolare che è possibile, considerata la sua forma di crescita pluriannuale, trovare nel bosco, associato a colture arboree di Quercus s.l., ma non solo, durante tutto l’arco dell’anno. Tipica specie fungina a doppia forma nutrizionale: parassitica e saprotrofica, risulta facilmente identificabile, anche da parte dei meno esperti, per la particolare conformazione labirintiforme (1) della sua superficie fertile. Viene inserita nel gruppo informale dei Polipori. 

I Polipori – tratto da Miceli & Di Vincenzo (2020: 9-18)

Denominazione informale riferita ad un raggruppamento di comodo estremamente eterogeneo e polifiletico (quando le specie inserite nel gruppo non discendono da un unico antenato) che ospita specie fungine caratterizzate da imenoforo a tubuli non asportabile dalla carne soprastante con la quale forma un insieme strettamente omogeneo. I pori, a seconda delle varie specie, possono essere di forma regolare, arrotondata o irregolare e più o meno allungata. Nel gruppo trovano posto tanto basidiomi privi di gambo (sessili) quanto muniti di gambo (stipitati) che, in tal caso, può essere posizionato centralmente o lateralmente [Boccardo et al., 2008; Miceli e Di Vincenzo, 2020].

Genere Daedalea Pers. : Fr. 

Syn. meth. fung. (Göttingen) 2: 500 (1801)

Al Genere, la cui specie tipo è Daedalea quercina, appartengono basidiomi pluriennali, di medio-grandi dimensioni, muniti di cappello e privi di gambo (sessili), a forma di mensola semicircolare, agenti di carie bruna che presentano le seguenti caratteristiche: 

Superficie sterile liscia, feltrata, solcata, glabra o vellutata, concentricamente zonata.

Superficie fertile irregolarmente poroide con pori ad andamento labirintiforme molto evidente.

Contesto relativamente spesso, bruno, inizialmente duro, tenace, poi quando secco molto leggero, suberoso.

Habitat

su latifoglie in forma parassitica o saprotrofica.

Commestibilità

NON commestibile.

Daedalea quercina (L. : Fr.) Pers. 

Syn. meth. fung. (Göttingen) 2: 500 (1801)

Accentazione: Daedàlea quercìna

Basionimo:Agaricus quercinus L. 1753

Posizione sistematica: Classe Basidiomycetes, Ordine Polyporales, Famiglia Fomitopsidaceae; Genere Daedalea.

Etimologia: Daedalea dal greco δαιδάλεος (daidàleos) = dedalo con espresso riferimento alla conformazione labirintiforme della zona imeniale; quercina dal latino quercus quercia con riferimento al tipico habitat di crescita.

Sinonimi principali: Agaricus labyrinthiformis Hoffm. (1789); Merulius quercinus (L.) Pers. (1794); Daedalea nigricans Pers. (1801); Daedalea inzengae Fr. (1869); Antrodia hexagonoides (Fr.) P. Karst. (1879); Lenzites quercinus (L.) P. Karst. (1888); Daedaleites quercinus (L.) Mesch. (1892); Trametes quercina (L.) Pilát (1939).

Nomi dialettali: Funcia di quercia [Bonazzi, 2003]; Func’i i cerza [Buda, 2017] (nomi dialettali in uso nel territorio siciliano).

Descrizione macroscopica

 

Basidiocarpo di medio-grandi dimensioni, a crescita lignicola, sessile (privo di gambo), aderente al substrato di crescita, con forma di mensola semicircolare ed irregolare, a crescita singola o in forma sovrapposta. Superficie sterile irregolare, ondulata, concentricamente zonata, gibbosa, inizialmente feltrata poi, negli esemplari maturi, glabra, nodulosa, solcata, opaca, colore variabile da grigio-grigiastro a grigio-bruno. Bruno-ocraceo, bruno-rossiccio; margine assottigliato, ottuso, ondulato e leggermente lobato, di colore bianco-biancastro, beige negli esemplari giovani, scurente negli esemplari maturi. Superficie fertile a tubuli monostratificati inizialmente di colore ocraceo poi, verso la maturazione, ocra-ruggine più o meno intenso; pori molto irregolari, ampi, da poroidi fino a sinuoso-dedaleiforme fino a lamelliforme-anastomosati, colore inizialmente beige-ocraceo chiaro, poi più scuri. Spore in massa bianco-biancastre. Contesto omogeneo, zonato, tenace, duro, di colore bruno-ocraceo, negli esemplari essiccati assume una consistenza suberosa e molto leggera. Odore gradevole; sapore amarognolo.

Habitat

Cresce in forma singola o ad esemplari sovrapposti, imbricati, prevalentemente su ceppaie o su trochi viventi di latifoglie del Genere Quercus ma anche su Castanea e Populus viene anche rinvenuto su rami secchi, morti, ma ancora attaccati alla pianta vivente, o su legname messo in opera e lavorato. Abbastanza diffuso e rinvenibile tutto l’anno. É agente di carie bruna (2).

Commestibilità: NON commestibile.

Caratteri differenziali

Facilmente distinguibile per i pori che si presentano molto grandi, di colore bianco-biancastro e, in particolare, per la loro forma allungata, labirintiforme; per la consistenza legnosa della carne che a carpoforo essiccato diviene molto leggera e suberosa.

Specie simili

  • Daedaleopsisis confragosa (Bolton : Fr.) J. Schröt. (1888)

E’ la specie che per la similarità della zona imeniale presenta una maggiore somiglianza. Differisce per le dimensioni minori dei singoli basidiomi e per l’aspetto quasi laccato degli stessi; per la conformazione dei pori oblunghi, angolosi, irregolari, inizialmente bianchi poi ocracei e viranti al tocco al fulvo-rossastro; per la diversa conformazione delle spore e di altri caratteri miscroscopici.

Foto: Filippo Gabriele La rosa, Angelo Miceli

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  1. Labirintiforme con andamento tortuoso e contornato che ricorda lo sviluppo contorto di un labirinto. In micologia utilizzato per definire l’andamento tortuoso della zona imeniale di alcuni polipori (es. Daedalea quercina).
  2. Carie bruna o Carie cubica – tratto da Miceli e Di Vincenzo (2020: 9-18)

si manifesta quando il fungo parassita che attacca la specie arborea utilizza, per il suo nutrimento, esclusivamente la cellulosa che deteriorandosi perde di consistenza assumendo un colore più scuro, tendente al bruno-brunastro fessurandosi, al contempo, in piccole zone a forma di parallelepipedo o di cubo derivandone, per tali motivi, la denominazione di carie bruna o carie cubica. Tra le specie fungine più comuni agenti di carie bruna ricordiamo: Laetiporus sulphureusPiptoporus betulinusPhaeolus schweinitziiFomitopsis pinicola, Fomitopsis iberica…..[ Goidànich G., 1975; AMINT; Miceli & Di Vincenzo, 2020].

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Bibliografia

  • Bernicchia Annarosa, 2005: Polyporaceae s.l.. Edizioni Candusso, Alassio (SV). I
  • Bernicchia Annarosa, Sergio Pérez Gorjón, 2020: Polypores of the Mediterranean Region.Romar Edizioni,Segrate Milano. I
  • Bertinara Giorgio, Tizzoni Renato, Zorio Piero, 2020: Atlante dei funghi del Biellese. E20ProgettiEditore. Biella. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Ristampa 2013. Edit. Zanichelli, Bologna. I 
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Buda Andrea, 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Buda Andrea, 2017: I Funghi degli Iblei. Vol. 2. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Goidànich Gabriele, 1975: Manuale di patologia vegetale. Vol. II, Edizioni Agricole, Bologna. I
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo, 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Miceli Angelo, Di Vincenzo Carmelo, 2020: Fomitopsis iberica, primo ritrovamento nel terriotrio messinese. Il Fungo, periodico del Gruppo Micologico e Naturalistico “R. Franchi”, anno XXXVIII n. 1: 9 – 18. Reggio Emilia. I
  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali. Genova. I 

 

Sitografia

  • Acta Plantarum (ultima consultazione, maggio 2021) Etimologia dei nomi botanici e micologici e corretta accentazione. https://www.actaplantarum.org/etimologia/etimologia.php
  • A.M.I.N.T. (Associazione Micologica e Botanica) (ultima consultazione, maggio 2021): Carie Bruna o carie cubica: 

http://www.funghiemicologia.com/phpBB3/viewtopic.php?t=18245

Amanita verna, bella, subdola, mortale

E’ una delle numerose specie fungine che si affaccia, al tepore della primavera, tra i cascami fogliari nei boschi di latifoglie dove si fa facilmente notare per la sua particolare, candida bellezza dietro la quale, purtroppo, nasconde, in maniera subdola, numerose e pericolosissime tossine che la posizionano tra le specie fungine più velenose e, per l’uomo, in caso di ingestione, ad effetto mortale.

Amanita verna, protagonista, purtroppo, di numerose intossicazioni anche con danni irreversibili o addirittura mortali, si configura, unitamente alle consorelle A. phalloidesA. phalloides var. AlbaA. virosa ed A. porrinensis, tra le specie fungine più pericolose esistenti al mondo, occupando un posto di rilievo nella classifica dei funghi più velenosi. Nella sistematica fungina trova posto nella Sezione Phalloideae del Sottogenere Amanitina, Genere Amanita.

Genere Amanita Pers. 1797. – Tratto da Miceli (2019: 27-33)

Il genere, la cui specie tipo è A. muscaria, ospita sporofori di medio-grandi dimensioni, eterogenei, caratterizzati da cappello convesso sul quale, spesso, si trovano residui velari, con margine liscio o tipicamente striato; lamelle libere; gambo più o meno ingrossato alla base, con presenza o assenza di anello; con volva basale; sporata in massa bianca. Si conoscono specie di ottima qualità e altre, non poche, velenoso-mortali la cui ingestione provoca sindromi tossiche di varia natura: sindrome falloidea, panterinica, muscarinica, emolitica ecc. 

Al Genere appartengono sporofori eterogenei (quando cappello e gambo presentano struttura molecolare diversa che consente una netta e facile separazione dei due elementi) ben differenziati e facilmente individuabili, limitatamente alla determinazione del genere di appartenenza, per la presenza di particolari e caratteristiche ornamentazioni che si formano sul cappello e sul gambo, tanto nella parte apicale quanto nella parte inferiore. Sono funghi bivelangiocarpici ossia muniti di due veli. Uno detto velo generale che avvolge l’intero carpoforo fin dalla sua formazione allo stadio di primordio che lo rende simile, per la sua strutturazione, ad un uovo e per tale caratteristica consente di conferirgli, appunto, la denominazione di “ovolo”; l’altro, detto velo parziale, inteso a proteggere la zona imeniale (parte fertile del fungo – formata, nel caso delle Amanite, da lamelle e situata nella parte inferiore del cappello ove si formano gli elementi riproduttivi: le spore) che dall’orlo del cappello si estende fino al gambo.

La formazione del carpoforo, con il suo accrescimento sia in altezza sia in larghezza, causa, man mano che il processo di formazione procede, la lacerazione dei due veli che, a rottura, formano, per quanto riguarda il velo generale, un residuo che rimane attaccato nella parte bassa del gambo dando origine alla formazione di una specie di guaina basale detta “volva” ed anche, a volte, alla formazione di residui dissociati sul gambo ed alla formazione – anche se non sempre – sul cappello di ornamentazioni dette, in senso generico, “verruche”. Per quanto riguarda il velo parziale, la sua lacerazione, con il distacco dello stesso dall’orlo del cappello, causa – anche se non sempre – la formazione di un “anello” che va a posizionarsi sul gambo [Miceli, 2019].

Sottogenere Amanitina (E.-J. Gilbert) E.-J. Gilbert 1941. 

Tratto da Miceli (2019: 27-33)

Il sottogenere ospita sporofori di piccole, medie o medio-grandi dimensioni, caratterizzati da cappello inizialmente carnoso che assume, verso la maturazione, una consistenza molliccia, con margine regolare, intero, non striato o leggermente striato solo a maturità, a volte leggermente appendicolato per la presenza di residui velari. Cuticola liscia, priva di verruche, più o meno vischiosa. Gambo asciutto, inizialmente pieno, con consistenza molle (midolloso) verso la maturazione, cilindrico e sempre munito di bulbo basale; di colore bianco-biancastro, liscio o ricoperto da fiocchetti concolori. Anello generalmente persistente, ampio e membranoso, a volte leggermente striato. Volva membranosa, aderente al gambo, libera nella zona apicale [Miceli, 209].

Sezione phalloideae (Fr.) Quél. 1872 – Tratto da Miceli (2019: 27-33)

Alla sezione appartengono sporofori caratterizzati da velo generale membranoso, muniti di volva e anello persistente [Miceli, 2019].

Amanita verna (Bull. : Fr.) Lam.

Encycl. Méth. Bot. (Paris) 1(1): 113 (1783)

Accentazione: Amaníta vérna

Posizione sistematica: Classe Basidiomycetes, Ordine Amanitales, Famiglia Amanitaceae, Genere Amanita, Sottogenere Amanitina, Sezione Phalloideae [Galli, 2007].

Etimologia: Amanita, dal greco amanìtai, appellativo utilizzato dagli antichi greci riferito a specie fungine mangerecce rinvenute sul monte Amanòs nella Turchia asiatica; verna dal latino ver =primavera, ovvero primaverile, con espresso riferimento al periodo di crescita.

Principali sinonimi: Agaricus bulbosus-vernus Bull. (1780); Agaricus vernus Bull. (1783); Amanitina verna (Bull. ex Lam.) E.-J. Gilbert (1940); Venenarius vernus (Bull. ex Lam.) Murrill (1948).

Nomi volgari: Tignosa di primavera, Agarico di primavera, Tignosa [Bonazzi, 2003], Tignosa bianca [Buda, 2017].

Nomi dialettali: funciu di cerza [Buda, 2017].

 

Descrizione macroscopica

Cappello di medie dimensioni (da 5 a 10 cm), inizialmente emisferico, poi, verso la maturazione convesso, piano-convesso ed infine piano o, a volte, leggermente depresso; superficie regolare, liscia, separabile, lucida, interamente bianca con, a volte, nella zona discale di esemplari maturi, sfumature giallo-ocra, raramente con residui velari; margine regolare, intero, privo di striature. Imenoforo a lamelle fitte, sottili, libere al gambo, intervallate da lamellule di diversa lunghezza, colore bianco. 

Spore in massa bianche. Gambo centrale, cilindrico, generalmente diritto, attenuato all’apice, con evidente bulbo arrotondato alla base, inizialmente pieno, poi farcito (così quando, verso la maturazione, la struttura interna comincia a diventare meno compatta) e, successivamente, cavo, superficie totalmente bianca, a volte ricoperta da una fine pruina nella zona apicale, sopra l’anello e da leggere e poco evidenti fioccosità nella zona sotto l’anello. Anello apicale, molto vicino al punto di inserzione delle lamelle, bianco, membranoso, sottile, pendulo, presto lacerato e poco persistente, liscio nella parte inferiore, leggermente striato in quella superiore. Volva bianca, membranosa, sacciforme, aderente al bulbo, libera all’orlo, spesso lobata. Carne inizialmente soda, poi molliccia, bianca priva di odore e sapore particolare.

Habitat

Tipicamente primaverile, cresce solitaria o in pochi esemplari nei boschi temperati di latifoglie o misti.

Commestibilità: VELENOSO-MORTALE. Causa sindrome falloidea(1) caratterizzata da grave insufficienza epatica.

Caratteri differenziali

Cappello emisferico, perfettamente bianco con leggere sfumature ocracee nella zona discale, privo di residui velari; gambo non zebrato con caratteristico bulbo basale avvolto da volva sacciforme libera all’orlo; per l’anello interamente bianco, posizionato nella zona alta del gambo.

Specie simili

Può essere facilmente confusa con molte specie fungine di colore bianco appartenenti allo stesso genere o a generi diversi:

  • Amanita phalloides Var. alba Costantin & L.M. Dufour (1895)

Molto simile nella conformazione morfo-cromatica e, quindi, facilmente confondibile, differisce per la presenza di fibrille sul cappello e per la tipica crescita autunnale.

  • Amanita porrinensis Freire & M.L. Castro ex Castro (1998)

Facilmente riconoscibile per il cappello di piccole dimensioni, caratterizzato da un largo umbone centrale molto prominente che gli fa assumere la tipica conformazione di un “sombrero messicano”.

  • Amanita virosa Bertill. (1866)

Differisce per la conformazione glandiforme del cappello, sempre lobato; per il gambo fioccoso; per l’habitat di crescita che privilegia boschi montani.

 

È opportuno sottolineare, ancora, che a causa del suo colore perfettamente bianco può essere confusa, come purtroppo avviene e spesso con esiti irreversibili, con numerose specie fungine appartenenti al Genere Agaricus che differiscono per il colore delle lamelle che varia dal grigio chiaro al grigio-rosato già negli esemplari giovani scurendosi sempre più, a maturazione, assumendo tonalità più intense fino a bruno-nerastro e per la totale assenza di volva alla base del gambo. 

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  1. Sindrome falloidea

Il periodo di latenza varia tra le 6 e le 24 ore dal consumo dei funghi.

I sintomi si manifestano in fasi progressive di aggravamento: inizialmente disturbi gastrointestinali, dolori addominali, vomito, diarrea, stato di disidratazione; successivamente, nei giorni seguenti, dopo un apparente miglioramento, inizia a manifestarsi danno epatico che, in una fase ancora successiva, si avvia verso insufficienza epatica acuta, ipoglicemia ed ittero, coma epatico, insufficienza renale, decesso.

I principi tossici si identificano in fallolisine, falloidine e amanitine, queste ultime le più pericolose: la dose letale è pari a 0,1 mg per Kg di peso corporeo, basti pensare che un esemplare fungino di medie dimensioni contiene da 5 ad 8 mg. di amanitina, più che sufficienti per causare la morte di un individuo adulto (Milanesi, 2015).

Le specie responsabile dell’intossicazione sono: Amanita phalloides, A. phalloides Var. AlbaA. vernaA. virosa,A. porrinensisGalerina marginataG. autunnalisG. badipesConocybe filarisLepiota helveolaL. josserandii,L. brunneoincarnataL. castaneaL. subincarnata, L. clypeolariodes

Le statistiche riferiscono di numerosi casi di decesso e numerosi altri risolti con trapianto di fegato. 

 

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Foto: Carmelo Di Vincenzo; Angelo Miceli

 

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Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i Funghi. 2^ Edizione. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN). I
  • Assisi Francesca, 2007: Tossicologia del Genere Amanita. In Galli R., 2007: Le Amanite. 2^ edizione. dalla Natura, Milano. I
  • Assisi Francesca, 2012: I funghi: guida alla prevenzione delle intossicazioni. Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda – Centro Antiveleni Milano, Milano. I
  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano. I
  • Bettin Antonio – 1971: Le amanite. L.E.S. Libreria Editrice Salesiana, Verona. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Buda Andrea, 2017: I Funghi degli Iblei. Vol. 2. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, -1993, Funghi Amanite. Calderini edagricole, Bologna. I
  • Galli Roberto, 2007: Le Amanite. 2^ edizione. dalla Natura, Milano. I
  • La Spina Leonardo – 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo I. Eurografica, Riposto (CT) – I
  • Merlo Erica, Traverso Mido, 1983: Le Amanite. Sagep Editrice, Genova
  • Miceli Angelo, 2019: Amanita porrinensis, una specie rarissima ritrovata sui Monti Peloritani. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 12: 27-33. Ponte a Moriano (LU) – I 
  • Miceli Angelo, Oppicelli Nicolò, Papetti Carlo, 2020: Amanita phalloides. Funghi e dintorni, Supplemento a Rivista di Micologia n. 6: 1-21. A.M.B. Trento. I
  • Neville Pierre, Poumarat Serge, 2004: Amaniteae. Collana Fungi Europaei. Edizioni Candusso, Alassio (SV)
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I

 

Sitografia

Coprinellus disseminatus (Pers. : Fr.) J. E. Lange (1938)

Di Angelo Miceli e Carmelo Di Vincenzo

E’ un dato di fatto, anzi una certezza assoluta, che la grandiosità del Creato e la bellezza della natura esercitano su di noi, cultori della micologia e girovaghi dei boschi per pura curiosità e per motivi scientifici, un forte fascino ed una grande attrazione verso ogni minima manifestazione di vita che, specialmente nel grande ed immenso Regno dei Funghi, si manifesta nella maniera e nelle forme più diversificate e curiose, tanto che siamo facilmente attratti ed estasiati da una distesa di piccoli carpofori a forma campanulata che nell’insieme assumono la conformazione di un meraviglioso “tappeto” in un angolo del “salotto buono” nel bosco. Coprinellus disseminatus specie fungina di piccole dimensioni a nutrizione saprotrofica, é solita fruttificare a gruppi di numerosissimi esemplari, spesso centinaia o, a volte, anche migliaia [Herman, 1979; AMINT, 2021], su elementi vegetali in fase di decomposizione raggiungendo la piena maturazione ed una completa degradazione in un tempo brevissimo, di solito pochi giorni. La specie, inizialmente inserita nello storico Genere Coprinus(1), seguendo l’evoluzione degli studi tassonomico-nomenclaturali legati alle nuove conoscenze di natura filogenetico-molecolare, è stata riposizionata, in tempi relativamente recenti, nel Genere Coprinellus.

Genere Coprinellus P. Karst

Bidr. Känn. Finl. Nat. Folk 32 : XXVIII (1879)

Il Genere, la cui specie tipo è C. deliquescens (Bull.) P. Karst, ospita carpofori di piccole dimensioni che si legano, per la esclusiva crescita saprotrofica, a residui di legno marcescente, foglie, ramoscelli, fili di erba ed anche sterco, lettiere, terreni bruciati, sia all’interno che fuori dei boschi ed anche in parchi e giardini [La Chiusa, 2020]. Le numerose specie ospitate nel Genere si caratterizzano per le dimensioni che vanno da piccole a molto piccole, per la particolare fragilità della carne e per la rapidità della crescita con conseguente rapida deliquescenza con eccezione per alcune specie. Presentano le seguenti caratteristiche: Cappello inizialmente ovoidale, campanulato, cilindrico-ovoidale poi, nelle varie fasi di crescita, in molte specie, piano-convesso, generalmente con striature più o meno evidenti che dal margine convergono verso la zona discale; superficie tomentoso-villosa (ricoperta da una fitta peluria), micacea (cosparsa di piccole e finissime granulazioni brillanti – es. C. micaceus (Bull.) Vilgalys, Hopple & Jacq. Johnson). Imenoforo a lamelle libere (quando si interrompono prima di giungere al gambo) o adnate (quando si uniscono al gambo per tutta la loro altezza), inizialmente di colore bianco-biancastro poi, a maturazione, sempre più nero-nerastro. Gambo centrale, cilindrico, privo di anello. Sporata(2) nero, nero-brunastro. Spore lisce o, raramente, verrucose, a forma ellissoidale, mitralica o romboidale, con presenza di poro germinativo (3) in posizione centrale o eccentrica. Basidi (4) tetrasporici o, a volte, bisporici. 

Il Genere è suddiviso in tre Sezioni: Setulosi (J.E. Lange) D. J. Shaff., Micacei (Fr.) D. J. Shaff., Domestici (Singer) D. J. Shaff., che costituivano, in origine, le corrispondenti Sottosezioni del Genere Coprinus [La Chiusa, 2020]. Il posizionamento delle specie nelle varie sezioni è stato effettuato tenendo conto della presenza o meno di residui velari sul cappello e/o presenza o meno di cistiti (5) sul cappello e sul gambo [Hussain et al., 2018]. In merito, per un eventuale approfondimento dell’argomento, preferiamo, considerato che il nostro contributo vuole avere esclusivamente intenti divulgativi, rimandare il lettore ad una trattazione specifica [Cfr. La Chiusa, 2020].

Coprinellus disseminatus (Pers. : Fr.) J.E. Lange 

[come ” disseminata “], Dansk bot. Ark. 9 (n ° 6.): 93 (1938)

Basionimo: Agaricus disseminatus Pers. (1801).

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Psathyrellaceae, genere Coprinellus, sezione Setulosi.

Etimologia: dal latino Coprinellus ovvero piccolo Coprinus con riferimento al genere da cui è derivato. Disseminatus dal latino = disseminato, ovvero sparso qua e là, con riferimento alla particolare tipologia di crescita che lo vede in gruppi di numerosissimi esemplari.

Principali sinonimi: Agaricus digitaliformis Bull. (1781); Agaricus striatus Bull. (1792); Coprinus digitaliformis (Bull.) Fr. (1838); Coprinarius disseminatus (Pers.) P. Kumm. (1871); Psathyrella disseminata (Pers.) Quél. (1872); Psathyrella minutula (Schaeff.) Murrill (1918); Pseudocoprinus disseminatus (Pers.) Kühner (1928); Coprinus floridanus Murrill (1945).

Nome volgare: Coprinello disseminato [Bellù et al., 2014].

 

Descrizione macroscopica

Cappello di dimensioni molto piccole (circa 5–15 mm), fragile, inizialmente a forma subglobosa-ovoidale, successivamente, verso la maturazione, conico-campanulata; superficie striata con evidenti scanalature radiali, convergenti dal margine alla zona discale, ricoperta da fine granulazione (cistidi osservabili con l’utilizzo di una buona lente di ingrandimento); colorazione grigio-crema, grigio-giallastro, mutante, in tempi brevi, al grigio-chiaro con sfumature violacee, zona discale bruno-ocracea; margine ondulato. Imenoforo a lamelle esili, rade, intervallate da lamellule, adnate, inizialmente bianco-biancastro poi grigio-violaceo ed infine nero-nerastro. Spore in massa nero-nerastre. Gambo dimensioni molto piccole, centrale, cilindrico, esile, fragilissimo, con andamento sinuoso, cavo, ricoperto da fine pruina da giovane, colore bianco-biancastro, bianco-crema, grigio-pallido. Carne poco consistente, esigua, fibrosa, biancastra, priva di odori e sapori particolari, non virante, non deliquescente.

 

Principali caratteri microscopici

Spore largamente ellissoidali, lisce con apicolo(6) ed evidente poro germinativo(3) centrale, dimensioni 6,5 – 10 x 4 – 5,5 µm. Spore in massa nero-nerastre. Basidi(4) claviforme, tetrasporici.Epicute(7) costituita da cellule sferoidali e da pileocistici(8) di forma cilindrico-affusolata lunghi fino a 200 µm ed osservabili anche con l’aiuto di una lente (ingrandimento 7– 10 x). Caulocistidi(9)similari, nella conformazione morfologica, ai pileocistidi ma di lunghezza inferiore (circa 150 µm). Giunti a fibbia(10) assenti

Habitat

Fruttifica in colonie di numerosissimi esemplari, dalla primavera ad autunno inoltrato dopo piogge abbondati, su ceppaie, tronchi morti, radici, residui legnosi anche interrati di diverse latifoglie, nei boschi, nei parchi, nei giardini. Ha durata brevissima giungendo a completa maturazione e, quindi, a degradazione, in un tempo molto breve, generalmente uno o due giorni divenendo, per tale motivo, molto difficile da trovare.

Commestibilità

Privo di valore alimentare causa l’esiguità della carne e le minuscole dimensioni.

Caratteri differenziali

Si riconosce con estrema facilità per la crescita in colonie di numerosissimi esemplari, per le piccole dimensioni, per la fragilità della carne, per le tipiche striature del cappello, per la mancanza di deliquescenza.

Specie simili

  • Psathyrella pygmaea (Bull. : Fr.) Singer (1951)

E’ la specie che presenta maggiori affinità macroscopiche e quindi facilmente confondibile. Differisce per la colorazione più chiara del cappello, che presenta il margine striato per trasparenza ma privo di scanalature e, in maniera particolare, per le caratteristiche microscopiche come spore più piccole ed assenza di cistidi sul cappello.

  • Coprinellus micaceus (Bull. : Fr.) Vilgalys, Hopple & Jacq. Johnson (2001)

Anche se privo di evidenti caratteristiche di similarità con C. disseminatus, potrebbe facilmente essere confuso con quest’ultimo, specialmente da parte dei meno esperti, per le piccole dimensioni, per la crescita lignicola ed in numerosi esemplari. Differisce per il colore più scuro del cappello sempre su tonalità fulvo-ocracee, giallo-aranciate che, pur se analogamente striato, si presenta sempre ricoperto da evidenti granulazioni forforacee; per il margine fessurato-crenulato (che presenta piccole e brevi fessurazioni) e per la deliquescenza della carne.

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1) Genere Coprinus Pers. : Fr.

Tenda. disp. meth. fung. (Lipsiae): 62 (1797) 

Al genere appartengono basidiomi eterogenei (quando cappello e gambo sono costituiti da struttura cellulare differente con conseguente facile distacco tra i due elementi che si separano nettamente senza lasciare residui), con crescita saprotrofica, inseriti nel gruppo dei funghi melanosporei (gruppo che ospita funghi con sporata di colore nero o nerastro), caratterizzati da dimensioni piccole o medio-grandi e da cappello quasi sempre parabolico negli esemplari giovani e parzialmente disteso negli esemplari maturi. Per ulteriori approfondimenti rimandiamo il lettore ad un nostro precedente lavoro [Cfr. Miceli, 2019].

E’ opportuno, però, evidenziare che lo storico Genere che in origine ospitava numerose specie fungine posizionate in Sottogeneri e Sezioni, allo stato attuale è stato rivisitato e modificato nell’impostazione sistematica con il riposizionamento di numerose delle specie originarie nei Generi Coprinellus P. Karst., Coprinopsis P. Karts., ParasolaRedhead, Vilgalys & Hopple [Bianchi, 2018; Miceli, 2019; La Chiusa, 2020], continuando ad ospitare, il Genere Coprinus, basidiomi caratterizzati da cappello cilindrico-campanulato, privo di evidenti residui velari, tendente alla deliquescenza e da gambo cilindrico provvisto di anello [La Chiusa, 2020].

  1. Con il termine sporata o spore in massa, si è soliti identificare l’accumulo delle spore ottenuto in maniera artificiale adagiando il cappello dello sporoforo, dal lato della zona fertile (imenoforo), su una lastra di vetro trasparente o su un cartoncino dove, dopo qualche ora sarà possibile osservare il deposito sporale che, raggruppato in massa, manifesterà il colore delle spore apprezzabile ad occhio nudo.
  2. Poro germinativo assottigliamento della parete sporale che si configura come una piccola apertura situata, generalmente, nella parte apicale della spora, in posizione diametralmente opposta all’apicolo, che da origine alla germinazione delle spore.
  3. Basidi strutture microscopiche fertili a forma di clava al cui apice, sorrette da piccoli supporti detti sterigmi, si formano le spore.
  4. Cistidi strutture miscroscopiche sterili di forma e dimensioni diverse, tipiche dei basidiomiceti ma non presenti in tutte le specie fungine che si possono trovare tanto nella zona imeniale quanto in altre parti del fungo, assumendo, a seconda della loro posizione, denominazioni diverse.
  5. Apicolo o appendice ilifera, piccola appendice posizionata alla base della spora che si unisce allo sterigma del basidio.
  6. Epicute identifica lo strato superiore della cuticola del cappello quando questa è formata da più strati che possono essere apprezzati solo all’esame microscopico (strato superiore esterno: epicute; strato intermedio: derma; strato interno, a diretto contatto con la sottostante carne del cappello: ipoderma).
  7. Pileocistidi denominazione riferita ai cistidi che sono rinvenibili nella cuticola del cappello.
  8. Caulocistidi termine utilizzato per identificare i cistidi rinvenibili nella cuticola del gambo
  9. Giunti a fibbia particolare forma di congiunzione tra due ife.

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Foto: Carmelo Di Vincenzo

 

Bibliografia

  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama srl, Trento. I
  • Bertinaria Giorgio, Tizzoni Renato, Zorio Piero, 2020: Atlante dei Funghi del Biellese. Gruppo Micologico Biellese. E20ProgettiEditore, Biella. I
  • Bianchi Marco, 2018: Coprinus comatus. Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia n. 1: 37:43. A. M. B. Associazione Micologica Bresadola, Trento. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. (ristampa 2013) Zanichelli, Bologna. I 
  • Herman Jahn, 1979: Pilze die an Holz wachsen. Editore: Baranek & Frost, Herford – D
  • Hussain Shah, Usman Muhammad, Afshan Najam-ul-Sehar, Ahmad Habib, Khan Junaid, Khalid Abdul Nasir, 2018: The genus Coprinellus (Basidiomycota; Agaricales) in Pakistan with the description of four new species. MycoKeys 39: 41–61
  • MycoKeys 39: 41–61 (2018)
  • La Chiusa Lillo, 2020: Appunti sui Generi Coprinellus, Parasola e Coprinus. Rivista di Micologia – Bollettino del Gruppo Micologico G. Bresadola – 63 (2): 163-184. Trento. I
  • La Spina Leonardo – 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo II. Eurografica, Riposto (CT) – I
  • Miceli Angelo, 2019: Coprinus comatus. Passione Funghi e Tartufi. Marzo 2019, n. 91: 26 – 31. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I

Anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (www.adset.it).

  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia. Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara. I

Sitografia

Pleurotus nebrodensis, interessante specie siciliana a rischio di estinzione???

Articolo pubblicato su MicoPonte – Bollettino del Gruppo Micologico “Massimiliano Danesi” – Ponte a Moriano (LU), Anno 2021 n. 13: 29-38

Premessa

Ricercata, rara e caratteristica specie fungina dell’ambiente siciliano, tipica della catena montuosa dei Nebrodi, delle Madonie e del massiccio dell’Etna. La sua prima descrizione porta la firma del micologo siciliano Giuseppe Inzenga (1) il quale nella sua opera “Funghi siciliani” afferma: “E’ questo il più delizioso fungo mangiativo che conoscesi in Sicilia, e privo da qualunque sospetto di veneficio, tanto pei suoi caratteri che lo distinguono da qualunque siasi altra specie sospetta, quanto per le località ove nasce e per le piante alle quali conoscesi essere parassito. Nasce nella sommità dei monti più alti di Sicilia, in luoghi boscosi, e con particolarità nelle Nebrodi o Madonie, al liquefarsi delle nevi da aprile a tutto maggio” [Inzenza G., 1865:12]. Pleurotus nebrodensis, protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, viene inserito nel gruppo dei funghi leucosporei (quelli le cui spore in massa sono di colore bianco-biancastro) legandosi da saprotrofo (cioè si nutre di sostanze morte) alle radici di Cachrys ferulacea,(2) pianta appartenente alla famiglia delle Umbelliferae(3)

Genere Pleurotus (Fr. : Fr.) P. Kumm. 1871

Al genere appartengono basidiomi carnosi, di medio-grandi dimensioni, omogenei (cioè con cappello e gambo aventi analoga struttura cellulare risultando strettamente saldati uno all’altro tanto che la loro separazione non avviene in maniera netta), caratterizzati da cappello asciutto e generalmente depresso, imbutiforme; lamelle a lungo decorrenti sul gambo che si presenta, a seconda della specie, subcentrale o fortemente decentrato, laterale ed in molte specie con crescita fascicolato-connata. Per la colorazione bianco-rosata delle spore in massa, sono ineriti nel gruppo dei funghi leucosporei. Tutte le specie appartenenti al genere sono lignicole e tipicamente parassite o saprofite, agenti di carie bianca (4). Le varie specie appartenenti al genere sono considerate, con poche eccezioni, tutte di buona qualità e commestibili. Molte sono quelle che si prestano con versatilità alla coltivazione.

Pleurotus nebrodensis (Inzenga) Quél.

Enchir. fung. (Paris): 148 (1886)

Basionimo: Agaricus nebrodensis Inzenga, Giorn. Reale Ist. Incoragg. Agric. Sicil. Palermo: 161 (1863)

Accentazione: Pleurótus nebrodénsis

Etimologia:

Pleurotus dal greco pleuròn = di fianco e otòs = orecchio ovvero con l’orecchio (cappello) di fianco con espresso riferimento alla posizione del cappello rispetto al gambo. Nebrodensis con riferimento all’area geografica dei suoi primi ritrovamenti. Denominazione, però, fuorviante in quanto i primi esemplari vennero effettivamente rinvenuti nel territorio delle Madonie che, all’epoca, erano chiamate “Monti Nebroidi”; denominazione modificata, ai nostri giorni, in “Monti Nebrodi” e riferita ad altra catena montuosa posizionata più ad est nella Sicilia orientale.

 

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Pleurotaceae, genere Pleurotus.

Principali sinonimi: Dendrosarcus nebrodensis (Inzenga) Kuntze (1898); Pleurotus eryngii var. nebrodensis (Inzenga) Sacc. (1915)

Nomi volgari: Pleuroto dei Nebrodi

Nomi dialettali: Funci di firrazzolu; Funci di curmi; Funci di dabbisu; Funci di basiliscu; Funci di Madunii; Funci di ferra (denominazioni dialettali tipiche in uso in Sicilia) [Vasquez G., 2013 – Galeano A., 2015].

Descrizione sommaria: basidioma di medio-grandi dimensioni, caratterizzato dal colore completamente bianco-biancastro e dalla tipica crescita saprotrofica in associazione con Cachrys ferulacea in areali montani.

Descrizione originale – tratta da Galeano (2015: 7)

Ag. magnus caespitosus, albus, vel dilute sub-flavus, pileo carnoso margine revoluto, lamellis confertis lineari-lanceolatis, liberis, decurrentibus in stipite sublaterali, versus basim permixtis. Fungi umbilicum exprimentes, simul albi C. B. P. – Fungi plures simul, albi, ad arborum radices, esculenti J.B. – Cup. H. Cath. Pag.80. Pileus junior laevigatus, albus, subumbonatus, demum dilute flavus, irregulari modo ex epidermide diffracta rimoso-tessulatus, gregarious, caespitosus, aliquando ob coacervata insitaque individual ramosus: 2-5 unc. Latus, et ultra. – Stipes rare centralis, supra dilatatus atque in pileo diffuses, brevis, subnullus, basi attenuates. Lamellae confertae tenues, lineari-lanceolate, longe decurrentes sub striarum forma versus stipites basim productae. Lamelullae numerosae, breviores lanceolate, longiores postice rotundate. Caro fibrosa, subtenax, saporis gratissimi, ac odoris farinae molitae, albida, sicca dilute flava. Sporidia alba.

Agarico Eryngii DC. Characteribus variis consimilis, sed magnitude, colore albido pilei sporidiorumque, stipite breviore, lamellis confertis, angustis, lineari—anceolatis omnino distinctus. In montium culminibus Siciliae, Nebrodis magis obvia e radicibus marcescentibus Elaeoselini Asclepii Bert., Opopenacis Chironii Koch. etc. Aprili, Majo nive dilabente. Esculentus! 

 

Traduzione della descrizione originale – tratta da Galeano (2015: 7)

Fungo di grossa taglia, cespitoso, bianco o quasi giallo pallido, cappello carnoso, margine revoluto, con lamelle serrate, diritte, lanceolate, libere, subdecorrenti nel gambo quasi laterale, irregolari verso la base. Carpofori ombelicati, nello stesso tempo bianchi C.B.P. Funghi in più esemplari, bianchi, presso le radici di alberi, commestibili J.B.-Cup. H. pag. 80. Cappello liscio nel giovane, bianco, subumbonato, alla fine di un giallo pallido, con la pellicola screpolata in maniera irregolare, gregario, cespitoso, talvolta in ammassi indivisibili, talvolta ramificato: largo 2-5 once e più. Gambo raramente centrale, allargato verso l’alto e confluente, corto, quasi assente, attenuato alla base. Lamelle serrate, sottili, diritte, lanceolate, lungamente decorrenti, allungate a guisa di striature verso la base del gambo. Lamellule numerose e più corte, lanceolate, le più lunghe arrotondate posteriormente. Carne fibrosa, abbastanza tenace, sapore molto gradevole e odore di farina macinata, biancastra, da asciutta di un giallo pallido. Spore bianche.

Ag. Eryngii DC. È simile per diversi caratteri, ma si distingue senza dubbio per la dimensione, il colore biancastro del cappello e delle spore, il gambo più corto, le lamelle serrate, strette, diritte, lanceolate. Sulle cime dei monti della Sicilia, sui monti Nebrodi si incontra particolarmente sulle radici marcescenti di Eleoselinum Asclepium Bert., di Opopenacium Chironium Koch. etc. in aprile, maggio a neve disciolta. Commestibile!

Descrizione Macroscopica

Cappello di medio-grandi dimensioni, inizialmente convesso, poi, verso la maturazione, spianato e leggermente depresso al centro; spesso con forma semicircolare; cuticola liscia, difficilmente separabile, poi screpolata, specialmente a tempo secco, con areolature irregolari crema-ocracee più concentrate nella zona centrale; colore bianco-biancastro tendente al crema, con, a volte, squamule ocra chiaro. Imenoforo a lamelle fitte e lungamente decorrenti sul gambo dove, a volte, si presentano unite da setti trasversali (anastomosi), intercalate da numerose lamellule; colore bianco-biancastro tendente al crema con riflessi rosati; sporata bianca. Gambo tipicamente laterale, eccentrico, raramente centrale, corto, tozzo, a volte quasi assente, consistente, robusto, pieno, cilindrico ed affusolato nella parte bassa; superficie liscia di colore bianco-biancastro tendente al crema. Carnetenace, soda, compatta ed elastica, di colore bianco, bianco-crema, immutabile al taglio; odore gradevole e sapore dolce. 

Habitat

Tipicamente legato, in forma saprotrofica, alle radici marcescenti di Cachrys ferulacea (= Prangos ferulacea), pianta appartenente alla famiglia delle Umbelliferae. Fruttifica esclusivamente dalla primavera fino al mese di giugno a quote elevate (oltre 1.200 m) in forma singola, gregaria o cespitosa. E’ tipico della catena montuosa dei Nebrodi, delle Madonie e del versante nord-occidentale del massiccio dell’Etna, in Sicilia.

Cachrys ferulacea	Foto Gianrico Vasquez
Cachrys ferulacea Foto Gianrico Vasquez

 Commestibilità

Ottimo commestibile. Ricercato ed apprezzato per le qualità organolettiche, si presta facilmente ad essere cucinato in svariate maniere o conservato sott’olio.

Caratteri differenziali e specie simili

I caratteri fondamentali sono il colore bianco-biancastro e l’habitat di crescita a quote elevate ed in associazione con Cachrys ferulacea, unitamente alle grandi dimensioni, al gambo tozzo, obeso, alle lamelle lungamente decorrenti e molto strette. Le entità simili sono P. eryngii (DC.) Quél. e le sue varietà messe a confronto in Angeli & Scandurra (2012). Di seguito sono riportate le più simili con i relativi caratteri idenficativi: 

  • Pleurotus eryngii var. elaeoselini Venturella, Zervakis & La Rocca (2000)

Molto simile nella conformazione morfostrutturale a P. nebrodensis, con l’unica differenza macroscopica che risiede nell’aspetto meno robusto, mentre risulta ben differenziabile al microscopio, con spore più piccole e meno allungate; è inoltre diverso nell’habitat crescendo su Elaeoselinum asclepium [Venturella et al., 2000].

  • Pleurotus eryngii var. laserpitii Angeli e Scandurra (2012)

Anche questa varietà, come la precedente, ha caratteristiche morfo-cromatiche similari a P. nebrodensis. Differisce per il cappello ricoperto quasi completamente da fibrille brune, liscio solo a margine, lamelle crema-grigiastre e habitat di crescita che la vede legata a Laserpitium latifolius[Angeli & Scandurra, 2012].

  • Pleurotus eryngii (DC. : Fr.) Quél. (1872)

Anche se diverso nell’aspetto cromatico generale, riteniamo opportuno evidenziarne le caratteristiche principali che lo diversificano da P. nebrodensis: cappello di colore variabile da beige-biancastro a bruno-grigiastro, grigio chiaro, grigio intenso; lamelle bianche con, a maturazione, riflessi ocracei; habitat che lo vede tipicamente legato a Eryngium campestris.

Diffusione territoriale

Si tratta di specie tipica, anche se non esclusiva, della Sicilia. Dopo i primi ritrovamenti effettuati sul territorio montano delle Madonie, numerosi esemplari furono trovati, e vengono ancora trovati, nelle seguenti località: 

  • Etna: Monte Maletto, versante occidentale, circa 1500 m s.l.m.; Monte Lepre, versante occidentale, circa 1450 m s.l.m.; Piano del Monte, versante occidentale, circa 1450 m s.l.m.; Bosco Chiuso, versante occidentale, circa 1250 m s.l.m.); Monte Intraleo, versante occidentale, circa 1700 m s.l.m.; Monti Nespole, versante occidentale, circa 1450 m s.l.m.; Monte Spagnolo, versante settentrionale, circa 1400 m s.l.m.; Piano del Monte, versante occidentale, circa 1450 m s.l.m. [Galeano A., 2015].
  • Nebrodi: Lago Trearie, Floresta (ME), circa 1450 m s.l.m.; Monte Colla, circa 1650 m s.l.m.; Flascio circa 1380 m s.l.m.; Contrada Cartolari, circa 1550 m s.l.m. [Galeano A., 2015]; Bosco di Malabotta, Montalbano Elicona (ME) [Mondello, 2020]; Serro Voturi (Francavilla di Sicilia (ME), ritrovamento riferito dal Micologo Carmelo Di Vincenzo e dallo stesso effettuato in data 25 maggio 2019.
  • Madonie: Vallone Faguara, località Canna e Dragonara [Venturella G., 2017]; Pizzo Cervo, Polizzi Generosa (PA), circa 1600 m s.l.m.; Piano Battaglia, circa 1650 circa m s.l.m.; Bevaio del Faggio, Isnello (PA) circa 1350 m s.l.m.; Monte Ferro, Petralia Sottana, circa 1600 m s.l.m.; Cozzo Cerasa, Polizzi Generosa, circa 1600 m s.l.m. [Galeano, 2015]. 

E’ opportuno precisare che le stazioni di crescita sopra indicate sono quelle emerse dalla nostra ricerca bibliografica o a noi conosciute personalmente dando per scontato l’esistenza di altri areali di crescita non ancora individuati o non ancora segnalati o non rilevati durante la nostra ricerca. 

Vogliamo evidenziare, per maggiore precisone, che sui Monti Peloritani, precisamente a Monte Scuderi, dove Cachris ferulacea ha una buona diffusione, non sono mai stati segnalati (almeno sino ad oggi e per quanto ci è dato conoscere) ritrovamenti di P. nebrodensis [Galeano, 2015], mentre, come riferisce il Prof. Giuseppe Venturella, si ha notizia di ritrovamenti effettuati sui monti Kyllini, Erymanthos e Parnaso, nel Peloponneso in Grecia dove la specie cresce in habitat analogo a quello della Sicilia [Venturella, 2017]. In merito si fa riferimento a ritrovamenti effettuati dal Sig. Nektarios Filippopoulos il quale afferma, documentandolo con immagini fotografiche, di raccogliere esemplari di P. nebrodensis in diverse stazioni di crescita nel Peloponneso ubicate tra i 1500 ed i 2000 m. s.l.m. [Galeano, 2015].

Salvaguardia della specie

P. Nebrodensis in considerazione della limitata diffusione territoriale e delle sempre più carenti fruttificazioni, ed anche in conseguenza del sempre crescente numero di raccoglitori, è ritenuto specie a rischio di estinzione e, pertanto, inserito nella “Red list” redatta dall’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUNC -International Union for Conservation of Nature) [Gargano et al., 2014; Galeano, 2015]. 

In Sicilia, limitatamente al territorio boschivo del Parco delle Madonie, la specie viene protetta dal “Regolamento per la raccolta e la commercializzazione dei funghi spontanei, epigei ed ipogei” che all’art. 5 testualmente recita: “E’ comunque vietata la raccolta di Pleurotus nebrodensis (funcia di basiliscu) allo stato spontaneo in zona A del Parco, nelle altre zone è vietata la raccolta di corpi fruttiferi della stessa specie di dimensioni inferiori a 3 cm.” [Parco delle Madonie, 2020]. Inoltre, come indicato nell’allegato “I” dello stesso regolamento, è consentita la commercializzazione di P. nebrodensis solo se coltivato. Nelle altre zone della Sicilia, la raccolta, come avviene per tutte le altre specie fungine, è regolata dalla Legge regionale n. 3 dell’1febbraio 2006 [Regione Sicilia, 2006]; che, pur consentendo la commercializzazione del P. nebrodensis, vieta, come all’interno del Parco, la raccolta di esemplari con diametro del cappello inferiore a 3 cm [Regione Sicilia, 2016: Artt. 1 e 2].

Coltivazione

In fase sperimentale e con risultati promettenti é stato avviato, e felicemente concluso, in Sicilia, il progetto “Fungis” inteso alla produzione in serra anche del P. nebrodensis che ha evidenziato come la specie ben si presta alla coltivazione a diverse altitudini ed all’interno di tunnel molto ombreggiati, mantenendo le stesse caratteristiche degli esemplari esistenti in natura [Gargano, 2014]. Si è ottenuto un prodotto finale caratterizzato da qualità organolettiche ottime come sapore, profumo e digeribilità. Purtroppo, il costo di produzione si è rivelato eccessivo rispetto a quello degli altri Pleurotus coltivati con conseguente difficoltà di immissione del prodotto nel settore commerciale [Galeano, 2015]. 

Il naturale e ben auspicato passaggio alla coltivazione intensiva con conseguente commercializzazione del prodotto porterebbe, senz’altro, ad un decremento del numero dei raccoglitori che sono soliti cercare la specie a fini commerciali, garantendo, così, una maggiore protezione degli esemplari in habitat naturale.

Proprietà terapeutiche

E’ stato dimostrato, con esperimenti in vitro, che P. nebrodensis ha capacità di inibire la proliferazione delle cellule del tumore del colon e la crescita di alcuni microorganismi di rilevanza medica [Gargano et al., 2014].

Note e curiosità

P. nebrodensis fu descritto per la prima volta, come già accennato, dal micologo siciliano Giuseppe Inzenga che lo ha ricevuto dal Barone Nicolò Turrisi Colonna il quale, rinvenendone alcuni esemplari provenienti dalle Madonie, glielo inviò unitamente alla pianta della quale il fungo è saprotrofo. Si tratta di specie endemica tipica della Sicilia e non esclusiva, come un tempo ritenuto, del territorio montano delle Madonie che viene spesso confusa con specie affini [Vasquez, 2013].

E’ stato oggetto di studio da parte di eminenti micologi del passato e del presente i quali, in considerazione della sua conformazione morfo-strutturale e del particolare habitat di crescita, non sempre sono pervenuti a deduzioni corrette.

Fu ritenuto, già dalla sua prima descrizione e fino ad un passato relativamente recente, in maniera erronea ma strettamente correlata alle conoscenze del tempo, che il suo habitat di crescita fosse legato a diverse colture erbacee appartenenti alla Famiglia delle Umbellifere. Lo stesso Inzenga, nella sua opera maggiore, in merito precisa: ”Si sospetta svilupparsi dalle radici fradice delle seguenti piante: Elaeoselinum asclepium Bert., Opoponax chironium Koch., Phrangos ferulacea DC., o da qualche altra ombrellifera”, precisando ancora che assume un differente nome dialettale in dipendenza della pianta cui si associa: “Funciu di dabbisu, se sviluppasi dalle radici fradice dell’Elaeoselinum asclepium, Funciu di basiliscu se dall’Oponopax chironium, Funcia di ferra o di firrazola se dal Prangos ferulacea [Inzenga, 1865: 12].

Analogamente, basandosi sempre sugli studi e sulle conoscenze scientifiche del momento, Roberto Galli conferma la crescita di P. nebrodensis in associazione con diverse specie di Umbellifere ed in areali diversi: in Trentino associato a Laserpitium latifolium e Laserpitium siler; nella Murgia Pugliese in associazione con Tragopogon porrifolius (in dialetto locale stragadente) ed ancora, nel territorio siciliano, associato a Elaeoselinum asclepium (dabbisu in dialetto siciliano) ed a Thapsia garganica(Firrazzolu o fillazzeddu nel dialetto dell’isola) [Galli, 1995; Galli, 2000]. Analoghe considerazioni sono state formulate, sempre basandosi sulle conoscenze dell’epoca, dal micologo siciliano Nino Mannina [Mannina, 2020].

È opportuno precisare che, in effetti, prima che gli studi di natura filogenetico-molecolare facessero chiarezza in merito, tutte le specie di Pleurotus di colore bianco, purché associate a piante arbustive appartenenti alla famiglia delle Umbelliferae, fossero da ricondurre a P. nebrodensisindipendentemente dalla specifica pianta cui erano legate. Successivamente, in tempi relativamente recenti, è stato possibile fare chiarezza in merito e separare le diverse specie con cromatismi bianchi in relazione alle varie colture cui sono associate. In realtà, quindi, è stato appurato che P. nebrodensis è una specie ben definita e distinta dalle altre specie congeneri, con crescita tipica ed esclusiva in associazione saprotrofica con Cachrys ferulacea [Zervakis et al., 2014].

Habitat di Pleurotus nebrodensis con Cachris ferulacea. Foto Gianrico Vasquez
Habitat di Pleurotus nebrodensis con Cachris ferulacea. Foto Gianrico Vasquez

Le incertezze e le confusioni del passato che lo associavano anche a colture diverse, sono state del tutto dissipate diversificandolo dalle specie similari che hanno avuto una precisa collocazione sistematica con la creazione di nuove varietà. Ad esempio è stato constatato che la specie coltivata in Cina su Ferula sp. pl., chiamata localmente Bailinggu ed immessa sul mercato internazionale sotto il nome di P. nebrodensis, è da assegnare in realtà a P. tuoliensis (C.J. Mou) M.R. Zhao & Jin X. Zhang [Venturella et al., 2016], la cui autonomia da P. eryngii è stata rivelata tramite analisi filogenetica [Zhao et al., 2016]. 

Per i raccoglitori siciliani, P. nebrodensis ha sempre rappresentato una sostanziale risorsa economica dovuta alle particolari proprietà organolettiche quali carne soda, sapore delicato e profumo intenso che lo rendono molto interessante e ricercato sul mercato locale dove trova collocazione specialmente presso i ristoratori che lo acquistano a prezzi oscillanti tra 50 ed 80 euro/kg. Questo, purtroppo, ha causato l’intensificarsi della sua ricerca e la raccolta indiscriminata degli esemplari non ancora maturi con conseguente notevole riduzione della fruttificazione, tanto che oggi, ripetiamo, risulta inserito nella “Red list” delle specie fungine a rischio di estinzione. Nonostante tutto, però, ci sentiamo di affermare che dal suo primo ritrovamento ad oggi, per ben oltre 130 anni, la specie, seppure in quantità inferiore, continua a fruttificare negli areali di crescita siciliani e ad essere regolarmente raccolta e commercializzata dai cercatori locali. Anzi, possiamo evidenziare, alla luce dei nuovi e numerosi areali di crescita segnalati, che forse sarebbe il caso che la “Red list” dei funghi a rischio di estinzione venisse opportunamente rivisitata apportando le dovute correzioni.

Una cosa è certa: la natura, nella sua immensa prodigalità, ci ama! Ricambiamola con uguale amore evitando di raccogliere in maniera indiscriminata quanto è solita regalarci.

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  1. Inzenga Giuseppe (Palermo, 1815 – 1887) è considerato il “padre” della micologia siciliana. Docente di agricoltura presso la facoltà di Scienze Agrarie di Palermo, botanico e micologo, si dedicò con particolare interesse allo studio dei funghi del territorio siciliano mettendo in risalto, nelle sue opere che rappresentano il massimo contributo alla micologica siciliana, alcune delle principali diversità tra la flora micologica dell’isola e quella del continente. Tra i suoi lavori: Funghi siciliani centuria prima e seconda dove sono presentate numerose specie fungine tipiche dell’isola tra le quali alcune di nuova individuazione [Brunori ed altri, 2014].
  2. Cachris ferulacea (L.) Calestani (1825) = Prangos ferulacea (L.) Lindt. (1825) pianta erbacea perenne di medie dimensioni (raggiunge anche 150 cm di altezza) appartenente alla famiglia delle Umbelliferae, é formata essenzialmente da un fusto pieno, striato-solcato, dal quale si dipartono numerose ramificazioni che vanno a costituire l’apparato fogliare caratterizzato da tipiche “ombrelle” costituite da 8-14 raggi. Petali di colore giallo con forma ovale formati da raggi ripiegati [Fiori, 1974]. E’ presente in Italia centrale e nella Sicilia dove trova habitat ideale e abbondante diffusione sui monti Peloritani, Nebrodi, Madonie e sull’Etna. Gradisce vegetare su pascoli di montagna aridi, su calcare ed arenaria e, nel territorio etneo, anche sulla lava [Galeani, 2015].
  3. Umbelliferae (o Ombrelliferae), famiglia di piante dicotiledoni presenti in tutte le zone temperate del mondo, caratterizzate da una tipica infiorescenza denominata “ombrella”.
  4. La carie, o marciume del legno, è una patologia vegetale che causa la progressiva degenerazione dei tessuti legnosi di piante vive o del legname in conservazione o in opera. Viene diversificata, generalmente, in carie bianca e carie bruna. La carie bianca é diffusa su numerose specie arboree, sia di latifoglie che di conifere e viene causata da specie fungine appartenenti tanto alla classe dei Basidiomiceti quanto a quella degli Ascomiceti i quali agiscono eliminando in maniera progressiva la lignina, conferendo, di conseguenza, ai tessuti legnosi attaccati, un aspetto chiaro, biancastro. La carie bruna è la conseguenza della progressiva degradazione della cellulosa che deteriorandosi perde di consistenza assumendo un colore bruno scuro. Le specie fungine che agiscono quali agenti di carie, bianca o bruna, assumono la denominazione di “parassiti da ferita” in quanto trovano facilità di attecchimento in corrispondenza delle ferite del tronco arboreo, nei tagli di potatura, nelle ferite provocate da insetti, nelle lesioni traumatiche della corteccia. Normalmente l’attacco invasivo viene realizzato dal micelio che, dopo aver condotto un periodo di vita saprofitario su organi morti della pianta, riesce a penetrare all’interno della massa legnosa attaccandone le parti vive [Goidànich, 1975].

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Foto: Carmelo Di Vincenzo, Filippo Gabriele La Rosa, Carmelo Nicosia, Gianrico Vasquez che si ringraziano per la gradita disponibilità. 

Bibliografia

  • Angeli P., Scandurra S., 2012: Un nuovo Pleurotus delle praterie alpine. Pleurotue eryngii var. laserpitii var. nov.Micologia e Vegetazione Mediterranea 27(1): 12-24.
  • Brunori Andrea, Cassinis Alessandro, 2014: I funghi nella storia. Andrea Teti Editore, Roma. I
  • Fiori Adriano, 1974: Nuova flora analitica d’Italia. Vol. II. Firenze. I
  • Galeano Andrea, 2015: Mappatura e censimento di Pleurotus nebrodensis (Inzenga) Quelet – Tesi di Laurea – Universita’ degli Studi di Catania – Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, Corso di Laurea in Biodiversita’ e Qualita’ dell’Ambiente. Anno Accademico 2014-2015 – Relatore: Chiar.mo Prof. Pietro Minissale; Correlatore: Chiar.mo Prof. Giovanni Enrico Vasquez. Catania. I
  • Galli Roberto, 1995, Lettere al Direttore: Pleurotus eryngii var. nebrodensis. I Funghi dove…quando. Anno II n. 12 aprile 1995: 55 – 56 (Risposta a lettera del Sig. Michele Pellegrini). Editins Milano. I
  • Galli Roberto, 2000: Flora micologica siciliana: Pleurotus nebrodensis Inzenga. I Funghi dove…quando. Anno 7 n. 71 settembre-ottobre 2000: 66-69. Edinatura Srl, Milano. I
  • Gargano Maria Letizia, Zervakis Georgios, Venturella Giuseppe: 2014. Pleurotus nebrodensis: A very special mushroom. Bentham eBooks
  • Goidànich Gabriele, 1975: Manuale di patologia vegetale. Vol. II. Edizioni Agricole, Bologna. I
  • Inzenga Giuseppe, 1865: Funghi Siciliani. Centuria prima. Stabilimento Tipografico di Francesco Lao, Palermo. I
  • Quélet Lucien, 1886: Enchiridion fungorum in Europa media et praesertim in Gallia vigentium. Edit. Lutetiae, Paris. F
  • Vasquez Gianrico, 2013: Un endemismo siciliano tanto discusso: Pleurotus nebrodensis (Inzenga) Quélet. Libretto divulgativo Mostra Micologica Catania 2013: 253 – 268. A.M.B. Catania. Catania. I.
  • Venturella G., Zervakis G.I., & La Rocca S., 2000: Pleurotus eryngii var. elaeoselini var. nov. from Sicily. Mycotaxon 76: 419-427.
  • Venturella G., Zervakis G.I., Polemis E. & Gargano M.L., 2016: Taxonomic Identity, Geographic Distribution, and Commercial Exploitation of the Culinary-Medicinal Mushroom Pleurotus nebrodensis (Basidiomycetes). International Journal of Medicinal Mushrooms 18(1): 59-65.
  • Zervakis G.I., Ntougias S., Gargano M.L., Besi M.I., Polemis E., Typas M.A. & Venturella G., 2014: A reappraisal of the Pleurotus eryngii complex – New species and taxonomic combinations based on the application of a polyphasic approach, and an identification key to Pleurotus taxa associated with Apiaceae plants. Fungal Biology 118: 814-834.

 

Sitografia

  • Venturella Giuseppe, 2017: Pleurotus nebrodensis – A very special mushroom. In IUCN (International Union for Conservation of Nature). The Top 50 Mediterranean Plants (https://top50.iucn-mpsg.org/species/39)
  • Zhao M., Zhang J., Chen Q., Wu X., Gao W., Deng W. & Huang C., 2016: The famous cultivated mushroom Bailinggu is a separate species of the Pleurotus eryngii species complex. Scientific Reports 6, 33066. https://doi.org/10.1038/srep33066.

Altra bibliografia di approfondimento

  • Candusso Massimo, Basso Maria Teresa, 1995: Tassonomia del Genere Pleurotus Fr. Kummer. Rivista di Micologia – Bollettino del Gruppo Micologico G. Bresadola – Anno XXXVIII n. 3: 253-268. Trento. I
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • La Spina Leonardo, 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo II. Eurografica, Riposto (CT). I
  • Scandurra Santo 2005: Pleurotus nebrodensis: la prima volta. Rivista di micologia siciliana. Anno 2005 n. 1: 36-38. Associazione Micologica Bresadola Gruppo Jonico-Etneo, Riposto (CT). I

Russula virescens (Schaeff.) Fr. (1836)

Vogliamo trasportarci, con questa nuova “Riflessione Micologica”, unitamente ai nostri ormai numerosi lettori, nell’affascinante, meraviglioso ed intricato “Mondo delle Russule” che, senz’altro, nell’immensità del “Regno dei Funghi”, con le circa 250 specie segnalate nel territorio italiano, intende mettere alla prova la capacità di determinazione dei micologi più esperti che spesso sono costretti a ricorrere, per un corretto riconoscimento della specie, alle reazioni chimiche e, ancor più spesso, all’esame dei caratteri microscopici. 

Abbiamo sempre avuto, come si conviene a quanti come noi, nella qualità di dilettanti appassionati di micologia, attratti dalle meraviglie che il “Regno dei Funghi” nasconde tra i suoi numerosi misteri, si avvicinano allo studio delle innumerevoli specie fungine che ne fanno parte, un timore riverenziale a trattare, anche se in forma divulgativo-informativa, il genere Russula che, pur se di facile riconoscimento relativamente alla determinazione del Genere, ospita numerose specie fungine che singolarmente presentano una notevole difficoltà di determinazione che spesso, ripetiamo, mette in difficoltà anche i micologi più esperti.

Su tali presupposti, nella nostra qualità di “semplice dilettante, studioso di micologica” – qualità che intendiamo sempre evidenziare a supporto delle nostre fatiche mico-letterarie – ci cimentiamo a presentare, in “punta di piedi”, ai nostri affezionati lettori, una specie fungina a larga diffusione territoriale, di facile determinazione anche per i cercatori meno esperti, conosciuta su tutto il territorio nazionale con la denominazione volgare di “Verdone” o anche di “Colombina verde” che scientificamente assume l’epiteto identificativo di Russula virescens.

Genere Russula Pers. (1796)

Al genere appartengono numerose specie fungine a crescita terricola che si associano in funzione di simbiosi ectomicorrizica a numerose colture arboree. Si tratta di funghi ben strutturati, forniti di cappello e gambo, privi di residui velari, con struttura omogena (quando cappello e gambo sono formati da cellule di analoga struttura e risultano essere tra di loro saldamente uniti tanto che la separazione tra i due elementi avviene con una certa difficoltà), con imenoforo (zona fertile del fungo posizionata nella parte inferiore del cappello ove si formano gli elementi fertili: le spore) non asportabile, a lamelle, con carne priva di latice ed a frattura gessosa (quando per le sollecitazioni esterne si rompe nettamente con un tipico “crac” comportandosi, alla frattura, alla stessa maniera di un pezzetto di gesso o di polistirolo), definita anche cassante per la presenza di cellule a forma sferica (sferociti) [Miceli A., 2020].

Le numerose specie appartenenti al Genere presentano le seguenti caratteristiche:

Cappello di dimensioni variabili dai 2-3 cm delle specie più piccole ai 15 cm ed oltre delle specie più grandi; con conformazione inizialmente sferico-globosa tendente, verso la maturazione, ad assumere un andamento disteso-convesso e, a volte, anche imbutiforme; generalmente privo di umbone (unica eccezione R. amara) [Galli R., 1996]; margine intero, striato, ed anche scanalato-solcato; colore generalmente molto variabile, oscillante tra le numerose sfumature del bianco-biancastro, rosso, giallo, arancio, verde, bruno, grigio, nero-nerastro, colori spesso combinati tra di loro con diverse proporzioni che conducono a colorazioni policrome di diversa sfumatura e spesso di difficile interpretazione [Sarnari M., 2007]; cuticola, a seconda delle singole specie, più o meno asciutta, vellutata, granulosa, viscida, glutinata, verrucosa, zigrinata, rugosa o, ancora, screpolato-areolata in maniera più o meno evidente [Galli R., 1996; Sarnari M. 2007]; può essere completamente aderente alla carne sottostante o separabile in maniera totale o solo parziale [Galli R., 2016; Sarnari M., 2007]. Imenoforo a lamelle che, a seconda delle varie specie, possono essere: “uguali” (quando non sono presenti lamellule) o “ineguali” (quando sono intercalate da lamellule più o meno numerose e di varia lunghezza). Possono ancora essere, in considerazione della loro posizione rispetto al gambo: “libere” quando si interrompono prima di congiungersi al gambo; “adnate”, quando il margine posteriore si unisce totalmente al gambo; “decorrenti”, anche se raramente e per pochissime specie, (quando dopo essersi unite al gambo proseguono allungandosi verso il basso). Rispetto alla consistenza possono ancora essere: “fragili”, quando scorrendoci sopra con un polpastrello, con leggera pressione, si rompono facilmente; “lardacee” quando resistono a tale manovra senza subire alcun danno, trasmettendo sensazione di cedevolezza e di untuosità. Gambo di consistenza gessosa, inizialmente pieno poi, verso la maturazione, più o meno farcito, midolloso o spugnoso; centrale, si presenta, sempre a seconda delle varie specie, slanciato, leggermente claviforme, tozzo. Colore generalmente bianco-biancastro ma può anche assumere, per numerose specie, totalmente o solo in parte, colorazioni rosate, rossicce, violetto ed altre ancora. Carne di consistenza molto variabile: dura e tenace per numerose specie o, per numerose altre, fragile, molle, spugnosa. Generalmente bianca anche se, ad invecchiamento o dopo esposizione all’aria o sottoposta ad essiccamento, possono subentrare variazioni cromatiche. Numerose specie possono presentare, al taglio, un viraggio più o meno intenso verso colorazioni gialle, rossastre o nerastre. Sapore elemento particolarmente utile ed importante per pervenire alla determinazione della specie e stabilire, al contempo, seppure in maniera empirica ma pur sempre valida, la commestibilità delle numerose specie appartenenti al Genere. Può essere dolce o acre manifestando intensità variabili che si muovono all’interno delle due categorie. Si è soliti ritenere, secondo la tradizione ormai consolidata, che tutte le specie con sapore dolce siano commestibili mentre quelle con sapore acre, di cattivo odore o annerenti siano non commestibili.

Per un ulteriore approfondimento dell’argomento, con riferimento sia alle caratteristiche macroscopiche sia alle caratteristiche microscopiche ed organolettiche del genere, alla ecologia, habitat, reazioni chimiche, commestibilità e a quant’altro da noi omesso, rimandiamo il lettore ai testi monografici citati in bibliografia e ad altri ancora di comprovato valore scientifico [Cfr. Foiera F. ed altri, 1993; Galli R., 1996; Sarnari M., 2007 o successive ristampe].

Russula virescens (Schaeff.) Fries,

Anteckn. Sver. Ätl. Svamp.: 50 (1836)

Accentazione: Rùssula viréscens

Basionimo: Agaricus virescens Schaeff.1774

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Russulales, famiglia Russulaceae, genere Russula

Etimologia: Russula diminuitivo di rùssa = rossa, rosseggiante; Virescens dal latino virésco = diventare verde, ovvero verdastro, verdeggiante, tendente al verde, con riferimento al colore del cappello.

Principali sinonimi: Russula virescens var. albidocitrina (1876); Russula aeruginosa (Pers.) Krombholz (1845); Russula viridirubrolimbata J.Z. Ying, (1983); Russula erythrocephala Hongo (1987).

Nomi volgari: Colombina verde; verdone

Nomi dialettali: Virduni; Virdinu. (in uso in Sicilia) [Bonazzi U., 2003] ed anche Virduna [La Spina L., 2017].

Descrizione macroscopica

Cappello di medio-grandi dimensioni, può raggiungere anche i 15 cm, carnoso, inizialmente duro, compatto, poi friabile; globoso e spesso con la parte sommitale leggermente appiattita nei primi stadi di crescita poi, verso la maturazione, convesso e infine disteso, pianeggiante e con leggera depressione centrale; margine rigido, assottigliato, lobato, liscio, fessurato a tempo secco, involuto; cuticola opaca, pruinosa, parzialmente separabile, con tutte le possibili sfumature del verde: dal verde pallido, verde-giallo, verse smeraldo, verde oliva, al verde giada, generalmente più intenso nella zona centrale; inizialmente intera poi tipicamente screpolata con areolature ben delimitate specialmente nella zona marginale. Imenoforo a lamelle mediamente fitte, intervallate da lamellule, arrotondate all’inserzione sul gambo, fragili, bianco-biancastre con riflessi rosati specialmente negli esemplari giovani; filo intero, concolore, tendente al brunastro nelle parti traumatizzate. Sporata bianco-biancastra. Gambocentrale, cilindrico, inizialmente sodo e pieno poi, verso la maturazione, molle e farcito (quando all’interno si presenta poco compatto); asciutto, pruinosa nella zona apicale, bianco, tendente al brunastro alla manipolazione. Carne compatta, spessa, cassante, soda; colore bianco immutabile al taglio, macchiata di ocra negli esemplari maturi; odore gradevole, fungino; sapore dolce.

Habitat

Specie tipicamente termofila, predilige i boschi caldi ed asciutti di latifoglie legandosi prevalentemente a castagni, querce, noccioli. Fruttifica, a seconda delle latitudini, dalla primavera inoltrata al tardo autunno presentandosi in singoli esemplari o a gruppi di pochi esemplari.

Commestibilità

Ottimo commestibile. Può essere consumata, ovviamente in quantità moderate, anche da cruda.

Caratteri differenziali

Si riconosce facilmente per l’elevato peso specifico e, in particolare, per il colore verde del cappello tendente sempre più a scurire verso la maturazione, presentando caratteristiche screpolature poligonali accentrate, soprattutto, verso il margine lasciando ben visibile il colore bianco della carne sottostante di consistenza molto gessosa e dal sapore dolce.
 

Specie simili

  • Russula heterophylla (Fr. : Fr.) Fr. 1838

Molto simile per la colorazione verdastra del cappello, differisce per la mancanza di zone screpolate sulla cuticola che si presenta più lucida e con colori più accentuati; per la conformazione delle lamelle leggermente decorrenti sul gambo.

  • Russula cyanoxantha fo. cutefracta (Cooke) Sarnari 1992

Differisce per la cuticola, analogamente screpolata-areolata verso il margine del cappello e di colore verde-verdastro specialmente negli esemplari giovani ma più lucida e brillante e, soprattutto, per la consistenza delle lamelle che si presentano tipicamente lardacee (quando sottoposte a pressione non si frantumano e trasmettono la sensazione di essere unte di grasso).

  • Amanita phalloides (Vaill. Ex Fr.) Link 1833

Specie fungina velenoso-mortale, dalle caratteristiche morfologiche molto diverse ma dal colore verde che spesso, come rilevabile in letteratura e dalle numerose testate giornalistiche, viene confusa con R. virescens o altre Russule di colore verde, causando, ogni stagione autunnale, molti ricoveri ospedalieri spesso con conseguenze irreversibili. Differisce principalmente per la presenza di un anello ben visibile posizionato sulla parte superiore del gambo e di una volva nella parte inferiore dello stesso che avvolge un bulbo rotondeggiante. 

Note e curiosità

Nel ribadire la possibilità di confusione con la mortale Amanita phalloides, ci piace riportare un episodio che abbiamo personalmente vissuto: “sono stato invitato, in tempi relativamente recenti, ad una passeggiata nei boschi nel territorio di una ben nota località della Calabria, alla ricerca di ovoli e porcini, accompagnato da un “esperto locale”, conoscitore dei luoghi e delle numerose specie fungine commestibili e non. Grande fu la mia sorpresa quando alla presenza di un verdeggiante esemplare di Amanita phalloides fu affermato che trattavasi di specie regolarmente consumata nel territorio. Nel percepire il madornale errore di valutazione nel quale era incorso il famoso “esperto locale” confondendo una specie velenosa con Russula virescens o con le altre specie di russula di colore verde, mi soffermavo a lungo, evitando di urtare la suscettibilità dei presenti e dello stesso esperto, sulla differenza tra le due specie fungine nella speranza di riuscire a fare chiarezza”. MAI fidarsi dei cosiddetti “esperti”, in caso di dubbio rivolgersi sempre ad un micologo professionista la cui consulenza gratuita è fruibile presso il servizio “Riconoscimento Funghi” offerto dalla ASP locale, presente in tutte le città italiane.

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Foto: Angelo Miceli, Raffaele Mininno, Franco Mondello, Nicolò Parrino 

Tavole micologiche: Gianbattista Bertelli, gentilmente concesse dal figlio Aldo

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Bibliografia

  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. (ristampa 2010) Giunti editore, Firenze. I
  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • Bertinaria Giorgio, Tizzoni Renato, Zorio Piero, 2020: Altante dei funghi del Biellese. Gruppo Micologico Biellese. E20Progetti Editori, Biella. I
  • Bianchi Marco, 2020: Russula virescens. Passione Funghi & Tartufi, n. 100: 8-25. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. (ristampa 2013) Zanichelli, Bologna. I 
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Bresadola Giacomo, 1954: Funghi mangerecci e funghi velenosi. Museo di Storia Naturale. Trento. (IV edizione a cura del Comitato Onoranze Bresadoliane. Milano-Trento). I
  • Buda Andrea, 2011: I funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, 1993, Funghi Russule. Calderini Edagricole, Bologna. I
  • Galli Roberto, 1996: Le Russule. Edinatura Srl. Milano. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • La Spina Leonardo – 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo II. Eurografica, Riposto (CT) – I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria – 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Mazza Riccardo, 2010: I Funghi – Guida al riconoscimento di oltre 400 specie. Fabbri Editori. Milano. I
  • Mazza Riccardo – 2018: Gli odori e i sapori dei funghi- Mykonolexikon 3. ROMAR Srl. Segrate (MI). I
  • Miceli Angelo, 2020: Lactarius deliciosus . Na.Sa.Ta. Magazine – I Sapori del mio Sud. Anno XVI n. 178: 9.13. 
  • Oppicelli Nicolò, 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Oppicelli Nicolò: 2019: Colombine a braccetto: Russula cyanoxantha e Russula virescens. Passione Funghi & Tartufi, n. 94: 36-47. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Pera Umberto, 2013: Russule…screpolate. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 7: 19-27, Ponte a Moriano (LU). I
  • Phillips Roger, 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara. I
  • Sarnari Mauro, 2007: Monografia illustrata del Genere Russula in Europa. Tomo Primo. Associazione Micologica Bresadola. Trento. I
  • Sorbi Claudio, 2009: Quattro Russula commestibili e facilmente identificabili, le colombine buone. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 3: 25-33, Ponte a Moriano (LU). I

Sitografia

Amylosporus campbellii (Berk.) Ryvarden (1977)

Primo ritrovamento nel territorio messinese

 Angelo Miceli & Carmelo Di Vincenzo
(Centro di Cuntura Micologica – Messina)

Articolo Pubblicato su RMR (Rivista di Micologia Romana)
Bollettino Amer (Associazione Micologia Ecologica Romana) 
n. 111 Anno XXXVI, 2020 (3): 135-141

 

Premessa

Ancora una volta il territorio messinese regala un ritrovamento fungino di tutto rispetto che vuole identificarsi con una specie a tipica crescita extraeuropea la quale da qualche anno a questa parte fa registrare la propria presenza anche nel territorio europeo e, in particolare, stante i ritrovamenti segnalati e dei quali siamo venuti a conoscenza, in alcune località della Sicilia. 

Trattasi di Amylosporus campbellii, specie fungina posizionata nel gruppo informale dei polipori ed attualmente inserita nell’ordine Russulales. Essa sconfina dalle naturali e tipiche zone di crescita localizzate nelle aree tropicali e subtropicali dell’Africa, del Nord America meridionale, dell’America centrale e meridionale e del Sud-est asiatico [Verma et al., 2016; Campi et al., 2017; Bernicchia et al., 2017; Bernicchia et al., 2020] e torna a fruttificare, ancora una volta, in Sicilia nel territorio metropolitano di Messina, in località Rometta marea.

Genere Amylosporus Ryvarden, Norw. J. Bot. 20: 1 (1973)

Nel genere, la cui specie tipo è Amylosporus campbellii, trovano posto 11 taxon:

A. auxiliadorae Drechsler-Santos & Ryvarden (2016); A. bracei (Murrill) A. David & Rajchenb. (1985); A. campbelii (Berk.) Ryvarden (1977); A. casuarinicola (Y.C. Dai & B.K. Cui) Y.C. Dai, Jia J. Chen & B.K. Cui (2015); A. efibulatus (I. Lindblad & Ryvarden) Y.C. Dai, Jia Chen J. & B.K. Cui (2015); A. guaraniticus Campi & Robledo (2017); A. rubellus (Y.C. Dai) Y.C. Dai, Jia Chen J. & B.K. Cui (2015); A. ryvardenii Stalpers (1996); A. succulentus Jia J. Chen e L.L. Shen (2014); (Campi et al., 2017; IF, 2020; MB, 2020); A. daedaliformis G.Y. Zheng & Z.S .Bi (1987); A. wrihtii Rajchenb. (1983) [IF, 2020; MB, 2020]. Tali specie sono tutte originarie da aree tropicali e subtropicali, a tipica crescita lignicola. Presentano cappello di colore bianco-biancastro, lucido e tendente, verso la maturazione, ad assumere colorazione ocracea. Generalmente sono sessili o hanno gambo breve, grossolano, tozzo, appena abbozzato. La zona imeniale, a tubuli, è caratterizzata da pori piccoli, circolari o irregolarmente allungati, di colore bianco-biancastro. Il sistema ifale, dimitico, è caratterizzato dalla presenza di ife generatrici ialine e ife scheletriche. I basidi tetrasporici hanno conformazione clavata; le spore, di forma ellissoidale, sono lisce o leggermente verrucose, amiloidi.

 

Amylosporus campbellii (Berk.) Ryvarden,

Norw. Jl Bot. 24: 217 (1977)

Basionimo: Polyporus campbellii Berk. [as ‘campbelli’], Bot. di Hooker. Kew Gard. Misc. 6:228 (1854).

 

Posizione sistematica:

Divisione Basidiomycota, classe Agaricomycetes, ordine Russulales, famiglia Bondarzewiaceae, genere Amylosporus

Etimologia: Amylosporus dal greco ámylos = amido e da sporá = spora: con riferimento alle spore amiloidi ovvero che hanno una reazione positiva (blu) al reagente di Melzer. Campbellii con riferimento a nome di persona.

Principali sinonimi: Polyporus popanoides Cooke (1881); Polyporus anthelminticus Berk. (1866); Tyromyces graminicola Murrill (1915); Polyporus graminicola (Murrill) Murrill (1915); Polyporus mollitextus Lloyd, (1919); Polyporus propinquus Lloyd (1922); Polyporus tisdalei (Murrill) Murrill (1943); Scutiger tisdalei Murrill, (1943); Amylosporus graminicola (Murrill) Ryvarden (1973); Wrightoporia campbellii (Berk.) Teixeira (1992). 

Nomi volgari: Poliporo di Campbell

 

Descrizione macroscopica

Basidiocarpi a crescita annuale, si comportano da parassiti e presumibilmente anche da saprofiti,carnosi ed acquosi da freschi, fragili, spugnosi e leggeri ad essiccazione, sessili o muniti di gambo breve, tozzo, appena abbozzato; a crescita lignicola o apparentemente terricola. Si presentano in forma singola, sporgenti, a forma di mensola o circolare, o sovrapposti l’uno all’altro e, in questo caso, i nuovi esemplari crescono su quelli già esistenti, in fase di degradazione, oppure confluenti fino a formare un agglomerato di dimensioni consistenti. Le nostre raccolte avevano misure in larghezza da 8 a 18 cm e in lunghezza da 6 a 17 cm. (secondo Bernicchia et al., 2017 e Bernicchia et al., 2020 raggiungono anche 30-50 cm di larghezza).

La maturazione completa viene raggiunta in 30-50 giorni circa.

Supeficie sterile liscia, lucida, asciutta, con leggeri solchi delimitanti piccole aree irregolari inizialmente di colore bianco-biancastro, poi tendente, verso la maturazione, ad assumere colorazione rosato-ocracea più intensa, immutabile al tocco. Margine ottuso, ondulato, a volte lobato con lobi poco accentuati, tanto da assumere una conformazione subglobosa ed irregolare, di colore rosa chiaro, come la superficie, negli esemplari giovani, ocraceo più o meno intenso in quelli più maturi.

Superficie fertile a tubuli monostratificati di media lunghezza con pori piccoli, rotondi o leggermente allungati in maniera irregolare, colore bianco virante al rosa al tocco, tendente a scurire verso la maturazione. 

Amylosporus campbellii Particolare Superificie fertile Foto Carmelo Di Vincenzo
Amylosporus campbellii Particolare Superificie fertile – Foto Carmelo Di Vincenzo

Gambo assente o, se presente, tozzo, corto, appena abbozzato, centrale o laterale.

Carne morbida ed elastica, fibrosa, omogenea, bianca, acquosa e carnosa da fresco; spugnosa, leggera e fragile dopo essiccazione.

Odore gradevole, con intensità più accentuata negli esemplari giovani; sapore dolce, fungino, di nocciola.

 

Descrizione microscopica

Sistema ifale dimitico caratterizzato da ife generatrici ialine, doppie e verticillate, a parete sottile, vacuolate con setti e unioni a fibbia semplici, e da ife scheletriche, anch’esse ialine a parete spessa, diritte o con andamento più o meno ondulato, moderatamente ramificate, non destrinoidi al reagente di Melzer.

 

Spore (4,4) 4,5-5,5 (6,3) × (3,5) 3,7-4,3 (4,8); Me = 5 × 4; Q = (1,1) 1,14-1,4 (1,5); Qe = 1,3, amiloidi, con forma ellissoidale e superficie liscia.

mylosporus campbellii - Spore al reattivo di Melzer 40X - Foto Carmelo Di Vincenzo
Amylosporus campbellii – Spore al reattivo di Melzer 40X – Foto Carmelo Di Vincenzo

Habitat: specie tipicamente diffusa nelle aree tropicali e subtropicali, mai associata a colture arboree o arbustive boschive. Fruttifica, stante la nostra recente esperienza ed a quanto riportato in letteratura, nelle intercapedini della pavimentazione, attaccato ai muretti di limitazione delle aiuole, nei giardini, nei parchi, nei viali alberati, in associazione a piante ornamentali, come Chamaerops humilis L. (Palma nana), Tuja orientalis (L.) Franco, e anche su ceppo di Pino domestico (Pinus pinea L.) e su Palma messicana [Washingtonia robusta (Lindl.) H. Wendl.]; inoltre, collegato presumibilmente ai residui radicali di pianta ornamentale di Pittosporum s.l., per mezzo di un gambo rudimentale, posizionato lateralmente al basidioma, oppure inglobante ramoscelli di rosmarino (Rosmarinus officinalis Schleid.).

Commestibilità: NON commestibile, legnoso

 

Caratteri differenziali

Facilmente riconoscibile per la crescita nei suddetti habitat, per la superficie superiore di colore bianco-biancastro, tendente a scurire a maturazione, per la superficie poroide bianca, caratterizzata da pori piccoli. Microscopicamente si riconosce per le spore amiloidi e per la presenza di unioni a fibbia doppie e multiple, caratteristica peculiare della specie, insolita nei polipori [Bernicchia et al., 2017]. 

Collezioni esaminate: Località Rometta Marea nel Comune di Rometta, territorio della città metropolitana di Messina, in Sicilia, a circa 20 m s.l.m. e a circa 250 m di distanza dalla spiaggia, in due stazioni di crescita posizionate intorno a 200 m di distanza in linea d’area tra loro, una nel Complesso “Il Gabbiano”, l’altra nel Complesso “Due Torri”, in spazi esterni di fabbricati a civile abitazione caratterizzati dalla presenza di piante ornamentali di natura diversa. Nella prima stazione, il 21.7.2020, due esemplari, sporgenti a forma di mensola dal muretto di recinzione di una aiuola, legati, presumibilmente, ai residui radicali di pianta ornamentale di Pittosporum s.l. (Pittosporo), creando il collegamento per mezzo di un gambo rudimentale, posizionato lateralmente al basidioma, leg. A. Miceli e C. Di Vincenzo (Centro di Cultura Micologica, Messina). Nella seconda stazione, il 12.8.2020, numerosi esemplari sparsi in un giardino con piante ornamentali appartenenti a specie di natura diversa, cresciuti singolarmente o raggruppati in diversi esemplari, posizionati nelle aiuole, nelle intercapedini della pavimentazione, attaccati al muretto di limitazione delle aiuole, inglobanti ramoscelli di rosmarino (Rosmarinus officinalis) o, presumibilmente, collegati alle radici di un ceppo residuale di Pinus pinea, leg. A. Miceli e C. Di Vincenzo.

Altri ritrovamenti:

  • Luglio 2020 – Buonfornello (PA), due esemplari posizionati in aiuole tra di loro limitrofe in abitazione privata, uno associato a Chamaerops humilis (Palma nana), l’altro di dimensioni maggiori, nelle immediate vicinanze di Tuja orientalis. (Segnalazione effettuata dal Dott. Stefano Morici di Palermo).
  • 25 agosto 2020 – Messina in aiuola all’interno dell’Is. 12 in Via Umbria. Unico esemplare apparentemente terricolo a forma circolare con diametro di circa 18 cm. Presumibilmente associato a radici di Pinus pinea posizionato poco distante. (Nostro ritrovamento su segnalazione del micologo Franco Mondello di Messina).
  • 15 settembre 2020 – Barcellona Pozzo di Gotto (ME) in alcune aiuole nella centrale Via San Giovanni Bosco, diversi esemplari associati a colture ornamentali vive di Washingtonia robusta(Palma messicana). In particolare vari carpofori alla base di una palma e diversi altri, affioranti dal terreno, a forma pressocché circolare di varie dimensioni: cm 42 di diametro per l’esemplare con dimensioni maggiori. (Nostro ritrovamento unitamente ai Sigg. Filippo Gabriele La Rosa e Felice Mangano di Barcellona).
  • 22 settembre 2020 – Messina P.zza Duomo nelle aiuole lato monte, numerosi esemplari, circa 35 – 40, di dimensioni diverse ed in vari stadi di maturazione, associati a piante ornamentali di diversa natura. (Nostro ritrovamento).
  • 26 settembre 2020 – Montercarlo (Lucca) due esemplari concresciuti in aiuola con colture ornamentali diverse nel centro storico cittadino. (Segnalazione effettuata dalla Dott.ssa Anna Giuffrida).
  • 4 gennaio 2021 – Spadafora (Messina) numerosi esemplari di dimensioni diverse e in fase di disidratazione, con conformazione a mensola, disposti a embrice, colonizzanti la base residuale di tre ceppi di P. Pinea in aiuola latistante la SS. 113. (Segnalazione effettuata dal Sig. Nino Barrilà – Centro di Cultura Micologica – Messina).

 

Exsiccata: I campioni dei vari sporofori, regolarmente essiccati, sono stati depositati nell’erbario dell’Associazione “Centro di Cultura Micologica” di Messina curato dal micologo Francesco Mondello, Presidente del Comitato Scientifico della stessa Associazione ed assunti al n. 1147 del repertorio generale.

Diffusione territoriale

A. Campbelli, come in premessa precisato, è una specie fungina tipica delle aree tropicali e subtropicali che da alcuni anni fa registrare la propria presenza anche nel territorio italiano facendo la propria apparizione ben lontano dalle aree boschive, preferendo fruttificare tra le piante ornamentali nelle aiuole, nei giardini pubblici o di pertinenze private, nei parchi, nei viali alberati. Nel tempo, la sua presenza è stata segnalata in numerose località extraeuropee quali, ad esempio: Giamaica, Bermude, Indie occidentali, Brasile, Venezuela, Nigeria, Kenya, Tanzania, Pakistan, India, Srilanka [Verma et al., 2016 con riferimento ad autori vari] California, Arizona, Texas, Messico, Martinica, Costa Rica, Taiwan, Cina meridionale [Bernicchia A. et al., 2017 con riferimento ad autori vari] e, in epoca relativamente recente, anche in Europa. Il primo ritrovamento fa riferimento ad esemplari rinvenuti negli anni 2016 e 2017, cresciuti in associazione a Myrthus communis L., nel territorio del comune di Siracusa, in Sicilia [Bernicchia et al., 2017]. Successivamente altri ritrovamenti sono stati segnalati nel territorio di Catania e di Trapani (Sicilia) ed ancora nella regione Puglia [Bernicchia et al., 2017], ai quali si aggiungono i ritrovamenti attuali nel territorio messinese, sui quali ci siamo soffermati in queste pagine, e altri da noi indicati nel paragrafo precedente.

Conclusioni

I numerosi e recenti ritrovamenti lasciano facilmente dedurre che la specie si sta facilmente acclimatando alle nostre latitudini ed in maniera abbondante; fattore, questo, di notevole importanza che si pone quale indicatore dell’attuale processo di mutazione climatica che, ormai da diversi anni, caratterizza le regioni del mediterraneo, sempre più vicine alle caratteristiche climatiche delle zone tropicali e subtropicali.

Ringraziamenti

Gli autori desiderano ringraziare la Dott.ssa Annarosa Bernicchia per il gradito supporto alla corretta identificazione dei basidiomi; il micologo Franco Mondello per la disponibilità ad accogliere e conservare le exsiccata nel proprio erbario; il Prof. Antonino Leone e l’Avv. Vincenzo Puglisi per la segnalazione relativa alla crescita dei basidiomi ai quali abbiamo fatto riferimento per la presente stesura; il Dott. Stefano Morici di Palermo, la Dott.ssa Anna Giuffrida e gli amici Filippo Gabriele La Rosa e Felice Mangano di Barcellona (ME) e Nino Barrilà, socio del Centro di Cultura Micologica di Messina, per le segnalazioni di ulteriori ritrovamenti.

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Bibliografia

  • Bernicchia A., Genovese R. & Gorjón S. P., 2017: Amylosporus campbellii (Berk.) Ryvarden (Bondarzewiaceae, Basidiomycota), new record to Europe. Mycosphere, Journal of Fungal Biology 8 (1): 98-101. 
  • Bernicchia A. & Gorjón S.P., 2020: Polypores of the Mediterranean Region. Romar Edizioni, Segrate Milano, I. 
  • Campi M., Maubet Y., Grassi E. & Robledo G., 2017: Amylosporus guaraniticus sp. nov. (Wrightoporiaceae, Russulales) a new neotropical species in Paraguay. Mycosphere 8 (6): 1060-1070. Doi 10.5943/mycosphere/8/6/6 
  • Chen J.J. & Shen L.L., 2014: Amylosporus succulentus sp. nov. (Russulales, Basidiomycota) evidenced by morphological characters and phylogenetic analysis. Cryptogamie, Mycologie 35 (3): 271-282. 
  • Verma R.K., Tiwari C.K., Parihar J. & Kumar S., 2016: Diversity of Amylosporus campbellii in central India. Van Sangyan, Vol. 3, n. 11: 20-23. Tropical Forest Research Institute, Jabalpur, MP, India.

Sitografia

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Rubroboletus satanas un nuovo epiteto per il Porcino Malefico

Premessa

Da sempre posizionato nella sistematica fungina nel genere Boletus (1) e conosciuto universalmente con l’originario epiteto specifico di Boletus satanas, è stato recentemente, a seguito approfonditi studi di natura filogenetico-molecolare, riposizionato nel nuovo genere Rubroboletus che ospita, in atto, numerose altre specie appartenute al genere Boletus, mantenendo, in ogni caso, il “satanico” identificativo di specie che invita l’immaginario collettivo ed i micofagi tutti ad evitare il consumo di questa meravigliosa specie fungina, dalle grandi dimensioni e dai colori contrastanti tra il bianco del cappello ed il rosso del gambo e dei pori, che è ritenuta, come confermato dai numerosi studi di micotossicologia, altamente tossica e causa di sindrome gastroenterica (2) di una certa entità.

Genere Rubroboletus Kuan Zhao & Zhu L. Yang 

Phytotaxa 188 (2): 67 (2014)

E’ un genere di recente istituzione, con specie tipo Rubroboletus sinicus (W.F. Chiu) Kuan Zhao & Zhu L. Yang 2014, inteso a diversificare basidiomi già appartenenti alla famiglia Boletaceae, caratterizzati da dimensioni medio-grandi e da caratteri macroscopici ben definiti, quali cappello dalle colorazioni con varianti tonali rosso, rosso-arancione, rosso sangue; imenoforo a tubuli dal colore giallo inteso, con pori di colore rosso più o meno intenso; gambo centrale, ingrossato, ricoperto da reticolo (3) ben definito, con colorazione rossastra; carne virante al blù [Kuan Zhao e altri, 2014 – Miceli, 2018]. Nel genere trovano posto specie fungine già appartenenti al genere Boletus ed inserite nella sezione Luridi (4)) che, per le peculiari caratteristiche filogenetiche, emerse a seguito di approfonditi studi di natura molecolare, sono state trasferite nel genere di recente istituzione, quali, ad esempio: R. satanasR. legaliaeR. rhodoxantus; R. pulchrotinctus; R. rubrosanguineus ecc. [Della Maggiora, 2016]

 

Rubroboletus satanas (Lenz) Kuan Zhao & Zhu L. Yang

Phytotaxa 188 (2): 70 (2014)

 

Accentazione: Rubrobolétus sátanas

Basionimo: Boletus satanas Lenz (1831)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Boletales, famiglia Boletaceae, genere Rubroboletus.

Etimologia: dal latino sàtanas, con riferimento a Satana, perché ritenuto malefico, velenoso.

 

Principali sinonimi: Suillus satanas (Lenz) Kuntze (1898); Tubiporus satanas (Lenz) Maire (1937); Suillellus satanas (Lenz) Blanco-Dios (2015).

Nomi volgari: Porcino malefico, boleto malefico, boleto di satana.

Nomi dialettali: è conosciuto con una miriade di nomi dialettali che variano da una località all’altra, ci limitiamo a riportare quelli comunemente usati nel territorio siciliano: funciu lardaro, funciu villinuso, funciu cancia culuri [Bonazzi, 2003 – Vasquez, 2012].

 

Descrizione macroscopica

Tavola 1:	Rubroboletus satanas
Tavola 1: Rubroboletus satanas Disegno incompiuto di Gianbattista Bertelli

Cappello sodo e carnoso, di medie-grandi dimensioni, può raggiungere anche 25-30 cm. di diametro, da emisferico a convesso, guancialiforme (quando si presenta a forma di cuscino), cuticola inizialmente vellutata, poi, verso la maturazione, liscia e asciutta, di colore bianco-latte, bianco-sporco, grigio tenue, crema, tendente, verso la maturazione, ad assumere una colorazione bruno-olivastro. Imenoforo a tubuli lunghi, facilmente separabili dalla carne soprastante, da giallo a giallo-verdastro, poi di colore olivastro, tendenti al grigio-azzurro al taglio. Pori piccoli, tondeggianti, inizialmente gialli, poi, a maturità, rosso-arancio, giallastro verso il margine del cappello, leggermente viranti al bluastro alla digito pressione. Gambo carnoso, sodo, tipicamente obeso, a volte slanciato, bulboso alla base, giallo nella parte apicale, rossastro nella parte centrale, giallo-rossastro nella parte inferiore (caratteristica, questa, per la quale viene chiamato “fungo tricolore”); ricoperto da un reticolo finissimo concolore o rosso sangue, virante leggermente al bluastro al tocco. Carne biancastra o giallo pallido, leggermente virante all’azzurro al taglio con maggiore evidenza a tempo umido. Sapore dolciastro, odore inizialmente debole, poi, verso la maturazione, sgradevole.

Habitat

Specie tipica del periodo estivo-autunnale, predilige boschi caldi e asciutti di latifoglie, con preferenza verso querce e castagni; gradisce luoghi aperti ai margini dei boschi. Poco comune.

Commestibilità, tossicità e curiosità

Tossico, velenoso. NON COMMESTIBILE.

Anche se le caratteristiche morfocromatiche: colore rosso dei pori, viraggio al blù della carne e odore sgradevole hanno, indubbiamente, contribuito ad alimentarne la fama di fungo molto velenoso e quindi mortale, è, in realtà, come precisato in premessa, un fungo tossico che causa sindrome gastroenterica (2) di notevole entità caratterizzata da vomito incoercibile che si protrae per numerose ore, dolori addominali, diarrea e conseguenze sull’equilibrio salino [Pelle, 2007].

Contrastanti, tuttavia, sono i pareri sulla sua tossicità: viene da tutti considerato tossico da crudo, mentre sul consumo da cotto emergono diverse scuole di pensiero tra di loro divergenti: molto velenoso per i micologi della scuola tedesca; commestibile anche se pesante e difficile da digerire per quelli della scuola francese; consumabile ben cotto, senza conseguenze, secondo tradizioni locali come avviene in alcune zone della Sicilia e della Calabria [Alessio, 1985 – Pelle, 2007 – Milanesi, 2015]. 

Concordando con le tradizioni locali, Giacomo Bresadola, padre della micologia italiana, affermava che dopo adeguata bollitura ed eliminazione dell’acqua di cottura, “perde la sua forza deleteria e può essere mangiato senza pericolo” [Bresadola, 1899].

Analogo parere veniva espresso dal noto micologo siciliano Giuseppe Inzenga (Palermo, 1816-1887) il quale testualmente affermava: “Quantunque questa specie fosse messa dalla scienza a sentenza di bando come velenosa per eccellenza, pure essa in Sicilia, segnatamente nella regione boschiva dell’Etna ove sviluppasi in grande abbondanza, raccogliesi e vendesi nei pubblici mercati come una delle specie più mangiative ed innocue di quelle contrade” [Inzenga, 1869]. 

Oggi, alla luce delle nuove e maggiori conoscenze acquisite sulla problematica, così si esprime Gianrico Vasquez, noto micologo di “Casa Nostra”: “anche se il Boletus satanas in realtà non è presente sull’Etna perché predilige i boschi caldi ed asciutti di latifoglie esclusivamente su terreno poco acido, in talune località siciliane tale specie viene regolarmente consumata. Ma come? è proprio il B. satanas o altre specie similari? Viene consumato fresco o conservato? E’ possibile che il substrato di crescita influenzi la formazione e la concentrazione delle sostanze tossiche responsabili, ma è altrettanto vero che ne viene documentata in letteratura la sua provata tossicità e, pertanto, a tutt’oggi resta sempre un fungo velenoso” [Vasquez, 2012].

Sembra, in effetti, che in alcune zone della Sicilia la specie viene regolarmente consumata, ben cotta e dopo trattamenti empirici, senza conseguenze alcune. La motivazione potrebbe essere ricercata nella natura del suolo che, diversificandosi da una zona all’altra, fa sì che la stessa specie fungina possa essere più o meno pericolosa in rapporto al luogo ove la stessa si produce in conseguenza dei diversi elementi chimico-fisici contenuti nel substrato di crescita che possono influenzare la formazione e la concentrazione di sostanze tossiche [Inzenga, 1869 – Alessio, 1985 – Vasquez, 2012 – Galli, 2013] o, ancora, nel fatto che la specie consumata non sia da ricondurre a R. satanas ma ad altre specie similari come, ad esempio, R. rhodoxanthus o R. legaliae con le quali questi viene scambiato e confuso.

In merito alla sua comprovata tossicità emergono, dalla letteratura micologica, testimonianze attendibili riconducibili a Umberto Nonis il quale avendo personalmente consumato la specie è stato colto, entro breve tempo dall’ingestione, da violentissimi conati di vomito ad intervalli di 10-15 minuti, scariche diarroiche, abbondante sudorazione, forti dolori addominali protrattisi per 4-5 ore [Nonis, 1976].

Abbiamo ritenuto opportuno, per completezza dell’argomento trattato, riportare le fonti bibliografiche che fanno riferimento, relativamente alla commestibilità e tossicità della specie, a pareri contrastanti concludendo con la precisa affermazione che la specie deve essere ritenuta tossico-velenosa e quindi da non consumare nella maniera più assoluta, nemmeno cotta o dopo essere stata sottoposta ad inutili trattamenti empirici. Incontrandola nei boschi limitiamoci ad ammirarla, a fotografarla ed a studiarla per accrescere le nostre conoscenze in materia.

 

Caratteri differenziali

Facilmente riconoscibile e ben differenziato dalle atre specie simili, si riconosce per le grandi dimensioni e per il portamento robusto; per il colore del cappello su toni bianco-biancastri privo di tonalità, sfumature e aloni rossastri; per il gambo molto ingrossato alla base e per la colorazione dello stesso: gialla all’apice, rossastra nella parte centrale, giallo-rossastra alla base; per la carme biancastra virante leggermente al taglio; per l’odore sgradevole a maturità; per la esclusiva crescita su terreni calcarei.

 

Specie simili

Anche se le caratteristiche morfocromatiche generali, in particolare le notevoli dimensioni, le tonalità biancastre del cappello, il colore rosso-arancio dei pori, l’odore sgradevole a maturazione, lo rendono ben difficilmente confondibile con altre specie appartenenti alla famiglia delle Boletaceae, indichiamo le specie che presentano maggiori similarità:

  • Rubroboletus rhodoxanthus (Krombh.) Kuan Zhao & Zhu L. Yang 2014 [basionimo Boletus rhodoxanthus (Krombh.) Kallenb. 1925]
Rubroboletus rodoxanthus
Rubroboletus rodoxanthus Foto Franco Mondello

Si differenzia per il colore del cappello che, anche se con tonalità similari, si macchia facilmente di rosa; per i pori di un marcato colore rosso-sangue; per il gambo giallo più o meno carico con evidente reticolo concolore ai pori; per la carne che vira all’azzurro solo nel cappello rimanendo immutabile nel gambo [Buda, 2012].

 

  • Rubroboletus pulchrotinctus (Alessio) Kuan Zhao & Zhu L. Yang 2014 [basionimo Boletus pulchrotinctus Alessio 1985]
Foto Franco MondelloRubroboletus pulchrotinctus
Rubroboletus pulchrotinctus Foto Franco Mondello

Molto simile nella conformazione morfo-cromatica, si distingue facilmente per le colorazioni del cappello presto rosso-rosato, poi rosso; per i pori a lungo gialli poi con tonalità aranciate ed infine rosso-brunastre.

 

  • Rubroboletus legaliae (Pilát & Dermek) Della Magg. & Trassin. 2015
Rubroboletus legaliae
Rubroboletus legaliae Foto Franco Mondello

[basionimo Boletus legaliae Pilàt 1968] 

Molto simile da giovane per il colore bianco-biancastro della cuticola dovuto alla presenza di una sottile pellicola pruinosa che sparisce verso la maturazione evidenziando il colore di fondo rosato, rosa vinoso che lo differenzia dal R. satanas, unitamente al più intenso viraggio della carne al taglio ed alla crescita su terreno calcareo.

 

  • Rubroletus demonensis Vasquez, Simonini, Svetasheva, Mikšík & Vizzini 2017
Rubroletus demonensis
Rubroletus demonensis Foto Gianrico Vasquez

Pur non presentando marcate caratteristiche di similarità con R. satanas, tranne che per esemplari giovani per il colore della cuticola, riteniamo opportuno, in considerazione della similarità della denominazione, ricordarne le principali caratteristiche generali che lo rendono assolutamente inconfondibile: colore biancastro del cappello solo in esemplari giovani poi, verso la maturazione, rosso-brillante; tubuli corti o di media lunghezza, liberi al gambo, inizialmente di colore giallo intenso tendente, verso la maturazione, al verde-olivastro; pori piccoli e rotondi di colore rosso vivo, rosso-porpora, rosso scuro, viranti al bluastro alla pressione, caratterizzati, a volte, da un alone giallo-aranciato in prossimità del margine del cappello; gambo di colore rosso-intenso, rosso-sangue su tutta la superficie [Miceli, 2018].

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  1. Genere Boletus L. 1753 

Si tratta, senza ombra di dubbio, di uno dei più conosciuti generi del regno dei funghi, ad esso appartenevano, prima dell’avvento della micologia molecolare che ne ha radicalmente modificato la struttura originaria, basidiomi omogenei (quando cappello e gambo presentano la stessa struttura molecolare tanto da essere uniti l’uno all’altro), carnosi, terricoli, simbionti, con imenoforo (parte fertile del fungo posizionata, generalmente, nella zona inferiore del cappello) costituito da tubuli e pori, facilmente asportabile: tubuli generalmente adnati (quando si uniscono, per tutta la loro lunghezza, al gambo) e, in alcuni casi decorrenti (quando si prolungano sul gambo in maniera più o meno evidente); pori piccoli e tondeggianti, di colore bianco, giallo, verde, rosso; gambo generalmente obeso, pieno, ricoperto da un reticolo, in alcune specie punteggiato, raramente liscio o glabro. Carne immutabile al taglio in alcune specie, in altre più o meno virante verso tonalità bluastre. Sporata in massa di colore bruno-olivastro.

Il genere, inizialmente di natura polifiletica (quando vi appartengono specie discendenti da più capostipiti), ospitava numerose specie fungine che, a seconda delle caratteristiche morfo-cromatiche generali e microscopiche venivano suddivise in sezioni: Edules, Appendiculati, Calopodes, Luridi. In atto, con l’applicazione della filogenesi molecolare, è stato possibile individuare, nelle singole specie, caratteri distintivi tali da consentirne il riposizionamento in altri generi, alcuni già esistenti, altri di nuova istituzione, quali, ad esempio: Butyriboletus, Caloboletus, Imperator, Lanmaoa, Neoboletus, Rubroboletus, Suillellus ed altri [Della Maggiora, 2016].

Per quanto sopra, l’attuale genere Boletus, divenuto, quindi, monofiletico (quando nel genere sono inserite specie fungine discendenti da un unico capostipite), ospita le specie già inserite nella sezione Edules dell’originario genere: B. edulis, B. aereus, B. estivalis, B. pinophilus ossia quelle specie fungine comunemente note come Porcini. 

 

  1. La sindrome gastroenterica, detta anche resinoide, viene inserita nella categoria delle “Sindromi a breve latenza”, così definite in quanto gli effetti si manifestano entro le 6 ore dal consumo dei funghi [Assisi e altri, 2008]. E’ una della manifestazioni tossiche più frequenti e meno gravi tra quelle prodotte dal consumo di funghi [Siniscalco].
  2. Si manifesta, generalmente, entro 2-3 ore dal consumo dei funghi con manifestazione di nausea, vomito, diarrea, crampi addominali, prostrazione. 
  3. Si ritiene che le tossine responsabili della sintomatologia siano numerose e riconducibili a diverse specie fungine, tanto che non sempre è stato possibile isolarle [Assisi ed altri, 2008]. La bolesatina, contenuta nel B. satanas, costituente il principio tossico di questa specie, è stata isolata da un gruppo di ricercatori dell’Università di Strasburgo nel 1989 [Milanesi, 2015]
  4. L’elenco delle specie responsabili è abbastanza lungo tanto da rendere difficoltosa la sua stesura, si ritiene che possa allungarsi nel tempo a seguito di ulteriori approfonditi studi che potrebbero individuare altre specie, in atto ritenute commestibili o di commestibilità non comprovata, responsabili di tossicità. Tra le specie maggiormente indiziate citiamo: R. satanas, R. legaliae, R. rhodoxanthus; Entoloma lividum, E. vernum, E. rhodopolium; Imperator rhodopurpureus (= B. rhodopurpureus), I. luteocupreus (= B. luteocuprus). I torosus (= B. torosus);Suillellus pulchrotinctus (=Boletus pulchrotinctus), Tricholoma pardinum, T. josserandii, T. saponaceum, T. sulphureum; Omphalotus olearius; Hypholoma fasciculare; Armillaria mellea; Agaricus xanthodermus; Lactarius torminosus, Tricholoma saponaceum [Miceli, 2016].
  5. Reticolo: dal latino retìculum = piccola rete, reticella. Ornamentazione tipica e molto coreografica di diverse specie fungine appartenenti alla famiglia Boletaceae, formata dall’incrocio di linee in rilievo che incontrandosi formano un tipico disegno a forma di rete a maglie più o meno allungate. Si tratta di una impronta caratterizzante il gambo ed acquisita durante la fase embrionale del carporofo, quando la superficie imeniale risulta racchiusa sul gambo a stretto contatto con lo stesso, sul quale, premendovi sopra, può lasciare traccia della conformazione dei pori che viene evidenziata, in forma più o meno allungata, con la crescita dello stesso [AMINT, sito web]. 
  6. La sezione Luridi, ospita basidiomi che al minimo tocco tendono a macchiarsi in maniera più o meno evidente di blù, con carne giallastra, virante al bluastro al taglio; con pori di colore rosso, rosso-arancione, a volte, nella fase iniziale di maturazione, anche gialli; gambo reticolato o, in alcune specie, costolato o punteggiato. Numerose specie inizialmente inserite nella sezione, a seguito dei recenti studi di natura filogenetico-molecolare, sono state trasferite in altri generi. (Esempio: B. Luridus = Suillellus luridusB. queletii = Suillellus queletiiB. rhodoxantus = Rubroboletus rhodoxantusB. erytropus = Neoboletus luridiformisB. torosus = Imperator torosus…) [Della Maggiora, 2016].

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Foto: Franco Mondello, Gianrico Vasquez

Tavole micologiche: GianBattista Bertelli, gentilmente concesse dal figlio Aldo

Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i funghi. Seconda Edizione. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • Alessio Carlo Luciano, 1985: Boletus Dill. Ex L.. Colla Fungi Europaei. Libreria Editrice Biella Giovanna, Saronno. I 
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. (ristampa 2010) Giunti editore, Firenze. I
  • Assisi Francesca, 2012: I funghi: guida alla prevenzione delle intossicazioni. Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda – Centro Antiveleni Milano, Milano. I
  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano. I
  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama srl, Trento. I
  • Bianchi Marco, 2017: Boletus satanas. Passione Funghi & Tartufi. Novembre 2017, n. 77: 25 – 33. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013). I
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Bresadola Giacomo – 1899: I funghi mangerecci e velenosi. Ulrico Hoepli, Milano. I
  • Buda Andrea, 2012: I Funghi degli Iblei. Vol. I. Ass. Micologica Bresadola – Gruppo di Siracusa, Siracusa. I
  • Cetto Bruno. 1970: I funghi dal vero. Vol. I. Saturnia, Trento. I
  • Della Maggiora Marco, 2007: Gli avvelenamenti da funghi. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 1: 24-40, Ponte a Moriano (LU). I
  • Della Maggiora Marco, 2016: Boletaceae Chevall, Stato attuale della nomenclatura. Annali Micologici A.G.M.T. anno 2016 n. 9: 85-116
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, 2000, Funghi Boleti. Calderini edagricole, Bologna. I
  • Galli Roberto, 2013: I Boleti. 4^ Edizione. Micologica, Pomezia 
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • Inzenga Giuseppe, 1869: Funghi Siciliani. Centuria Seconda. Stabilimento Tipografico Francesco Lao, Palermo. I
  • Kuan Zhao, Gang Wu, ZhuLiang YangA new genus, Rubroboletus, to accommodate Boletus sinicus and its allies. Phytotaxa 188(2): 61-77
  • La Spina Leonardo – 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo III. Eurografica, Riposto (CT). I
  • La Spina Leonardo, Signorino Carmelina, 2018: I funghi di Santo Pietro, antico bosco di Sicilia. Eurografica S. r. l. Riposto (CT). I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria – 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Mazza Riccardo, 2010: I funghi – Guida al riconoscimento di oltre 400 specie. Fabbri Editori. Milano. I
  • Miceli Angelo, 2018: Rubroboletus demonensis, una nuova specie siciliana dal portamento “demoniaco”. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 11: 19-26, Ponte a Moriano (LU). I
  • Milanesi Italo, 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I 
  • Nonis Umberto, 1976: Esperienze di un dilettante di micologia. Rivista di Micologia anno 1976 n. 2: 43-46. Bologna. I
  • Pelle Giovanna, 2007: Funghi velenosi e sindromi tossiche. Bacchetta Editore, Albenga (SV). I
  • Phillips Roger, 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara. I
  • Vasquez Gianrico, 2012: Indagini micologiche sulle Boletales del territorio siciliano. Annales Confederationis Europaeae Mycologiae Mediterraneeinsis 2009: 69-81. Alaimo, Palermo. I

Sitografia

Lepiota cristata (Bolton : Fr.) P. Kumm. (1871)

E’ una delle numerose specie fungine che generalmente, considerate le sue piccole dimensioni e quindi la mancanza di attrazione verso i numerosi “funciari” in cerca di emozioni mico-gastronomiche, rimane, anche se non sempre, ignorata nel proprio habitat di crescita in attesa di compiere indisturbata il suo ciclo biologico. Lepiota cristata, specie fungina dalle piccole dimensioni, è una specie tossica a larga diffusione territoriale che causa sindrome gastrointestinale(1).

Genere Lepiota (Pers.) Gray (1821)

Il Genere, la cui specie tipo è Lepiota Clypeolaria (Bull. : Fr.) P. Kumm. (1871), ospita basidiocarpi a crescita terricola e nutrizione saprofitica che amano riprodursi su terreni ricchi di humus in associazione a foglie e residui legnosi marcescenti; sono soliti fruttificare indifferentemente nei boschi di latifoglie o di conifere, nelle radure erbose, nei prati, nei parchi e nei giardini anche nelle zone urbane. Si presentano di piccole-medio dimensioni, poco carnosi, membranacei, caratterizzati da cappello asciutto, ricoperto di piccole e minute squame; lamelle libere al gambo che si presenta centrale, cilindrico, con anello distinto ma non sempre visibile in quanto poco consistente, fragile e fugace, quindi facilmente asportabile. Hanno carne poco spessa, di colore bianco-biancastro appena virante al rosa-carnicino in alcune specie. Spore in massa di colore bianco-biancastro, lisce, prive di poro germinativo e di varie forme: fusiformi, speronate, ellissoidali, ovoidali. Il Genere enumera esclusivamente specie non commestibili, tossiche ed alcune molto velenose e pericolose in quanto, per la tipologia di tossine contenute, causano intossicazioni a lunga latenza con sintomatologia molto simile alle intossicazioni provocate da Amanita phalloides e specie affini [La Chiusa L., 2013]. 

Lepiota cristata (Bolton : Fr.) P. Kumm.,

Führ. Pilzk. (Zerbst): 137 (1871)

Accentazione: Lepiòta cristáta

Basionimo: Agaricus cristatus Bolton 1788

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Agaricaceae, genere Lepiota.

Etimologia: Lepiota dal greco Lepìs = squama e otòs = orecchio ovvero dal cappello squamoso [Acta Plantarum, 2020]; Cristata dal latino Cristàtus = cresta, crestato ovvero con la cresta, con riferimento all’umbone sul cappello [Buda A., 2011].

Principali sinonimi: Agaricus granulatus Schaeff. (1774); Agaricus punctatus J.F. Gmel. (1792); Tricholoma granulatum (Schaeff.) P. Kumm. (1871); Lepiotula cristata (Bolton) Locq. ex E. Horak (1968); Lepiota subfelinoides Bon & PD Orton (1985). 

Nomi volgari: Lepiota crestata

Nomi dialettali: cappiddinu, cappiddina, nomi dialettali siciliani [Buda A., 2011].

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole dimensioni (2-4 cm) e di consistenza fragile, membranaceo e poco carnoso, inizialmente campanulato ed a volte, negli esemplari giovani, con andamento similarmente trapezoidale, tendente, verso la maturazione ad appiattirsi evidenziando un umbone ottuso al centro; margine eccedente e sfrangiato; superficie asciutta di colore ocraceo, bruno-rossastra, bruno-vinoso, più scura nella zona discale che si presenta unità e circondata da numerose piccole squame, irregolarmente sparse, di colore bruno-carnicino su sfondo bianco tendenti a rimpicciolirsi, diradandosi, verso il margine. Imenoforo a lamelle fitte ed intercalate da numerose lamellule irregolari, libere al gambo, inizialmente di colore bianco poi crema-giallastro. Spore in masse bianche. Gambo cilindrico, centrale, fistoloso (quando si presenta cavo nella zona centrale), facilmente separabile dal cappello, ingrossato e bulboso alla base ove si rilevano residui miceliari cotonosi con rizomorfe di colore bianco-biancastro. Inizialmente liscio e con colorazione biancastra, tende, verso la maturazione, a scurirsi assumendo tonalità rosa-vinoso più accentuate verso la base. Anello fugace, tendente a dissociarsi rimanendo attaccato al margine del cappello, quando persistente si presenta nella parte superiore del gambo, fisso, non scorrevole, di colore bianco-biancastro. Carne sottile, fragile, esigua, crema-biancastro nel cappello più scura in corrispondenza della zona discale, bruno-vinosa nel gambo. Odore forte, penetrante, caratteristicamente simile a quello delle specie appartenenti al genere Scleroderma. Sapore acidulo, acre, sgradevole.

Habitat

Specie molto comune e diffusa, tipica del periodo estivo-autunnale. Fruttifica a gruppi anche di numerosi esemplari al limitare del bosco, nei terreni nudi e prativi, nei parchi e nei giardini anche in aree urbane.

Commestibilità

Specie tossica che può provocare intossicazioni di grave entità il cui consumo, analogamente a quello delle numerose altre specie di piccola taglia appartenenti al genere Lepiota, deve essere assolutamente evitato. E’ opportuno evidenziare che il Genere ospita numerose specie velenoso-mortali, macroscopicamente molto simili e facilmente confondibili quali, ad esempio: L. brunneoincarnata; L. brunneolilacea; L. griseovirens: L. josserandi ed altre ancora che hanno evidenziato contenere amatossine di comprovata velenosità.

Caratteri differenziali

Si riconosce principalmente per la presenza, nella zona discale del cappello, di un piccolo umbone arrotondato e ben delimitato di colore bruno-scuro circondato da numerose squamule con colorazione più chiara e contrastante con il colore biancastro della cuticola sottostante; per l’anello membranoso che a volte si dissocia in piccoli lembi che restano attaccati al margine del cappello. 

Specie simili

E’ facilmente confondibile con le numerose specie congeneri di piccola taglia dalle quali differisce macroscopicamente per piccoli particolari, necessitando, in genere, l’esame dei caratteri microscopici per una corretta determinazione. Riportiamo solamente alcune delle specie che presentano maggiore similarità: 

  • Lepiota felina (Pers.) P. Karst. (1879)

Specie velenoso-mortale per l’alto contenuto di amatossine, causa di sindrome falloieda a lunga incubazione. Differisce per il cappello caratterizzato dalla zona discale molto scura, di colore nerastro, bruno-nerastro; per l’anello di dimensioni minori e più persistente, di colore bruno-scuro nella pagina inferiore; per il gambo ricoperto, nella zona sottostante l’anello, di rade squamette di colore nerastro.

  • Lepiota clypeolaria (Bolt.) P. Kumm. (1871)

Pur presentando caratteristiche morfo-cromatiche similari, risulta facilmente differenziabile per le maggiori dimensioni, per il margine del cappello quasi sempre appendicolato e, in particolare, per il gambo che è ornato per tutta la lunghezza da una consistente fioccosità biancastra, bambagiosa che ingloba, mimetizzandolo, l’anello bianco posizionato nella parte superiore del gambo.

  • Lepiota ignivolvata Bousset & Joss. ex Joss. (1990)

Molto simile nelle caratteristiche morfo-cromatiche differisce per la presenza di un arrossamento, spesso molto evidente, alla base del gambo che è ornato nella parte inferiore da un cercine aderente e in posizione obliqua che si identifica come pseudoanello.

Note sulla tossicità

L. cristata, contrariamente a quanto ritenuto in tempi passati e lungamente dibattuto in maniera controversa, non contiene, come numerose altre specie congeneri, sostanze di natura velenoso-mortale riconducibili alle amatossine e/o alle fallotossine che, come ben comprovato, sono causa di sindrome falloidea a lunga incubazione con esiti spesso irreversibili. 

Recenti studi condotti su esemplari di L. cristata raccolti in Italia (Cfr. Sgambelluri R. ed altri, 2014) e in Turchia (Cfr. Yilmaz I. ed altri, 2018) hanno ampiamente dimostrato che L. cristata non è causa di avvelenamenti di tipo parafalloideo a lunga incubazione, evidenziando che la specie necessita ancora di ulteriori ed approfonditi studi intesi ad accertare l’esatta composizione ed entità dei principi tossici in essa contenuti. E’ opportuno ribadire che, in ogni caso, L. cristata viene considerata specie tossico-velenosa e che il suo consumo deve essere assolutamente evitato.     

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  1. Sindrome gastrointestinale è inserita tra le sindromi tossiche a breve latenza (quando gli effetti delle sostanze tossiche ingerite si manifestano entro 6 ore dalla ingestione dei funghi) ed è considerata una delle più frequenti. Si manifesta a circa 2-3 ore dal consumo dei funghi con manifestazione di nausea, vomito, diarrea, crampi addominali, prostrazione. L’elenco delle specie responsabili è abbastanza lungo tanto da rendere difficoltosa la sua stesura, si ritiene che possa allungarsi nel tempo a seguito di ulteriori approfonditi studi che potrebbero individuare altre specie, in atto ritenute commestibili o di commestibilità non comprovata, responsabili di tossicità [Miceli A., 2016]

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Bibliografia

  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano. I
  • Brotzu Renato, Colomo Salvatore, 2009: I funghi della Sardegna. Vol. 1. Editrice Archivio Fotografico Sardo, Nuoro. I
  • Buda Andrea, 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Candusso Massimo, Lanzoni Gianbattista, 1990: Lepiota s. l.. Collana Fungi Europaei Vol.4. Libreria Editrice Giovanna Biella, Saronno. I
  • La Chiusa Lillo, 2013: Funghi Agaricoidi, Vol. I – Agaricaceae. ANDER Editore, Monza. I
  • La Spina Leonardo – 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo I. Eurografica, Riposto (CT) – I
  • La Spina Leonardo, Signorino Carmelina, 2018: I funghi di Santo Pietro, antico bosco di Sicilia. Eurografica S. r. l. Riposto (CT). I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria – 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Miceli Angelo, 2016: Tra tossine e veleni. Estratto da “ADSeT- Associazione Dirigenti Scolastici e Territorio”: https://www.adset.it/articoli/angelo-miceli/373-tra-tossine-e-veleni
  • Milanesi Italo, 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Sgambelluri R. Michael, Epis Sara, Sassera Davide, Luo Hong, Angelos Evan, Walton Jonathan, 2014: Profiling of amatoxins and phallotoxins in the genus Lepiota by liquid chromatography combined with UV absorbance and mass spectrometry. Toxins 6: 2336-2347
  • Yilmaz Ismail, Akata Ilgaz, Bakirci Sinan, Kaya Ertugrul, 2018: Lepiota cristata does not contain amatoxins or phallotoxins. Toxin Reviews, DOI: 10.1080/15569543.2017.1337034

Sitografia

Agrocybe aegerita, ovvero il “Piopparello”, protagonista di un complesso iter tassonomico

Premessa

Tra le numerose specie fungine che durante il corso dell’anno, in corrispondenza del proprio ed individuale periodo di fruttificazione, sono solite attirare le attenzioni dei numerosi cercatori che, come ormai siamo abituati a vedere, sciamano nei boschi spesso con poco rispetto per l’ambiente, un posto di particolare rilievo deve essere riservato ad Agrocybe aegerita, protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, conosciuto su tutto il territorio nazionale con la denominazione volgare di “Piopparello” che, senz’altro, trova derivazione dalla sua particolare propensione a legarsi, quale fungo parassita-saprofita, a colture arboree appartenenti al Genere Populus (Pioppo) L. (1753) non disdegnando, in ogni caso, ad associarsi anche ad altre latifoglie appartenenti a generi diversi. 

Per il gradevole sapore e per l’ottima resa in cucina viene considerato un eccellente commestibile ed è, per tale motivo, ricercato durante i diversi periodi di fruttificazione essendo solito fruttificare più volte nell’arco dell’anno con eccezione per i periodi più caldi e molto siccitosi. Si presta molto bene alla coltivazione in serra e trova una larga diffusione commerciale sul mercato mondiale. La sua posizione tassonomica è stata oggetto, nel corso degli anni, di numerose interpretazioni da parte dei diversi specialisti in materia che, in considerazione delle proprie deduzioni, lo hanno posizionato e riposizionato in generi sempre diversi e con diversi epiteti binomiali identificativi della specie.

Ci sembra opportuno, quindi, prima di proseguire nella specifica trattazione, aprire una parentesi al fine di chiarire, specialmente per il lettore meno informato, le problematiche evolutive che, nel tempo, hanno portato e portano al riposizionamento delle specie fungine da un genere all’altro.

 

Sistematica ed evoluzione 

La sistematica è quella parte delle scienze naturali che si occupa della classificazione degli esseri viventi e dei fossili presenti in natura (funghi compresi) suddividendoli in gruppi all’interno dei quali vengono posizionati in base al possesso di caratteristiche comuni, ordinandoli gerarchicamente, come stabilito dalle norme del “Codice Internazionale di Nomenclatura per le alghe, funghi e piante” (1)(I.C.N.), essenzialmente in Regno, Divisione, Classe, Ordine, Famiglia, Tribù, Genere, Specie, Varietà, Forma. 

Inizialmente la sistematica è stata basata sull’osservazione delle caratteristiche macroscopiche di natura morfo-cromatica e, successivamente, dopo l’invenzione del microscopio e del suo perfezionamento, anche sull’osservazione dei caratteri microscopici. Tale modalità operativa, ossia i procedimenti che portano al raggruppamento delle specie fungine attraverso lo studio dei loro caratteri macro e microscopici, viene comunemente conosciuta come “Sistematica Tradizionale” [Vizzini A. ed altri, 2013]. Appare chiaro, da quanto precede, che la sistematica è una scienza che si evolve continuamente anche in funzione delle conoscenze scientifiche che caratterizzano le varie epoche che, con il passare del tempo, si affinano e perfezionano sempre di più. Di conseguenza, oggi, i metodi di studio sono notevolmente cambiati divenendo sempre più sofisticati, portando ad indagini sempre più approfondite che hanno completamente rivoluzionato la nomenclatura tradizionale [Della Maggiora M., 2019]. In particolare, oggi, la “sistematica tradizionale” è stata integrata con informazioni provenienti dall’applicazione di nuove metodologie di indagine e, in particolare, dallo studio delle macromolecole biologiche e degli acidi nucleici, dando origine ad una nuova forma di sistematica definita “Sistematica Molecolare” che si basa, soprattutto, sullo studio del DNA (Deoxyribonucleic Acid, in italiano Acido Desossiribonucleico, ADN) [Vizzini ed altri, 2013]. 

E’ ancora opportuno evidenziare che la sistematica, essendo in continua fase di evoluzione, non è soggetta all’applicazione di regole di natura rigida ed univoca che, invece, scaturendo dalla sensibilità interpretativa di ogni singolo autore, in considerazione della scuola di pensiero seguita, possono portare a conclusioni diverse ma pur sempre valide. E’ ovvio, quindi, che la “sistematica tradizionale” si presta maggiormente ad interpretazioni di natura soggettiva mentre la “Sistematica Molecolare” basata soprattutto su rilevazioni di natura scientifica porta a conclusioni oggettive sempre più corrette ed attendibili. 

Queste motivazioni, da noi riassunte in maniera succinta, hanno portato, dopo l’introduzione degli studi di natura filogenetico-molecolare, ad una totale rivoluzione nella sistematica e, di conseguenza, nella tassonomia consentendo di rilevare piccolissimi particolari diversificanti o accomunanti le varie specie fungine con ovvie e concrete modificazioni della sistematica precedentemente adottata.

Una delle specie fungine a risentire di tali importanti innovazioni che è stata, come in precedenza accennato, trasferita più volte da un genere all’altro è Agrocybe aegerita, protagonista della nostra “Riflessione Micologica”.

 

Genere Agrocybe Fayod (1889)

Al genere, la cui specie tipo è Agrocybe praecox (Pers. : Fr.) Fayod (1889), appartengono funghi di piccole, medie o grandi dimensioni, omogenei (quando cappello e gambo sono formati da struttura cellulare analoga tanto da rendere difficoltosa la netta separazione dei due elementi), morfologicamente caratterizzati da cappello convesso, liscio o fessurato ed a volte areolato; imenoforo a lamelle adnato-smarginate (Adnate: quando si uniscono al gambo per tutta la loro altezza. Smarginate: quando prima di giungere al gambo formano una piccola ansa concava); Spore in massa colore bruno-oliva, bruno-tabacco; gambo generalmente centrale, cilindrico, in alcune specie decentrato, con presenza o assenza di anello; carne Soda, elastica, più o meno spessa, fibrosa nel gambo, bianca-biancastra immutabile, odore e sapore fungini gradevoli; habitat lignicolo o terricolo. Si tratta, con eccezione per Agrocybe aegerita che vive su legno, di funghi apparentemente terricoli che si legano, in qualità di saprofiti, ai residui vegetali che decompongono traendo nutrimento.

 

Agrocybe aegerita (V. Brig.) Singer 

Lilloa 22: 493 (1951)

Accentazione: Agrócybe aegeríta

Basionimo: Agaricus aegerita V. Brig. [as ‘aegirita’], in Briganti & Briganti (1837)

 

Nome corrente: 

Secondo Index Fungorum

  • Cyclocybe aegerita (V. Brig.) Vizzini (2014) 

Secondo stato attuale delle conoscenze

  • Cyclocybe cylindracea (DC.) Vizzini & Angelini (2014) 

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Strophariaceae, genere Agrocybe.

 

Etimologia: Agrocybe dal greco agròs = campo e kybe = testa ovvero “testa dei campi” con riferimento al cappello del fungo che emerge dai campi.

Aegerita da greco aigéiros = pioppo con espresso riferimento all’habitat di crescita preferito.

Principali sinonimi: Pholiota aegerita (V. Brig.) Quél. (1872); Agrocybe cylindracea (DC) Maire (1938);  Cyclocybe aegerita (V. Brig.) Vizzini (2014).

Nomi volgari: Piopparello, Pioppino

Nomi dialetti: la specie è conosciuta con numerosi nomi dialettali che, ovviamente, variano da una località all’altra. Riportiamo, come ormai nelle nostre abitudini, solo quelli in uso nella regione Sicilia: Funcia di càccumu; Funcia di minicuccu; Funcia di chiuppu [Bonazzi, 2003].

Descrizione macroscopica

 

Agrocybe aegerita	Disegno di Giambattista Bertelli
Agrocybe aegerita Disegno di Giambattista Bertelli

Cappello di medio-grandi dimensioni, emisferico nei giovani esemplari, tendente ad appianarsi verso la maturazione fino a piano-depresso; superficie inizialmente liscia poi leggermente gibbosa, corrugata, untuosa a tempo umido, tendente a screpolare con il secco specialmente negli esemplari maturi; margine, ondulato-lobato, inizialmente involuto, poi disteso e, spesso, negli esemplari vecchi, anche revoluto; colore variabile dal bruno-fulvo più o meno scuro negli esemplari giovani, tendente a sbiadire negli esemplari maturi passando a tonalità camoscio e, ancora, a beige-biancastre; con zona discale sempre più scura e margine, in tutte le fasi di maturazione, bianco-biancastro. Imenoforotipicamente a lamelle, fitte, adnate o leggermente decorrenti per un dentino, arcuate e molto alte, intercalate da numerose lamellule (struttura lamellare di dimensioni minori che si origina dal bordo del cappello interrompendosi prima di giungere al gambo), di colore biancastro nei giovani esemplari poi, verso la maturazione, cannella ed infine di colore tabacco per le spore mature. Gambo centrale o appena eccentrico, pieno, di conformazione variabile: a volte grosso e corto, più spesso sottile e slanciato, superficie striata o, a volte, leggermente squamettata; colore bianco-biancastro con, ma non sempre, sfumature ocracee; tipico anello alto, ampio, membranoso, persistente, margine fioccoso, colore bianco con la pagina superiore spesso colorata di bruno-tabacco per il deposito sporale. Carnespessa, soda, compatta, tenace ed elastica, fibrosa nel gambo, di colore bianco, brunastro nella parte inferiore del gambo negli esemplari maturi; odore fruttato, di mosto in fermentazione; sapore gradevole.

Habitat

Specie molto comune a larga diffusione territoriale. Si riproduce, inizialmente da parassita e successivamente da saprofita, generalmente in gruppi di numerosi esemplari con crescita cespitosa, a volte anche singola o a piccoli gruppi, su tronchi vivi o morti di latifoglie quali Pioppo, Olmo, Acero, Leccio, Tiglio, Quercia ecc. Per la particolare forma di nutrizione, quale parassita, porta rapidamente a morte l’albero ospite continuando a fruttificare, come saprofita, ancora per numerosi anni sull’albero morto. Fruttifica, tipicamente, diverse volte nell’arco dell’anno. 

Commestibilità

Ottimo commestibile, ricercato ed apprezzato. Si presta molto bene alla conservazione sott’olio. E’ preferibile privarlo del gambo in quanto duro e fibroso, specialmente negli esemplari maturi. 

Caratteri differenziali

Si riconosce facilmente per la tipica crescita cespitosa su latifoglie; per il colore del cappello che varia dal bruno-fulvo negli esemplari giovani al bianco-biancastro negli esemplari adulti che si presentano spesso con la cuticola fessurata e/o areolata; per le lamelle inizialmente biancastre poi grigiastre ed infine ocra-brunastro come il colore delle spore in massa; per il gambo slanciato, cilindrico, bianco con anello tipicamente fragile, membranoso, spesso colorato di bruno sulla pagina superiore per il deposito delle spore. 

Specie simili

Si tratta di specie ben definita, molto conosciuta e difficilmente confondibile con altre specie congeneri in quanto è l’unica a crescita lignicola. Ci piace, in ogni caso, fare riferimento a quelle specie che potrebbero trarre in inganno i raccoglitori principianti:

  • Agrocybe praecox (Pers.) Fayod (1889)

Anche se a volte può crescere sopra detriti legnosi, differisce per il tipico habitat boschivo, per la crescita gregaria e non cespitosa, per l’odore poco significativo e per il sapore amarognolo

  • Agrocybe dura (Bolton) Singer (1936)

Differisce per l’habitat di crescita tipicamente terricolo; per il cappello profondamente fessurato; per il gambo attenuato alla base; per il sapore leggermente amaro.

  • Agrocybe erebia (Fr. : Fr.) Kühner ex Singer (1939) [Nome corrente: Cyclocybe erebia (Fr. : Fr.) Vizzini & Matheny (2014)] 

Differisce per l’habitat terricolo; per il cappello igrofano (quando cambia di colore in funzione del grado di umidità assorbito) e leggermente vischioso di colore bruno-rossastro; per le lamelle nettamente decorrenti anche se per breve tratto; per il gambo percorso da sottili costolature fibrillose e molto scuro alla base.

  • Armillaria mellea (Vahl : Fr.) P. Kumm. (1871)

Presenta analoga crescita lignicola ed in numerosi esemplari, differisce principalmente per il colore mielato del cappello ornato da piccole squame nella zona discale; per le lamelle di colore bianco; per l’anello più robusto e, a volte, contornato di giallo.

  • Hypholoma fasciculare (Huds. : Fr.) P. Kumm. (1871)

Specie tossica, facilmente confondibile tanto per l’habitat lignicolo quanto per la crescita fascicolata. Differisce principalmente per il cappello di colore giallo-aranciato, giallo-fulvo più scuro nella zona centrale; per il colore delle lamelle inizialmente giallo-zolfo, poi verdognolo ed infine grigio-olivastro; per l’assenza di anello.

 

Coltivazione

Come ormai avviene per numerose altre specie fungine che, come il Piopparello, ben si prestano alla coltivazione in serra, questa è facilmente realizzabile anche se, rispetto alla coltivazione di altre specie (Pleurotus ostreatusP. eryngiiAgaricus bisporus …), si presenta più laboriosa e complessa con conseguente aumento dei costi di produzione e quindi di vendita sul libero mercato. Come avviene per il Pleurotus ostreatus, è sufficiente creare il composto di fruttificazione formato da trucioli e/o residui dell’essenza arborea specifica (generalmente pioppo ma anche salice, sambuco, tiglio ecc.) inoculato, ovviamente, dal micelio fungino. Successivamente vengono formate delle balle dal peso di circa 20 – 25 Kg. avvolte in sacchi di nylon particolari sui quali vengono praticati dei tagli a croce dai quali verranno fuori gli sporofori. La fruttificazione richiede un condizionamento dell’umidità ambientale molto elevato che si ottiene con una continua e costante nebulizzazione di acqua nelle serre ove le balle vengono conservate. La produzione per balla, rispetto ad altre specie fungine, è molto bassa assestandosi su circa 8-10% del peso del prodotto, cosa che, unitamente al notevole impiego di mano d’opera durante le fasi di raccolta e di confezionamento, incide sul costo finale di vendita sul mercato [Ceccon, 2018]. 

E’ possibile procedere anche alla coltivazione domestica utilizzando supporti di varia natura già inseminati e pronti per la produzione, facilmente reperibili sul mercato commerciale [AMINT, 2007].

 

Curiosità tassonomiche e nomenclaturali

La specie ha raggiunto, relativamente alla sua posizione tassonomica, un alto livello di complessità sia per l’ubicazione nel rango dei taxa, sia per i diversi epiteti nomenclaturali assegnatile nel corso degli anni che hanno contribuito, “sballottandola” da un genere all’altro, a creare tanta confusione tra i “non addetti ai lavori” che non sempre sono riusciti a seguire con attenzione i mutamenti cui è stata sottoposta. 

Il nostro status di semplici dilettanti non ci permette, ovviamente, di assumere una posizione precisa in merito alla complessa vicenda, motivo per cui ci limitiamo a riportare cronologicamente le tappe essenziali del suo iter nomenclaturale e tassonomico, scusandoci con i lettori per eventuali nostre imprecisioni e/o omissioni. E’ opportuno però, prima di proseguire, precisare che nel tempo, come abbiamo avuto modo di rilevare dalla nostra indagine bibliografica, si sono affermati, in maniera parallela, e nell’uso comune considerati identificativi della stessa specie fungina, inizialmente due epiteti binomiali diversi: Agrocybe aegerita (2) e Agrocybe cylindracea (3) che nell’evoluzione nomenclaturale assumeranno, nel tempo, rispettivamente la denominazione di Cyclocybe aegerita e Cyclocybe cylindracea che, come già detto, nell’uso comune, divengono identificativi della specie fungina volgarmente denominata “Piopparello”. 

Ci piace quindi, per maggiore intelligibilità espositiva, analizzarne l’evoluzione cronologica: 

 

Agrocybe aegerita: (2)

  • Anno 1837 viene pubblicata una prima descrizione effettuata da Vincenzo Briganti (medico e botanico naturalista italiano – Salvitelle (Salerno) 7 giugno 1766 – Napoli 5 aprile 1836). Si tratta di descrizione postuma riportata, dopo la morte dell’autore, nell’opera “Historia Fungorum Regni Neapolitani” (pubblicazione del 1848 curata dal figlio Francesco) [Brunori ed altri, 2014] con l’originale denominazione, seguendo i canoni dell’epoca che vedevano tutti i funghi a lamelle inseriti nel Genere Agaricus, di Agaricus aegirita V. Brig. Da notare che l’epiteto assegnatole “aegirita” viene scritto con la “i” [Acquaviva ed altri, 2017]. 
  • Anno 1872 prima modifica con ricombinazione del genere ad opera di Lucien Quélet (naturalista e micologo francese – Montécheroux, 14 luglio 1832 – Hérimoncourt, 25 agosto 1899) che, nella sua opera “Mémoires de la Société d’émulation de Monthéillard”, la posiziona nel Genere Pholiota con il nome, appunto, di Pholiota aegerita (V. Briganti) Quél. Viene così sostituito anche l’epiteto identificato della specie che da “aegirita”, con la “i”, passa ad “aegerita”, con la “e” [Acquaviva ed altri, 2017]. Nuova denominazione scientifica, questa, che accompagna il nostro “protagonista” per numerosi anni ed abbandonata verso la fine degli anni ’80 ma, sebbene in disuso, ancora utilizzata, oggi, sulle etichette di alcune confezioni di funghi coltivati [Della Maggiora M., 2019].
  • Anno 1889 viene definito, ad opera del micologo svizzero Victor Fayod (Bex, 23 novembre 1860 – Blois, 28 aprile 1900) il nuovo genere Agrocybe nel quale Pholiota aegerita, ritenuta possedere caratteristiche più confacenti al nuovo genere, viene riposizionata con la nuova denominazione di Agrocybe aegerita [Della Maggiora M., 2019]. 
  • Anno 1951 è, però, ad opera di Rolf Singer (Botanico e micologo tedesco, Schliersee, 23 giugno 1906 – Chicago, 18 gennaio 1994) il quale su “Lilloa”, rivista argentina di botanica e micologia, propone una notevole revisione sistematica delle specie agaricoidi, che la nuova definizione di Agrocybe aegerita (V. Brig.) Singer si afferma definitivamente. Questa ricombinazione viene ufficialmente attribuita, dalla letteratura micologica esistente, al micologo Singer [Della Maggiora M., 2019]. Ancora oggi l’epiteto è largamente utilizzato da numerosi appassionati di micologia. 
  • Anno 2014 nuovo cambio di genere: il nostro “Piopparello” viene posizionato nel GenereCyclocybe, con la denominazione di Cyclocybe aegerita (V. Brig.) Vizzini, utilizzata alla data attuale (20 maggio 2020) da Index Fungorum

 

Agrocybe cylindracea (3)

  • Anno 1815 nasce, come nuova specie, ad opera di Augustin Pyrame de Candolle (micologo e botanico svizzero, Ginevra, 4 febbraio 1778 – 9 settembre 1841) Agaricus cylindraceus De Candolle. La descrizione della specie, come successivi studi, effettuati dopo numerosi anni, hanno dimostrato, risulta essere abbastanza sovrapponibile alla descrizione di Agaricus aegeritadi Briganti che, ricordiamo, è successiva risalente all’anno 1837. Le due specie, in ogni caso, continuano ad avere una propria individuale e separata storia per tutto il secolo e buona parte del secolo successivo. [Della Maggiora M., 2019].
  • Anno 1876 prima ricombinazione di A. cylindraceus, ad opera di Claude-Casimir Gillet (Botanico e micologo francese, Dormans, 19 maggio 1806 – Alençon, 1º settembre 1896) nel genere Pholiota con la denominazione di Pholiota cylindracea (DC) Gillet
  • Anno 1938 nuova ricombinazione nel genere Agrocybe con l’epiteto Agrocybe cylindracea (DC) Maire, ad opera di Ernest Maire (René Charles Joseph Ernest Maire, botanico e micologo francese, Lons-le-Saunier, 1878 – Algeri, 1949) il quale, contestualmente, propone anche la sinonimia con Agrocybe aegerita. Il nuovo epiteto però, nonostante prioritario rispetto a A. aegerita (Agrocybe cylindracea deriva da Agaricus cylindraceus del 1815 mentre Agrocybe aegerita deriva da Agaricus aegerita del 1837), viene poco utilizzato, per motivi diversi, per quasi tutto il secolo [Della Maggiora M., 2019].
  • Anno 1995 alcuni autori iniziano ad usare l’epiteto Agrocybe cylindracea (DC.) Maire 1938 che, con il passare degli anni assume, specialmente a far data dagli anni 2000, un uso sempre più corrente ed assiduo [Della Maggiora M., 2019]. 
  • Anno 2014 come rilevabile da un approfondito e dettagliato articolo pubblicato su Rivista di Micologia Romana, viene utilizzato l’epiteto binomiale Cyclocybe cylindracea (DC.) Vizzini e Angelini (2014) [Vizzini ed altri, 2014] che dovrebbe essere l’epiteto definitivo ed attualmente in uso.

 

A questo punto nasce un dubbio: Cyclocybe aegerita (derivante da Agaricus aegerita di Briganti) e Cyclocybe cylindracea (derivante da Agaricus cylindraceus di De Candolle) sinonimizzati da Maire nel 1938 sono da considerare riferiti alla stessa specie o no? Index Fungorum, autorevole portale in materia di micologia, alla data odierna (20 maggio 2020 – vedi schema) continua a considerarle specie diverse!!! 

Non è finita qui!!!. Si rende necessario un ulteriore chiarimento:

Il genere Cyclocybe (4) e Cyclocybe cylindracea

Negli ultimi due decenni, come ormai noto a quanti si occupano di micologia, la sistematica fungina e quindi anche la tassonomia hanno subito una radicale trasformazione per il notevole impulso che il mondo della micologia ha ricevuto dalla applicazione della filogenesi molecolare allo studio dei funghi aprendo nuove frontiere e rimesso in discussione le tradizionali forme di raggruppamento dei funghi. Difatti oggi è possibile, grazie alle tecniche di estrazione ed esame del DNA fungino, determinare la corretta discendenza di ogni singola specie stabilendo se nei vari raggruppamenti sono inserite specie monofiletiche (quando discendono da un unico capostipite) o polifiletiche (quando discendono da capostipiti diversi), provvedendo, di conseguenza, ad effettuare le dovute modifiche per la creazione di gruppi sempre più omogenei.

Relativamente alle specie fungine posizionate nel genere Agrocybe, rileviamo che i primi studi di natura filogenetica furono condotti verso la fine degli anni ‘90 evidenziando una notevole eterogeneità delle varie specie che, di conseguenza, sono state raggruppate in quattro gruppi con caratteristiche filogenetiche tra di loro omogenee [Della Maggiora M., 2019].

Recentemente un gruppo di studiosi italiani: Alfredo Vizzini, Claudio Angelini e Enrico Ercole, ha condotto un approfondito studio sulle sezioni Velate ed Aporus del sottogenere Aporus del genere Agrocybe [Cfr.Vizzini A. ed altri, 2014], riuscendo a dimostrare, in maniera molto chiara, come il genere Agrocybe di Fayod raggruppi specie fungine con caratteristiche diverse tanto da consentire la creazione di nuovi gruppi. E’ risultato, dall’esame di numerose raccolte relative a specie determinate come “Piopparello” che queste hanno caratteristiche genetiche diverse da quelle appartenenti al genere Agrocybe e che, pertanto, devono trovare posto in un genere diverso. Quindi, effettuati i dovuti studi, è stato individuato come genere idoneo ad ospitare tali specie il genere Cyclocybe, (4) creato nel 1939 dal micologo Joseph Velenovsky nel quale vengono ricombinate le seguenti specie già appartenenti al genere AgrocybeCyclocybe erebia che assume la configurazione di specie tipo, Cyclocybe aegerita,Cyclocybe cylindraceaCyclocybe parasiticaCyclocybe salecaceicola [Cfr. Schema n. 1]. 

 

Specie afferenti al Genere Cyclocybe
Specie afferenti al Genere Cyclocybe

 

Considerazioni, dubbi e conclusioni

Avviandoci verso la conclusione della nostra “Riflessione Micologica” su questa contorta ed intricata vicenda che nel tentativo di fare chiarezza forse ha ingenerato numerosi altri dubbi, riponiamo l’interrogativo: Cyclocybe aegerita (derivante da Agaricus aegerita di Briganti) e Cyclocybecylindracea (derivante da Agaricus cylindraceus di De Candolle) già sinonimizzate da Ernest Maire nel 1938, sono da considerare riferiti alla stessa specie e quindi tra di loro sinonimi? O sono, invece, epiteti identificativi di due specie diverse come la ricombinazione separata nel genere Cyclocybe lascia dedurre???

In merito rileviamo che l’approfondito studio filogenetico condotto da Vizzini ed altri (2014) non conferma né, tantomeno, smentisce la sinonimia tra i due taxa [Cfr. Vizzini e altri, 2014 – Della Maggiora, 2019] che, in conseguenza degli studi condotti, vengono posizionati in due gruppi distinti detti cladi: uno rappresentato con certezza da una sola specie, l’altro, più eterogeneo, forse da due o più specie non ancora ben definite ed in attesa, quindi, di ulteriori indagini. [Vizzini A. ed altri, 2014 – Della Maggiora M., 2019]. La soluzione proposta, che riteniamo temporanea in attesa che gli studi vengano completati, identifica il clade con una sola specie con la denominazione di Cyclocybe cylindracea riferita a raccolte di “Piopparello” rinvenute su colture arboree appartenenti alla famiglia delle Salicaceae ovvero Pioppo e Salice; mentre il secondo clade, nel quale vengono posizionate specie legate a colture arboree diverse dalle Salicaceae come Fagaceae o Ficus, almeno per il momento ed in attesa di ulteriori indagini, viene identificato come Cyclocybe parasitica nel caso in cui dovesse risultare monospecifico o messo ancora in discussione, come è probabile prevedere, nel caso in cui fosse formato da più specie [Della Maggiora M., 2019]. 

Relativamente a Cyclocybe aegerita non è possibile, al momento ed in considerazione del fatto che non esiste un typus d’erbario da cui estrarre e confrontare il DNA, stabilire se trattasi o meno di un sinonimo di Cyclocybe cylindracea o se si tratta, invece, di una delle specie non ancora identificate e nascoste nel secondo clade [Della Maggiora M., 2019] rimanendo, pertanto, chissà ancora per quanto tempo…”in attesa di giudizio”.

Per quanto sopra riteniamo, di conseguenza, che l’argomento debba essere ulteriormente approfondito e studiato al fine di fare luce su questa interessante ed intricata vicenda ed auspichiamo che i nostri illustri ed attenti connazionali abbiano a completare, felicemente ed in tempi brevi, la loro accurata ed interessante ricerca.

E’ doveroso precisare che, alla data attuale (20 maggio 2020), il nome corrente attribuito al “Piopparello” utilizzato da Index Fungorum è Cyclocybe aegerita mentre quello scaturente dallo stato attuale degli studi è Cyclocybe cylindracea che identifica correttamente carpofori legati quali parassiti o saprofiti a colture arboree del genere Pioppo e Salice.

In conclusione, quindi, gli epiteti Agrocybe aegeritaAgrocybe cylindracaCyclocybe aegerita e Cyclocybe cylindracea, al momento vengono abitualmente riferiti, nella quotidianità espressiva, alla stessa specie fungina, quella comunemente conosciuta su tutto il territorio nazionale con la denominazione volgare di “Piopparello”. 

E’ opportuno evidenziare, considerato che le nostre “Riflessioni Micologiche” sono frutto di limitate e dilettantistiche conoscenze in materia, che quanto sopra riportato è solo il risultato della nostra ricerca mico-bibliografica e delle nostre soggettive interpretazioni, motivo per cui invitiamo il lettore, per eventuali approfondimenti, a consultare la letteratura specifica indicata in bibliografia [Cfr. Vizzini e altri, 2014 – Della Maggiora M., 2019].

Ad ogni buon fine, poiché non riusciamo più ad orientarci nei meandri di questa complicata vicenda, rimanendo legati alla tradizione ed alle nostre originarie conoscenze in materia, continuiamo a chiamare il protagonista della nostra “Riflessione Micologica” come abbiamo sempre fatto: Agrocybe aegerita o meglio, ancor più semplicemente, “Piopparello”, scusandoci con gli autorevoli autori delle varie denominazioni e ricombinazioni ai quali intendiamo rivolgere un grazie di cuore per il notevole impegno e gli studi approfonditi che come sempre, ed ancora una volta, hanno consentito di varcare le frontiere della micologia. 

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  1. Il “Codice Internazionale di Nomenclatura per le alghe, funghi e piante” (ICN) viene realizzato e mantenuto aggiornato da botanici provenienti da tutto il mondo che si riuniscono ogni 5 – 6 anni in una sessione precongressuale del Congresso Internazionale di Botanica. Il Codice attuale è stato formalizzato nel Congresso di Shenzhen (Cina) nel mese di luglio 2017 ed è operativo dall’anno 2018; è anche conosciuto semplicemente come “Codice di Shenzhen”; sostituisce il precedente “Codice di Melbourne” che è rimasto in vigore dal 2012 al 2017, apportando, con la sua adozione, significative modifiche al codice precedentemente in vigore che veniva chiamato “Codice Internazionale di Nomenclatura Botanica” (I.C.B.N. – International Code of Botanic Nomenclature) la cui denominazione venne cambiata durante lo stesso Congresso di Melbourne [Miceli A., 2020].
  2. Agrocybe aegerita ricombinazione dell’originario Agaricus aegirita Briganti 1837, ricondotta a Pholiota aegeritada Quelét nel 1872, ad Agrocybe aegerita da Fayod nel 1889 e a Cyclocybe aegerita da Vizzini nel 2014.
  3. Agrocybe cylindracea si tratta di una ricombinazione dell’originario Agaricus Cylindraceus DC. 1815 che nel 1876 fu ricondotto, ad opera di Claude-Casimire Gillette nel genere Pholiota con la denominazione di Pholiota cylindracea (DC.) Gillet e, successivamente, nel 1938, da Ernest Maire, nel genere Agrocybe con la denominazione di Agrocybe cylindracea (DC.) Maire [Della Maggiora M., 2019] ed ancora nel 2014 a Cyclocybe cylindracea da Vizzini.
  4. Genere Cyclocybe Velen. (1939), istituito nel 1939 da Joseph Velenovsky (botanico e micologo ceco, 22 aprile 1858 – 7 maggio 1949) ha inglobato, tra le specie già esistenti nel genere, dopo recenti ed approfonditi studi di natura filogenetico-molecolare, specie fungine già appartenenti al Genere Agrocybe, caratterizzate da “grandi dimensioni, da anello membranoso e da spore con poro germinativo rudimentale o assente” [Vizzini ed altri, 2014], tra le quali anche Agrocybe aegerita che, ovviamente, come accertato dagli studi condotti, presenta tali caratteristiche.

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Foto: Renzo Burlandi, Angelo Miceli, Emilio Pini

Tavole micologiche: Giambattista Bertelli, gentilmente concesse dal figlio Aldo

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Bibliografia

  • Acquaviva Giovanni, Stagioni Pier Luigi, 2017: Scherzi di nomenclatura micologica. Il Fungo, Periodico del Gruppo Micologico e Naturalistico “Renzo Franchi” Anno XXXV, settembre 2017, n. 2: 30-35. Reggio Emilia. I
  • A.G.M.T. – 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. (ristampa 2010) Giunti editore, Firenze. I
  • Bertinaria Giorgio, Tizzoni Renato, Zorio Piero, 2020: Atlante dei funghi del Biellese. Gruppo Micologico Biellese. E20Progetti Editore, Biella. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. (ristampa 2013) Zanichelli, Bologna. I
  • Bonazzi Ulderico, 2003Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Buda Andrea, 2011: I funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I.
  • Brunori Andrea, Cassinis Alessandro, 2014: I funghi nella storia. Sandro Teti Editore, Roma. I
  • Ceccon Pieremilio, 2018: La coltivazione del piopparello. Passione Funghi & Tartufi. Maggio 2018 n. 82: 38-41. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Della Maggiora Marco, 2019: I molteplici cambi di nome scientifico del pioppino. Cerchiamo di chiarirne le ragioni. Andiamo a funghi – Rivista del Gruppo Micologico Camaiorese. 15: 5-20. Camaiore (LU). I
  • ICN – 2018: International Code of Nomenclature for algae, fungi, and plants (Shenzhen Code) 
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria – 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Miceli Angelo, 2020: Tricholoma portentosum (Fr. : Fr.) Quél. (1873). In ADSeT (https://www.adset.it/articoli/angelo-miceli/601-tricholoma-portentosum-fr-fr-quel-1873)
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I 
  • Vizzini Alfredo, Angelini Claudio, Ercole Enrico, 2014: Le sezioni Velatae e Aporus di Agrocybe sottogenere Aporus. Rivalutazione del genere Cyclocybe Velen. ed una nuova specie. RMR– Rivista di Micologia Romana, Bollettino dell’Associazione Micologica ed Ecologica Romana (AMER) Anno XXX. n. 92 (2): 21-38. Roma. I
  • Vizzini Alfredo, Ercole Enrico, 2013: DNA e sistematica. Annali Micologici A.G.M.T. anno 2013 n. 6: 63 – 81. Santa Croce sull’Arno (PI). I

Sitografia

  • Acta Plantarum (ultima consultazione, maggio 2020): Etimologia dei nomi botanici e micologici e corretta accentazione. www.actaplantarum.org/etimologia/etimologia.php.
  • ADSeT (ultima consultazione, maggio 2020): Associazione Dirigenti Scolastici e Territorio. www.adset.it
  • AMINT (ultima consultazione maggio 2020) Associazione Micologica Italiana Naturalistica e Telematica. www.funghiitaliani.it
  • IF (ultima consultazione, maggio 2020): Indexfungorum databasewww.indexfungorum.org
  • MB (ultima consultazione, maggio 2020) Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks www.mycobank.org

Grifola frondosa (Dicks. : Fr.) Gray (1821)

Comunemente conosciuto, fin dai tempi più antichi, dai popoli orientali come “Maitake”, ovvero “Fungo danzante” (in giapponese: mai = danza; take = fungo) in quanto – la leggenda tramanda – il fortunato ricercatore che si imbatteva nel suo ritrovamento, per la rarità dello stesso, per le sue riconosciute proprietà medicinali e per il suo valore materiale (era considerato merce di scambio), si metteva a danzare per l’immensa gioia provata.(1) Si tratta di specie non comune che raggiunge dimensioni e peso notevoli attraendo l’interesse dei micologi, dei micofili e dei numerosi micofagi che la utilizzano, specialmente conservata sott’olio, per usi alimentari: Grifola frondosa occupa un posto d’onore nel gruppo informale dei Polipori(2) divenendo, in questo contesto, protagonista della nostra “Riflessione Micologica”.

Genere Grifola Gray (1821)

Al genere appartengono basidiomi di grandi dimensioni, annuali (quando durano una sola stagione esaurendo il proprio ciclo vitale a conclusione del periodo di accrescimento), lignicoli, muniti di un grosso gambo principale che ramificandosi alla base dà origine a numerosi piccoli gambi che sostengono singoli basidiomi di colore bruno-ocraceo reniformi o spatolati [Bernicchia A., 2005]. Sono caratterizzati da superficie sterile leggermente tomentosa o glabra di colore grigio-brunastra; superficie fertile composta da tubuli decorrenti sul gambo con pori angolosi di colore bianco-crema [Bernicchia A., 2005 – Berniccha A. ed altri, 2020 – Consiglio G. e altri, 2009]. Parassiti di latifoglie e conifere, agenti di carie bianca (3) [Bernicchia A., 2005 – Bernicchia A. ed altri, 2020].

Grifola frondosa (Dicks. : Fr.) Gray,

Nat. Arr. Brit. Pl. (London) 1: 643 (1821)


Accentazione: 
Grífola frondòsa

Basionimo: Boletus frondosus Dicks. 1785

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Polyporales, famiglia Grifolaceae, genere Grifola


Etimologia: Grifola dal greco gríphos = rete, intreccio di giunchi; Frondosa dal latino frondosus = frondoso, ricco di fronde [Acta Plantarum, 2019]. Grifola frondosa = intreccio di fronde, con espresso riferimento alla conformazione morfo-strutturale.

Principali sinonimi: Boletus cristatus Gouan (1762); Boletus frondosus (Dicks (1785); Agaricus frondosus (Dicks.) Schrank, (1786); Polyporus frondosus (Dicks.) Fr. (1821); Polypilus intybaceus (Fr.) P. Karst. (1882); Grifola albicans Imazeki (1943);

Nomi volgari: Grifola, Fungo del pane [Buda A., 2017]; Griffone, Fungo reale [Bonazzi U., 2003]; Fungo alato [Lavorato C. e altri, 2004].

Nomi dialettali: tra la miriade di nomi dialettali in uso nelle varie provincie italiane, ci piace ricordare, anche per la nostra appartenenza territoriale, “Agniddina”, in uso nel territorio di Fiumedinisi (Messina); “Rinasca”, dialetto messinese.

Descrizione macroscopica

Carpoforo 

di grandi dimensioni, munito di una grossa base comune dalla quale hanno origine numerose ramificazioni atte a sorreggere altrettante lamine a forma di petali tra di loro sovrapposte che, nell’insieme, assumono l’aspetto di un cespo ramificato in numerosi ventagli.

Cappello 

costituito da numerosi ventagli stipitati, di piccole-medie dimensioni, a forma di petali, di spatola o di ventaglio, sovrapposti uno sull’altro costituendo, nell’insieme, una fruttificazione che può raggiungere dimensioni e peso considerevoli, caratterizzati, singolarmente, da:

Superficie sterile 

vellutata, fibrillosa, rugolosa, appena zonata, inizialmente di colore bruno-ocraceo, grigio-nocciola, bruno-grigiastro tendente a scurire verso la maturazione; margine ondulato-lobato, a volte fessurato, di colore più chiaro.

Superficie fertile

imenoforo a tubuli monostratificati, corti e fitti, decorrenti sul gambo, inizialmente di colore biancastro, poi, verso la maturazione, crema. Pori piccoli, tondeggianti, deformati ed allungati in prossimità del gambo, più ampi ed angolosi a maturazione; concolori ai tubuli. 

Gambo

centrale, eccentrico o laterale, a seconda della tipologia del substrato di crescita, formato da un ceppo principale, corto e robusto, bianco e carnoso, dal quale hanno origine varie biforcazioni e ramificazioni che si protendono verso l’alto sorreggendo, alla sommità, un cappello petaliforme.

Carne

bianca, di consistenza variabile a seconda delle diverse parti del carpoforo: dura, tenace e fibrosa nel gambo, fragile e carnosa nei singoli cappelli. Odore intenso, fungino e sapore gradevole negli esemplari giovani; verso la maturità i caratteri organolettici si modificano manifestando odore e sapore sempre più sgradevoli e nauseabondi.

Habitat

Fruttifica, dalla fine dell’estate ad autunno inoltrato, inizialmente in qualità di parassita – agente di carie bianca – e successivamente, dopo la morte dell’albero ospite, come saprofita, alla base di latifoglie prediligendo quelle appartenente al genere Castanea, Fagus e Quercus (nel territorio messinese, nostra zona di operatività per la ricerca fungina, la specie fruttifica tipicamente in associazione con colture arboree di Castagno). E’ specie poco diffusa ma fedele ai luoghi di crescita anche se non fruttifica tutti gli anni. I basidiomi hanno una crescita molto rapida raggiungendo, nell’arco di pochi giorni, dimensioni e peso notevoli. 

Commestibilità

Ottimo e ricercato commestibile con l’accortezza di utilizzare le parti carnose di esemplari molto giovani. Viene consumato fritto in padella o conservato sott’olio o sotto aceto.

Caratteri differenziali

Si riconosce facilmente per le grandi dimensioni; per il cappello costituito da numerosi petali di piccole-medie dimensioni; per il gambo dal quale si dipartono numerose ramificazioni che sostengono i singoli elementi del carpoforo. 

Specie simili

  • Polyporus umbellatus (Pers. : Fr.) Fr. (1821)
Polyporus umbellatus Foto Nicolò Oppicelli
Polyporus umbellatus Foto Nicolò Oppicelli

Differisce per i singoli cappelli di dimensioni minori con forma irregolarmente circolare ed imbutiformi.

  • Meripilus giganteus (Pers. : Fr.) Karst. (1882)

Differisce per i singoli cappelli che si presentano coriacei, con dimensioni maggiori, superficie bruno-rossastra, ruvida e zonata, tendente, come la zona imeniale, ad annerire verso la maturazione ed al tocco.

Coltivazione

Le prime tecniche di coltivazione della Grifola frondosa risalgono agli anni ‘70 del secolo scorso ed hanno subito evidenziato come la specie ben si presta ad essere prodotta in serra. Dal punto di vista amatoriale è sufficiente inoculare il micelio fungino in ceppi di legno, è preferibile utilizzare Castagno, Quercia, Faggio ma vanno bene anche altre colture arboree di latifoglia: lasciare il micelio in incubazione ad una temperatura di 21-24° centigradi per circa 60 giorni ed infine interrare i ceppi in un angolo del giardino. Si può anche procedere utilizzando substrato artificiale sterilizzato composto da segatura e residui vegetali di latifoglie. 

La coltivazione intensiva della specie si concentrò prima nel territorio giapponese negli anni 80, poi fu diffusa nelle altre nazioni orientali, inizialmente per scopi alimentari e, successivamente, considerato il notevole uso locale, anche per fini medico-terapeutici, raggiungendo, oggi, una produzione annuale considerevole.

Proprietà terapeutiche

Da sempre conosciuto ed utilizzato nei paesi orientali per le sue proprietà medicinali, divenne oggetto di studio negli anni ’80, inizialmente ad opera del micologo giapponese Miroaki Amba e successivamente da parte di diversi centri di ricerca che hanno accertato l’efficacia del suo utilizzo in diverse patologie come, ad esempio, nel trattamento dei tumori della prostata e della mammella con azione preventiva e di rallentamento della crescita tumorale. Inoltre, in considerazione dei numerosi principi attivi in esso contenuti, stimola il sistema immunitario, limita l’assorbimento degli zuccheri, aiuta a contrastare il colesterolo, esercita azione ipotensiva sulla pressione arteriosa, può essere efficace nella prevenzione e nel trattamento delle patologie epatiche, può essere utilizzato, quale coadiuvante, nel trattamento del sovrappeso e dell’obesità. [Cazzavillan S., 2011]. 

Note e curiosità

Per la sua particolare crescita in gruppo che ricorda, nell’insieme, la conformazione della coda lanuginosa di una gallina che cova, viene comunemente chiamato, dalle popolazioni anglosassoni, “hen of the wood” ovvero “Gallina dei boschi” o anche, ma in maniera meno frequente, “sheep’s head” (testa di pecora) [Cazzavillan S., 2011]. 

E’ una specie, come già detto, che può raggiungere peso e dimensioni notevoli. Le testate giornalistiche nazionali hanno più volte dato notizia di ritrovamenti eccezionali anche se, riteniamo per errata determinazione della specie, erano spesso da riferirsi a Meripilus giganteus.

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  1. E’ solo una delle versioni che circolano nei paesi orientali; altra versione riconduce alla forma del fungo che, nel suo insieme, appare come una nuvola di farfalle danzanti [Cazzavillan S., 2011].
  2. Polipori, gruppo informale estremamente eterogeneo e polifiletico (quando le specie inserite nel gruppo non discendono da un unico antenato), che ospita specie fungine caratterizzate da imenoforo a tubuli non asportabile dalla carne soprastante con la quale forma un insieme strettamente omogeneo; i pori, a seconda delle varie specie, possono essere di forma regolare, arrotondata o irregolare e più o meno allungata. Nel gruppo trovano posto tanto basidiomi privi di gambo (sessili) quanto muniti di gambo (stipitati) che, in tal caso, può essere posizionato centralmente o lateralmente [Boccardo F. e altri, 2008; Miceli A., 2018].
  3. Carie bianca, Patologia tipica di numerose culture arboree anche da frutto causata dalla penetrazione del micelio di diverse poliporacee che inserendosi attraverso lesioni o ferite della corteccia raggiunge rapidamente il legno dell’albero ospite che imbrunisce, perde la propria consistenza diminuendo di volume e con formazione di cavità interne [Goiadanich G., 1975].

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Foto: Aleksander Bolbot, Raffaele Mininno, Nicolò Oppicelli, Giovanni Pandolfino che si vuole ringraziare per la cortese disponibilità

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Bibliografia

  • Angeli Pierluigi, 2010: I funghi della medicina popolare tradizionale e contemporanea. Annali Micologici A.G.M.T. Anno 2010 n. 3: 30-39. A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), Settignano (FI). I
  • Bernicchia Annarosa, 2005: Polyporaceae s. l.. Edizioni Candusso, Alassio (SV). I
  • Bernicchia Annarosa, Gorjón Sergio Pérez, 2020: Polypores of the Mediterranean Region. Romar Edizioni, Segrate Milano. I
  • Bissanti Guido, Grifola frondosa. In Un Mondo Ecosostenibile. http://antropocene.it/2019/01/12/grifola-frondosa/
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. (ristampa 2013). Zanichelli, Bologna. I 
  • Bonazzi Ulderico, 2003Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Buda Andrea, 2017: I funghi degli Iblei. Vol. 2. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Cazzavillan Stefania, 2011: I funghi medicinali – dalla tradizione alla scienza. Nuova Ipsa Editore Srl, Palermo. I
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2009: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 3. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Goidànich Gabriele, 1975: Manuale di patologia vegetale. Vol. II. Edizioni Agricole, Bologna. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria, 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Matteucci Sergio, 2019: I giganti del sottobosco. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 12: 7 – 13, Ponte a Moriano (LU). I
  • Miceli Angelo, 2018: Inonotus hispidus. Passione Funghi & Tartufi. Novembre 2018 n. 88: 40 – 43. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I – Consultabile anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (https://www.adset.it/articoli/angelo-miceli/536-inonotus-hispidus-bull-p-karst-1879)
  • Oppicelli Nicolò – 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Genova.
  • Oppicelli Nicolò2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara. I

Sitografia