Fomitopsis iberica

Di Angelo Miceli e Carmelo Di Vincenzo
Centro di Cultura micologica – Messina

Premessa

L’elenco delle numerose specie fungine censite nel territorio boschivo messinese si arricchisce, a seguito di un recente ed interessante ritrovamento avvenuto sui Monti Peloritani, in prossimità della città di Messina, di una nuova entità che sottoposta ad accertamenti di natura macro e microscopica è stata correttamente determinata quale Fomitopsis iberica, specie fungina a crescita lignicola inserita nel gruppo informale dei Polipori, ritenuta, dalla letteratura micologica, almeno fino a qualche anno fa, specie molto rara (1) [Bernicchia A., 2005].

I Polipori

Denominazione informale riferita ad un raggruppamento di comodo estremamente eterogeneo e polifiletico (quando le specie inserite nel gruppo non discendono da un unico antenato) che ospita specie fungine caratterizzate da imenoforo a tubuli non asportabile dalla carne soprastante con la quale forma un insieme strettamente omogeneo. I pori, a seconda delle varie specie, possono essere di forma regolare, arrotondata o irregolare e più o meno allungata. Nel gruppo trovano posto tanto basidiomi privi di gambo (sessili) quanto muniti di gambo (stipitati) che, in tal caso, può essere posizionato centralmente o lateralmente [Boccardo F. e altri, 2008; Miceli A., 2018].

 

Genere Fomitopsis P. Karst. 1881

Al genere, la cui specie tipo é Fomitopsis pinicola Swartz, appartengono funghi lignicoli che, nella conformazione morfologica generale, sono simili alle specie fungine appartenenti al genere Fomesda cui ne derivano la denominazione (Fomitopsis = simile al Fomes), caratterizzati da crescita lignicola annuale (quando la crescita dura una sola stagione ed il ciclo vitale si esaurisce a conclusione del periodo di accrescimento) o pluriennale (quando l’accrescimento si protrae per più anni consecutivi aggiungendo, anno dopo anno, nuovi strati di crescita su quelli già esistenti), raggiungendo, a volte, anche dimensioni notevoli ed imponenti. Si presentano a forma di mensola, di zoccolo o dimidiati (a forma semicircolare) sessili (privi di gambo) a volte singola ma generalmente in più esemplari sovrapposti uno all’altro (imbricati). La superficie sterile, posizionata nella zona superiore dei singoli esemplari, si presenta liscia o solcata e caratterizzata da zonature di varie colorazioni che spaziano dal bruno al rosso-rossastro, all’azzurro, al giallo ocra con sfumature più o meno intense, con consistenza legnosa e coriacea. La superficie fertile, posizionata nella parte inferiore del carpoforo, è caratterizzata da tubuli e pori tra di loro concolori e con varie colorazioni che vanno dal bianco-biancastro al rosa più o meno carico o tendenti all’ocraceo. Fruttificano indifferentemente su conifere e latifoglie in vita o morte ed in fase di decomposizione, assumendo, inizialmente, la conformazione di funghi parassiti, agenti di carie bruna (2) e, successivamente, dopo la morte dell’albero ospite, la conformazione di funghi saprofiti.

Il sistema ifale (3) varia, a seconda delle singole specie fungine, da dimitico a trimitico ed è caratterizzato dalla presenza di ife generatrici (4), scheletriche (5) e connettive (6) ialine (quando si presentano incolore ed assumono un aspetto più o meno trasparente tendenzialmente simile alla trasparenza del vetro) con presenza di giunti a fibbia (7) nelle sole ife generative. Spore lisce, ialine con forma cilindrico-subglobosa.

 

Fomitopsis iberica Melo & Ryvarden 

Boll. Soc. broteriana, 2a série 62: 228 (1989)

Accentazione: Fomitópsis ibérica

Basionimo: Fomitopsis iberica

 

Posizione sistematica:

Divisione Basidiomycota, classe Agaricomycetes, ordine Polyporales, famiglia Fomitopsidaceae, genere Fomitopsis.

 

Etimologia: Fomitopsis da Fomes con riferimento al genere fungino Fomes e dal greco òpsis = somiglianza, quindi simile ad un Fomes per la somiglianza con tale genere. Iberica con riferimento alla Penisola Iberica, luogo del suo primo ritrovamento.

Principali sinonimi: Pilatoporus ibericus (Melo & Ryvarden) Kotl. & Pouzar, (1993).

 

Descrizione macroscopica:

 

Basidioma a crescita annuale, privo di gambo (sessile), a forma semicircolare (dimidiato), di piccole dimensioni e crescita a volte singola ma generalmente in numerosi esemplari sovrapposti uno sull’altro (imbricati), di consistenza inizialmente carnoso-fibrosa poi, verso la maturazione, suberoso-legnosa. Parassita-saprofita su numerose colture arboree, agente di carie bruna. (2)

Superficie sterile rugosa, con piccole protuberanze e zonature, vellutata e leggermente tomentosa, poi liscia. Inizialmente di colore bianco-biancastro-cremaceo poi, verso la maturazione, tendente a scurire verso tinte ocraceo o bruno chiaro. Il margine si presenta ampio, arrotondato, a volte ondulato, di colore bruno-grigiastro o ocra scuro.

Superficie fertile a tubuli monostratificati di colore bianco crema tendenti all’ocraceo con pori piccoli, con forma più o meno circolare ma tendenti ad allungarsi, concolori ai tubuli. A volte secerne piccole goccioline acquose rilevabili negli esemplari in fase di maturazione.

Contesto fibroso, tendente ad assumere, verso la maturazione, consistenza suberoso-legnosa, leggermente zonato di colore bianco-biancastro. Odore intenso.

Gambo: assente. Basidiocarpi sessili.

Descrizione microscopica

Presenta un sistema ifale trimitrico costituito da ife generatrici ialine con giunti a fibbia; ife connettive ialine, con andamento tortuoso e molto ramificato; ife scheletriche ialine o leggermente giallastre con andamento rettilineo o leggermente sinuoso. Spore ialine con presenza di guttule lisce, da cilindriche a fusiforme.

Habitat: indifferentemente su conifere e latifoglie. Inizialmente ritenuta specie molto rara è stata oggetto, nel tempo, di diversi ritrovamenti nel territorio italiano sempre più frequenti associata a numerose colture arboree appartenenti a diversi generi quali, ad esempio: Fagus (Faggio), Pinus(Pino), Quercus (Quercia), Betula (Betulla), Abies (Abete), Corylus (Nocciolo), Cytrus (Cedro).

Curiosità tassonomiche

Fu descritta, per la prima volta, nel 1989 a seguito di primi ritrovamenti nella penisola Iberica seguiti da altri in Portogallo, Francia, Italia e Austria e ritenuta specie molto rara e legata a colture arboree appartenenti al genere Quercus e Pinus. Successivamente vengono segnalate diverse ulteriori raccolte nella Repubblica Ceca, in Slovacchia, Romania ed Iran in associazione a specie arboree appartenenti al genere Carpinus (Carpino) e Fraxinus (Frassino) [Vampola P., 1996]. Lo studio delle nuove raccolte evidenzia che si tratta di basidiocarpi a crescita annuale con contesto bianco-biancastro e superficie sterile liscia e priva di incrostazioni. Tali elementi, unitamente ad altri di carattere microscopico, vengono considerati fondanti per rimodularne la posizione sistematica nel genere Pilatoporus Kotlaba e Pouzar 1990 con l’epiteto di Pilatoporus ibericus (Melo & Ryvarden) Kotl. & Pouzar (1993) visto che il genere Fomitopsis P. Karst. 1881 è piuttosto eterogeneo ospitando specie sia a crescita annuale sia a crescita pluriennale [Vampola P., 1996]. Il nuovo epiteto, alla data attuale, viene considerato sinonimo nomenclaturale.

Commestibilità: NON commestibile, legnoso.

 

Caratteri differenziali

Facilmente riconoscibile per la crescita lignicola di numerosi esemplari semicircolari in forma sovrapposta; per la consistenza gommosa; per l’odore intenso, per la superficie superiore di colore bianco-biancastro; per la superficie poroide caratterizzata da pori piccoli.

Specie simili

Le specie che maggiormente si avvicinano alle caratteristiche morfo cromatiche ed appartenenti allo stesso genere sono F. palustrisF. nivosaF. meliae, tutte specie americane [Bernicchia A., 2005].

 

Ritrovamento attuale 

Data del ritrovamento: 13 giugno 2020;

Ritrovatore: Carmelo Di Vincenzo (socio del Centro di Cultura Micologica – Messina);

Luogo del ritrovamento: Piano Rama, Colli San Rizzo, comune di Messina;

Habitat: bosco misto naturalizzato prevalentemente formato da Quercus ilexQuercus pubescens ePinus pinea e in misura minore da Quercus suberAcacia melanoxylon e Arbutus unedo. L’Erica arborea costituisce il sottobosco.

Substrato: ceppaia morta di Pino domestico (Pinus pinea).

La stazione di rinvenimento si trova a quota 400 m. slm, coordinate geografiche: N. 38° 13’ 7.456”; E. 15° 30’ 59.0328”, presenta esposizione ad Est.

Il complesso boscato in menzione fu impiantato negli anni cinquanta del secolo scorso dal Corpo Forestale, utilizzando allo scopo solo conifere, nello specifico Pinus pinea, quale essenza pioniere. La conifera messa a dimora, negli anni, ha svolto in modo eccellente il proprio compito creando le condizioni ottimali per l’insediamento naturale di specie indigene più esigenti quali le specie quercine ed altre latifoglie ivi presenti.

Per la motivazione sopra riportata il complesso boscato in esame tecnicamente è definito bosco misto naturalizzato in quanto inizialmente bosco artificiale di conifere con successivo, graduale e spontaneo insediamento, nel tempo, delle latifoglie indigene che hanno formato il soprassuolo boschivo tipico dell’ambiente mediterraneo in sostituzione della conifera.

 

Descrizione del ritrovamento

L’esemplare oggetto di ritrovamento, di consistenza fibrosa, ha colonizzato l’intera circonferenza di una piccola ceppaia morta di Pino domestico, sviluppando sporofori dimitiati ed embriciati delle dimensioni medie di cm. 4,25 (profondità) x 6, 83 (larghezza) di colore bianco crema con evidenti tonalità ocracee. Superficie sterile tomentosa, rugosa, lievemente zonata. Imenoforo a tubuli e pori, concolore alla parte superiore del basidioma, i tubuli si presentano monostratificati e i pori rotondeggianti. Carne di colore bianco candito, non manifesta alcun viraggio alla rottura. Sporatabianca. Basidiospore di forma cilindracea, lisce, ialine, guttulate, dimensioni:

(5.7) 6.1 – 8 (9) x (1.8) 2.1 – 2.8 (3.1); 

Me = 6.9 x 2.5;

Q = (2) 2.4 – 3.4 (3.9);

Qe = 2.8;

Spore misurate n° 30;

Basidi tetrasporici clavati, cistidi imeniali ialini e fusiformi.

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  1. Ritenuta, un tempo, specie molto rara e rinvenuta solo in alcune nazioni europee. Oggi, anche in Italia, viene ritrovata con una certa frequenza associata a diverse colture arboree quali, ad esempio: Nocciolo, Faggio, Betulla, Abete bianco, Cedro dell’Himalaya, Pino, Quercia. In ogni caso, in considerazione della incostante fruttificazione che avviene, anche nello stesso areale, dopo molti anni ad intervalli irregolari, viene sempre considerata specie rara.
  2. Carie Bruna, o Carie cubica, si manifesta quando il fungo parassita che attacca la specie arborea utilizza, per il suo nutrimento, esclusivamente la cellulosa che deteriorandosi perde di consistenza assumendo un colore più scuro, tendente al bruno-brunastro fessurandosi, al contempo, in piccole zone a forma di parallelepipedo o di cubo derivandone, per tali motivi, la denominazione di carie bruna o carie cubica. Tra le specie fungine più comuni agenti di carie bruna ricordiamo: Laetiporus sulphureusPiptoporus betulinusPhaeolus schweinitzii,Fomitopsis pinicolaFomitopsis iberica…..[ Goidànich G., 1975; AMINT, sito web].
  3. Sistema Ifale, termine micologico con il quale si identifica l’insieme delle ife che costituisco il corpo fruttifero fungino. A seconda della tipologia di ife presenti nel carpoforo, in linea essenziale, evitando di approfondire l’argomento, può essere: Monomitico, quando è costituito solamente da ife generative; Dimitico quando è costituito da ife generative e da ife scheletriche; Trimitico quando è costituito da ife generative, ife scheletriche e ife connettive.
  4. Ife generative, presenti in tutte le specie fungine hanno capacità di generare le altre tipologie di ife.
  5. Ife scheletriche, dette anche ife di sostegno, hanno la funzione di sostenere, come fossero una ossatura interna, l’intero corpo fruttifero durante la fase di formazione e di sviluppo. Non sempre sono presenti nel carpoforo.
  6. Ife connettive, con funzione di connessione, tengono insieme tra di loro le vare formazioni ifali presenti nel fungo formando una ramificazione più o meno notevole con andamento tortuoso. Come le ife scheletriche non sempre sono presenti nel corpo fungino.
  7. Giunti a fibbia, particolare forma di congiunzione tra due ife contigue che presentano un ingrossamento più o meno globoso in corrispondenza del punto di congiunzione.
  8. Sinonimo Nomenclaturale, detto anche sinonimo obbligatorio o omotipico, quando si riferisce alla stessa specie fungina ovvero allo stesso “tipo”, cioè l’esemplare su cui l’autore ha effettuato la descrizione della specie. Viene indicato con il simbolo “≡” (triplo uguale).

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Foto: Carmelo Di Vincenzo, Angelo Miceli

Microscopia: Carmelo Di Vincenzo

 

Bibliografia

  • Bernicchia Annarosa, 2005: Polyporaceae s.l.. Edizioni Candusso, Alassio (SV). I
  • Bernicchia Annarosa, Sergio Pérez Gorjón, 2020Polypores of the Mediterranean Region. Romar Edizioni,Segrate Milano. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013). I
  • Goidànich Gabriele, 1975: Manuale di patologia vegetale. Vol. II,. Edizioni Agricole, Bologna. I
  • Melo I., Ryvarden L., 1989: Fomitopsis iberica Melo et Ryvarden sp. nov. – Boletim da Sociedade Broteriana. serie 2a, 62: 227-230.
  • Miceli Angelo, 2018: Inonotus hispidus. Passione Funghi & Tartufi. Novembre 2018 n. 88: 40 – 43. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I – Consultabile anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (https://www.adset.it/articoli/angelo-miceli/536-inonotus-hispidus-bull-p-karst-1879)
  • Vampola Petr, 1996: New localities of Pilatoporus ibericus in Europe and Asia. Czech Mycology

Sitografia

  • Acta Plantarum (ultima consultazione, giugno 2020)

Etimologia dei nomi botanici e micologici e corretta accentazione

  • A.M.I.N.T. (Associazione Micologica e Botanica) (ultima consultazione, giugno 2020): Carie Bruna o carie cubica
  • IF (ultima consultazione, giugno 2020): Indexfungorum databasewww.indexfungorum.org
  • MB (ultima consultazione, giugno 2020): Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks.www.mycobank.org
  • Natura Mediterraneo (ultima consultazione, giugno 2020) LINK

 

Pleurotus eryngii (D.C. : Fr.) Quél. (1872)

 

Specie fungina a larga diffusione territoriale in special modo nelle regioni meridionali dove è comunemente conosciuta come Cardoncello, viene ricercata ed apprezzata per le sue caratteristiche organolettiche che la rendono molto versatile in cucina prestandosi bene alle diverse preparazioni ed anche alla conservazione sott’olio.

Caratteristiche, queste, sempre riconosciutele tanto che, nell’ormai lontano secolo XIX, Giuseppe Inzenga (Palermo, 1815 – 1887), padre della micologia siciliana, così, in merito, si esprimeva: “Questa specie di Agarico per le sue buone qualità mangiative è una delle specie più comuni che trovasi nei nostri mercati, e specialmente in Palermo; essa non può confondersi con nessuna specie velenosa tanto pei suoi caratteri botanici quanto per la tipicità ove suole raccogliersi” [Inzenga G., 1865].

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Fistulina hepatica (Schaeff. : Fr.) With. (1801)

Generalmente nota, su tutto il territorio nazionale, con la denominazione volgare di “Lingua di bue”, opportunamente attribuitale per la particolare conformazione strutturale che riconduce, nelle linee generali, ad una quanto mai verosimile somiglianza con tale organo bovino, è una specie fungina con alto contenuto di vitamina C, ricercata ed apprezzata dagli estimatori per le sue qualità organolettiche che ne consentono il consumo anche da cruda senza alcuna controindicazione: Fistulina hepatica è solita fare la sua apparizione nei boschi nel periodo estivo-autunnale affacciandosi, in qualità di fungo parassita, dalla corteccia di alberi a foglia larga prediligendo, in particolare, Quercia e Castagno.

Appartenente al genere Fistulina, viene inserita nel gruppo informale dei Polipori, gruppo estremamente eterogeneo e polifiletico (quando le specie inserite nel gruppo non discendono da un unico antenato) che ospita specie fungine caratterizzate da imenoforo a tubuli non asportabile dalla carne soprastante con la quale forma un insieme strettamente omogeneo; i pori, a seconda delle varie specie, possono essere di forma regolare, arrotondata o irregolare e più o meno allungata. Nel gruppo trovano posto tanto basidiomi privi di gambo (sessili) quanto muniti di gambo (stipitati) che, in tal caso, può essere posizionato centralmente o lateralmente [Boccardo F. e altri, 2008; Miceli A., 2018].

 

Genere Fistulina Bull. 1791

Al Genere appartengono basidiomi annuali (quando durano una sola stagione), sessili (privi di gambo) o con stipite posizionato lateralmente e molto corto; caratterizzati da cappello molto carnoso con superficie esterna tomentosa (quando presenta una leggera peluria corta) o ricoperta da piccole scaglie. Di colore rosso più o meno intenso. Superficie fertile (parte inferiore del fungo) costituita da tubuli corti, cilindrici, addensati ma separati tra di loro, strettamente annessi alla carne sovrastante e non separabili da questa. Contesto (carne) di colore rosso-rossastro a volte anche intenso, carnoso, tenace, fibroso, con venature biancastre. Tipicamente parassiti, agenti di carie bruna (1) che si sviluppa molto lentamente. In Europa è Genere monospecifico che ospita, quale unica specie, appunto, Fistulina hepatica.

 

Fistulina hepatica (Schaeffer : Fries) Withering

Syst. arr. Brit. pl., Edn 4 (London) 4: 302 (1801)

 

Accentazione: Fistulína hepática

Basionimo: Boletus hepaticus Schaeff. 1774

Posizione sistematica: Divisione Basidiomycota, Classe Agaricomycetes, Ordine Agaricales, famiglia Fistilunaceae, Genere Fistulina.

 

Etimologia: Fistulina dal latino Fistula ovvero fendere-attraversare, intendendo una comunicazione patologica di forma tubolare che unisce due organi corporei. Nella fattispecie fa espresso riferimento all’imenio del carpoforo formato da tubuli. Hepatica dal latino hèpatis = fegato, con espresso riferimento alla forma che ricorda quella del fegato.

Principali sinonimi: Fistulina buglossoides Bull. (1791); Dendrosarcus hepaticus (Schaeff.) Paulet (1793):

Nomi volgari: Lingua di bue

Nomi dialettali: è conosciuto con una miriade di nomi dialettali che variano da una zona all’altra. In Sicilia viene comunemente chiamato “Lingua i voi” [Bonazzi, 2003].

 

Descrizione macroscopica

 

Fistulina hepatica Foto Lorenzo Fuscalzo
Fistulina hepatica Foto Lorenzo Fuscalzo

Carpoforo di medio-grandi, a volte anche notevoli (2), dimensioni, a crescita annuale, formato, nella fase iniziale del proprio accrescimento, da una massa irregolare tondeggiante che, successivamente, si allarga assumendo una forma reniforme protendendosi, ancora dopo, a mensola con la classica forma di lingua, con margine regolare o appena sinuoso-lobato; sessile o con breve gambo posizionato lateralmente. 

 

Superficie sterile

Umida, appiccicosa, di consistenza elastico-gelatinosa, vellutata, ispida, a volte scagliosa; colore rosso-rossastro nelle varie sfumature: arancio, salmone, sangue, vinoso.

Superficie fertile

Imenoforo stratificato, costituito da tubuli corti, cilindrici, separati tra di loro ma caratteristicamente ammassati ed aderenti tra di loro verso la maturazione, di colore giallastro-rosato. Pori tondeggianti, piccoli, inizialmente di colore bianco-giallastro scurenti verso la maturazione, viranti al tocco verso tonalità bruno-rossastre. Spore in massa ocra. 

Gambo: quando presente è, generalmente, breve, tozzo, rudimentale, posizionato lateralmente, verrucoso, di colore rosso molto scuro.

Carne: spessa, elastica, carnosa, caratterizzata dalla presenza di goccioline color rosso-sangue, inizialmente di colore bianco-giallastro poi, verso la maturità, arancio ed ancora rosso-vinoso; alla sezione presenta venature radiali di colore biancastro. Odore lieve e gradevole, sapore leggermente acidulo.

Habitat: fa la sua apparizione, in qualità di fungo parassita, agente di carie bruna, nelle cavità dei tronchi vivi o su ceppaie marcescenti prediligendo varie specie di Castagni e Querce; dalla fine dell’estate fino ad autunno inoltrato. Si presenta generalmente in singoli esemplari o, a volte, in forma gregaria con più esemplari sovrapposti. Può raggiungere notevoli dimensioni. Diffusa e molto comune.

Commestibilità: discreto commestibile, può essere consumato anche da crudo ma sempre senza eccedere nelle quantità. Il sapore dolce-acidulo incontra il favore di molti consumatori che ne apprezzano l’acredine. E’ consigliabile consumare esclusivamente esemplari giovani. Gli estimatori preferiscono consumarlo crudo, tagliato a fettine sottili, condito con olio e limone con aggiunta di scaglie di parmigiano; questa preparazione consente di non disperdere la vitamina C di cui è ricco [AMINT, 2007]. Da cotto assume consistenza ed aspetto molto simili ad una fetta di fegato. Può anche essere consumato impanato sotto forma di cotoletta [Oppicelli N., 2012] o fritto in padella con contorno di cipolle o, ancora, arrostito alla brace [AMINT, 2007].

Caratteri differenziali

Si riconosce facilmente, senza possibilità di errore, per la crescita lignicola ed a forma di mensola, per la caratteristica conformazione strutturale che ricorda una lingua di bue, per la carne tenera, succosa e sanguinolenta allo stadio giovanile; per la superficie superiore vischiosa e l’imenoforo crema rosato. 

Specie simili

E’ facilmente riconoscibile senza alcun problema, basta avere sufficienti conoscenze di base nell’ambito micologico. La particolare conformazione morfologica a “lingua di bue”, i colori, la consistenza elastica e la succulenza della carne lo rendono praticamente inconfondibile [Buda A., 2011]. 

Tuttavia potrebbe essere confuso, come già avvenuto, con il tossico Hapalopilus rutilans che differisce per il colore rosso-cannella, rosso-rame e per la carne che da giovane presenta color zafferano e consistenza fibrosa ed elastica indurendo verso la maturazione acquisendo un colore brunastro [MicologiaMessinese, sito web – Funghi Teramani, sito web].

 

Note

Predilige climi temperati, unica specie in Europa appartenente al Genere Fistulina, si riproduce, come già detto, in qualità di fungo parassita attuando una forma poco aggressiva di parassitismo tanto che la pianta ospite ha possibilità di vivere per parecchi anni [Buda A., 2011]. E’ agente di carie bruna che, sviluppandosi molto lentamente, consente al legno dell’albero ospite di assumere colorazioni bruno-rossastre con sfumature simili a disegni, aumentando la propria consistenza con una forma di indurimento progressiva. Caratteristiche, queste, che rendono il legname ricercato per utilizzi artistici [AMINT, 2010].

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  1. La carie, o marciume del legno, è una patologia vegetale che causa la progressiva degenerazione dei tessuti legnosi di piante vive o del legname in conservazione o in opera. Viene diversificata, generalmente, in carie bianca e carie bruna. La carie bianca é diffusa su numerose specie arboree, sia di latifoglie che di conifere e viene causata da specie fungine appartenenti tanto alla classe dei Basidiomiceti quanto a quella degli Ascomiceti i quali agiscono eliminando in maniera progressiva la lignina, conferendo, di conseguenza, ai tessuti legnosi attaccati, un aspetto chiaro, biancastro. La carie bruna è la conseguenza della progressiva degradazione della cellulosa che deteriorandosi perde di consistenza assumendo un colore bruno scuro. Le specie fungine che agiscono quali agenti di carie, bianca o bruna, assumono la denominazione di “parassiti da ferita” in quanto trovano facilità di attecchimento in corrispondenza delle ferite del tronco arboreo, nei tagli di potatura, nelle ferite provocate da insetti, nelle lesioni traumatiche della corteccia. Normalmente l’attacco invasivo viene realizzato dal micelio che, dopo aver condotto un periodo di vita saprofitario su organi morti della pianta, riesce a penetrare all’interno della massa legnosa attaccandone le parti vive [Goidànich G. 1975].
  2. In merito alle dimensioni ci piace riportare quanto scriveva Giacomo Bresadola (Micologo italiano – Ortisé, 14 febbraio 1847 – Trento, 9 giugno 1929): “Non è raro trovare degli esemplari di notevoli dimensioni. Gli annali micologici ricordano una gigantesca Fistulina hepatica del diametro di 1 metro e del peso di 15 Kg., raccolta nei pressi di Lione alla base di un tiglio” [Bresadola G., 1954].

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Foto:

  • Foto 01    Fistulina hepatica         Foto Lorenzo Fruscalzo
  • Foto 02    Fistulina hepatica        Foto Fabio Crisafulli
  • Foto 03    Fistulina hepatica        Foto Fabio Crisafulli
  • Foto 04    Fistulina hepatica        Foto Angelo Miceli
  • Foto 05    Fistulina hepatica        Foto Angelo Miceli
  • Foto 06    Fistulina hepatica        Foto Lorenzo Fruscalzo
  • Foto 07    Fistulina hepatica        Foto Lorenzo Fuscalzo

Bibliografia

  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. (ristampa 2010) Giunti editore, Firenze. I
  • Balestreri Stefano – 2013: Fistulina hepatica. Estratto da “Appunti di Micologia”:

http://www.appuntidimicologia.com2013/07/fistulina-hepatica/html

  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama srl, Trento. I
  • Bernicchia Annarosa – 2005: Polyporaceae s.l.. Edizioni Candusso, Alassio (SV). I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013). I
  • Bonazzi Ulderico, 2003Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Bresadola Giacomo – 1954: Funghi mangerecci e funghi velenosi. Museo di Storia Naturale. Trento. I. (IV edizione a cura del Comitato Onoranze Bresadoliane. Milano-Trento).
  • Buda Andrea, 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria, 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Miceli Angelo – 2018: Inonotus hispidus. Passione Funghi & Tartufi. Novembre 2018 n. 88: 40 – 43. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I – Consultabile anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (https://www.adset.it/articoli/angelo-miceli/536-inonotus-hispidus-bull-p-karst-1879)
  • Oppicelli Nicolò – 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara. I

 

Sitografia

Lactarius deliciosus (L. : Fr.) Gray 1821

Strana primavera quella del 2020 che ci vede asserragliati tra le mura delle nostre case nello strenuo tentativo di difenderci dall’assedio di un nemico invisibile ma insidioso, pericoloso e pronto a colpire quando meno te lo aspetti che ci sta privando, speriamo per poco ancora, della quotidianità sociale e delle tanto attese passeggiate nei boschi che in questo periodo dell’anno lasciano sempre sperare in interessanti incontri con le prime specie fungine che cominciano a fare capolino tra l’erba del sottobosco. Tutto rimandato, quest’anno, ad un periodo più tranquillo, sperando che il prossimo autunno, o ancor prima, sia tutto finito ed il Covid 19 possa essere solo il ricordo di una drastica realtà. 

Nell’attesa, quindi, del ritorno alla normalità e fortemente incitati dal “richiamo del bosco”, ci tuffiamo a ritroso nel tempo, ammirando la nostra collezione mico-fotografica che ci riporta ai nostri primi ritrovamenti quando, prima ancora di essere irrimediabilmente contagiati dalla “febbre del fungo”, eravamo soliti accompagnarci ad un gruppo di “esperti funciari” alla ricerca di lattari e pinaroli che sollecitavano, in maniera sempre più pressante, la nostra curiosità di “cercatore principiante”.

Lactarius delicious, la prima specie conosciuta, incontrata, per la prima volta, nella pineta di San Marco nel comune di Novara di Sicilia (ME), si può dire sia stata il nostro “primo amore” che, quindi, “non si scorda mai”. Si tratta di una specie fungina a larga diffusione territoriale con crescita abbondante e tipicamente legata in rapporto di micorriza ectotrofica(1) con colture arboree del genere Pinus. Specie molto ricercata per le qualità organolettiche, per il suo utilizzo in cucina e per la facilità alla determinazione anche da parte dei cercatori principianti.

Viene posizionata, nella attuale configurazione sistematica, facendo riferimento a quella adottata da Maria Teresa Basso [Cfr. Basso M. T.: Lactarius Pers.] e da noi utilizzata nella stesura di questa “Riflessione Micologica”, nella Classe Basidiomycetes, Ordine Russulales, Famiglia Russulacae, Genere Lactarius, Sottogenenere Piperites, Sezione Dapetes.

 

Genere Lactarius Pers. 1797

La denominazione del Genere fa riferimento a Christian Hendrik Persoon, botanico e micologo sudafricano (Capo di Buona Speranza, 1761 – Parigi,1836) considerato come il padre della sistematica micologica, il quale nel 1797 attribuisce il nome Lactaria al genere comprendente funghi secernenti latice e, successivamente, nel 1799, nelle “Observationes Mycologicae” identifica il genere con il nome di Lactarius [Basso M. T., 1999].

Al Genere appartengono specie fungine caratterizzate dalla presenza, nella struttura del carpoforo (cappello, lamelle, gambo), di una sostanza latiginosa più o meno densa chiamata “latice (2), contenuta all’interno di “tubi laticiferi” che fuoriesce in maniera più o meno abbondante alla frattura del carpoforo. Per tale caratteristica risulta semplice, anche per i meno esperti, determinare con facilità il Genere di appartenenza dei singoli esemplari, anche se non è sempre semplice – anzi è piuttosto difficoltoso – pervenire con esattezza al riconoscimento della specie.

Si tratta di funghi ben strutturati, forniti di cappello e gambo con struttura omogena (quando cappello e gambo sono formati da cellule di analoga struttura e risultano essere tra di loro saldamente uniti tanto che la separazione tra i due elementi avviene con una certa difficoltà), terricoli, simbionti, con imenoforo (zona fertile del fungo posizionata nella parte inferiore del cappello ove si formano gli elementi fertili: le spore) non asportabile a lamelle ed assenza di residui velari, con carne a frattura gessosa (quando per le sollecitazioni esterne si rompe nettamente con un tipico “crac” comportandosi, alla frattura, alla stessa maniera di un pezzetto di gesso o di polistirolo), definita anche cassante, per la presenza di cellule a forma sferica (sferociti). La conformazione strutturale, proprio per la presenza di cellule sferoidee e dei vasi laticiferi, li assimila ai carpofori appartenenti al Genere Russula tanto che, unitamente a questi ultimi, vengono posizionati nella Famiglia delle Russulaceae, Ordine Russulales. E’ opportuno precisare che nel Genere Lactarius i vasi laticiferi risultano essere attivi, ovvero contengono latice, mentre nel Genere Russula sono sterili, ovvero sono privi di latice. 

Le spore in massa si presentano di colore variabile dal bianco al giallo ocra, identificando, così, specie fungine appartenenti al gruppo dei leucosporei (funghi con le spore in massa di colore bianco, biancastro o tendente al rosato o verdino).

La determinazione del genere e delle varie specie ad esso appartenenti è demandata, prevalentemente, all’attenta osservazione dei caratteri macroscopici combinati variamente tra di loro in quanto non sempre l’osservazione di uno solo di questi indirizza con certezza verso la corretta individuazione della specie [Foiera F. e altri, 1998]. In effetti sono numerose le specie appartenenti al genere Lactarius che si possono determinare anche con la sola osservazione dei caratteri macroscopici, tuttavia lo studio e l’osservazione delle caratteristiche microscopiche consentono una maggiore precisione nella individuazione della sezione di appartenenza e nella determinazione delle numerose specie [Basso M.T., 1999]. E’ opportuno precisare che l’utilizzo del microscopio ha consentito di evidenziare numerosi elementi utili a rilevare differenze e similarità tra le specie tanto da potere creare nuove specie e consentire una maggiore precisione nella suddivisione intragenerica delle numerose specie appartenenti al genere.

Omettiamo la descrizione dei caratteri macroscopici ed organolettici rimandando il lettore ad un testo monografico specifico [Cfr. Basso M. T.: Lactarius Pers. – Foiera F. e altri: Funghi Lattari], limitandoci ad evidenziare che il latice é l’elemento che maggiormente caratterizza le varie specie appartenenti al genere e costituisce un fattore particolarmente utile, anche se non unico, alla corretta determinazione di ogni singola specie.

Sottogenere Piperites (Fries) Kauffman 1918

Vi trovano posto specie fungine caratterizzati da cappello viscido, viscoso o glutinoso a tempo umido o glassato e/o lucido a tempo secco, a volte zonato (quando presenta ornamentazioni circolai concentriche con colore diverso dalla superficie), tomentoso (quando è ricoperto da una fitta e corta peluria che lo rende simile a velluto) al margine di taglia medio-grande, caratterizzate da latice inizialmente bianco, immutabile o virante al grigio, verdognolo, viola, giallo o da latice di colore arancio o rosso sangue o tendente al blù-bluastro (solo specie appartenenti alla sezione Dapetes). Nel sottogenere vengono ospitate specie appartenenti alle seguenti sezioni: AtroviridiDapetesZonarii,PiperitesUvidiGlutinosi [Basso M. T., 1999].

 

Sezione Dapetes Fries 1838

Vi appartengono carpofori di medio-grandi dimensioni caratterizzate da cappello colore arancio, arancio-rossastro con zonature e/o guttule, spesso inverdente, con latice colorato sui toni arancio, rosso, vinoso o, a volte, in parte blù. Associate, generalmente, a conifere. La Sezione, stante alla sistematica seguita, è divisa in due Sottosezioni: Deliciosini e Sanguifluini.

Lactarius deliciosus (L. : Fr.) Gray

Nat. Arr. Brit. Pl. (London) 1: 624 (1821)

Accentazione: Lactàrius deliciòsus

Basionimo: Agaricus deliciosus L. 1753cl

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Russulales, famiglia Russulaceae, genere Lactarius sottogenere: Piperites, sezione Dapetes, sottosezione Deliciosini.

 

Etimologia: Lactarius dal latino lac = latte, con espresso riferimento alla tipica emissione, al taglio o alla frattura, di latice. Delicious (dal latino) = delizioso con riferimento alla commestibilità ed alla gradevolezza al palato.

Principali sinonimi: Lactaria lateritia Pres. (1797); Lactifluus deliciosus (L.) Kuntze (1891); Lactarius laeticolor (S. Imai) Imazeki ex Hongo (1960): Lactarius pinicola (Smotl.) Z. Schaefer (1970).

Nomi volgari: Sanguinello, Lapacendro, Agarico delizioso [Bonazzi U., 2003].

Nomi dialettali: Tra i numerosi nomi dialettali in uso nelle varie zone, ci limitiamo a citare solamente quelli maggiormente utilizzati in Sicilia: Russiddu, Rusitu, Funciu rosellino [Bonazzi U., 2002] Rusillinu [Buda A., 2011, La Spina L., 2017]. 

 

Descrizione Macroscopica 

Cappello di medio-grandi dimensioni, inizialmente emisferico-convesso e precocemente ombelicato poi, verso la maturazione, piano-convesso con depressione centrale che assume, nei vecchi esemplari, una conformazione imbutiforme. Superficie grassa e lucida specialmente a tempo umido con zonature più o meno accentuate e con aspetto irregolare per la presenza di fossette e guttule, cuticola elastica, tenace e poco separabile, ricoperta da pruina biancastra a tempo secco. Margine arrotolato negli esemplari giovani, poi ricurvo e tendente ad appiattirsi negli esemplari maturi, con andamento regolare o ondulato, spesso lobato, pruinoso. Colore crema-arancio, crema-rossastro, bruno-rossastro più o meno marcato a volte con sfumature rosate o tendente al verdastro nelle zone erose. Imenoforo a lamelle fitte, adnato-decorrenti, inizialmente arcuate poi diritte, fragili e sottili, taglio intero, forcate in prossimità del gambo, intervallate da numerose lamellule di misura diversa, colore arancio, arancio-giallognolo, arancio –rossastro, rossastro-violaceo tendenti al verdastro nelle zone erose o lesionate. Gambo cilindrico, corto, tozzo, centrale, a volte eccentrico, svasato all’apice e attenuato in basso, fragile, pruinoso, farcito (quando all’interno presenta una struttura meno consistente e meno compatta), presto cavo, sovente parassitato dai vermi, ricoperto, alla base, di abbondante feltro miceliare biancastro. Superficie di colore biancastro-aranciato, crema-aranciato pallido che assume, alla manipolazione, sfumature verdastre, ornata da scrobicoli (piccole incavature di forma irregolarmente circolare più o meno profonde, tipicamente ornamentali del gambo dei lattari) di colore arancio-rossastro che contrastano con il colore di fondo. Carne cassante (si rompe nettamente alle sollecitazioni), inizialmente soda poi molliccia specialmente nel gambo dove presto viene invasa dai vermi; colore carota o arancio-carota che, con la maturazione, passa lentamente al crema-giallognolo con sfumature verdastre, biancastra nella parte centrale del gambo. Odore gradevole, fruttato; sapore inizialmente mite poi leggermente amarognolo. Latice non abbondante, arancio vivo, arancio-carota tendente, col tempo, a sbiadire. 

Habitat

Specie autunnale, dalla fine dell’estate fino ad inizio inverno. Legata in simbiosi micorrizica con specie arboree del genere Pinus. Cresce in forma gregaria ed abbondante sia nei boschi di montagna che in quelli di pianura.

Commestibilità

Buon commestibile. Specie molto diffusa, conosciuta e raccolta per uso alimentare e commercializzata nei mercati rionali.

 

Caratteri differenziali

Si riconosce facilmente per l’habitat esclusivo presso Pini; per il colore del latice arancio vivo, arancio-carota, immutabile ma tendente a schiarirsi in tempi più o meno lunghi; per il gambo corto e scrobicolato; per il cappello arancio con zonature più o meno marcate; per il leggero inverdimento delle parti erose.

 

Specie simili

Tra le numerose specie simili – specialmente quelle appartenenti alla sezione Dapetes, ma non solo – che facilmente si prestano alla confusione, riportiamo quelle da noi ritenute più significative rimandando il lettore, per eventuali approfondimenti, ad un testo monografico: 

  • Lactarius sanguifluus var. sanguifluus (Paulet) Fr. (1838)

Differisce per il colore del latice che si presenta subito color rosso-sangue non inverdente; per il cappello colore aranciato e privo di zonature.

  • Lactarius sanguifluus  var. violaceus (Barla) Basso (1999)
Foto 07 Lactarius sanguifluus var. violaceus Foto Franco Mondello
Foto 07 Lactarius sanguifluus var. violaceus Foto Franco Mondello

Differisce per il latice color vinoso e per la carne che vira al taglio verso il rosso-vinoso; per il cappello color violaceo-vinoso; per l’inverdimento spesso completo; per il gambo bianco pruinoso con scrobicoli rosso-violaceo.
 

  • Lactarius semisanguifluus R. Heim & Leclair (1950)

Differisce per il colore del latice che, inizialmente di colore arancio intenso, vira al vinoso dopo circa 7-8 minuti; per il colore del cappello arancio, arancio-rosato con sfumature vinose.
 

  • Lactarius deterrimus Gröger (1968)

Differisce per il colore del latice inizialmente colore arancio-carota, poco abbondante, che vira in circa 30 minuti verso il colore arancio-rossastro; per l’habitat di crescita che lo vede legato a aghifoglie del genere Abete.
 

  • Lactarius chrysorrheus Fr. (1838)
Foto 08 Lactarius chrysorrheus - Foto: Angelo Miceli
Foto 08 Lactarius chrysorrheus – Foto: Angelo Miceli

Si riconosce facilmente per la colorazione del cappello su toni fulvo-rosati, per la presenza di guttule e zonature di colore più scuro; per il latice abbondante di colore biancastro che tende rapidamente ad assumere un colore giallo-zolfo; per l’habitat tipico in boschi di latifoglia o misti.

 

Note e Curiosità:

Può capitare, anche con una certa frequenza, trovandosi nei boschi alla ricerca di Lattari, di imbattersi in esemplari parassitati: generalmente Lattari appartenenti alla Sezione Dapetes che vengono attaccati da un microfungo appartenente al Genere Hypomyces, generalmente Hypomyces lateritius (Fr.) Tul. & C. Tul. spesso indicato come Hypomyces deformans (Lagger) Sacc. o Peckiella deformans (Fr.) Maire. Questi attacca gli esemplari fungini nella zona imeniale impedendo una corretta formazione e crescita del carpoforo deformandolo. Le lamelle si presentano completamente invase dal fungo parassita che, ricoprendole totalmente, forma uno strato uniforme di muffa biancastra, dura e liscia. I Lattari parassitati, stante le diverse usanze locali, sono considerati migliori dal punto di vista organolettico e regolarmente consumati. Ci permettiamo di dissentire in merito a tale pratica sconsigliandone il consumo per evitare spiacevoli conseguenze anche perché, per le mutate caratteristiche morfocromatiche, possono facilmente essere scambiati con altre specie di dubbia commestibilità. 

 

Note sulla Commestibilità e tossicità del Genere Lactarius

E’ buona norma ritenere che solo i lattari secernenti latice rosso-rossastro, ovvero quelli appartenenti alla Sezione Dapetes, siano da ritenere commestibili, limitandone il consumo solo ad alcune specie quali, ad esempio, Lactarius deliciosus, L. sanglifluus, L. sanguifluus var. violaceus, L. salmonicolor e considerando tutte le altre di scarso valore gastronomico.

Alcune specie a latice bianco di sapore mite sono ritenute commestibili ma ne sconsigliamo il consumo ai fini precauzionali al fine di evitare confusione con specie tossiche. Si ritiene opportuno sconsigliare, nella maniera più assoluta, al fine di evitare spiacevoli conseguenze, il consumo delle specie a latice bianco e con sapore acre o pepato anche se alcune di queste vengono consumate in diverse zone del meridione d’Italia e in alcuni paesi nordici previo trattamenti empirici quali bollitura preliminare, salatura, essiccazione o fermentazione. 

Al genere non appartengono specie velenose ma solo tossiche in grado di provocare disturbi più o meno gravi in considerazione della quantità consumata e delle condizioni fisiche del consumatore. 

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  1. Micorrizza ectotrofica o ectomicorriza: forma di simbiosi stabilita tra il micelio fungino e gli apici radicali di una pianta, attorno ai quali le ife fungine si attorcigliano formando una copertura avvolgente a guisa di mantello detta micoclèna. Endomicorriza o micorriza endotrofica: quando le ife fungine, stabilendo il rapporto di simbiosi, penetrano negli apici radicali della pianta.
  2. Latice: elemento che maggiormente caratterizza le varie specie appartenenti al genere Lactarius, costituisce un fattore particolarmente utile alla corretta determinazione di ogni singola specie.

Si trova all’interno di vasi laticiferi che percorrono tutto il carpoforo dal quale fuoriesce, in maniera più o meno abbondate, per la frattura della carne.

Il colore, che assume notevole importanza per la determinazione della specie, varia dal bianco, bianco-biancastro al giallo, all’arancio, al rossastro, all’azzurro-bluastro.

La sua reazione a contatto con l’aria, dopo la fuoriuscita dal carpoforo, comporta una variazione di colore che viene definita viraggio. A seconda della reazione del latice a contatto con l’aria, si può pervenire ad una prima suddivisone tra specie a latice bianco immutabile, specie a latice rosso, rosso carota, rosso vinoso e specie a latice bianco virante [F. Foiera e altri, 1998].

Il viraggio del latice verso una determinata colorazione riveste molta importanza per la determinazione della specie.

Anche il sapore del latice consente di effettuare altra ulteriore suddivisione tra le specie che vengono distinte in specie con latice mite, specie con latice acre, specie con latice bruciante [F. Foiera e altri, 1998].

 

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Foto: Angelo Miceli, Franco Mondello

Tavole Micologiche: Nino Mannina che si ringrazia per la cortese concessione ed autorizzazione alla pubblicazione

 

Bibliografia

  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. (ristampa 2010) Giunti editore, Firenze. I
  • Balestreri Stefano, 2015: Genere Lactarius. Estratto da “Appunti di Micologia” (www.appuntidimicologia.it)
  • Basso Maria Teresa, 1999: Lactarius Pers.. Collana Fungi Europaei Vol. 7. Mykoflora, Alassio (SV). I
  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama srl, Trento. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013). I
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Bresadola Giacomo, 1954: Funghi mangerecci e funghi velenosi. Museo di Storia Naturale. Trento. (IV edizione a cura del Comitato Onoranze Bresadoliane. Milano -Trento). I
  • Buda Andrea, 2011: I funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I.
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, 1998: Funghi Lattari. Calderini edagricole, Bologna. I
  • Galli Roberto, 1997: Il Genere Lactarius, le specie a latice arancione o rosso. I Funghi dove e quando Anno 4 n. 32: 6 – 13. Editins Milano. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • La Spina Leonardo, 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo III. Eurografica, Riposto (CT) – I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria, 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Matteucci Sergio, 2010: I Lactarius della Sezione Dapetes. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 4: 24-31, Ponte a Moriano (LU). I
  • Mazza Riccardo, 2010: I funghi, guida al riconoscimento. VI Edizione. Fabbri Editori. Milano. I
  • Oppicelli Nicolò, 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Papetti Carlo, Consigio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Phillips Roger, 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara

 

Sitografia

Amanita ovoidea (Bull. : Fr.) Link (1833)

Il bosco, nelle sue molteplici sfaccettature di colore e di forme che nelle varie stagioni dell’anno gli conferiscono un aspetto sempre diverso ma sempre accattivante ed interessante, invita gli amanti della natura e della micologia a vivere emozionanti avventure, specialmente nella stagione autunnale, alla ricerca di specie fungine che, esulando dal mero interesse gastronomico, meritano, per la loro bellezza, per la particolarità della conformazione morfologico-strutturale, per i colori meravigliosi con i quali si affacciano nel sottobosco, l’attenzione e la curiosità di quanti, come noi, amano passeggiare nel bosco per approfondire le proprie conoscenze nel campo della micologia. Amanita ovoidea comunemente noto con il nome volgare di “farinaccio”, per la bellezza, per la conformazione e la particolarità delle ornamentazioni che, bambagiose, pendono dal cappello, attira la nostra curiosità e ci spinge a renderlo protagonista della nostra nuova “Riflessione Micologica”. 

Genere Amanita Pers. 1797

Il genere, la cui specie tipo è A. muscaria, ospita sporofori di medio-grandi dimensioni, eterogenei, caratterizzati da cappello convesso sul quale, spesso, si trovano residui velari, con margine liscio o tipicamente striato; lamelle libere; gambo più o meno ingrossato alla base, con presenza o assenza di anello; con volva basale; sporata in massa bianca. Si conoscono specie di ottima qualità e altre, non poche, velenoso-mortali la cui ingestione provoca sindromi tossiche di varia natura: sindrome falloidea, panterinica, muscarinica, emolitica ecc. [Miceli A., 2019]. 

In merito alla particolare e caratteristica crescita degli sporofori, alla formazione dei residui velari ed alle caratteristiche specifiche del genere, per eventuali approfondimenti, si rimanda il lettore a nostri precedenti lavori di recente pubblicazione (A. muscaria, A. phalloides, A. porrinensis ecc.).

 

Amanita ovoidea (Bull. : Fr.) Link, 

Handb. Erk. Gew. 3: 273 (1833)

Specie molto bella, grande e carnosa, raggiunge spesso dimensioni notevoli invogliando, per la particolarità della sua conformazione strutturale e per le dimensioni, all’utilizzo gastronomico con seri rischi di intossicazione. Facilmente riconoscibile per le bellissime decorazioni fioccose completamente bianche che ne ornano il cappello ed il gambo.

 

Basionimo: Agaricus ovoideus Bull. 1788

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Amanitaceae, genere Amanita

 

Etimologia: dal latino ovum = uovo, ovale e dal greco eìdos = somiglianza, con espresso riferimento alla forma che, specie negli esemplari giovani, riconduce a quella di un “uovo”.

Principali sinonimi: Amidella ovoidea (Bull. : Fr.) E. J. Gilbert (1940)

Nomi volgari: Farinaccio, Ovolo bianco, Boreo bianco [Oppicelli N., 2018]

 

Nomi dialettali:

Assume numerose denominazioni dialettali variabili da una località all’altra. Per approfondire l’argomento rinviamo ad un testo specifico (cfr. Bonazzi: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia).

 

Descrizione macroscopica

Cappello di grandi dimensioni, può raggiungere, a volte, anche i 25-30 cm. di diametro. Emisferico nella fase iniziale di sviluppo, poi convesso ed infine piano-convesso; molto carnoso e sodo poi, verso la maturazione, molle; margine arrotolato verso il basso, andamento regolare, a volte leggermente lobato, privo di striature ma sempre appendicolato (quando sono presenti residui velari eccedenti il margine del cappello) per i residui cremosi del velo parziale che tendono a sparire a maturità inoltrata. Cuticola umida, lucida, separabile ed eccedente, colore bianco-biancastro, bianco-latte, bianco-avorio con, a volte, leggere sfumature grigio-rosate, generalmente nude, raramente con ampi resti del velo generale sotto forma di placche di colore biancastro. Imenoforo a lamelle fitte e sottili, libere al gambo, intervallate da lamellule di diversa lunghezza, di colore inizialmente bianco con sfumature rosate verso la maturità, imbrunenti nelle zone sottoposte a pressione. Gambo cilindrico, slanciato e robusto, pieno, sodo, carnoso; leggermente svasato all’apice e progressivamente dilatato verso la base con bulbo ovoidale. Colore bianco, superficie densamente ricoperta da fiocchi biancastri, di consistenza burrosa, fini e cremosi, facilmente rimovibili, tendenti a sparire negli esemplari maturi. Anello posizionato in alto, molto fugace, fragile e poco consistente che si dissolve facilmente in piccoli fiocchi cremosi. Volva membranosa, spessa, persistente, inguainante alla base del bulbo ed allargata verso l’apice. Totalmente bianca, anche a maturità avanzata, tanto all’esterno che all’interno, a volte con piccole macchie ocracee più o meno estese. Carne soda, più compatta nel gambo e meno nel cappello. Sapore dolciastro, odore lieve negli esemplari giovani, sgradevole, forte e persistente in quelli maturi. Spore in massa bianche.

 

Habitat

Specie termofila, cresce indifferentemente sotto latifoglie o conifere preferendo colture arboree appartenenti al Genere Pinus o Quercus, nella macchia mediterranea e nei boschi litoranei, a volte anche in habitat collinari. Da inizio autunno ad inverno inoltrato. Abbondante nei luoghi di crescita.

 

Commestibilità

Controversa. Ritenuta da alcuni autori commestibile dopo cottura e tradizionalmente consumata in alcune regioni. In realtà può causare, come già avvenuto, intossicazioni con conseguenti disturbi intestinali di gravità proporzionale alla quantità di fungo ingerita [Oppicelli N., 2018]. Alcuni autori, ancora, ritengono che possa causare Sindrome Norleucinica(1) con grave insufficienza renale acuta [AMINT, 2007 – Buda A., 2011]. In ogni caso, considerata anche la notevole somiglianza con A. proxima, specie tossica, è preferibile non correre rischi ed evitare, nella maniera più assoluta, di consumarla. Consigliamo, a quanti abbiano il piacere di incontrala nel bosco, di limitarsi ad osservarla, ammirarla per il suo portamento, eleganza e bellezza, fotografarla da varie angolazioni mettendo in risalto la meraviglia delle sue ornamentazioni ed evitando, nella maniera più assoluta, di “invitarla a pranzo” lasciandola al suo posto a completare il proprio ciclo biologico.

 

Caratteri differenziali

Facilmente riconoscibile per la colorazione bianca di tutto il carpoforo, per le ornamentazioni bambagiose che pendono dal margine del cappello, per le lamelle bianche, fitte, per l’anello cremoso, fugace ed inconsistente, per la volva sacciforme ed arrotondata sul gambo e, inoltre, per la taglia che spesso raggiunge dimensioni notevoli e per l’elevato peso specifico.

 

Specie simili

  • Amanita proxima Dumée (1916)
Foto Vincenzo Migliozzi
Foto Vincenzo Migliozzi

Specie tossica. Molto simile ad A. ovoidea per aspetto, ornamentazioni e colore, differisce essenzialmente per la volva sempre di colore ocra anche nei giovani esemplari, per l’anello persistenze e ben formato, per la taglia minore. 

E’ opportuno evidenziare che per il colore totalmente bianco, anche se di conformazione morfologica diversa, può essere confusa, specialmente da quanti hanno superficiali conoscenze micologiche, con le Amanite bianche velenoso-mortali appartenenti alla Sezione Phalloideae quali A. phalloides var. Alba,A. verna ed A. virosa che, in ogni caso, si presentano prive delle ornamentazioni cotonose del cappello e del gambo.

 

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  1. Sindrome Norleucinica, deve la propria denominazione alla principale tossina responsabile: la Norleucina. Viene conosciuta anche con la denominazione di Nefrotossica in quanto l’organo principale interessato dalla sintomatologia è il rene; o, ancora, come sindrome Smithiana in quanto rilevata, per la prima volta, dopo il consumo di esemplari di Amanita smithiana. E’ dovuta al consumo di A. proxima o di A. smithiana. La sintomatologia tossica si manifesta entro 12 ore dal consumo dei funghi con disturbi intestinali di varia natura: nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, sudorazione, ansietà, disturbi dell’equilibrio della durata di alcuni giorni [Assisi F. ed altri, 2008 – Milanesi I., 2015]. Successivamente, dopo circa 4-6 giorni, si manifesta insufficienza renale grave ma reversibile con una ripresa graduale e completa della funzionalità renale [Assisi F. ed altri, 2008].

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Foto: Maria Teresa Basso, Piero Battaglia, Angelo Miceli, Vincenzo Migliozzi, Franco Mondello

Bibliografia

  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. (ristampa 2010) Giunti editore, Firenze. I
  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano. I
  • Bettin Antonio, 1971: Le Amanite. L.E.S. Libreria Editrice Salesiana, Verona- I
  • Bonazzi Ulderico, 2003Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Buda Andrea, 2011: I funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I.
  • Galli Roberto, 2007: Le Amanite. 2^ edizione. dalla Natura, Milano. I
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, 1993, Funghi Amanit., Calderini edagricole, Bologna. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • La Spina Leonardo, 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo I. Eurografica, Riposto (CT). I
  • La Spina Leonardo, Signorino Carmelina, 2018: I funghi di Santo Pietro, antico bosco di Sicilia. Eurografica S. r. l. Riposto (CT). I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria, 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Mazza Riccardo, 2010: I funghi, guida al riconoscimento. VI Edizione. Fabbri Editori. Milano. I
  • Merlo Erica, Traverso Mido, 1983: Le Amanite. Sagep Editrice, Genova. I
  • Miceli Angelo, 2019: Amanita porrinensis, una specie rarissima ritrovata sui Monti Peloritani. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2: 27 -33. Ponte a Moriano (LU). I
  • Milanesi Italo – 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento 
  • Oppicelli Nicolò – 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Oppicelli Nicolò, 2018: Il “farinaccio” Amanita ovoidea” Funghi e dintorni. Supplemento a Rivista di Micologia, n. 1: 15 – 22. AMB Trento. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I

 

Sitografia

Hygrophorus marzuolus, il marzuolo dormiente

Particolarmente apprezzato e ricercato per le sue qualità organolettiche che lo rendono molto versatile per l’utilizzo in cucina, è solito fare la sua apparizione nel periodo in cui l’inverno si lascia lentamente sostituire dalle belle giornate primaverili, nascondendosi, a volte anche in profondità, tra le zolle terrose e le foglie secche nei boschi misti o puri di latifoglie ed aghifoglie che, in tale specifico periodo dell’anno, sono ancora caratterizzati dalla presenza di numerose chiazze di neve che lentamente, giorno dopo giorno, vanno sciogliendosi al calore della imminente primavera. 

Hygroforus marzuolus, deriva la sua denominazione volgare di “Marzuolo dormiente”, con la quale è conosciuto su tutto il territorio nazionale, dal fatto che se ne resta pacificamente in attesa – come dormendo – sotto la neve attendendo con pazienza che questa, con l’arrivo del tiepido sole primaverile, inizi a sciogliersi per fare la sua apparizione nei boschi. Si tratta di una specie fungina un tempo poco nota che viene conosciuta in maniera massiva solo da alcuni anni. Difatti, grazie al periodo di fruttificazione, quando pochi sono – o pochi erano – i raccoglitori di funghi che sciamano nei boschi ed alla sua tipica crescita spesso interrata unitamente alla sua innata capacità di confondersi e mimetizzarsi tra le foglie morte del bosco, è riuscito sempre a sfuggire alle ricerche dei micofagi ed a rimanere quasi del tutto sconosciuto. Oggi, grazie ai numerosi gruppi micologici presenti sul territorio e sui social network, la sua presenza viene sempre più segnalata e sempre più sono gli appassionati che, conoscendolo, si recano nei boschi alla sua ricerca.

Nella sistematica micologica, trova collocazione nella Famiglia delle Hygroforaceae che ospita numerose specie fungine, generalmente terricole, di piccole, medie o grandi dimensioni con crescita simbionte con varie colture arboree o con crescita lignicola (unica specie europea conosciuta:Hygrophorus pleurotoides) [Galli, 2014].

Nella Famiglia delle Hygrophoraceae, che inizialmente ospitava un solo genere, vengono posizionati i Generi Hygrophorus, Hygrocybe(1)Cuphophyllus(2).

Quest’ultimo viene ritenuto, ancora oggi, da alcuni autori, semplice sottogenere del Genere Hygrocybe. E’ opportuno precisare che la separazione nei tre generi oggi considerati è stata effettuata sulla base dei caratteri microscopici della trama lamellare (3) che presentano conformazione diversa.

Genere Hygrophorus Fr. 1836

Al Genere appartengono basidiomi carnosi, di medio-grandi dimensioni, omogenei (quando cappello e gambo hanno analoga struttura cellulare risultando strettamente saldati uno all’altro tanto che la loro separazione non avviene in maniera netta), con portamento clitocyboide o tricholomatoide (similari, nella conformazione generale, a seconda delle varie specie, a funghi appartenenti al Genere Clitocybe, o Tricholoma), caratterizzati da colorazioni non vivaci: bianco-biancastre, grigie, brune; a volte, ma raramente, anche giallo-giallastre, aranciate o vinose; generalmente vischiosi e/o glutinosi con lamelle adnate (quando si uniscono al gambo per tutta la loro altezza), decorrenti (quando si uniscono al gambo prolungandosi verso la parte bassa dello stesso) o molto decorrenti, spesse e mediamente o marcatamente spaziate tra di loro. Sono caratterizzati da gambo cilindrico, a volte fusiforme ed attenuato alla base, con portamento robusto o, a seconda della specie, esile; con presenza, solo in alcune specie, di un velo glutinoso o cortiniforme (a forma di cortina ovvero velo costituito da filamenti sericei che dal margine del cappello arrivano al gambo) ben evidente, generalmente asciutto, liscio o fibrilloso o fioccoso, a volte glutinoso. Carne generalmente immutabile o, a volte, chiazzata di rosso-vinoso. Habitat boschivo.

 

Hygrophorus marzuolus (Fr. : Fr.) Bres. 

Atti Acad. Agiato Rovereto 2: 3 (1893)

Basionimo: Agaricus marzuolus Fr. (1821)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Hygrophoraceae, genere Hygrophorus

Etimologia: Hygroforus dal greco hygròs = umido e da phorus (suffisso derivato dal verbo féro) = io porto ovvero “portatore di umidità” con riferimento al fatto che molte specie si presentano con cappello e gambo viscidi o glutinosi. Marzuolus dal latino = marzuolo con riferimento al mese di marzo per la tipicità della sua crescita.

 

Sinonimi principali: Clitocybe marzuolus (Fr.) Sacc. (1887); Limacium camarophyllum subsp. Marzuolum (Fr.) Herink (1949).

Nomi volgari: Dormiente; Fungo marzuolo [Bonazzi, 2003]; Marzuolo dormiente.

Nomi dialettali: Marzaròl (nome dialettale trentino); Fungi prumetiju (nome dialettale cosentino); Marzuodinu (nome dialettale della Sila greca) [Bonazzi, 2003].

 

Descrizione macroscopica Hygrophorus marzuolus

 

Cappello di medio-grandi dimensioni, può raggiungere anche 13-15 cm. di diametro, carnoso, consistente, inizialmente emisferico, poi, verso la maturazione, convesso, piano-convesso, infine piano, a volte anche depresso, con forma irregolare, gibbosa. Margine incurvato, leggermente involuto nei giovani esemplari, intero e lobato. Superficie asciutta, leggermente vischiosa a tempo umido, liscia o finemente fibrillosa, inizialmente di colore grigio chiaro poi tendente sempre più al grigio, grigio piombo, grigio-nerastro, grigio-bruno, a volte con macchie biancastre irregolari; può presentarsi anche completamente bianca negli esemplari cresciuti sotto terra. Imenoforo formato da lamelle spaziate, spesse, ceracee, lardacee, sinuose, adnate o leggermente decorrenti sul gambo, spesso collegate tra loro trasversalmente (anastomizzate), intervallate da numerose lamellule (struttura lamellare di dimensioni minore che partendo dal margine del cappello si interrompe prima di giungere al gambo interponendosi tra le lamelle stesse), inizialmente di colore bianco-biancastro tendenti, verso la maturazione, al grigio-grigiastro. Gambo cilindrico, robusto, generalmente tozzo, a volte anche slanciato, attenuato o ingrossato alla base, inizialmente pieno poi, verso la maturazione, fistoloso (quando si presenta cavo in tutta la sua lunghezza); inizialmente di colore bianco, poi grigiastro e quasi concolore alle lamelle e al cappello. Carne inizialmente soda e spessa in tutto il carpoforo, poi fragile, igrofana (quando mostra diversa intensità di colore dovuta alla capacità di assorbire umidità dall’ambiente circostante); bianca nei giovani esemplari, grigio-nerastra negli esemplari maturi specialmente nel cappello; odore lieve, fungino, sgradevole negli esemplari maturi; sapore mite, gradevole.

 

Habitat

E’ la tipica specie del periodo di transizione tra l’inverno e la primavera, fa la sua apparizione, a seconda delle varie fasce climatiche, dell’altitudine e della esposizione, fin dal mese di gennaio prolungandola anche fino a primavera inoltrata, al mese di maggio e, a volte, anche al mese di giugno. Viene tipicamente ricercato nel periodo del disgelo quando il bosco è ancora coperto da chiazze di neve che si sciolgono al tepore del sole di fine inverno inizio di primavera. Cresce a gruppi tipicamente interrato ed è solito mimetizzarsi con il colore del terreno e tra i cascami di aghi e foglie. Predilige indifferentemente boschi di latifoglie o aghifoglie misti o puri, è simbionte dell’abete bianco, dell’abete rosso, del pino silvestre, del faggio e del castagno. Specie abbastanza comune, abbondante e legata ai luoghi di crescita dove ritorna puntualmente anno dopo anno. 

 

Commestibilità

Buon commestibile. Ricercato ed apprezzato per le qualità organolettiche e per la versatilità cui si presta ad essere utilizzato in cucina. Ha carne soda e polposa, gusto delicato tipicamente fungino. Viene utilizzato nella preparazione di risotti e primi piatti o trifolato quale contorno per carne o pesce. La conservazione sott’olio è molto diffusa mentre, per l’alto contenuto di acqua, è poco adatto all’essiccazione. 

 

Specie simili

Non esistono specie simili nello stesso periodo di crescita, quelle maggiormente somiglianti hanno crescita autunnale. Ci limitiamo ad indicare:

 

  • Hygrophorus camarophyllus (Alb. & Schwein.) Dumée, Grandjean & Maire (1912)

E’ la specie più somigliante, che presenta caratteristiche morfocromatiche quasi identiche tanto da farla considerare il sosia per antonomasia. Differisce per il periodo di crescita prettamente autunnale; per il colore del cappello più scuro, a volte nero o grigiastro scuro e privo di macchie biancastre; per le lamelle grigio-biancastre o crema-grigiastre, anche a maturità, con deboli sfumature azzurrognole o crema-beige; per il gambo slanciato e mai tozzo.

 

  • Hygrophorus atramentosus (Alb. & Schwein.) H. Haas & R. Haller Aar. ex Bon, (1985)

Molto simile alla specie precedente della quale viene considerato, secondo alcuni autori, una varietà o addirittura una semplice forma ecologica tanto da esserne sinonimizzato. Differisce da H. marzuolus per il periodo di crescita prettamente estivo-autunnale, per il colore del cappello più scuro con deboli riflessi azzurrognoli su fondo fibrilloso e per la conformazione delle lamelle che si presentano, all’attacco sul gambo, smarginato-adnate e non decorrenti. 

 

  • Tricholoma portentosum (Fr.) Quél. (1873)

Specie molto simile per la conformazione morfo-cromatica, per l’habitat e per la similarità della crescita semiinterrata e tra numerosi cascami fogliari. Differisce per il periodo di crescita prettamente autunnale, per la presenza di un umbone ottuso sul cappello e per i riflessi giallastri che si notano nella zona sotto cuticolare e nel gambo, ed ancora, in particolare, per le lamelle smarginate (quando formano un’ansa prima di unirsi al gambo) con riflessi giallini più o meno evidenti. 

 

La ricerca 

Il periodo invernale, è risaputo, poco si presta alla fruttificazione fungina tanto che i numerosi “funciari” (cercatori di funghi) sono soliti riporre l’attrezzatura necessaria alla ricerca ed attendere tempi migliori. Tale motivo, unitamente alla tipica crescita interrata del nostro “dormiente” ed alla conseguente difficoltà del suo ritrovamento non ha consentito, per tantissimo tempo, l’individuazione delle sue aree di fruttificazione, così che, nei tempi passati, questi veniva ritenuto raro con crescita limitata ad alcuni areali specifici. Oggi le sue particolari abitudini ed i suoi segreti sono stati svelati e gli appassionati di micologia: micofagi, micologi o semplici curiosi, conoscendo le località di crescita e le sue particolari abitudini attendono con impazienza lo scioglimento delle nevi per riversarsi nei boschi alla sua ricerca.

E’ opportuno scegliere con cura la località per la ricerca, privilegiando areali di crescita già noti dove si hanno esperienze di precedenti raccolte. Nella ricerca conta la sensibilità individuale, la conoscenza del bosco, la pazienza, il colpo d’occhio. La presenza di chiazze di neve ed i punti dove l’umidità è più concentrata sono indicatori di potenziale crescita. E’ opportuno esaminare attentamente il terreno in prossimità dei propri piedi al fine di evitare di calpestarli; fare attenzione alle macchie scure sotto le foglie ed ai riflessi bianchi delle lamelle (a volte una piccola parte di cappello sollevata è un sicuro punto di riferimento), ricerchiamo le piccole protuberanze del terreno, spesso sono indicative della spinta del carpoforo in fase di crescita; evitiamo, nella maniera più assoluta, di utilizzare rastrelli per spostare le foglie, danneggeremmo irrimediabilmente il micelio con ripercussioni negative sulla futura crescita. Individuato il carpoforo provvediamo a spostare con cura le foglie e ad estrarlo delicatamente dal terreno cercando di spostare meno terra possibile [Oppicelli N., 2018]. Effettuata la raccolta rientriamo in sede e passiamo gli esemplari in cucina per il successivo prosieguo e…Buon appetito!

 

Note e Curiosità 

Il primo a parlarne fu Pier Antonio Micheli (botanico e micologo italiano. Firenze, 11 dicembre 1679 – 1 gennaio 1737) che lo descrisse, in maniera non approfondita, nel 1729, in “Nova plantarum genera” con il nome comune di “Fungo Marzuolo” o “Dormiente” ed indicando i boschi della Valle Ombrosa, in Toscana, quale luogo del suo ritrovamento [Bertolini V., 2018]. Le successive descrizioni da parte dei vari autori, visto che la specie non venne più ritrovata, furono basate sulla tavola illustrativa dello stesso Micheli e sulle poche notizie da questi fornite. Fu Elias Magnus Fries (Micologo e botanico svedese. Femsjö, 15 agosto 1794 – Uppsala, 8 febbraio 1878) che lo descrisse in maniera corretta e valida, nel 1821, in “Systema mycologicum” con la denominazione scientifica di Agaricus marzuolus. Successivamente, nel 1887, ad opera di Pier Andrea Saccardo (Botanico e micologo italiano. Treviso, 23 aprile 1845 – Padova, 11 febbraio 1820), fu riposizionato nel Genere Clitocybe con la denominazione di Clitocybe marzuolus. Solo nel 1893, Giacomo Bresadola (Sacerdote e micologo italiano. Ortisé, 14 febbraio 1847 – Trento, 9 giugno 1929) poté esaminare e studiare numerosi esemplari della specie, ritrovati sempre nella Valle Ombrosa e a lui inviati, elaborandone una corretta descrizione che venne pubblicata, unitamente ad una tavola illustrativa a colori, negli “Atti della Regia Accademia degli Agiati” in Rovereto, provvedendo, quindi, alla ricombinazione della specie come Hygrophorus marzuolus [Bertolini, 2018].

Il ritrovamento del Micheli rimase unico per numerosi anni tanto che la specie venne ritenuta a crescita esclusiva (endemica) della Valle Ombrosa. Ciò, in realtà, era dovuto al fatto che per il particolare periodo di crescita invernale e per il suo mimetismo, il ritrovamento era molto difficile. [AGMT, 2013]. 

Successivamente vennero segnalati altri ritrovamenti a Monticolo nei pressi di Bolzano, all’Abetone, in Val di Sabbia nel territorio Bresciano, nel Reggiano e nella Sila che rimasero unici fino a pochi decenni fa. Poi i ritrovamenti si sono fatti sempre più numerosi ed oggi la specie viene facilmente reperita in numerosi areali di crescita che si posizionano anche a basse quote ed in boschi di latifoglie [Oppicelli, 2019]

Eravamo convinti, seguendo la tendenza generale, che nei boschi della provincia di Messina, nostra zona di operatività per la ricerca fungina, la specie non fosse presente. Oggi, grazie alle indicazioni di un amico-micologo il quale ci ha accompagnati sui luoghi, siamo soliti trovare il “marzuolo”, ormai da alcuni anni, puntuale con il disgelo delle nevi, sui monti Nebrodi: nei boschi del comune di Galati Mamertino, Longi e San Fratello. Riteniamo che la specie fruttifichi anche in numerose altre località della provincia a noi al momento non ancora note.

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  1. Genere Hygrocybe (Fr.) P. Kumm. 1971. Il Genere ospita carpofori di piccolo-medie dimensioni, poco carnosi. Esili, con portamento omphaloide, clitocyboide o inocyboide (similari, nella conformazione generale, a seconda delle varie specie, a funghi appartenenti al Genere OmphalinaClitocybe, o Inocybe), caratterizzati da cappello multiforme, spesso conico-campanulato, con colori vivaci (giallo, rosso, arancione, verde…), di consistenza ceracea, fragile ed acquosa; cuticola asciutta, umida e vischiosa; lamelle spaziate e diversamente inserite sul gambo (adnate, subdecorrenti, decorrenti), Habitat praticolo.
  2. Genere Cuphophyllus (Donk) Bon 1984. Al Genere appartengono carpofori di piccole e medie dimensioni caratterizzati da cappello di consistenza elastico, asciutto o poco vischioso e, in tal caso, di colori non vivaci o vischioso e, in tal caso, di colori vivaci: giallo, giallo-aranciato, violetto. Lamelle sempre decorrenti ed arcuate; gambo privo di anello, liscio, asciutto o, a volte, vischioso. Habitat graminicolo (quando ha tendenza a crescere in associazione con erbe infestanti appartenenti alla famiglia delle Graminaceae o, per estensione, tra l’erba in genere). 
  3. Trama lamellare indica la maniera in cui le ife si dispongono tra le due facce della lamella. Tipicamente si fa riferimento, in maniera particolare per la famiglia delle Igroforaceae a: Trama lamellare bilaterale, distintiva del Genere HygrophorusTrama lamellare intricata, distintiva del Genere CuphophyllusTrama lamellare parallela distintiva del Genere Hygrocybe. Per ulteriori approfondimenti si consiglia di consultare un testo specifico tra quelli indicati in bibliografia.

 

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Foto: Carmelo Di Vincenzo, Franco Mondello

Tavole micologiche: Giambattista Bertelli per gentile concessione del figlio Aldo

 

Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T., 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. Giunti editore, Firenze (nuova edizione 2010). I
  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama, Crocetta del Montello (TV). I
  • Bertolini Valerio, 2018: Hygroforus marzuolus: notula storico-bibliografica. Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia n. 1: 32. A. M. B. Associazione Micologica Bresadola, Trento. I
  • Bianchi Marco, 2018: Hygrophorus marzuolus. Passione Funghi e Tartufi, n. 80: 20—29. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. (ristampa 2013) Zanichelli, Bologna. I 
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Campo Emanuele, 2015: Hygrophorus, Hygrocybe e Cuphophyllus del Friuli Venezia Giulia. Gruppo Micologico Sacilese, Sacile (PN). I
  • Candusso Massimo, 1997: Hygrophorus s. l. Collana Fungi Europaei Vol. 6. Libreria Basso Editrice, Alassio (SV). I
  • Di Cocco Gianfranco, Di Cocco Silvio, 2008: I principali funghi commestibili rinvenibili in primavera. MicoPonte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2:30-37, Ponte a Moriano (LU). I
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, 1998: Funghi Igrofori. Edagricole – Edizioni Agricole della Calderini, Bologna. I
  • Galli Roberto, 2014: Gli Igrofori. Ediplan editrice, Milano. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler – 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria – 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione. Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Oppicelli Nicolò, 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi grafiche editoriali, Genova. I
  • Oppicelli Nicolò, 2018: Hygroforus marzuolus, dormiente sorpresa del disgelo Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia n. 1: 23-36. A. M. B. Associazione Micologica Bresadola, Trento. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I

 

Sitografia

  • Acta Plantarum (ultima consultazione, febbraio 2020): Etimologia dei nomi botanici e micologici e corretta accentazione.
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica): www.funghiitaliani.it
  • IF (ultima consultazione, febbraio 2020), Indexfungorum databasewww.indexfungorum.org
  • MB (ultima consultazione, febbraio.2020), Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks. www.mycobank.org
  • Micologia Messinese

Omphalotus olearius, il fungo dell’olivo

Tra le meraviglie che il “Regno dei Funghi” è solito regalare a quanti, anche se con interessi diversi, si recano abitualmente nei boschi alla ricerca di esemplari fungini, riteniamo che un posto di primo piano debba essere riservato, senza ombra di dubbio, al protagonista della nostra nuova “Riflessione Micologica” che solitamente esercita una forte attrazione nei confronti di quanti incontrandolo restano affascinati dai suoi meravigliosi e sgargianti colori e dalla sua abbondante crescita su diverse essenze arbore: Omphalotus olearius, comunemente conosciuto come “Fungo dell’olivo”, specie tossica, è responsabile di numerosi ricoveri ospedalieri conseguenti al suo incauto consumo dovuto alla somiglianza, anche se, ad onore del vero, molto vaga, con il commestibile Cantharellus cibarius e le specie affini che, in ogni caso, presentano caratteristiche morfocromatiche molto differenti e possono essere confuse solo dai meno esperti e dai più “ingordi”.

Genere Omphalotus Fayod (1889)

Al genere appartengono basidiomi slanciati, dall’aspetto elegante, caratterizzati da colori vivaci assestati sui toni giallo-aranciati, a crescita lignicola che assumono, al buio, una particolare forma di luminescenza.

 

Omphalotus olearius (De Cand. : Fr.) Singer

Pap. Mich. Acad. Sci. 32: 133 (1948)

Viene comunemente conosciuto, su tutto il territorio nazionale, come “Fungo dell’olivo” per la sua predisposizione a nascere prevalentemente, ma non solo, sui tronchi di alberi di olivo vivi o abbattuti ai quali si associa tanto come parassita (quando si nutre di sostanze vive) quanto come saprofita (quando si nutre di sostanze morte). Per la presenza di un particolare enzima, chiamato luciferasi, ha la proprietà di emettere, in condizioni di scarsa illuminazione, dei riflessi luminescenti di colore giallo-verdastro, proprietà riscontrata anche nelle altre specie fungine appartenenti allo stesso genere che lo fa comunemente conoscere con la denominazione volgare di “Jack’ o’ Lantern” nei paesi anglosassoni [Oppicelli, 2018] e con quella di “faux-clitocybe lumineux” in quelli francesi [AGMT, 2013]. 

 

Basionimo: Agaricus olearius De Cand. (1815)

 

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Agaricaceae, genere Omphalotus

Etimologia: Omphalotus, dal greco omfalòs = ombelico con riferimento alla caratteristica depressione centrale. Olearius, dal latino oleàrius, attinente all’olio, all’olivo, con riferimento al presunto habitat di crescita

Sinonimi principali: Pleurotus olearius (De Cand.) Gillet (1876); Flammula phosphorea (Battarra ex Pers.) Quél. (1883): Dryophila phosphorea (Battarra ex Pers.) Quél. (1888); Clitocybe olearia (De Cand.) Maire (1933); Clitocybe phosphorea (Battarra ex Pers.) Bohus (1957). 

Nomi Volgari: Fungo dell’olivo, Agarico dell’olivo.

Nomi volgari stranieri: Jack’ o’ Lantern” (Inghilterra e paesi anglosassoni) [Oppicelli, 2018]; “faux-clitocybe lumineux” (Francia) [AGMT, 2013] 

Nomi dialettali: in considerazione delle numerosissime denominazioni dialettali che variano da una località all’altra, ci limitiamo a riportare, come ormai nostra abitudine, solo i nomi in uso in Sicilia: Funcia di aliva vilinusa, Funcia d’aliva, Funciu d’alivo vilinusu [Bonazzi, 2003].

Descrizione macroscopica

Cappello di medio-grandi dimensioni, nelle varie fasi di accrescimento si presenta convesso e presto ombelicato, divenendo, successivamente, convesso con depressione centrale più o meno ampia, a volte si rileva un umbone centrale appena accennato. Margine inizialmente involuto poi disteso, regolare ed ondulato, a volte fortemente lobato e quasi petaloide per la pressione di altri individui a crescita cespitosa. Superficie liscia, lucida, fibrillosa, colore giallo-arancio, giallo-fulvo, bruno-aranciato, bruno-rossastro uniformemente distribuito su tutta la superficie. Imenoforo formato da lamelle fitte, arcuate, lungamente decorrenti sul gambo, a volte forcate, intervallate da numerose lamellule inizialmente di colore giallo tendenti, a maturazione, al giallo-aranciato, tipicamente luminescenti al buio ed in esemplari adulti. Gambo pieno, cartilaginoso, cilindrico ed attenuato verso la base, eccentrico, a volte laterale, raramente centrale, superficie pruinosa nella zona inferiore, costolata nella zona superiore; concolore al cappello o leggermente più scuro. Carne soda, compatta, fibrosa nel gambo e negli esemplari maturi, di colore giallo-aranciato nel cappello e nella parte superiore del gambo, rosso-carota tendente al brunastro alla base del gambo; odore e sapore gradevole, fungino. 

Habitat

Tipica crescita nei periodi caldi dell’anno, generalmente dall’estate all’autunno, in boschi esposti al sole, caldi ed aperti, su alberi, radici o ceppaie marcescenti di olivo e di altre latifoglie (quercia, castagno, carpino, eucalipto…) in forma cespitosa ed in gruppi di numerosi esemplari.

Commestibilità

NON commestibile, specie ad elevata tossicità. Provoca sindrome olearia (1) a breve latenza (quando si manifesta entro 6 ore dell’ingestione dei funghi) e ad effetto gastroenterico. E’ considerata una delle specie tossiche che provocano un elevato numero di ricoveri [Illice ed altri, 2011].

Specie simili

  • Cantharellus cibarius (Fr. : Fr.) Fries (1821)

Anche se presenta caratteristiche morfocromatiche molto diverse da O. olearius, viene con questo spesso confuso, specialmente dai raccoglitori meno esperti, con ovvie e poco piacevoli conseguenze. Differisce da O. olearius per la conformazione dell’imenoforo costituito da pliche e non da lamelle, per il colore giallo intenso e per l’habitat di crescita esclusivamente terricolo. La confusione viene spesso creata da esemplari di O. olearius a crescita singola ed alla base degli alberi ove si legano con le radici assumendo l’aspetto di funghi terricoli e dalla colorazione che, in alcuni casi, si porta verso il giallo inducendo i raccoglitori meno esperti in grossolani errori di determinazione.

  • Hygrophoropsis aurantiaca (Wulf. : Fr.) Maire (1921)

Può essere confusa più facilmente con O. olearius dal quale differisce per la crescita non cespitosa, per la colorazione più aranciata con aspetto opaco, per l’imenoforo formato da lamelle meno alte e privo di lamellule, per le dimensioni generalmente minori. Ha crescita apparentemente terricola su detriti vegetali in decomposizione.

 

Note e curiosità 

Tavola I – Omphalotus olearius – Disegno di Giambattista Bertelli
Tavola I – Omphalotus olearius – Disegno di Giambattista Bertelli

 

O. olearius, come altre specie appartenenti al genere, è dotato della particolare proprietà della bioluminescenza o chemioluminescenza dovuta alla presenza di un enzima chiamato luciferasi che consente ai singoli esemplari, se osservati al buio, di emettere una luce fosforescente di colore giallo-verdastro, più intensa in corrispondenza delle lamelle. Tale caratteristica, secondo alcuni autori, esercita una particolare forza attrattiva verso gli insetti i quali, posandosi sulle lamelle, si imbrattano le zampe con le spore e, agendo da veicolo di diffusione, le disperdono nel territorio favorendo la fruttificazione di nuovi esemplari. 

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  1. Sindrome olearia: si manifesta entro breve tempo dall’ingestione dei funghi, generalmente da 1 a 3 ore, raramente i sintomi si presentano oltre le 6 ore. Interessa principalmente l’apparato gastroenterico causando, spesso, una sintomatologia violenta con nausea, vomito, sudorazione intensa, lacrimazione ed ipersalivazione, secchezza delle fauci con sapore amaro in bocca, accompagnata, a volte, da disturbi della visione e dolori muscolari. L’ipersalivazione e l’intensa sudorazione indirizzano la diagnosi verso la sindrome muscarinica ma è stato accertato che O. olearius non contiene muscarina [Pelle, 2007 – Assisi ed altri, 2008 – Milanesi, 2015]. Approfonditi studi condotti negli anni ’60 da ricercatori americani hanno consentito di isolare, quale principio attivo, le illudine, sesquiterpeni con effetti citotossici, antivirali ed antitumorali [Pelle, 2007]. v

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Foto: Franco Mondello – Lucio Scala

Disegni: Giambattista Bertelli per gentile concessione del figlio Aldo

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Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T. – 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN)
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica) –2007: Tutto funghi. Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano
  • Balestreri Stefano – 2013: Omphalotus olearius, Estratto da “Appunti di Micologia” (http://www.appuntidimicologia.com/2013/07/omphalotus-olearius.html)
  • Bertolini Valerio – 2018: Omphalotus olearius: Notula storico-bibliografica.  Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia. n. 2: 38 – 39
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Buda Andrea, 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione gennaio 2019)
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler – 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO)
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria – 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione. Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS)
  • MB – Mycobank databasewww.mycobank.org (ultima consultazione gennaio 2019)
  • Milanesi Italo – 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento 
  • Oppicelli Nicolò, 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi grafiche editoriali, Genova
  • Oppicelli Nicolò – 2018: Il fungo dell’olivo: Omphalotus olearius. Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia. n. 2: 33 – 42
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo -2004: Atlante fotografico dei funghi d’Italia, Vol. 1. Seconda ristampa. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Pelle Giovanna – 2007: Funghi velenosi e sindromi tossiche. Bacchetta Editore, Albenga (SV)

Tricholoma portentosum (Fr. : Fr.) Quél. (1873)

Tricholoma portentosum (Fr. : Fr.) Quél. (1873)E’ il tipico fungo del periodo tardo autunnale che vuole ricordare con la propria presenza l’imminente chiusura della stagione micologica. Fa la sua apparizione nel bosco ad autunno inoltrato, praticamente nascosto tra i numerosi cascami fogliari ormai abbondanti per il rapido incedere della stagione, attirando numerosi cercatori che, conoscendolo, lo apprezzano per le ottime qualità organolettiche che lo rendono protagonista di numerose preparazioni mico-gastronomiche: Tricholoma portentosum, conosciuto e ricercato su tutto il territorio nazionale, è una specie fungina che si lega in associazione simbiotica a diverse colture arboree preferendo, in ogni caso, ma non solo, quelle a struttura fogliare aghiforme. La sua ricerca, visto che ama “giocare a nascondino” rifugiandosi sotto l’ormai spesso manto fogliare, richiede molta esperienza, pazienza e delicatezza per poterlo individuare e raccogliere senza che venga danneggiato, cosa molto probabile data la fragilità della sua carne. Viene posizionato, anche se in maniera informale con l’intento di fornire a quanti si avvicinano allo studio del Genere una chiave di determinazione facilitata, nel “Gruppo dei “Tricholoma grigi”.(1)

Storia ed evoluzione del Genere Tricholoma

Il termine Tricholoma viene usato per la prima volta da Elias Magnus Fries (2) nella sua opera “Systema Micologycum” del 1821 con l’intento di suddividere la serie dei funghi leucosporei (quando le spore in massa sono di colore bianco-biancastro) appartenenti al “Super Genere Agaricus” in gruppi tra di loro omogenei, dando così origine alle seguenti tribù: Amanita, Lepiota, Armillaria, Limacium, Tricholoma, inserendo in quest’ultima tribù funghi caratterizzati da: “velo fugacissimo, parziale, da fibrilloso a fioccoso. Gambo carnoso, solido, un po’ attenuato nella parte superiore, non liscio ma squamoso, da fibrilloso a striato da dense fibrille. Cappello carnoso, ora compatto, emisferico, quindi appianato, ottuso, campanulato nel giovane; con velo attiguo. Lamelle disuguali, asciutte, posteriormente ottuse, da smarginate ad arrotondate. Spore bianche” [Fries, 1821 – Riva, 1988 – Galli, 2005]. Successivamente, nel 1857, su iniziativa di Friedrich Staude(3), la tribù venne elevata a Genere nel quale, in origine, venivano inserite numerose altre specie fungine sottoposte, nel corso degli anni, a nuove tecniche di indagine ed a nuove metodologie di studio che, grazie anche al supporto del microscopio e dei reagenti chimici, hanno consentito la creazione di nuove entità tassonomiche come, ad esempio, i Generi Melanoleuca Patouillard (1897); Lepista Fries (1838) (= Rhodopaxillus R. Maire, 1913); Lyophyllum Karsten (1881); Leucopaxillus Boursier (1925); Tricholomopsis R. Singer (1939) ed altri, le cui specie un tempo, come già detto, erano tutte inserite nel vasto Genere Tricholoma [Galli, 2005].

E’ opportuno precisare che la denominazione Tricholoma era stata utilizzata, già in epoca precedente, da parte di George Bentham (Botanico inglese, 22 settembre 1800 – 10 settembre 1884) per identificare un gruppo di vegetali appartenenti alla Famiglia delle Scrophulariaceae e che, pertanto, ai sensi delle norme contenute nel Codice Internazionale per la Nomenclatura delle alghe, funghi e piante (ICN) (4) che stabilisce che due gruppi di vegetali non possono essere identificati con lo stesso nome, non poteva essere utilizzato per designare un genere fungino. Tuttavia, al solo fine di evitare ulteriori confusioni in quanto numerose specie fungine avrebbero dovuto transitare in altro genere, fu deciso, durante un congresso internazionale, che il termine poteva continuare ad essere usato anche nel campo della micologia [Brunori ed altri, 2014].

Genere Tricholoma (Fr. : Fr.) Staude 1857

Al Genere, la cui specie tipo è T. equestre, appartengono funghi terricoli, omogenei (quando cappello e gambo sono formati da struttura cellulare similare tanto che risulta difficile il distacco tra le due parti), carnosi, con portamento generalmente robusto detto, appunto, tricholomoide, legati in simbiosi ectomicorrizica (quando le ife fungine si attorcigliano attorno alle radici degli alberi formando un manicotto ifale detto micoclena) con specie arboree diverse sia di conifere sia di latifoglie. Le numerose specie appartenenti al Genere sono caratterizzate da: Cappello viscido o asciutto, generalmente con fibrille radiali, a volte con squame o scaglie più o meno regolari, in alcune specie umbonato; inizialmente emisferico-convesso, poi, verso la maturazione, piano-convesso, con orlo liscio o scanalato, generalmente più o meno involuto negli esemplari giovani, disteso e sottile in quelli maturi. La colorazione, a seconda del genere, ruota su quattro colori fondamenti con sfumature e tinte di transizione: Bianco, dal bianco puro al crema-avorio. Giallo, dal colore paglia al giallo vivo, giallo-olivastro fino al verde oliva. Bruno-Marrone, con le numerose sfumature intermedie dal bruno-chiaro, beige, nocciola, bruno-rosato, bruno-castano, bruno-fulvo, bruno-rossiccio fino al bruno-nerastro. Grigio, dal grigio-acciaio al grigio-topo, al grigio-nerastro fino a nero-nerastro o nero [Riva, 1988 – Galli, 2005]. Imenoforo a lamelle adnate, uncinate, smarginate, decorrenti per un dentino (quando prima di unirsi al gambo formano una piccola ansa concava), mediamente fitte ed intercalate da lamellule (struttura similare alle lamelle che si interpone tra le lamelle stesse, con dimensioni minori. Ha origine dal margine del cappello e si interrompe prima di giungere al gambo), in alcune specie molto spaziate, colore variabile dal bianco-biancastro al grigio, grigio-verdognolo al giallo più o mento intenso. Spore in massa di colore bianco-biancastro. Gambo centrale, generalmente cilindrico, in alcune specie globoso-ventricoso, bulboso o dilatato alla base, a volte radicante; superficie asciutta, liscia, in alcune specie pruinosa, forforacea, punteggiata, granulosa; colore uniforme a volte con sfumature [Miceli, 2018]. Il genere include specie di ottima qualità e molto ricercate per le proprietà organolettiche e specie tossiche responsabili di sindromi di grave entità: sindrome rabdomiolitica e sindrome resinoide [Boccardo e altri, 2013].

Tricholoma portentosum (Fr. : Fr.) Quél.

Mém. Soc. Émul. Montbéliard, Sér. 2 5: 338 (1873)

Basidioma di medio-grandi dimensioni, dal portamento robusto e dall’aspetto poco attraente ma, in ogni caso, molto ricercato per le ottime ed eccellenti proprietà organolettiche che ne fanno oggetto di ricerca accanita da parte di numerosi micofagi.

Basionimo: Agaricus portentosum Fr. 1821

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Tricholomataceae, genere Tricholoma.

Etimologia: Tricholoma da greco thrikòs = pelo e loma = orlo con espresso riferimento al margine del cappello peloso, lanoso, tipico di molte specie di Tricholoma.

Portentosum dal latino portentosus = portentoso, con riferimento alle sue ottime qualità organolettiche che lo rendono particolarmente invitante dal punto di vista gastronomico e non, come potrebbe sembrare, con riferimento al suo aspetto morfologico.

Principali sinonimi: Gyrophila portentosa (Fr.) Quél. (1886); Gyrophila sejuncta var. portentosa (Fr.) Quél. (1896); Melanoleuca portentosa (Fr.) Murrill (1914).

Nomi volgari: Tricoloma portentoso.

Nomi dialettali: Cicalotto, nome dialettale senese; Castagnolo, in uso nella provincia di Massa Carrara; Perrupato gruossu, utilizzato in provincia di Cosenza; Cicalotti, tipico della Liguria [Bonazzi, 2003].

Descrizione macroscopica

Cappello di medie-grandi dimensioni (5-10 cm), carnoso, inizialmente conico-campanulato poi convesso ed infine, verso la maturazione, più o meno appianato, con umbone tondeggiante, ottuso più o meno evidente; margine lobato, elastico, non o leggermente involuto, poi disteso, fessurato a tempo secco negli esemplari maturi. Cuticola parzialmente separabile caratterizzata da evidenti fibrille scure disposte in senso radiale, viscosa o sericea a tempo secco; colore molto variabile nelle numerose gradazioni del grigio: grigio acciaio, grigio ardesia, grigio-nerastro, grigio-ardesia con riflessi violacei.

Imenoforo a lamelle non molto larghe, sinuose, leggermente smarginato-uncinate al gambo, intervallate da numerose lamellule (struttura lamellare di dimensioni minori che partendo dal margine del cappello si interrompe prima di giungere al gambo), di colore bianco con riflessi giallini tendenti al grigiastro negli esemplari molto maturi, filo regolare ed a volte seghettato. Spore in massa di colore bianco. Gambo centrale, cilindrico, inizialmente sodo poi fibroso, robusto, a volte slanciato, bianco-biancastro con sfumature gialline non sempre evidenti o presenti, leggermente virante al tocco verso il giallo-oliva. Carne soda e consistente nel cappello, fibrosa e fragile nel gambo, di colore bianco, bianco-giallastro, giallognola nella zona sottocuticolare, odore fruttato-farinaceo.

Habitat

Fruttifica nel tardo autunno e nel primo periodo invernale, quando la temperatura tende a diminuire. Si presenta in gruppi di numerosi esemplari prevalentemente nei boschi di conifere (Pinus sylvestrisP. nigra, P. pinaster ecc.) ed anche nei boschi di latifoglie, in particolare di castagni (Castanea sativa) puri o misti con querce e pioppi.

Commestibilità

Ottimo commestibile, molto conosciuto e ricercato. Si presta a svariati metodi di preparazione o di conservazione. In alcune località viene particolarmente apprezzato se conservato sott’olio con aggiunta di cipolla.

Caratteri differenziali

Si distingue, in generale, per la tipica attaccatura delle lamelle al gambo: smarginato-uncinata ovvero decorrente per un dentino (quando le lamelle prima di unirsi al gambo formano una piccola ansa concava) che è, al contempo, identificativa del genere di appartenenza; in particolare, ai fini dell’identificazione della specie, per il cappello color grigio ardesia con fibrille radiali; per le tipiche sfumature gialline nelle lamelle, nel gambo e soprattutto nella zona sottocuticolare.

Forme e varietà

  • Tricholoma portentosum var. lugdunense Bon (1976)

Molto simile alla specie tipo dalla quale differisce per la presenza di pigmenti giallo-biancastri sul cappello specialmente verso la zona discale e per la cuticola priva, quasi totalmente, delle caratteristiche fibrille nere.

  • Tricholoma portentosum var. album Jacquet. ex Bon (1976)

Differisce dalla specie tipo per il colore completamente bianco con rare fibrille grigio chiaro sul cappello e leggere sfumature giallastre su lamelle e gambo.

Specie simili

  • Tricholoma virgatum (Fr. : Fr.) P. Kummer (1871)

Differisce per il cappello conico-umbonato di colore grigio argento, per l’assenza di sfumature gialle sulle lamelle e sul gambo, per il sapore acre-bruciante della carne.

  • Tricholoma sciodes (Pers.) C. Martin (1919)

Differisce per la forma campanulata del cappello che si presenta di colore grigio-nerastro, per l’assenza delle tipiche sfumature gialle, per il filo lamellare macchiato di nero e per il sapore amarognolo e sgradevole.

  • Tricholoma sejunctum (Sow. : Fr.) Quél. (1872)

Differisce per la mancanza delle tonalità gialle su lamelle, gambo e zona sottocuticolare e per la carne amarognola.

  • Tricholma josserandii Bon (1975)

Specie tossica e facilmente confondibile con T. portentosum sia per le caratteristiche morfo cromatiche generali, sia per lo stesso habitat e periodo di crescita. Differisce per la cuticola liscia e vellutata e per l’assenza delle sfumature gialle sulle lamelle, nel gambo e nella zona sottocuticolare e, infine, per la carne amarognola con odore farinaceo-cimicino.

E’ opportuno ricordare ancora una volta, al fine di evitare, come spesso è avvenuto, confusione con specie tossiche, che T. portentosum presenta sempre, anche se in maniera non sempre molto evidente, delle sfumature giallo, giallo-paglia, sulle lamelle, sul gambo e, in particolare, nella zona sottocuticolare facilmente rilevabili, queste ultime, separando la cuticola stessa dalla sottostante carne del cappello.

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  1. Si è soliti ricorrere, affinché si possa pervenire ad una più facile determinazione delle numerose specie appartenenti al Genere Tricholoma, ad un raggruppamento di comodo basato sul colore del cappello dei singoli esemplari che dà origine ai seguenti quattro gruppi:
  • Gruppo dei Tricoloma bianchi: comprende specie con colore di base bianco, bianco-crema, bianco-verdognolo. Il colore del cappello è, generalmente, bianco puro o con sfumature crema, ocracee, verdastre o giallastre. Indichiamo, a puro titolo orientativo, alcune delle specie appartenenti al gruppo: T. Album, T. pseudoalbum, T. terreum, T. columbetta, T. Albidus ed altre ancora.
  • Gruppo dei Tricoloma grigi: raggruppa specie caratterizzate da colore di base grigio, grigio-bruno o nerastro. La colorazione si può presentare uniforme o mescolata a sfumature bianco-biancastre o bruno-azzurrognole. Appartengo al gruppo: T. filamentosum, T. terreum, T. gaupasatum, T, cingolatum, T. triste, T. potentosum e tanti altri ancora.
  • Gruppo dei Tricoloma gialli: ospita specie caratterizzate da colori di base giallo, giallo-oliva, verde sia puri che mescolati tra di loro dando origine a numerose sfumature che oscillano tra il giallo-cromo, giallo-oliva, giallo-verdastro, verdastro, giallo aranciato. Ad esempio indichiamo: T. sulphureum, T.Sejunctum, T. equestre ecc.
  • Gruppo dei Tricoloma bruno-marroni: caratterizzato da specie con colore di base giallo-rosato, nocciola, più o meno inteso, puro o con sfumature di gradazione diversa dal bruno-chiaro, beige, nocciola, bruno-rosato, bruno-castano, bruno-fulvo, bruno-rossiccio fino al bruno-nerastro su sfondo banco o giallastro. Fanno parte del gruppo, ad esempio, T. imbricatum, T. fulvum, T. aurantium, T. colossus ecc.

I gruppi sopra indicati costituiscono una valida “Chiave di determinazione” delle numerose specie basata sull’osservazione dei soli caratteri morfo-cromatici che si ritiene, per il Genere Tricholoma, essere sufficiente senza dovere ricorrere all’esame microscopico. E’ opportuno, in ogni caso, sottolineare che il colore è spesso condizionato dalle mutevoli condizioni climatiche tendendo a sbiadire a tempo secco e dalle condizioni ambientali come la presenza di corpi estranei (foglie, aghi o terriccio ecc.) sul capello che ne impedisce la normale formazione della pigmentazione [Galli, 2005]. Ovviamente abbiamo voluto fornire solo delle indicazioni generiche del tutto indicative invitando il lettore che volesse approfondire l’argomento a consultare i testi indicati in bibliografia con particolare riferimento a Riva (1988: Tricholoma) e Galli (2005: I tricolomi). 

  1. Elias Magnus Fries, (Femsjö, 15 agosto 1794 – Uppsala, 8 febbraio 1878), micologo e botanico svedese, viene riconosciuto come il padre della moderna nomenclatura micologica in quanto “Systema Mycologicum”, una tra le sue opere più importanti, per unanime decisione del congresso internazionale di Bruxelles del 1910, viene considerata il punto di partenza per la moderna nomenclatura micologica [Brunori ed altri, 2014].
  2. Friedrich Staude, (??? – 1861), medico e botanico tedesco. Ha elevato a dignità di Genere i funghi leucosporei Armillaria, Clitocybe, Collybia, Crepitodus, Omphalia e Tricholoma che in precedenza Fries aveva considerato come semplici Gruppi del Genere Agaricus [Brunori ed altri, 2014].
  3. Il “Codice Internazionale di Nomenclatura per le alghe, funghi e piante” (ICN) viene realizzato e mantenuto aggiornato da botanici provenienti da tutto il mondo che si riuniscono ogni 5 – 6 anni in una sessione precongressuale del Congresso Internazionale di Botanica. Il Codice attuale è stato formalizzato nel Congresso di Shenzhen (Cina) nel mese di luglio 2017 ed è operativo dall’anno 2018; è anche conosciuto semplicemente come “Codice di Shenzhen”; sostituisce il precedente “Codice di Melbourne” che è rimasto in vigore dal 2012 al 2017, apportando, con la sua adozione, significative modifiche al codice precedentemente in vigore che veniva chiamato“Codice Internazionale di Nomenclatura Botanica” (I.C.B.N. – International Code of Botanic Nomenclature) la cui denominazione venne cambiata durante lo stesso Congresso di Melbourne.

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Foto: Franco Mondello, Angelo Miceli

Bibliografia

  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i funghi. Seconda Edizione. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. (ristampa 2010) Giunti editore, Firenze. I
  • Balestreri Stefano, 2011: Tricholoma portentosum. Estratto da “Appunti di Micologia” Novembre 2011. (www.appuntidimicologia.com)
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. (Ristampa 2013) Zanichelli, Bologna. I
  • Bonazzi Ulderico, 2003Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Brunori Andrea, Cassinis Alessandro, 2014: I funghi nella storia. Sandro Teti Editore, Roma. I
  • Chiari Maurizio, Papetti Carlo, 2000: Approccio al Genere Tricholoma. AMB Rivista di Micologia Anno XLIII n. 3: 199 – 210. Trento. I
  • Fries Elias Magnus, 1821: Systema Miycologicum, sistens Fungorum Ordines, Genera et Species huc usque cognitas, quas ad normam methodi naturalis determinavit, disposuit atque descripsit. Vol. I. Ludae
  • Galli Roberto, 2005: I Tricolomi. dalla Natura, Mlano. I
  • La Spina Leonardo, 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo I. Eurografica, Riposto (CT) – I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria, 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS)
  • Mannina Nino, 2015: Il Genere Tricholoma (Fr.) Staude nel comprensorio territoriale dell’Agro ericino – Manale per la determinazione delle specie. Gruppo Micologico Tonino Pocorobba. Erice (TP). I
  • Miceli Angelo, 2018: Tricholoma equestre (L.) P. Kumm 1871. Il Fungo, Periodico de1 Gruppo Micologico e Naturalistico “Renzo Franchi”Anno XXXVI settembre 2018 n. 2: 13-22. Reggio Emilia. I – anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli”

(https://www.adset.it/articoli/angelo-miceli/491-tricholoma-equestre-l-p-kumm-187); e in “MicologiaMessinese/Andar per funghi” 

  • Oppicelli Nicolò, 2019: Tricholoma portentosum. Passione Funghi e Tartufi. Anno VIII Novembre –Dicembre 2019 n. 99: 26-37. Erredi Grafiche Editoriali. Genova. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I 
  • Riva Alfredo, 1988: Tricholoma (Fr.) Staude. Collana Fungi Europaei 3. Libreria Editrice Govanna Biella, Saronno. I

Sitografia

Macrolepiota procera, ovvero la “Mazza di tamburo”

Capita spesso a quanti amano passeggiare a contatto con la natura inoltrandosi nei boschi nel periodo autunno-invernale, di incontrare, piacevolmente, funghi di notevoli dimensioni e facilmente individuabili che si ergono, in tutta la loro imponenza ed il loro accattivante aspetto, tra le sterpaglie e le foglie morte del sottobosco. Si tratta di funghi ben strutturati, caratterizzati dalle notevoli dimensioni che generalmente raggiungono e da un lungo gambo che sorregge, in posizione centrale, un largo cappello ricoperto di squame. 

Sono tradizionalmente conosciuti, su tutto il territorio nazionale, con la denominazione volgare di “Mazza di tamburo” appellativo loro attribuito per la particolare forma che assumono nella fase iniziale della loro formazione, quando il cappello ancora chiuso ed il lungo gambo che lo sorregge si presentano, nel loro insieme e per la particolarità della forma assunta, similari al “mazzuolo” (mazza), attrezzo usato per percuotere grancasse e timpani (strumenti musicali a percussione). In alcune zone d’Italia sono in uso altre denominazioni volgari come: Parasole, Ombrellone, Bubbula maggiore, Agarico colubrino, Pelliccione… oltre ad una miriade di nomi dialettali espressamente locali.

La denominazione vuole fare espresso riferimento, in maniera particolare, alla Macrolepiota procera, protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, estendendosi, in forma generalizzata, anche ad altre specie appartenenti allo stesso genere.

 

Genere Macrolepiota Singer (1948)

al genere, la cui denominazione fa riferimento al micologo tedesco Rolf Singer (Schliersee, 1906 – Chicago, 1994), inserito nella Famiglia Agaricaceae, Ordine Agaricales, Classe Basidiomycetes, appartengono funghi eterogenei (quando il cappello ed il gambo, stante la loro diversità strutturale, si staccano facilmente l’uno dall’altro senza lasciare tracce evidenti di frattura), con imenoforo (parte inferiore del cappello ove è posizionato l’imenio, zona fertile del fungo ove si maturano gli elementi riproduttivi: spore, formato, nel Genere Macrolepiota, da lamelle) asportabile e residui del velo parziale sotto forma di anello, che presentano le seguenti caratteristiche morfologiche: Cappello di grandi dimensioni, raggiunge facilmente, e spesso supera, in alcune specie, i 30 cm di diametro; inizialmente subgloboso, emisferico, campanulato, poi piano, disteso; caratterizzato in diverse specie alla presenza di un umbone più o meno prominente; generalmente decorato da squame concentriche; colore variabile da nocciola più o meno chiaro a bruno-nocciola, bruno-castano, fino a bruno-ocra, bruno-nerastro. Lamelle bianco-biancastre, leggermente imbrunenti verso la maturazione in alcune specie. Libere (quando si interrompono prima di raggiungere il gambo) ed inserite in un collarium (struttura anulare posizionata all’apice del gambo sulla quale si inseriscono le lamelle). Le spore in massa di colore bianco-biancastro o rosa pallido identificano le specie come appartenenti al gruppo dei funghi leucosporei. Gambo cilindrico, slanciato, molto alto, supera spesso i 30-35 cm., liscio in alcune specie, screziato per la presenza di squamule più o meno evidenti in altre. Nella zona apicale è ornato da un anello semplice o doppio, a volte scorrevole; la base si presenta ingrossata e tondeggiante per la presenza di un bulbo più o meno grosso. E’ costituito da cellule filamentose di consistenza molto fibrosa, cavo all’interno, si schiaccia facilmente alla pressione sfilacciandosi longitudinalmente, formando lunghi e consistenti filamenti. Il colore, sui toni bianco-rosati, varia dal bianco, bianco-biancastro, al bruno, bruno-rosato, bruno-rossastro. Carne bianca immutabile in alcune specie, più o meno arrossante o imbrunente al taglio in altre specie.

Le numerose specie appartenenti al Genere, specialmente quando si presentano di piccole dimensioni, si prestano facilmente ad essere confuse con specie fungine appartenenti al Genere Lepiota che, tradizionalmente, ospita specie velenoso-mortali. E’ consigliabile, al fine di evitare errori di determinazione con conseguenti esiti di natura spesso irreversibile, astenersi dal raccogliere specie fungine ancora poco sviluppate e, in ogni caso, sottoporre, prima del consumo, gli esemplari raccolti all’esame di un micologo professionista al fine di acquisirne la corretta valutazione di commestibilità.

Macrolepiota procera (Scop. : Fr.) Singer

Pap. Mich. Acad. Sci. 32: 141 (1948)

E’ la “Mazza di tamburo” per antonomasia, conosciuta con tale denominazione volgare su tutto il territorio nazionale. Raggiunge notevoli dimensioni che la rendono facilmente riconoscibile. Ottimo e ricercato commestibile, rappresenta la specie tipo del genere di appartenenza.

Basionimo: Agaricus procerus Scop. 1772

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Agaricaceae, genere Macrolepiota

Etimologia: La denominazione del genere (Macrolepiota) nasce dall’unione di tre diversi termini: macro = grande, lepis = squama, otos = orecchio… ovvero grande orecchio squamoso. Procera dal latino procerus = grande, imponente con espresso riferimento alle notevoli dimensioni che solitamente raggiunge.

Sinonimi principali: Agaricus annulatus Lightf. (1777); Agaricus colubrinus Bull. (1782); Agaricus antiquatus Batsch. (1783); Agaricus squamosus Vill. (1789); Agaricus concentrus Pers. (1793); Lepiota procera (Scop.) Gray (1821): Amanita procera (Scop.) Fr. (1836); Mastocephalus procerus(Scop.) Kuntze (1891); Leucocoprinus procerus (Scop.) Pat. (1900); Lepiotophyllum procerum (Scop.) Locq. (1942); 

Nomi volgari: Mazza di tamburo, Parasole, Bubbula maggiore, Pelliccione, Tobbia [Bonazzi, 2003 – Candusso, 1990]

Nomi dialettali: è conosciuto, su tutto il territorio nazionale, con una miriade di nomi dialettali diversi che variano da un territorio all’altro. Per un senso di appartenenza alla nostra Sicilia, riportiamo soli quelli in uso in tale regione: Funci nipiteddu, Func’i coppu, Funciu capiddinu (nomi dialettali generalmente usati in varie zone della Sicilia); Funciu di nipitedda (nome dialettale messinese); Funcia d’aneddu (in uso nella zona di Alcara li Fusi – Messina); Cappiddino (nome dialettale catanese); Funcia picurina (nome dialettale palermitano) [Bonazzi, 2003].

 

Descrizione macroscopica

Cappello di grandi dimensioni, da 10 fino a 30-40 cm, inizialmente globoso-ovoidale, successivamente campanulato, conico ed infine convesso-appianato con tipica forma di ombrello (origine delle numerose denominazioni popolari) con tipico umbone ottuso, liscio e più o meno pronunciato che tende ad appiattirsi negli esemplari vecchi lasciando un leggero rilievo di colore scuro; margine inizialmente involuto, poi disteso ed infine, negli esemplari molto maturi, leggermente revoluto, regolare, a volte con leggeri residui del velo parziale; superficie asciutta, liscia negli esemplari giovani, poi, verso la maturazione, dissociata in grosse squame concentriche nella zona marginale, facilmente asportabili e tendenti a diradarsi con la maturazione, di colore nocciola, bruno, bruno-ocra, su fondo biancastro che si presenta più scuro nella zona discale in corrispondenza dell’umbone. Imenoforo a lamelle fitte, larghe con orlo intero, intervallate da lamellule di diversa lunghezza, libere al gambo ed inserite in un collarium, facilmente separabili dalla carne del cappello, colore bianco, bianco-crema con riflessi rosati, tendenti a scurire verso il brunastro negli esemplari maturi. Spore in massa bianche. Gambo slanciato, molto sviluppato in altezza, raggiunge e spesso supera i 30-35 cm., facilmente separabile dal cappello, generalmente diritto, a volte leggermente ricurvo, cilindrico, allargato verso la base dove presenta un grosso bulbo arrotondato, internamente cavo, di colore bruno chiaro, decorato da caratteristiche zigrinature che spesso ricoprono l’intera superficie del gambo estendendosi dal bulbo fino alla zona sotto anulare, disposte in cerchi sovrastanti di colore bruno-ocra facilmente asportabili. Anello molto evidente, posizionato nella zona alta del gambo, ampio e persistente, doppio e fioccoso, sfrangiato al margine, scorrevole sul gambo, bianco-biancastro sulla pagina superiore, bruno-ocra nella pagina inferiore. Carne poco spessa, inizialmente soda poi molliccia nel cappello, fibrosa nel gambo, di colore bianco immutabile, appena rosato in esemplari molto maturi, odore e sapore gradevoli di nocciola.

 

Habitat

Tipica specie autunnale, reperibile, a volte, a seconda delle condizioni climatiche stagionali, anche nel periodo tardo primaverile. Cresce singola o in gruppi di diversi esemplari prevalentemente in boschi di latifoglie ma anche di conifere, ai margini, nelle radure o nelle zone limitrofe dei boschi. Molto comune.

 

Commestibilità

Buon commestibile. Molto apprezzata e ricercata per il sapore dolce e gradito al palato. Da consumare sempre ben cotta. Si presta bene ad essere cucinata impanata e fritta a cotolette, ripiena o gratinata al forno o alla griglia sempre con l’accortezza che venga sottoposta a prolungata cottura; la mancanza di tale precauzione può essere causa di sgraditi disturbi gastro-intestinali che si possono manifestare anche per abuso nelle quantità consumate [Sorbi, 2010 – AGMT, 2013]. Il gambo, duro e fibroso, deve essere scartato; può essere, in ogni caso, dopo essiccazione e ridotto in polvere, utilizzato come aromatizzante [AMINT, 2010 – Buda, 2011]. Il congelamento è vivamente sconsigliato in quanto può essere causa, come avviene per Armillarea mellea, dello sviluppo di sostanze tossiche [Sorbi, 2010 – AGMT, 2013]. 

 

Caratteri differenziali

Si presta ad una facile determinazione anche da parte dei meno esperti. Per non confonderla con specie simili è sufficiente l’attenta osservazione dei seguenti caratteri: notevole sviluppo del carpoforo sia con riferimento alle dimensioni del cappello, sia a quelle del gambo; cappello ricoperto da grosse squamule di colore bruno, bruno-ocra facilmente asportabili; umbone centrale appiattito e più scuro del colore del cappello; gambo slanciato e ricoperto da caratteristiche zebrature posizionate nella zona centrale, sovrapposte e facilmente asportabili; bulbo basale arrotondato; anello doppio e scorrevole.

 

Forme e Varietà

Numerose sono le forme e le varietà che ruotano attorno alla specie tipo, per comodità indichiamo solo quelle da noi ritenute più significative inviando il lettore, per eventuali approfondimenti, ad un testo specifico:

  • Macrolepiota procera var. fuliginosa (Barla) Bellù & Lanzoni (1987)

Differisce per la colorazione generale che si presenta bruno-fuligginosa-nerastra in tutte le parti; in particolare per il colore delle squame bruno-nerastro; per il gambo che presenta zebrature grigio fumo-nerastre concentrate nella zona centrale e diradate verso il basso; per il bulbo basale molto grosso; per la carne leggermente arrossante specialmente nella zona corticale del gambo.

  • Macrolepiota procera var. pseudolivascens Bellù & Lanzoni (1987)

Differisce per le dimensioni delle squame più piccole e per la particolarità delle superfici che spontaneamente o allo sfregamento hanno la tendenza a macchiarsi di grigio-verdastro. 

 

Specie simili

  • Chlorophyllum rachodes(1) (Vitt.) Vellinga (2002) = Macrolepiota rachodes (Vittad.) Singer (1951)
Macrolepiota rachodes– Foto: Angelo Miceli
Macrolepiota rachodes– Foto: Angelo Miceli

Specie non commestibile, molto simile a M. procera, differisce per il portamento meno robusto; per la presenza di squamule sul cappello più grossolane; per la superficie del gambo completamente liscia, priva di zebrature ed arrossante al taglio ed allo sfregamento.

 

  • Chlorophyllum venenatum(1) (Bon) C. Lange & Vellinga (2008) = Macrolepiota venenata Bon (1979)
Macrolepiota venenata – Foto: Marco  Bianchi
Macrolepiota venenata – Foto: Marco Bianchi

Specie tossica, si presta facilmente, come la specie precedente, ad essere confusa con M. procera dalla quale differisce per il cappello lanuginoso ricoperto da squame irsute; per il gambo liscio e non zebrato che presentandosi più corto del diametro del cappello gli conferisce un aspetto meno slanciato; per la conformazione del bulbo alla base del gambo che si presenta turbinato-marginato; per l’anello semplice e per la carne arrossante.

 

  • Macrolepiota excoriata (Schaff. : Fr.) Wasser (1978)
Macrolepiota excoriata – Foto: Angelo Miceli
Macrolepiota excoriata – Foto: Angelo Miceli

Differisce per le piccole dimensioni del cappello; per la cuticola liscia di colore bruno-chiaro, eccedente, asciutta e sfrangiata al margine, integra nella zona centrale in corrispondenza dell’umbone e tendente a lacerarsi, nella zona mediana e verso il margine, in grossi lembi radiali a forma triangolare che le conferiscono un tipico apsetto a “stella”; per il gambo bianco-biancastro, liscio, tendente a scurire alla manipolazioe; per la presenza di anello semplice.

 

  • Macrolepiota konradii (Huijsman ex P.D. Orton) M.M. Moser (1967)
Macrolepiota konradii – Foto: Angelo Miceli
Macrolepiota konradii – Foto: Angelo Miceli

Differisce per la conformazione delle squame sul cappello a forma di stella, facilmente staccabili e con la punta rivolta verso l’alto; per il gambo liscio e bianco nella zona superiore e screpolato e ricoperto da fine ed appressate quamette nella zona sotto l’anello che si presenta semplice e brunastro nella parte inferiore.

 

  • Macrolepiota mastoidea (Fr. : Fr.) Singer (1951)
Macrolepiota mastoidea – Foto: Angelo Miceli
Macrolepiota mastoidea – Foto: Angelo Miceli

Differisce per le decorazioni sul cappello costituite da piccole e fini squamette; per la presenza di un umbone pronunciato, mammellonato; per il gambo caratterizzato da screziature puntiformi e per la presenza di un anello semplice.

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  1. Specie originariamente inserita nel Genere Macrolepiota, riposizionata, dopo accertamenti e studi di natura molecolare che ne hanno rimodulato la posizione tassonomica, nell’attuale Genere Chlorophyllum che inizialmente ospitava solo specie fungine caratterizzate da spore in massa di colore verdognolo.

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Foto: Marco Bianchi, Angelo Miceli, Franco Mondello

 

Bibliografia

  • A.G.M.T., 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. Giunti editore, Firenze (nuova edizione 2010). I
  • Balestreri Stefano, 2011: Macrolepiota procera. Estratto da “Appunti di Micologia” (www.appuntidimicologia.com)
  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama, Crocetta del Montello (TV). I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013). I
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Bresadola Giacomo – 1954: Funghi mangerecci e funghi velenosi.. Museo di Storia Naturale. Trento. ( IV edizione a cura del Comitato Onoranze Bresadoliane. Milano-Trento). I
  • Buda Andrea, 2011: I funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I.
  • Candusso Massimo, Lanzoni Gianbattista, 1990: Lepiota s. l.. Collana Fungi Europaei Vol.4. Libreria Editrice Giovanna Biella, Saronno. I
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo, 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • La Chiusa Lillo, 2013: Funghi Agaricoidi, Vol. I – Agaricaceae. ANDER Editore, Monza. I
  • La Spina Leonardo – 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo I. Eurografica, Riposto (CT) – I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria – 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione. Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Mondello FrancescoMacrolepiota procera (Scop.) Singer. In “MicologiaMessinese” (http://www.micologiamessinese.altervista.org/Funghi_Macrolepiota.htm#Macrolepiota_procera)
  • Oppicelli Nicolò – 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Trento
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I 
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara. I
  • Sorbi Claudio, 2010: Le Macrolepiota più comuni delle nostre zone, le mazze di tamburo. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 4: 5-12, Ponte a Moriano (LU). I

Sitografia

Amanita porrinensis

Una specie rarissima ritrovata sui Monti Peloritani

Articolo pubblicato su “MicoPonte” Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi – Ponte a Moriano (LU). Anno 2019 n. 12: 27-33

Premessa

Ancora una volta la complessa biodiversità dell’ambiente boschivo peloritano regala, agli studiosi di micologia ed a quanti altri operano nel settore a vario titolo, un ritrovamento di tutto rispetto: una specie fungina appartenente al genere Amanita, sottogenere Amanitina, sezione Phalloideae; ritenuta, per gli sporadici ritrovamenti segnalati nell’intero globo terrestre, specie rarissima: Amanita porrinensis, un funghetto dall’aspetto gracile e dalle dimensioni minute che per le particolari caratteristiche morfo-strutturali e cromatiche risulta facilmente riconoscibile per quanti, ovviamente, hanno buone conoscenze nel campo della micologia. Si tratta di un fungo basidiomicete, di piccole-medie dimensioni, molto raro del quale si conoscono, con riferimento a quanto riportato in letteratura, sporadici ritrovamenti tanto da potere essere considerato “ricercato” e, al contempo, dopo misteriose e fugaci apparizioni, ancora una volta, come sempre, “latitante” e nuovamente “ricercato”.

 

I Monti Peloritani,

(in dialetto messinese “I Coddi, ovvero “i Colli” – termine con il quale si è soliti indicare solo la zona sovrastante la città di Messina) sono una catena montuosa della Sicilia nord-orientale che si estende per circa 65 Km tra i comuni dell’area metropolitana della città di Messina.

Hanno origine da Capo Peloro (estrema punta nord orientale della Sicilia, nella città di Messina), quale continuazione dell’Appennino Calabro. Geograficamente si delineano in “Peloritani orientali” che occupano la zona sovrastante la città di Messina estendendosi sul versante tirrenico, a nord, nei comuni di Villafranca Tirrena, Saponara e Rometta; e sul versante ionico, verso sud, fino al fiume Alcantara dove si interrompono, nel territorio di Francavilla di Sicilia, in maniera degradante, assumendo la denominazione di “Peloritani occidentali”; mentre, sul versante nord, quello prospiciente il Mare Tirreno, si estendono fino al torrente Mazzarrà con la denominazione di “Peloritani centrali”, costituiti, a loro volta, dal “Demanio di Savoca” nella zona sud della catena montuosa che interessa i comuni di Furci Siculo e Casalvecchio Siculo e dal “Demanio del Mela” posizionato nella parte nord del comprensorio, prospiciente il mare Tirreno che interessa i comuni di Barcellona Pozzo di Gotto, Castroreale e Santa Lucia del Mela [Lombardo ed altri, 2017]. Nello stesso versante, solo dal punto di vista geologico, si estendono fino alle “Rocche del Castro”, nei comuni di Longi, San Marco d’Alunzio ed Alcara li Fusi. 

Il nucleo montuoso presenta una tipica morfologia strutturale caratterizzata da pochi altopiani posizionati ad altezza non elevata, intervallati da una serie di fiumare, picchi e crinali con creste taglienti e piani scoscesi che danno origine ad un sistema fluviale a carattere torrentizio costituito da numerosi torrenti che vanno a sfociare nei due mari limitrofi: Ionio ad est, Tirreno a nord. 

Le vette più elevate sono rappresentate da Monte Dinnammare (1.127 m s.l.m., nel territorio comunale della città di Messina); Montagna Grande (1.374 m s.l.m., nel comune di Motta Camastra); Pizzo Vernà (1.287 m s.l.m., tra i comuni di Castroreale, Antillo e Casalvecchio Siculo); Monte Poverello (1.279 m s.l.m., tra il territorio del comune di San Pier Niceto e Fiumedinisi), Rocca Novara (1340 m s.l.m tra il comune di Novara Sicilia e Fondachelli Fantina), Monte Scuderi (1279 m s.l.m. tra Messina, Itala, Alì e Fiumedinisi) [Lombardo e altri, 2017].

La vegetazione originaria è stata nel tempo quasi completamente distrutta dalla mano dell’uomo e dai ricorrenti incendi, spesso di natura dolosa, e sostituita con rimboschimenti artificiali favoriti nel loro sviluppo dalla diversità climatica dei due versanti che ospitano le tipiche colture dell’area mediterranea costituite prevalentemente da meravigliose pinete di Pino domestico (Pinus pinea), Pino marittimo (Pinus pinaster), Pino d’Aleppo (Pinus halepensis) e da numerosi boschi di Castagno (Castanea sativa), Leccio (Quercus ilex), Roverella (Quercus pubescens), insistenti sul tipico sottobosco della macchia mediterranea con predominanza di Erica, Cisto, Corbezzolo e Ginestra.

In particolare, i Peloritani orientali, nella zona che contorna la città di Messina, sono stati interessati da una radicale forma di rimboschimento resasi necessaria, a far data dall’ultimo decennio del 1800, per la tutela della città che, attraverso i secoli, è sempre stata interessata da dissesto idrogeologico causato da ricorrenti e luttuose alluvioni (ultime in ordine di tempo quella di Giampilieri nel 2009 e Saponara nel 2011). Le difficili condizioni dell’area da imboschire hanno suggerito di utilizzare essenze di conifere, in particolare Pino domestico, quali “piante pioniere” che nel tempo hanno creato le condizioni ambientali più idonee per le specie arboree più esigenti (latifoglie). L’impianto sperimentale ha dato i risultati sperati consentendo, successivamente, l’insediamento di un meraviglioso bosco naturale di latifoglie indigene appartenenti al genere Quercus, quali, ad esempio: Quercus ilex e Quercus pubescens.

 

 

Genere Amanita Pers. 1797

Il genere, la cui specie tipo è A. muscaria, ospita sporofori di medio-grandi dimensioni, eterogenei, caratterizzati da cappello convesso sul quale, spesso, si trovano residui velari, con margine liscio o tipicamente striato; lamelle libere; gambo più o meno ingrossato alla base, con presenza o assenza di anello; con volva basale; sporata in massa bianca. Si conoscono specie di ottima qualità e altre, non poche, velenoso-mortali la cui ingestione provoca sindromi tossiche di varia natura: sindrome falloidea, panterinica, muscarinica, emolitica ecc. 

Al Genere appartengono sporofori eterogenei (quando cappello e gambo presentano struttura molecolare diversa che consente una netta e facile separazione dei due elementi) ben differenziati e facilmente individuabili, limitatamente alla determinazione del genere di appartenenza, per la presenza di particolari e caratteristiche ornamentazioni che si formano sul cappello e sul gambo, tanto nella parte apicale quanto nella parte inferiore. Sono funghi bivelangiocarpici ossia muniti di due veli. Uno detto velo generale che avvolge l’intero carpoforo fin dalla sua formazione allo stadio di primordio che lo rende simile, per la sua strutturazione, ad un uovo e per tale caratteristica consente di conferirgli, appunto, la denominazione di “ovolo”; l’altro, detto velo parziale, inteso a proteggere la zona imeniale (parte fertile del fungo – formata, nel caso delle Amanite, da lamelle e situata nella parte inferiore del cappello ove si formano gli elementi riproduttivi: le spore) che dall’orlo del cappello si estende fino al gambo.

La formazione del carpoforo, con il suo accrescimento sia in altezza sia in larghezza, causa, man mano che il processo di formazione procede, la lacerazione dei due veli che, a rottura, formano, per quanto riguarda il velo generale, un residuo che rimane attaccato nella parte bassa del gambo dando origine alla formazione di una specie di guaina basale detta “volva” ed anche, a volte, alla formazione di residui dissociati sul gambo ed alla formazione – anche se non sempre – sul cappello di ornamentazioni dette, in senso generico, “verruche”. Per quanto riguarda il velo parziale, la sua lacerazione, con il distacco dello stesso dall’orlo del cappello, causa – anche se non sempre – la formazione di un “anello” che va a posizionarsi sul gambo [Miceli, 2017].

Sottogenere Amanitina (E.-J. Gilbert) E.-J. Gilbert 1941

Il sottogenere ospita sporofori di piccole, medie o medio-grandi dimensioni, caratterizzati da cappello inizialmente carnoso che assume, verso la maturazione, una consistenza molliccia, con margine regolare, intero, non striato o leggermente striato solo a maturità, a volte leggermente appendicolato per la presenza di residui velari. Cuticola liscia, priva di verruche, più o meno vischiosa. Gambo asciutto, inizialmente pieno, con consistenza molle (midolloso) verso la maturazione, cilindrico e sempre munito di bulbo basale; di colore bianco-biancastro, liscio o ricoperto da fiocchetti concolori. Anello generalmente persistente, ampio e membranoso, a volte leggermente striato. Volva membranosa, aderente al gambo, libera nella zona apicale.

Sezione phalloideae (Fr.) Quél. 1872

Alla sezione appartengono sporofori caratterizzati da velo generale membranoso, muniti di volva e anello persistente.

Amanita porrinensis Freire & M.L. Castro ex Castro

Mykes 1: 59 (1998)

Posizione sistematica: 

classe Basidiomycetes, ordine Amanitales, famiglia Amanitaceae, genere Amanita, sottogenere Amanitina, sezione Phalloideae [Galli, 2007]

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole dimensioni, 2-8 cm, inizialmente semisferico, campanulato verso la maturazione, spianato-convesso caratterizzato da un largo umbone centrale molto prominente che gli conferisce un tipico aspetto da “sombrero messicano”; margine sottile, inizialmente liscio poi, verso la maturazione, leggermente striato e incurvato, privo di residui velari. Cuticola liscia, leggermente viscida a tempo umido, bianca, immutabile, difficilmente separabile. Imenoforo costituito da lamelle bianche con riflessi rosati, fitte, sublibere al gambo, intervallate da lamellule. Spore in massa bianche. Gambobianco, centrale, cilindrico, slanciato, con bulbo basale subgloboso, con bande sericee trasversali, ricoperto da fiocchetti bianchi macchiati di ocra, fistoloso (quando è percorso, all’interno e longitudinalmente, da una esile cavità simile ad un tubicino) per tutta la sua lunghezza. Anello fragile, membranoso e sottile, visibile negli esemplari giovani, poco evidente in quelli maturi dove si presenta sotto forma di lembi aderenti al gambo e sulle lamelle in maniera poco visibile. Volva bianca, sottile ed aderente al gambo, gracile e poco persistente, si disgrega facilmente a maturazione avanzata ed al tocco. Carne bianca, sottile nel cappello, spessa nel gambo e di consistenza spugnosa, leggermente imbrunente, alla sezione, verso la base del gambo, inodore.

 

Habitat

Tipicamente autunnale. In boschi misti formati da Pinus pinea (pino domestico), P. pinaster (pino marittimo), Quercus ilex (leccio), Erica arborea. Galli (2007) la segnala anche sotto Fagus sylvatica(faggio) e Castanea sativa (castagno).

 

Commestibilità e tossicità

Velenosa mortale come le altre della sezione Phalloideae, A. phalloides (Fr.: Fr.) Link, A. phalloidesvar. alba Costantin & L.M. Dufour, A. verna (Bull. : Fr.) Lam. ed A. virosa Bertill., con le quali va a completare, per il contenuto degli stessi principi tossici, il quadro delle amanite mortali. È causa di sindrome falloidea(1) caratterizzata da grave insufficienza epatica.

 

Specie simili

A. porrinensis, pur presentando, soprattutto per la colorazione generale bianco-biancastra, una certa affinità con altre specie velenoso-mortali appartenenti alla sezione Phalloideae del sottogene Amanitina, si distingue da queste molto facilmente soprattutto per la conformazione del cappello che ricorda la forma di un “sombrero messicano” e, inoltre, per le caratteristiche che appresso vengono indicate [Neville & Poumarat, 2004; Galli, 2007; Boccardo et al., 2008]:

 

  • Amanita phalloides var. alba Costantin & L.M. Dufour 

Differisce per la conformazione del cappello piano-convesso e mai umbonato; per il gambo zebrato, mai ricoperto da squamule; per l’anello sempre evidente e persistente, mai fugace; per il bulbo basale grosso e prominente; per la volva sempre evidente, membranosa e persistente, aderente al bulbo e libera all’apice.

 

  • Amanita verna (Bull. : Fr.) Lam. 

Differisce per la conformazione del cappello piano-convesso e mai umbonato; per il gambo liscio, mai ricoperto da squamule; per il bulbo basale grosso e prominente; per la volva interamente avvolgente il bulbo e libera all’apice.

 

  • Amanita virosa Bertill.

È la specie che presenta maggiori affinità con A. porrinensis, soprattutto per la conformazione del cappello che, inizialmente, è ovoidale-campanulato e, poi, campanulato convesso, a volte con umbone ottuso a maturazione, ma mai con la tipica conformazione a “sombrero messicano”; per la struttura dell’anello poco persistente e fugace che, come per A. porrinensis, lascia residui sul margine del cappello e sul filo lamellare; per le fioccosità presenti sul gambo che, anche se più abbondanti, la rendono molto vicina ad A. porrinensis.

Differisce per il colore del cappello che, come per A. porrinensis, è bianco-biancastro, ma con sfumature ocra-rosate nella zona discale specialmente negli esemplari maturi; per il bulbo basale prominente e globoso; per la volva interamente avvolgente il bulbo, ampia e membranosa, poco libera al gambo ma persistente e sempre presente anche a maturazione avanzata.

 

Curiosità tassonomiche

Il suo primo ritrovamento, come la letteratura micologica documenta, è datato 10 ottobre 1984, ed è stato effettuato nel territorio boschivo del comune di Vigo, in località Madroa, nella provincia di Pontevedra, in Spagna, ai margini di un’area boschiva a coltura mista. Successivamente, nel 1987, i micologi Luis Freire e Maria Luisa Castro ne danno notizia presentandola come “specie nuova” in “Anales Jardìn Botànico de Madrid”, provvedendo ad una prima descrizione della specie alla quale viene attribuito il binomio Amanita porrinensis Freire & M.L. Castro. Nel contesto viene precisato che “la possibilità che si tratti di un nuovo taxon del genere Amanita è stata confermata dai dottori Moreno e Bon; tuttavia, si rimane in attesa della conferma del dottor Bas, specialista in questo genere” [Freire & Castro, 1987].

Tuttavia, la specie viene presentata e descritta in maniera incompleta, priva di numero identificativo e della menzione dell’erbario ove l’holotypus è stato depositato, e quindi non ritenuta valida (nomen invalidum) ai fini della conferma del taxon [Neville & Poumarat, 2004; IF, 2018; MB, 2018]. Per questo motivo, il taxon viene riproposto successivamente da Castro (1998), mediante pubblicazione rispondente ai requisiti richiesti dal Codice, su Mykes, Bollettino del Gruppo Micologico Galego, e definitivamente accettato dal mondo scientifico internazionale come Amanita porrinensis Freire & M.L. Castro ex Castro.

 

Ritrovamento attuale

In data 27 ottobre 2018 ad opera di Mario Mondello e Piero Battaglia, soci del Centro di Cultura Micologica di Messina, nel comune di Rometta (ME), Monti Peloritani sulla dorsale Dinnammare-Monte Scuderi in prossimità del sentiero Girasì, sul versante ovest del monte Pizzo Bandiera a circa 950 m s.l.m. Tre esemplari, cresciuti in forma singola in un raggio di circa 30 m, di piccole dimensioni: altezza circa 8 cm, cappello 2-4 cm, in bosco misto formato da Pinus pinea, Pinus pinasterQuercus ilex con sottobosco di Erica arborea.

Si segnala un ulteriore ritrovamento, nella stessa stazione di crescita, di un unico esemplare, in data 21 novembre 2018 ad opera del micologo Franco Mondello, di Angelo Miceli e Mario Mondello, soci dello stesso Centro di cultura Micologica di Messina.

L’osservazione dei caratteri morfo-cromatici generali orientano, senza ombra di dubbio, verso la determinazione degli esemplari rinvenuti quali rappresentativi della specie A. porrinensis.

 

Ritrovamenti precedenti

La nostra attenta ricerca bibliografica, in considerazione delle sparute pubblicazioni esistenti in merito, ci ha consentito di individuare, oltre alla stazione di crescita attuale, che ha suggerito la presente “Riflessione Micologica”, anche le seguenti stazioni ove la specie è stata precedentemente rinvenuta:

  • 10 ottobre 1984, ritrovamento dell’holotypus, in località Madroa, comune di Vigo, Provincia di Pontevedra (Spagna), al margine di bosco misto (Quercus robur e Pinus pinaster), da Jaime Diz (gruppo M. Porriño) [Freire & Castro, 1987; Neville et al., 2000].
  • 11 novembre 1991, in località Picouto, sempre nel comune di Vigo, Provincia di Pontevedra (Spagna), in bosco misto da Jaime Diz [Castro & Blanco-Dios, 2007].
  • 16 ottobre 1998, in località Monte Cistorello, Colli Berici, Comune di Sossano (VI), in bosco misto di querce, carpini e castagni. Ritrovamento effettuato da Franco Gasparini e Franco Serafin [Gasparini & Serafin, 2012].
  • 17 ottobre 1998, in località Volano, comune di Comacchio (FE) a 0 metri s.l.m., in bosco misto formato da Pinus pinea, P. pinaster con limitata presenza di Quercus ilex. Ritrovamento effettuato da Gianni Monterumici [Neville et al., 2000].
  • Ulteriori ritrovamenti, senza precisazione temporale, sono stati segnali nel Canton Ticino (Svizzera) e, in Italia, sui Colli Euganei [Galli, 2007].

 

Per quanto sopra, anche se riteniamo che siano stati effettuati altri ritrovamenti non segnalati e dei quali non è stata data notizia, stante alle segnalazioni riportate in letteratura, è possibile affermare che A. porrinensis è un fungo molto raro che, per le limitate apparizioni, vuole confermare il suo status di fungo costantemente “ricercato” dagli studiosi, ma sempre “latitante”.

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  1. Sindrome falloidea

Il periodo di latenza varia tra le 6 e le 24 ore dal consumo dei funghi.

I sintomi si manifestano in fasi progressive di aggravamento: inizialmente disturbi gastrointestinali, dolori addominali, vomito, diarrea, stato di disidratazione; successivamente, nei giorni seguenti, dopo un apparente miglioramento, inizia a manifestarsi danno epatico che, in una fase ancora successiva, si avvia verso insufficienza epatica acuta, ipoglicemia ed ittero, coma epatico, insufficienza renale, decesso [Follesa, 2009; Della Maggiora & Mannini, 2013].

I principi tossici si identificano in fallolisine, falloidine e amanitine, queste ultime le più pericolose: la dose letale è pari a 0,1 mg per kg di peso corporeo, basti pensare che un esemplare fungino di medie dimensioni contiene da 5 ad 8 mg di amanitina, più che sufficienti per causare la morte di un individuo adulto [I. Milanesi, 2015].

Le principali specie responsabili dell’intossicazione sono: Amanita phalloides, A. phalloides var. AlbaA. verna,A. virosa, A. porrinensisGalerina marginataG. autunnalisG. badipesConocybe filarisLepiota helveolaL. josserandiiL. brunneoincarnataL. castaneaL. subincarnata, L. clypeolariodes.

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Ringraziamenti

Un grazie particolare va rivolto all’amico-micologo Carmelo Di Vincenzo per i preziosi suggerimenti e per le indicazioni utili alla stesura del paragrafo descrittivo dei Monti Peloritani.

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Foto: Angelo Miceli e Franco Mondello

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Bibliografia

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013) – I.
  • Castro Maria Luisa, 1998: Amanita porrinensis : Freire & M. L. Castro, estudio comparativo con outros taxons da seccion Phalloideae (Fr.) Quel.. Mikes 1: 57-59
  • Castro Maria Luisa, 1998: Annotated checklist of the Amanitaceae (Agaricales, Basidiomycotina) of the Iberian Peninsula and Balearic Islands. Mykotaxon 67: 227-245 – E.
  • Castro Maria Luisa & Blanco-Dios J.B., 2007: Algunos basidiomicetos raros o interesantes de la Península Ibérica. Fungi non Delineati n. 37. Edizioni Candusso, Alassio (SV) – I.
  • Della Maggiora Marco, Mannini Maurizio, 2013: Funghi buoni… o “buoni da morire” In AA. VV.: Io sto con i funghi. 2^ edizione. Edit. La Pieve Poligrafica, Villa Vernucchio (RN.) – I
  • Follesa Paola. , 2009: Manuale Tecnico-pratico per indagini su campioni fungini. Edit. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Bagnolo Mella (BS) – I
  • Freire Luis, Castro Maria Luisa, 1987: Nueva especie del género Amanita. Anales Jardìn Botànico de Madrid, 44 (2): 533-534. Madrid – E.
  • Galli Roberto, 2007: Le Amanite. 2^ edizione. dalla Natura, Milano
  • Gasparini Franco & Serafin Franco, 2012: La quarta Amanita mortale. Bollettino del Gruppo AMB di Vicenza anno XXXII n. 2: 40-42 – I.
  • IF (ultima consultazione, novembre 2018): Indexfungorum databasewww.indexfungorum.org
  • Lombardo Giovanni, D’Andrea Pasquale, 2017: Camminare e raccontare i Peloritani. Giotto Arte della Stampa, Messina. I.
  • MB (ultima consultazione, novembre 2018) Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks.www.mycobank.org
  • Miceli Angelo, 2017: Amanita muscaria, il fungo delle fiabe. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 10: 30-38. Ponte a Moriano (LU) – I 
  • Milanesi Italo, 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I.
  • Neville Pierre & Poumarat Serge, 2004: Amanitae. Amanita, Limacella & Torrendia. Fungi Europaei 9. Edizioni Candusso, Alassio (SV) – I.
  • Neville Pierre, Poumarat Serge, Monterumici Gianni, 2000: Una rara Amanita della sezione Phalloideae, nuova per l’Italia: Amanita porrinensis. Bollettino del Gruppo Micologico G. Bresadola – Nuova Serie. BGMB 43 (2): 143-150. Trento – I 

 

Clathrus ruber

Premessa

Nella nostra esperienza micologica, riprendendo un pensiero più volte manifestato, abbiamo avuto modo di constatare che ogni volta che si parla di funghi in presenza di persone poco addentrate nelle problematiche connesse alla micologia, nella loro mente viene a formarsi l’immagine virtuale di un piatto di tagliatelle ai funghi porcini o di una bella insalata di “ovoli”, accoppiando a queste “succulente visioni” l’idea di un fungo morfologicamente ben strutturato che, nell’immaginario collettivo, viene concretizzato con cappello e gambo, così come, nella generalità dei casi, stante al proprio vissuto quotidiano, si è soliti ritenere che tutti i funghi siano formati.

Vogliamo immediatamente dissentire da tale convinzione precisando che nell’immenso “Regno dei Fungi” sono numerose le specie prive di cappello e gambo che si presentano con una struttura morfologica diversa da quella tradizionalmente immaginata dando origine a forme dall’aspetto particolare, strano e spesso curioso che i non addetti ai lavori sono ben lungi da identificare o considerare come funghi.

Clathrus ruber, protagonista della nostra nuova “Riflessione Micologica” appartiene, infatti, per la caratteristica conformazione morfologico-strutturale, al gruppo informale dei Gasteromiceti nel quale vengono posizionati funghi a sviluppo angiocarpico (quando il fungo si sviluppa all’interno di una membrana protettiva, detta peridio, che avvolge la zona fertile evitando contatti con l’esterno fino alla completa maturazione). Viene caratterizzato, come tutte le specie fungine appartenenti alla famiglia delle Clathraceae, dalla particolarità del ciclo vitale e dalla conformazione morfologico strutturale. Si presenta, nella fase embrionale della propria formazione, semiipogeo e conformato ad ovolo con caratteristici cordoni miceliari (rizomorfe) alla base; viene protetto da una membrana esterna chiamata peridio formata da un doppio strato: uno esterno (esoperidio) di consistenza papiracea, l’altro interno (endoperidio) di consistenza molle e gelatinosa. Durante la fase di maturazione al suo interno si forma il ricettacolo (parte interna del fungo che costituisce la sua struttura portante) a forma rotondeggiante, reticolare e di colore rossastro e la gleba (parte fertile del fungo che contiene le spore) di colore verde con aspetto gelatinoso e di odore puzzolente. Con l’accrescimento del carpoforo, sia in altezza sia in larghezza, il peridio si lacera depositando, alla base, un lembo residuale sotto forma di volva e lasciando fuoriuscire, al contempo, il ricettacolo e la gleba trattenuta tra le sue maglie che diventa, per il caratteristico e nauseabondo odore che emana, una forte attrazione per mosche ed insetti che si cibano delle sostanze zuccherine in essa contenute divenendo veicolo di diffusione delle spore che vengono depositate sul territorio anche a notevole distanza. Difatti, le spore ingerite non vengono digerite e possono quindi essere depositate, con la defecazione, in altri luoghi favorendo la crescita di nuovi carpofori.

[Per approfondire l’argomento consultare Sarasini, 2005: Gasteromiceti epigei – Opera citata in bibliografia]

 

Genere Clathrus P. Micheli : L. (1753)

Al genere appartengono carpofori a sviluppo angiocarpico e a nutrizione saprofitica, inseriti, come già precisato, nel gruppo informale dei funghi Gasteromiceti. Si presentano inizialmente semiipogei, globosi o sub globosi poi, aperti, a forma più o meno arrotondata, con ricettacolo a struttura spugnosa formato da piccole celle di dimensioni e forma variabili e tra di loro comunicanti, costituito, in alcune specie, da bracci ramificati e tra di loro saldati e formanti una specie di gabbia reticolata (es. Clathrus ruber); in altre specie unite alla base e libere all’estremità superiore, aperti, divergenti ed allargati similarmente ai petali di un fiore (es. Clathrus archeri) [Sarasini, 2005].

Clathrus ruber P. Micheli : Pers.

Syn. meth. fung. (Göttingen) 2 : 241 (1801)

Piccolo basidioma molto appariscente a forma globosa, determinabile con facilità, specialmente allo stadio adulto tanto per la particolare conformazione strutturale quanto per l’odore repellente che emana.

Basionimo: Clathrus ruber Micheli : Pers. (1801)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Phallales, famiglia Clathraceae, genere Clathrus

Etimologia: Clathrus, dal greco klèithron = cancello, inferriata, con riferimento alla caratteristica forma a maglia che assume il ricettacolo a maturazione. Ruber dal latino rosso con riferimento al colore.

Sinonimi principali: Clathrus flavesces Pers. : Pers. (1801); Clathrus cancellatus Tourn. ex Fr. (1823)

Nomi volgari: Fuoco selvatico [Bonazzi, 2003]; Cuore di strega [AMINT, 2007]; Fungo lanterna [Della Maggiora, 2008]; Puzzola [Buda, 2011],

Nomi dialettali: Funciu cularino, nome dialettale siciliano [Bonazzi, 2003 – Buda, 2011].

Descrizione macroscopica

Basidioma a crescita diversificata che, a seconda dei vari stadi, si presenta inizialmente sub-globoso, ovoidale, di consistenza molliccia e dal peso specifico elevato, poi, a maturazione, aperto con ricettacolo allungato verticalmente e costituito da bracci tra di loro collegati e disposti come le maglie di una gabbia.

E’ opportuno, per una maggiore chiarezza descrittiva prendere in esame le principali fasi di maturazione 

  • Primo Stadio (basidioma ancora chiuso – ovolo)

Alla sezione evidenzia una zona centrale di aspetto mucillaginoso e di colore verdastro (gleba), circondata da una zona irregolare, porosa, di colore rossastro (ricettacolo) nell’insieme racchiuso da una membrana esterna chiamata peridio, di colore biancastro. Peridio costituito da due strati funzionali: quello esterno, chiamato esoperidio, si presenta sottile, membranoso, molliccio, biancastro o tendente al paglierino chiaro, decorato da areolature poligonali (simile ad un pallone di calcio) dovute alla sottostante struttura reticolare, presenta, alla base, delle evidenti rizomorfe, lunghe e ramificate di colore biancastro; quello interno, chiamato endoperidio, si presenta gelatinoso, traslucido, di colore verde chiaro, attraversato da sottili setti radiali di colore bianco.

  • Secondo Stadio (basidioma maturo – aperto)

 

Clatrhus ruber – Disegno di Gianbattista Bertelli

 

Ricettacolo completamente libero alla base e da questa facilmente separabile. Globoso, allungato a maturità, a forma di gabbia, costituito da bracci allungati e tra di loro uniti tanto alla base quanto all’estremità. Di colore rosso, rosso intenso, rosso-aranciato a volte con toni giallastri, tende a sbiadire verso la maturazione. Si presenta a forma di gabbia, asimmetrica e cava all’interno, formata da maglie poligonali più o meno regolari con bracci a sezione triangolare e di grosso spessore, con superficie esterna inizialmente rugosa, corrugata, grinzosa, poi, verso la maturazione, quasi liscia; la superficie interna, che rimane a contatto con la gleba, si presenta di aspetto spugnoso. Gleba costituisce la parte più interna del basidioma, distribuita, a maturazione, all’interno dei bracci del ricettacolo e da questo completamente avvolta; è costituita da numerose cellette labirintiformi che gli danno una consistenza granulosa con aspetto mucillaginoso e deliquescente, di colore bruno-verdastro, verde-oliva tendente ad assumere toni sempre più scuri verso la maturazione, di odore fetido, nauseabondo, cadaverico tanto da attirare numerosi insetti.

Habitat

Specie piuttosto comune e largamente diffusa, dalla primavera all’autunno. E’ tipica degli ambienti caldi. Cresce indifferentemente sotto conifere e latifoglie prediligendo boschi radi, parchi ed aree adiacenti ai boschi. Si presenta, generalmente, in gruppi di numerosi esemplari in vari stadi di sviluppo.

Deiescenza (1)

Come già precisato questa avviene in conseguenza della spinta del ricettacolo che, in fase di accrescimento, causa la lacerazione del peridio nella sua zona apicale con conseguente deposito di frammenti residuali dello stesso sotto forma di volva alla base del corpo fruttifero consentendo, allo stesso tempo, la fuoriuscita del ricettacolo e della gleba trattenuta tra i suoi bracci. [Sarasini, 2005].

Commestibilità

Non commestibile. Di nessun valore gastronomico. Poco invitante specialmente per l’odore nauseabondo. In letteratura si fa riferimento a probabile utilizzo alimentare di esemplari ancora immaturi e completamente chiusi allo stadio globoso [Buda, 2011]. Riteniamo, personalmente, che tale esempio non debba assolutamente essere seguito, sconsigliandone, a tutti gli effetti, il consumo.

Specie simili

  • Clathrus archeri (Berk.) Dring (1980)

Molto simile nella conformazione strutturale sia allo stadio di ovulo sia a completa maturazione, differisce per la disposizione dei bracci del ricettacolo che si presentano liberi al vertice ed aperti con una tipica posizione retroflessa che li rende simili, per la particolare disposizione, ai petali di un fiore.

  • Colus hirudinosus Cavalier & Séchier (1835)

Molto simile sia allo stadio di ovulo sia a completa maturazione; in tale stadio differisce per la conformazione del ricettacolo formato nella parte bassa da bracci portanti che si uniscono nella parte terminale formando una caratteristica gabbia a piccole maglie.

  • Phallus impudicus L. (1753)
Phallus impudicus vari stadi di accrescimento. Foto Franco Mondello
Phallus impudicus vari stadi di accrescimento. Foto Franco Mondello

Completamente diverso nella conformazione morfo-strutturale a maturazione. Allo stadio di ovulo si presenta molto simile differendo per il peridio liscio e privo delle caratteristiche areolature poligonali tipiche di C. ruber; alla sezione presenta l’interno verdastro mentre in C. ruber è rosso.

 

Curiosità tassonomiche

Fu descritto per la prima volta nel 1592 da Fabio Colonna (Naturalista e botanico italiano. Napoli, 1567 – 1640) con la denominazione generica di Fungo lanterna.

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  1. Deiescenza, termine utilizzato in botanica per indicare il sistema con cui apparati vegetali chiusi si aprono per lasciare uscire il loro contenuto. Nello specifico, in micologia, fa riferimento al sistema di apertura dei funghi Gasteromiceti che consente loro, giunti a maturità, di disperdere le spore nell’ambiente circostante.

 

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Foto:

Robin Cara, Carmelo Di Vincenzo, Leonardo La Spina, Georgios Mantikas, Franco Mondello ai quali si rivolge un grazie particolare per la gentile concessione.

Tavole micologiche:

  • Tavola I – Clathrus ruber: morfologia e nomenclatura delle parti. Autore Stefania Calascione che si ringrazia per la cortese ed apprezzata collaborazione.
  • Tavola II – Clathrus ruber nei vari stadi di accrescimento. Autore Gianbattista Bertelli per gentile concessione del figlio Aldo che si ringrazia per la costante disponibilità.

Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T. – 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN)
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica) –2007: Tutto funghi. Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama srl, Trento
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bresadola Giacomo – 1954: Funghi mangerecci e funghi velenosi.. Museo di Storia Naturale. Trento. ( IV edizione a cura del Comitato Onoranze Bresadoliane. Milano-Trento)
  • Buda Andrea, 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Della Maggiora Marco, 2008: Funghi dall’aspetto particolare: le Phallaceae e le Clathraceae. Micoponte Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2: 15-23, Ponte a Moriano (LU)
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione maggio 2019)
  • La Spina Leonardo, Signorino Carmelina, 2018: I Funghi di Santo Pietro. Edizioni La Rocca, Riposto (CT). I
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione maggio 2019)
  • Oppicelli Nicolò, 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi grafiche editoriali, Genova
  • Sarasini Mario, 2005: Gasteromiceti epigei. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento

Mycena renati, delicata composizione floreale

Un mondo a parte…quello delle “micene” che ci trasporta nell’immaginario fiabesco dove innumerevoli specie fungine dalle piccole e ridotte dimensioni, dall’aspetto fragile, minuto, dai colori spesso sgargianti, sorrette da un lungo ed esile gambo, si fondono, in perfetta armonia, viaggiando sempre sulle ali della fantasia, con immaginari piccoli esseri viventi quali gnomi, elfi e fatine dall’aspetto a volte buffo, a volte elegante ed accattivante dando vita alle fantastiche storie cui la fumettistica moderna ci ha, ormai da tempo, abituati.

Sarebbe bello, a volte, recarci nel bosco privi della veste di “cercatore-micofago” e rivolgere, invece, con l’occhio della curiosità, la nostra attenzione a specie fungine meno attraenti, meno appariscenti, assolutamente prive di valore gastronomico che, di contro, presentano spunti molto interessanti per uno studio approfondito inteso a migliorare le nostre conoscenze sul meraviglioso “Regno dei Fungi”.

Mycena renati, come le numerose altre specie appartenenti al genere, non suscita alcun interesse alimentare rimanendo, nonostante la delicatezza dei suoi colori e la compostezza del suo portamento che, unitamente alla crescita fascicolata, la rendono simile ad una delicata “composizione floreale”, ignorata da quanti incontrandola nei boschi la degnano appena di uno sguardo superficiale ritenendola non idonea ad ornare il desco per il pasto serale…”Piccole entità”, le “micene”, a dirla con Giovanni Robich, unanimemente ritenuto tra i maggiori studiosi e conoscitori del genere, “che sembrano far di tutto per non attirare l’attenzione” [Robich, 2014].

Genere Mycena (Pers.) Roussel (1806)

Al genere appartengo macromiceti di piccolissime-medie dimensioni caratterizzati da taglia esile e conformazione più o meno slanciata, tendenti ad essiccare senza marcire (marcescenti, imputrescibili) a tempo secco, con aspetto micenoide, omfaloide o collibioide (quando hanno conformazione strutturale simile ai funghi appartenenti al genere Mycena, Omphalina o Collybia), tipicamente lignicoli, su radici, cortecce, tronchi, foglie, residui erbacei ed altro, con nutrizione saprofitica e crescita singola, gregaria o cespitosa, diversificati dai seguenti caratteri morfologici: Cappello tipicamente conico, campanulato, emisferico, a volte depresso, igrofano (quando assume colore diverso in considerazione del suo stato: più chiaro se asciutto, più scuro se bagnato), liscio, glabro, pruinoso, con o senza umbone, in alcune specie ricoperto da una pellicola di glutine facilmente asportabile, spesso striato in trasparenza o solcato. Imenoforo a lamelle da sublibere (quando si fermano poco prima di arrivare al gambo) ad adnate (quando si uniscono al gambo per tutta la loro altezza) o decorrenti per un dentino (quando prima di unirsi al gambo formano una piccola ansa prolungandosi, poi, sul gambo stesso, con un piccolo filamento – dentino) in alcune specie formanti uno pseudocollarium (piccolo cercine all’apice del gambo dove si inseriscono le lamelle), variabili nel colore: bianco, bianco-grigiastro, grigio, giallo pallido, giallo, rosa, con orlo bianco o colorato. Spore in massa bianche. Gambo centrale, cilindrico, cavo, sottile, a volte molto lungo, liscio, glabro, pruinoso, asciutto, in alcune specie ricoperto da uno strato superficiale di glutine, generalmente concolore al cappello e su tonalità molto variabili che vanno dal bianco al grigio spaziando tra molteplici sfumature bruno-brunastre; spesso ricoperto da peluria; base radicante o ingrossata e, in alcune specie, ricoperta da peli radiali. Carne di colore variabile dal bianco, al grigio, al crema; sapore nullo o, a volte, mite, dolciastro, farinoso, rancido, pepato; odore a volte gradevole, a volte sgradevole. Al genere appartengo specie di scarso interessa alimentare.

Mycena renati Quél.

Enchir. fung. (Paris): 34 (1886)

Un piccolo basidiomicete dai meravigliosi e delicati colori contrastanti tra il rosa tenue del cappello ed il giallo intenso del gambo lucido e liscio che, nell’insieme, assume un aspetto gradevolissimo e molto piacevole, assumendo, spesso, per la sua crescita cespitosa, la conformazione di una meravigliosa composizione floreale.

Basionimo: Mycena renati Quél. 1886

Posizione sistematica

classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Mycenaceae, genere Mycena

Etimologia:

Mycena dal greco mykes = fungo; renati con espresso riferimento a nome proprio di persona.

Relativamente all’attribuzione del nome del Genere, potrebbe darsi, ma è solo un’ipotesi, che Persoon, creatore del genere, fosse rimasto influenzato dalla leggenda che narra dell’eroe Perseo che dopo aver bevuto acqua dal cappello di un fungo (mykes, in greco), fondò, sullo stesso luogo, una città alla quale, con riferimento all’episodio, ebbe a dare il nome di Micene [Consiglio, 1999].

Sinonimi principali: Mycena flavipes Quél. (1873);

 

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole dimensioni (1-2 cm), inizialmente conico o campanulato, poi, verso la maturazione, leggermente emisferico o convesso, generalmente con umbone centrale; superficie liscia con evidenti striature al margine; colore rosati tendenti al rosa-giallino, rosa-sporco, rosa-violetto con sfumature grigiastre più intense nella zona centrale e più chiare al margine che a maturità tende ad avvolgersi leggermente su se stesso presentando sempre evidenti striature. Imenoforo a lamelle spaziate, larghe, intervallate da lamellule (struttura lamellare più corta che, interponendosi tra le lamelle stesse, si interrompe prima di giungere al margine), colore bianco-biancastro, grigio, con filo lamellare concolore ma tendente ad assumere una colorazione rosso-bruno-rossastra in prossimità del margine. Gambo centrale, cilindrico, slanciato, flessuoso, ricurvo, liscio, di un bel colore giallo, giallo-lucido, giallo-crema, giallo-ambrato, percorso da striature longitudinale e ricoperto, alla base, da fine peluria bianca. Carne fragile, esigua, sottile e bianco-rosata nel cappello, giallo carico nel gambo, insapore con odore leggermente rafanoide.

Habitat

A nutrizione saprofitica, cresce nel periodo autunnale in gruppi di numerosi esemplari in forma fascicolata, su legno marcescente di latifoglie preferendo zone umide ed ombreggiate.

Commestibilità

Non commestibile

Caratteri differenziali

E’ una delle poche specie appartenenti al Genere Mycena riconoscibile, anche con una certa facilità, dall’osservazione dei soli caratteri macroscopici senza necessità di ricorrere al microscopio. Si riconosce principalmente per la crescita molto cespitosa; per il colore del cappello rosa-crema più scuro nella zona discale; per il giallo carico del gambo che contrasta piacevolmente con i delicati colori del cappello; per la presenza di una fine peluria bianca alla base del gambo; per le lamelle bianche con filo rossastro verso la parte terminale in prossimità del margine del cappello.

Forme e varietà

  • Mycena renati f. alba Robich (2005)

Perfettamente identica nella conformazione morfologico-strutturale e nei caratteri microscopici, differisce per il colore bianco in ogni sua parte.

Specie simili

  • Mycena epipterygia (Scop.) Gray (1821)

Differisce per la presenza di una pellicola glutinosa che ricopre il cappello e, a volte, znche ilgambo; per il colore del cappello che spazia tra il giallo, giallo-grigio, grigio-bruno; per il gambo di colore giallo chiaro. 

  • Mycena inclinata (Fr.) Quél. (1872)

Differisce per il colore del cappello che varia tra il grigio-giallastro ed il grigio-rosato; per il gambo biancastro nella zona alta e crema-nocciola nella parte bassa, interamente ricoperto da una fine peluria biancastra apprezzabile solo nella zona basale.

  • Mycena viridimarginata P. Karst. (1872)

Differisce per le colorazioni del cappello e del gambo giallo-verdastre; per l’habitat di crescita che la associa a residui legnosi marcescenti di conifera.

  • Mycena bresadolana Robich & Neville (1998)

Molto simile per il colore giallo del gambo, differisce per il colore del cappello più scuro e su toni tendenti al marrone; per la conformazione delle spore subglobose.

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Disegni: Gianbattista Bertelli per cortese concessione del figlio Aldo che si ringrazia per la sempre apprezzata disponibilità.

Foto: Franco Mondello; Almir Rizvanovic, Lucio Scala ai quali va rivolto un grazie particolare per la gentile concessione.

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Bibliografia di approfondimento

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna. I. (ristampa 2013)
  • Consiglio Giovanni, 1999: Rubrica di miconomastica. I funghi dove…quando. Anno 6 n. 57: 40 – 47. Marzo 1999. Edinatura, Milano. I.
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2009: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 3. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler – 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • Moser Meinhard, 1980: Guida alla detrminazione dei funghi. Art Grafiche Saturnia. Trento, I
  • Robich Giovanni, 2003: Mycena d’Europa. A. M. B. – Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Robich Giovanni, 2014: Genere Mycena. Estratto da “Appunti di Micologia” (http://www.appuntidimicologia.com/2014/05/genere-mycena.html)

Sitografia:

 

Schizophyllum commune

Un piccolo basidiomicete a larga diffusione territoriale, con crescita tipicamente lignicola che nella conformazione strutturale, con particolare riferimento all’intreccio ed alla decorrenza lamellare, ma non solo, riporta alla mente la bellezza dei merletti di pizzo pazientemente ricamati dalla nonna con precisione micrometrica ed ammirati da tutte le amiche, ci fornisce lo spunto per questa nuova “Riflessione Micologica”: Schizophillum commune che generalmente, nel periodo del suo pieno vigore, attrae l’attenzione e la curiosità di quanti, addentrandosi nel bosco ed incontrandolo, hanno il piacere di bearsi della sua visione ammirandolo sui tronchi privi di vita, è solito riprodursi solitario o in numerosi esemplari sulle ceppaie in decomposizione di svariate culture arboree di latifoglie e di aghifoglie.

Genere Schizophyllum Fr. : Fr. 1815

Si tratta di genere monospecifico (quando nel genere è compresa una sola specie), comprendente basidiomi lignicoli, saprofiti (quando si nutrono di sostanze morte), di piccole dimensioni, a forma di conchiglia, sessili (privi di gambo) o con brevissimo peduncolo posizionato nel punto di attacco al substrato, caratterizzati da cappello con superficie superiore lanosa, feltrata o ricoperta da leggera peluria e dalla zona imeniale costituita da lamelle divergenti in senso radiale e disposte a forma di ventaglio, con taglio tipicamente fessurato in senso longitudinale.

Schizophyllum commune Fr. : Fr.

[as ‘Schizophyllus communis’], Observ. mycol. (Havniae) 1: 103 (1815)

Un piccolo basidiomicete a crescita lignicola, facilmente riconoscibile per la bellezza della sua conformazione strutturale che lo rende, nel periodo del suo pieno sviluppo, simile ad un ventaglio riccamente ricamato, fioccoso e dall’aspetto morbido sulla parte superiore e con meravigliose strutture lamellari geometricamente allineate in un ricco intreccio architettonico. Purtroppo, a maturazione avanzata, come avviene per tutte le specie fungine, perde la bellezza dei suoi colori e della sua forma divenendo insignificante e poco attraente. Munito di cappello e privo di gambo (sessile) o attaccato al substrato di crescita con un corto peduncolo che vuole essere il prolungamento del cappello stesso; si presenta singolo, gregario o in numerosi esemplari tra di loro sovrapposti.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Schizophyllaceae, genere Schizophyllum

Etimologia: Schizophyllum dal greco schìzo (fendere) e phyllon (foglia) con espresso riferimento alla conformazione delle lamelle (foglie) che presentano una tipica fenditura sul filo. Commune dal latino communis = comune, frequente, con espresso riferimento alla sua larga diffusione territoriale.

Sinonimi pricipali: Agaricus alneus L. (1755); Agaricus multifidus Batsch. (1786); Dedalea commune (Fr.) P. Kumm. (1871); Schizophyllum multifidum (Batsch) Fr. (1873); Merulius communis (Fr.) Spirin & Zmitr (2004)

 

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole dimensioni (10 – 40 mm di diametro), a forma di ventaglio o di conchiglia; superficie superiore dall’aspetto arruffato e disordinato, irregolare e leggermente ondulata, solcata in senso radiale e, a volte, con zonature al margine; lanosa nella fase inziale di crescita, poi bambagiosa ed infine feltrata; colore biancastro, bianco-grigio, bianco-rosa con numerose sfumature di colore intermedio. Gli esemplari maturi presentano, a volte, sfumature verdognole dovute alla presenza di microscopiche alghe. Margine sottile, involuto, ondulato ed a volte lobato. Imenoforo costituito da lamelle precise e regolari, con taglio fessurato in senso longitudinale (lamelle bifide) che, dipartendo in forma radiale dal punto di attacco al substrato di crescita verso il margine, conferiscono al fungo l’aspetto di un meraviglioso piccolo ventaglio. Si presentano leggermente distanziate ed intervallate da lamellule di diversa lunghezza, con colore inizialmente grigio-rosa tendente, verso la maturazione al bruno-rossastro. Gambo generalmente assente, quando presente è molto breve, rudimentale, posizionato lateralmente costituendo il prolungamento delle lamelle per un brevissimo tratto. Carne tenace, esigua, fibrosa, di colore ocraceo tendente al bruno-rossastro, odore fungino.

Habitat

Cresce durante tutto l’anno ed ha una larga diffusione territoriale, si rinviene, solitamente, su ceppaie ed arbusti marcescenti di latifoglie o, più raramente, di aghifoglie ove trova nutrimento quale fungo saprofita. Si presenta singolo o in forma gregaria ed anche, molto spesso, in gruppi di numerosi esemplari tra di loro sovrapposti e quasi imbricati che riescono a colonizzare vaste porzioni di substrato lignicolo [Buda, 2011]. Si tratta di specie cosmopolita e tipica degli ambienti a clima temperato o tropicale [Buda, 2011].

Commestibilità, tossicità e curiosità

NON commestibile, si tratta di un fungo coriaceo, specialmente in età avanzata quando tende ad essiccarsi. Tuttavia in alcuni paesi quali Messico, Thailandia, Vietnam e Perù viene considerato commestibile ed utilizzato, mischiato ad altre specie fungine, per diverse tipologie di zuppe o, essiccato e ridotto in polvere, per la preparazione di tisane [Diana, 2018]. In particolare, nella regione di Manipur, in India, dove è noto con il nome volgare di “Kanglayen” trova larga diffusione nella preparazione di polveri aromatiche utilizzate in cucina. In Asia sudorientale, invece, viene utilizzato come gomma da masticare [Diana, 2018].

In Giappone, dove viene impiegato quale supporto della radioterapia nella cura del cancro ritenendo che possa favorire una migliore resistenza alle prolungate esposizioni ai raggi X [Angeli, 2010], gli vengono riconosciute, altresì, proprietà medicinali ed antitumorali e viene utilizzato nel trattamento di molti tipi di cancro, in particolare del carcinoma della cervice uterina [Cazzavillan, 2011].

L’inalazione delle spore, come scientificamente accertato, potrebbe causare sindrome rinosinusale (1) con conseguenti problemi respiratori o polmonari in individui sensibili o immunodepressi [Milanesi, 2015; Diana, 2018].

Specie simili

Si tratta di un fungo di facile determinazione e, per le particolari caratteristiche morfo-cromatiche che lo caratterizzano, difficilmente confondibile con altre specie. Tuttavia, per i meno esperti, in considerazione del medesimo habitat di crescita, può essere confuso con alcune specie fungine appartenenti al genere Stereum che, in ogni caso, pur avendo forma simile e superficie del cappello irsuta, differiscono per la conformazione della zona imeniale che si presenta liscia e quindi priva di lamelle. [Consiglio e altri, 2003].

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  1. Sindrome rinosinusale è considerata sindrome a latenza ritardata (quando si manifesta dopo 24 ore o più dall’aspirazione delle spore fungine). Si tratta di patologia conseguente la presenza di ife fungine all’interno della mucosa dei seni paranasali che interessa, soprattutto, soggetti immunodepressi. Può presentarsi in forma invasiva (rinosinusite fungina necrotizzante acuta, cronica o granulomatosa) o non invasiva. In tal caso si rileva la presenza di ife fungine che formano una massa di colorito biancastro chiamata “fungal ball” o “Micetoma sinusale” che blocca la cavità sinusale senza segni di invasione della mucosa.

Le affezioni micotiche dei seni paranasali sono attribuite a muffe del genere Mucor o aspergillus e, a volte, sono sostenute da S. commune.

Si interviene con terapia chirurgica che deve essere precoce ed aggressiva [Milanesi, 2015].

Foto: Carmelo Di Vincenzo, Nuccio Scala

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Bibliografia essenziale

  • Angeli Pierluigi, 2010: I funghi della medicina popolare tradizionale e contemporanea. Annali Micologici A.G.M.T. n. 3: 30-39. A.G.M.T., Settignano (FI). I
  • Buta Andrea, 2011: I funghi degli Iblei, Vol. 1. A.M.B. gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Cazzavillan Stefania, 2011: Funghi medicinali – dalla tradizione alla scienza. Nuova IPSIA Editore. Palermo. I
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Cetto Bruno, 1983: Funghi dal vero. Vol. 1°. Arti Grafiche Saturnia s.a.s. Roncafort di Trento (TN). I
  • Diana Ettore,2018: Ventagli del bosco: Schizophyllum commune. Passione Funghi e Tartufi. n. 82: 26-29. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Milanesi Italo –2015:Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento 
  • Phillips Roger –1985: Riconoscere i funghi.Istituto Geografico De Agostini, Novara. I

Hygrocybe acutoconica (Fr.) P. Kumm. (1871)

Accade, a volte, dopo una infruttuosa “mico-gastronomica” ricerca di prelibati ovoli e porcini andata buca, seppur la stagione sia delle migliori e la fruttificazione fungina abbondante come mai, a causa dei numerosi “mico-predatori” che ci hanno preceduto nella ricerca privando noi ritardatari del bottino sperato, che un piccolo e apparentemente insignificante funghetto, privo, senza ombra di dubbio, di valore gastronomico, facendo capolino in vari esemplari dai colori lucidi e vivaci tra l’erbetta ai margini del bosco, ci ripaga abbondantemente della infruttuosa ricerca e della mancata raccolta fungina stimolando la nostra “curiosità micologica” che, trovandosi alla presenza di una specie poco incontrata ed assente nella nostra galleria fotografica, ci spinge ad approfondire le nostre conoscenze in merito: Hygrocybe acutoconica un simpatico ed attraente basidiomicete che trova collocazione nella Famiglia delle Hygroforaceae nella quale vengono ospitate numerose specie fungine, generalmente terricole, di piccole, medie o grandi dimensioni con crescita simbionte con varie colture arboree o con crescita lignicola (unica specie europea conosciuta: Hygrophorus pleurotoides) [Galli, 2014].

Nella Famiglia delle Hygrophoraceae, che inizialmente ospitava un solo genere, vengono posizionati i Generi Hygrophorus (1), Hygrocybe e Cuphophyllus (2). Quest’ultimo viene ritenuto, ancora oggi, da alcuni autori, semplice sottogenere del Genere Hygrocybe. E’ opportuno precisare che la separazione nei tre generi oggi considerati è stata effettuata sulla base dei caratteri microscopici della trama lamellare (3) che presentano conformazione diversa.

Genere Hygrocybe (Fr.) P. Kumm. (1871)

Al genere appartengono basidiomi di piccolo-medie dimensioni, poco carnosi, esili, con portamento omphaloide, clitocyboide o inocyboide (similari, nella conformazione generale, a seconda delle varie specie, a funghi appartenenti al Genere Omphalina, Clitocybe, o Inocybe), caratterizzati da cappello multiforme, spesso conico-campanulato, con colori vivaci (giallo, rosso, arancione, verde, viola…), di consistenza ceracea, fragile ed acquosa; con superficie liscia, rugosa, fibrillosa o squamulosa, asciutta, umida o vischiosa. Lamelle generalmente concolori al cappello, spaziate e diversamente inserite sul gambo (adnate, subdecorrenti, decorrenti). Il gambo si presenta, quasi sempre, slanciato, cilindrico o, a volte, corto e tozzo caratterizzato da solcature longitudinali, può presentarsi asciutto o totalmente glutinoso, privo di residui velari. La carne è generalmente concolore al cappello e priva di odori particolari o ben definiti, fatta eccezione per poche specie; é insapore o, in pochi casi, amara. Habitat in zone erbose o in boschi di latifoglie o di conifere.

Hygrocybe acutoconica (Clem.) Singer

Lilloa 22: 153 (1951)

Un basidiomicete di taglia medio-piccola dai colori molto vivaci e, allo stesso tempo, molto variabili che spaziano tra le numerose sfumature del giallo e del rosso tra di loro mescolate.

Basionimo: Mycena acutoconica Clem. 1893

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Hygroforaceae, genere Hygrocybe

Etimologia: Hygrocybe dal greco higrós = umido e kúbe = testa ovvero testa umida con espresso riferimento alla vischiosità del cappello. Acutoconica dal latino acutus = acuto e conicus = conico con ovvio riferimento alla forma del cappello particolarmente aguzza.

Sinonimi principali: Prunulus acutoconicus (Clem.) Murrill (1916); Hygrocybe persistens (1940): Hygrophorus acutoconicus (Clem.) A.H. Sm. (1947); Hygrocybe aurantiolutescens P.D. Orton (1969); Hygrophorus aurantiolutescens (P.D. Orton) Dennis (1986).

Nomi volgari: cappello di cera per derivazione dall’inglese wax cap

Descrizione macroscopica

Hygrocybe acutoconica (Clem.) Singer (colore dominante rosso) - Foto: Andrea Battaglini
Hygrocybe acutoconica (Clem.) Singer (colore dominante rosso) – Foto: Andrea Battaglini

Cappello di medio-piccole dimensioni, poco carnoso, inizialmente conico, conico-campanulato, tendente, verso la maturazione, ad assumere una conformazione conico-convessa, convessa fino a piano-depressa; sempre caratterizzato, nei vari stadi di sviluppo, dalla presenza di un umbone acuto; margine irregolare, frastagliato, lobato, striato al brodo per trasparenza; colore molto variabile tra le numerose sfumature del giallo e del rosso, si presenta, difatti, giallo, giallo limone, giallo scuro, arancio o rosso o con tinte intermedie tra i colori base; Cuticola liscia e lucida, leggermente viscida a tempo umido o piovoso, asciutta a tempo secco. Imenoforo a lamelle alte e panciute, mediamente distanziate, libere (quando si fermano prima di arrivare al gambo con il quale non hanno alcun contatto) o adnate (quando si uniscono al gambo per tutta la loro altezza), intervallate da numerose lamellule (struttura lamellare di dimensioni minore che partendo dal margine del cappello si interrompe prima di giungere al gambo interponendosi tra le lamelle stesse), di consistenza ceracea ed igrofane (quando in presenza di umidità assumono colorazione più scura ed intensa), colore giallastro, giallo-arancio, con filo intero e concolore. Gambo slanciato, cilindrico, a volte leggermente incurvato, inizialmente pieno, poi fistoloso (quando all’interno si presenta cavo), quasi concolore al cappello, ricoperto da fibrille giallo-aranciate, bianco alla base dove, alla manipolazione, tende ad annerire leggermente. Carne esigua e fragile nel cappello, fibrosa nel gambo, giallastra nel cappello e nella parte superiore del gambo, alla base si presenta biancastra tendente a scurire alla manipolazione; odore e sapore non significativi.

Habitat

Specie ubiquitaria, molto comune, cresce a gruppi di parecchi esemplari sia nei prati che nei boschi di latifoglie e di conifere o nelle dune litoranee o nella macchia mediterranea, dalla primavera a tutto autunno sino ad otre 2000 metri

Commestibilità

NON commestibile, senza interesse alimentare tanto per l’esiguità della carne quanto per il sapore e l’odore praticamente nulli.

Caratteri differenziali

Taglia medio-piccola, presenza di umbone acuto su cappello conico; orlo lobato e sempre striato per trasparenza; base del gambo bianca ma ingrigente in maniera lieve e progressivamente lenta alla manipolazione – carattere, quest’ultimo, di particolare rilevanza ai fini della determinazione.

Curiosità

La specie, a causa della sua notevole varietà morfocromatica, è stata descritta e denominata con epiteti sempre diversi numerose volte, fatto che ha creato una certa confusione e difficoltà di identificazione degli esemplari con conseguente proliferare dei numerosi sinonimi che si sono accumulati nel tempo.

Specie simili

  • Hygrocybe acutoconica var. Konradii (R. Haller Aar.) Boertm. (2010)

Praticamente perfettamente uguale all’osservazione macroscopica sia per la colorazione che per la strutturazione morfologica, differisce per la conformazione delle spore: cilindriche o faseoliformi (a forma di fagiolo) in H. acutoconica, ellissodali o subglobose nella var. konradii.

  • Hygrocybe conica (Schaeff.) P. Kumm. (1871)

E’ la specie tipo del genere, anch’essa molto simile ad H. acutoconica, differisce per la carne che, sempre di colore bianco, annerisce allo sfregamento in tutte le parti del carpoforo mentre, in H. acutoconica, tale caratteristica è localizzata solo alla base del gambo.

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  1. Genere Hygrophorus il Genere ospita carpofori carnosi, di medio-grandi dimensioni, omogenei (quando cappello e gambo hanno analoga struttura cellulare risultando strettamente saldati uno all’altro tanto che la loro separazione non avviene in maniera netta), con portamento  clitocyboide o tricholomatoide (similari, nella conformazione generale, a seconda delle varie specie, a funghi appartenenti al Genere Clitocybe, o Tricholoma), caratterizzati da colorazioni non vivaci: bianco-biancastre, grigie, brune; a volte, ma raramente, anche giallo-giallastre, aranciate o vinose; generalmente vischiosi e/o glutinosi con lamelle adnate (quando si uniscono al gambo per tutta la loro altezza), decorrenti (quando si uniscono al gambo prolungandosi verso la parte bassa dello stesso) o molto decorrenti, spesse e mediamente o marcatamente spaziate tra di loro. Sono caratterizzati da gambo cilindrico, a volte fusiforme ed attenuato alla base, con portamento robusto o, a seconda della specie, esile; con presenza, solo in alcune specie, di un velo glutinoso o cortiniforme (a forma di cortina ovvero velo costituito da filamenti sericei che dal margine del cappello arrivano al gambo) ben evidente, generalmente asciutto, liscio o fibrilloso o fioccoso, a volte glutinoso. Carne generalmente immutabile o, a volte, chiazzata di rosso-vinoso. Habitat boschivo. 
  2. Genere Cuphophyllus (Donk) Bon 1984. Al Genere appartengono carpofori di piccole e medie dimensioni caratterizzati da cappello di consistenza elastico, asciutto o poco vischioso e, in tal caso, di colori non vivaci o vischioso e, in tal caso, di colori vivaci: giallo, giallo-aranciato, violetto. Lamelle sempre decorrenti ed arcuate; gambo privo di anello, liscio, asciutto o, a volte, vischioso. Habitat graminicolo (quando ha tendenza a crescere in associazione con erbe infestanti appartenenti alla famiglia delle Graminaceae o, per estensione, tra l’erba in genere). 
  3. Trama lamellare indica la maniera in cui le ife si dispongono tra le due facce della lamella. Tipicamente si fa riferimento, in maniera particolare per la famiglia delle Igroforaceae a: Trama lamellare bilaterale, distintiva del Genere Hygrophorus; Trama lamellare intricata, distintiva del Genere Cuphophyllus; Trama lamellare parallela distintiva del Genere Hygrocybe. Per ulteriori approfondimenti si consiglia di consultare un testo specifico tra quelli indicati in bibliografia.

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Foto: Andrea Battaglini; Angelo Miceli

Bibliografia di approfondimento

  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama, Crocetta del Montello (TV). I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. (ristampa 2013) Zanichelli, Bologna. I 
  • Campo Emanuele, 2015: Hygrophorus, Hygrocybe e Cuphophyllus del Friuli Venezia Giulia. Gruppo Micologico Sacilese, Sacile (PN). I
  • Candusso Massimo, 1997: Hygrophorus s. l. Collana Fungi Europaei Vol. 6. Libreria Basso Editrice, Alassio (SV). I
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, 1998: Funghi Igrofori. Edagricole – Edizioni Agricole della Calderini, Bologna. I
  • Galli Roberto, 2014: Gli Igrofori. Ediplan editrice, Milano. I
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione maggio 2019)
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • La Spina Leonardo, Signorino Carmelina, 2018: I Funghi di Santo Pietro. Edizioni La Rocca, Riposto (CT). I
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione maggio 2019)
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Sorbi Claudio, 2012: Tre Hygrocybe rinvenute in ambienti dunali. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2: 4-9, Ponte a Moriano (LU). I

 

Panaeolus papilionaceus

Strano ma vero…!

I funghi, quei simpatici esserini che popolano, specialmente nel periodo autunnale, ma non solo, le aree boschive attirando la curiosità “mangereccia” dei numerosi “funciari”, sono soliti crescere sui substrati più vari, diversificati e strani. Generalmente si legano in simbiosi con svariate colture arboree ed arbustive affacciandosi dal substrato erboso del sottobosco ed assumendo, in tal caso, la conformazione di funghi “terricoli”; molto spesso, anche, si affacciano dalla corteccia degli alberi ancora in vita o in fase di decomposizione, assumendo, in tal altro caso, la conformazione di funghi “lignicoli”; ed ancora, strano ma vero, prediligono fruttificare e riprodursi su escrementi animali ed in tal caso vengono etichettati come funghi “fimicoli” (1) 

E’ proprio il caso, appunto, di un piccolo basidiomicete che, per la tipicità della sua crescita, ha recentemente attirato la nostra curiosità micologica invitandoci allo studio della specie ed all’approfondimento delle nostre conoscenze in merito, suggerendoci, inoltre, di presentarlo sulle pagine della nostra rubrica micologica: Panaeolus papilionaceus

Genere Panaeolus (Fr.) Quél. 1872

Al genere appartengono funghi omogenei (quando cappello e gambo sono costituiti da analoga struttura molecolare, non separabili in maniera netta uno dall’altro) esili, caratterizzati da cappello, generalmente con forma conico-campanulata, di piccole dimensioni sostenuto da un gambo lungo ed esile; saprofiti (quando si nutrono di sostanza organica morta) ed a tipica crescita su escrementi animali. In particolare le lamelle, generalmente spaziate ed adnate (quando sono inserite sul gambo per tutta la loro altezza), di colore nero-nerastro, tendono, verso la maturità, ad assumere, su entrambe le facce, un aspetto marezzato (quando presenta un colore non uniforme ma variegato o venato come il marmo, con alternanza di screziature o venature chiare e scure) dovuto al diverso grado di maturazione delle spore non uniformemente distribuite sulla superficie delle lamelle stesse. Tutte le specie ospitate nel genere sono considerate di scarso valore alimentare e/o tossiche: se ne sconsiglia, quindi, il consumo.

Panaeolus papilionaceus (Bull. : Fr.) Quél. (1872)

Mém. Soc. Émul. Montbéliard, Sér. 2 5:152 [122 repr.] 

Basionimo: Agaricus papilionaceus  Bull. 1781

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Bolbitiaceae, genere Panaeolus.

Etimologia: Panaeolus dal greco pan = smagliante, variopinto.

Papilionaceus con l’aspetto di una farfalla con espresso riferimento al colore marezzato, non uniforme, delle lamelle.

Sinonimi principali: Agaricus equinus Pers. (1793); Agaricus campanulatus Fr. (1821); Agaricus sphinctrinus (Fr.) Quèl. (1872); Panaeolus campanulatus (L.) Quél. (1872); Panaeolus sphinctrinus (Fr.) Quél. (1872); Panaeolus retigurus (Fr.) Gillet (1878); Psilocybe campanulata (L.) Kuntze (1898). 

Nomi volgari: Paneolo fasciato

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole dimensioni, 2-4 cm. di diametro; inizialmente emisferico, poi ogivale, campanulato; superficie dapprima bianco-biancastro, crema-nocciola verso la maturità, lucida, sericea, con numerose piccole rughe ocracee con riflessi grigio-nerastri; margine appendicolato per residui velari. Imenoforo a lamelle adnate (quando si uniscono al gambo per tutta la loro altezza), fitte, intramezzate da lamellule (struttura lamellare interposta tra le lamelle stesse che, partendo dal margine del cappello, si interrompe prima di giungere al gambo) di diversa lunghezza, di colore grigio-nerastro non uniforme (marezzate) causa il diverso grado di maturità delle spore, filo lamellare più chiaro. Sporata nera, identificativa dei funghi appartenenti al gruppo dei melanosporei. Gambo cilindrico, esile, sottile, fragile, leggermente allargato all’apice e rastremato verso il basso, pruinoso e ricoperto da corta peluria su buona parte, striato nella parte alta e coperto da goccioline bianche che diventano presto nere per il deposito sporale. Carne esigua, inconsistente, grigiastra, con odore e sapore nulli.

Habitat

Tipica specie a crescita esclusivamente fimicola su letame equino o bovino, a volte anche su campi abbondantemente concimati.

Commestibilità

Specie priva di interesse alimentare, da considerare, in ogni caso, velenosa. Provoca sindrome psicotropa (2)

Specie simili

  • Paneolus semiovatus (Sowerby : Fr.) S. Lundell & Nannf. (1938)

Simile a P. papilionaceus per il medesimo habitat di crescita, per la conformazione conico-campunulata del cappello e per il colore grigio-nerastro delle lamelle irregolarmente macchiate (marezzate) a causa del differente periodo di maturazione delle spore, differisce per le dimensioni maggiori, per la presenza, sul cappello, specialmente nella zona apicale, di piccole placche di colore ocra che gli conferiscono un aspetto fessurato e per la presenza di un anello posizionato nella parte centrale del gambo. E’ l’unica specie appartenente al genere Paneolus munita di anello, tanto che in passato è stata trasferita nel genere Anellaria e, successivamente, a seguito accertamenti di natura molecolare, riposizionata nel genere di precedente appartenenza.

  • Conocybe coprophila (Kühner) Kühner (1935)

Con analogo e tipico habitat fimicolo e conformazione e dimensioni similari a P. papilionaceus, differisce per la colorazione del cappello che si presenta su toni crema-ocracei con macchie brunastre ad età avanzata e per il colore delle lamelle inizialmente biancastre poi tendenti al bruno-ocra

  • Conocybe filaris (Fr.) Kühner (1935)

Oltre che per l’habitat tipicamente terricolo, differisce per le piccole dimensioni, per il colore del cappello bruno-rossastro, per la presenza di anello sul gambo

  • Coprinus sterquilinus (Fr. ; Fr.) Fr. (1838)

Anche se nella conformazione morfologico-strutturale, specialmente allo stadio giovanile, presenta caratteristiche ben marcate che lo differiscono da P. papilionaceus; per l’analogo ambiente di crescita e per il similare colore delle lamelle, può essere confuso con quest’ultimo. Differisce per la conformazione del cappello ovoidale-allungato, ricoperto, da giovane, da ciuffetti lanosi di colore bianco; per la conformazione dell’imenoforo costituito da lamelle libere al gambo e inizialmente di colore bianco-rosato, nere a maturazione, per il gambo provvisto di anello verso la parte inferiore; per la deliquescenza della carne a maturità avanzata.

Note

Gli studiosi di micologia, in particolare quanti si occupano di funghi fimicoli, manifestano, da sempre, pareri discordanti in merito alla sinonimia o meno tra i quattro taxa: P. papilionaceus, P. sphinctrinus, P. campanulatus e P. retigurus considerati da alcuni quali entità a sé stante, da altri come analoga specie. Poiché l’argomento è di difficile trattazione e risoluzione, riteniamo che rimarrà aperto ancora per lungo tempo.

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  1. Fimicolo: dal latino fìmus = letame e dal verbo colo = io abito, ovvero “cresco su letame”, con riferimento, quindi, all’habitat di crescita. Il termine indica, quindi, funghi che si nutrono e riproducono tipicamente su letame, su sterco in fermentazione, su concime organico e su campi abbondantemente concimati.
  2. Sindrome psicotropa o psilocibinica: è la tipica sindrome da allucinazioni, dovuta all’azione della psilocibina (PSB), sostanza tossica isolata nel 1958, presente in diverse specie fungine appartenenti ai generi: Psilocybe, Gymnopilus, Inocybe, Panaeolus, Stropharia, Psatyrella. Si tratta di sindrome a breve latenza (quando si manifesta entro 6 ore dall’ingestione dei funghi), che si manifesta entro 30-60 minuti dall’ingestione della sostanza tossica; interessa principalmente il sistema nervoso centrale presentando un quadro clinico simile a quello da intossicazione da alcool con stato di ebbrezza e con allucinazioni uditive, olfattive e visive oltre a disturbi gastrointestinali quali nausea, vomito, crampi addominali, coliche ecc. [Pelle, 2007 – Assisi ed altri, 2008 – Oppicelli, 2012 – AGMT, 2013 – Milanesi, 2015] 

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Foto: Angelo Miceli

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Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i Funghi. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN) (Seconda Edizione
  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli. Bologna (ristampa 2013)
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2009: Atlante fotografico dei funghi d’Italia, Vol. 3. A.M.B: Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria – 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione. Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Publisfera . San Giovanni in Fiore (CS)
  • Milanesi Italo – 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento 
  • Pelle Giovanna – 2007: Funghi velenosi e sindromi tossiche.  Bacchetta Editore, Albenga (SV)

Pleurotus ostreatus (Jacq.: Fr.) P. Kumm.1871

Comunemente noto con il nome volgare di “Orecchione” e con una miriade di nomi dialettali che si diversificano da una località all’altra, si riproduce, generalmente in forma gregaria, in qualità di fungo parassita-saprofita, su tronchi vivi o morti di varie latifoglie quali pioppo, salice, gelso.

Pleurotus ostreatus_Disegno di Giambattista Bertelli
Pleurotus ostreatus_Disegno di Giambattista Bertelli

Pleurotus ostreatus, specie fungina molto nota e diffusa in tutto il mondo deve la sua notorietà alla versatilità ad essere coltivata e commercializzata su larga scala e, ovviamente, alle caratteristiche organolettiche che la rendono una specie prelibata e ricercata per il consumo alimentare. Nei paesi orientali è anche noto ed utilizzato per le sue proprietà medicinali. In Cina viene chiamato “Ping gu” ovvero “Fungo piatto”, con riferimento alla sua conformazione morfologico-strutturale similare, appunto, ad un largo cappello appiattito.

 

Genere Pleurotus (Fr. : Fr.) P. Kumm. 1871

Al genere appartengono basidiomi carnosi, di medio-grandi dimensioni, omogenei (quando cappello e gambo hanno analoga struttura cellulare risultando strettamente saldati uno all’altro tanto che la loro separazione non avviene in maniera netta), caratterizzate da cappello asciutto e generalmente depresso, imbutiforme; lamelle a lungo decorrenti sul gambo che si presenta, a seconda della specie, subcentrale o fortemente decentrato, laterale ed in molte specie con crescita fascicolato-connata. Per la colorazione bianco-rosata delle spore in massa, sono ineriti nel gruppo dei funghi leucosporei. Tutte le specie appartenenti al genere sono lignicole e tipicamente parassite o saprofite, agenti di carie bianca (1). Le varie specie appartenenti al genere sono considerate, con poche eccezioni, tutte di buona qualità e commestibili. Molte specie si prestano con molta versatilità alla coltivazione.

 

Pleurotus ostreatus (Jacq. : Fr.) P. Kumm.

Führ. Pilzk. (Zerbst) : 104 (1871)

 

Basionimo: Agaricus ostreatus Jacq. 1774

 

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Pleurotaceae, genere Pleurotus.

 

Etimologia: Pleurotus dal greco pleuròn = di fianco e otòs = orecchio ovvero con l’orecchio (cappello) di fianco con espresso riferimento alla posizione del cappello rispetto al gambo. Ostreatus dal latino ostrea = ostrica per la somiglianza del cappello al guscio di un’ostrica.

Sinonimi pricipali: Agaricus fuligineus Pers. (1801); Agaricus reticulatus Schumach. (1803); Agaricus revolutus J. Kickx (1867); Clitocybe ostreata (Jacq.) P. Karst. (1879).

 

Nomi volgari: Agarico ostreato; Cerrena, Gelone, Orecchione [Bonazzi, 2003].

 

Nomi dialettali: come ormai nostra abitudine, considerato che esistono innumerevoli denominazioni dialettali in uso nelle varie aree geografiche italiane, riportiamo solo quelle utilizzate nel territorio messinese: Funci di traversa (Alcara li Fusi – Messina) [Bonazzi, 2003]; Ricchiedda (Motta d’Affermo – Messina).

 

Descrizione macroscopica

Cappello generalmente di medio-grandi dimensioni, posizionato lateralmente al gambo con forma di ventaglio (flabelliforme), di orecchio, di conchiglia; inizialmente convesso si distende verso la maturità presentando, quasi sempre, una marcata depressione verso l’attacco al gambo; orlo a lungo involuto (quando si presenta ripiegato verso l’interno), poi disteso, sottile, a volte fessurato; superficie liscia, glabra, di colore variabile: dal grigio al grigio bluastro chiaro, al bruno-grigiastro, a volte con sfumature violacee o riflessi blu-metallico schiarente verso la maturazione, cuticola non facilmente asportabile. Imenoforo costituito da lamelle non molto fitte, a lungo decorrenti, intervallate da numerose lamellule, biforcate ed anastomizzate (quando sono unite tra di loro da pieghe o nervature trasversali) in corrispondenza del gambo; di colore bianco, bianco-grigiastro, bianco-crema pallido; spore in massa di colore bianco-biancastro, identificative dei funghi leucosporei. Gambo eccentrico, laterale, corto, a volte assente, spesso cespitoso (quando si presenta unito a quello di altri esemplari, formando un grosso cespo), ricurvo, irregolarmente cilindraceo, sodo, pieno, bianco con sfumature grigiastre, leggermente pruinoso (quando è ricoperto da un leggero strato farinoso). Carne tenace, consistente, elastica, tendente al coriaceo negli esemplari adulti specialmente in prossimità del gambo, di colore bianco con odore e sapore gradevole negli esemplari giovani, di muffa in quelli maturi.

Habitat

Cresce in forma singola o anche cespitosa con i cappelli sovrapposti a mensola formanti una tipica cascata, su legno morto o vivo di numerose latifoglie sia nei boschi, sia nei parchi cittadini.

Commestibilità

Ottimo commestibile. Preferire sempre esemplari giovani in quanto con l’invecchiamento assume consistenza legnosa ed accumula tossine che possono recare leggeri disturbi di natura intestinale [Cazzavillan, 2011].

Specie simili

  • Pleurotus cornucopiae (Paulet) Rolland (1910)

Differisce per la conformazione del cappello che, a maturità, si presenta imbutiforme-ombelicato e per il colore bruno-giallastro della superficie.

  • Pleurotus pulmonarius (Fr. : Fr.) Quèl. (1872)

Molto simile a P. ostreatus tanto per le caratteristiche morfo-cromatiche generali, quanto per l’habitat di crescita, differisce per la colorazione del cappello più chiara, su toni crema-biancastri e per i caratteri microscopici.

Coltivazione

Come avviene per numerose altre specie fungine a nutrizione saprofitica si presta molto bene alla coltivazione tanto da essere considerata la specie più coltivata in Italia con una produzione di circa 10.000 tonnellate per anno, lasciando posizionare, la nostra nazione, tra i primi produttori a livello mondiale [Ceccon, 2018].

L’ingrediente base per la produzione è un composto formato dal 90% di paglia di frumento arricchita da sostanze azotate e dal 10% di erba medica o, in alternativa, farina di soia, trucioli di mais o urea. Il composto, dopo essere stato sottoposto a varie fasi di lavorazione, lasciato fermentare e riposare, viene confezionato in balle a forma rettangolare dal peso di circa 20-25 kg., avvolte in sacchi di nylon particolari sui quali vengono praticati dei tagli a croce di circa 5 cm. dai quali verranno fuori, a tempo debito, gli sporofori [Ceccon, 2018].

La lavorazione ed in particolare la raccolta del prodotto, deve essere effettuata da personale protetto con apposite mascherine-filtro al fine di evitare l’inspirazione delle basidiospore che possono causare, come spesso è avvenuto, problemi di irritazione delle vie respiratorie che si manifestano con tosse e stato febbrile. Tale sindrome viene tipicamente conosciuta come “Mushroom work’s lung” [Ceccon, 2018].

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(1) La carie, o marciume del legno, è una patologia vegetale che causa la progressiva degenerazione dei tessuti legnosi di piante vive o del legname in conservazione o in opera. Viene diversificata, generalmente, in carie bianca e carie bruna. La carie bianca é diffusa su numerose specie arboree, sia di latifoglie che di conifere e viene causata da specie fungine appartenenti tanto alla classe dei Basidiomiceti quanto a quella degli Ascomiceti i quali agiscono eliminando in maniera progressiva la lignina, conferendo, di conseguenza, ai tessuti legnosi attaccati, un aspetto chiaro, biancastro. La carie bruna è la conseguenza della progressiva degradazione della cellulosa che deteriorandosi perde di consistenza assumendo un colore bruno scuro. Le specie fungine che agiscono quali agenti di carie, bianca o bruna, assumono la denominazione di “parassiti da ferita” in quanto trovano facilità di attecchimento in corrispondenza delle ferite del tronco arboreo, nei tagli di potatura, nelle ferite provocate da insetti, nelle lesioni traumatiche della corteccia. Normalmente l’attacco invasivo viene realizzato dal micelio che, dopo aver condotto un periodo di vita saprofitario su organi morti della pianta, riesce a penetrare all’interno della massa legnosa attaccandone le parti vive [Goidànich G. 1975].

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Disegni: Giambattista Bertelli per gentile concessione del figlio Aldo

Foto: Emilio Pini, Angelo Miceli

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Bibliografia

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca , 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Cazzavillan Stefania, 2011: Funghi medicinali – Dalla tradizione alla scienza. Nuova Ipsa Editore Srl, Palermo
  • Ceccon Pieremilio, 2018: I funghi coltivati. Terza Parte. Passione Funghi & Tartufi. Aprile 2018 n. 81: 32-37. Erredi Grafiche Editoriali, Genova
  • IF, Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione agosto 2018)
  • MB, Mycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione agosto 2018)
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria – 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione. Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS)
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Phillips Roger, 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara

 “Sua Maestà il Porcino”

(Nuova stesura)

Puntuali, con l’arrivo dell’autunno e delle prime piogge, i “funciari” (cercatori di funghi), si riversano, fin dalle prime luci dell’alba, nei boschi alla ricerca di quei curiosi “esserini” che, in questo periodo, popolano le aree boschive.

Da sempre apprezzati in cucina per il loro particolare sapore, i funghi catturano l’attenzione di quanti vogliono coniugare il piacere di una sana e salutare passeggiata nei boschi con l’appagamento dei sensi del gusto.

Le prede più ambite, ovviamente, ovoli e porcini! Attenti però al loro corretto riconoscimento, la possibilità di fare confusione tra le innumerevoli specie esistenti è sempre in agguato e può riservare, per i meno esperti, spiacevoli sorprese anche con conseguenze drastiche ed irreversibili.

“Re Porcino”, sovrano dei boschi e di tutte le tavole, nella sistematica micologica viene inserito nell’ordine Boletales, famiglia Boletacee e, all’interno della famiglia di appartenenza, è identificato dal genere Boletus.

I nomi scientifici dei funghi, come avviene per le piante in genere, vengono attribuiti secondo norme stabilite dal Codice Internazionale per la Nomenclatura delle alghe, funghi e piante (ICN). (1)

L’attuale sistema di nomenclatura botanica si basa sul metodo binomiale che fa riferimento agli studi del botanico svedese Carl von Linné (italianizzato in Linneo, 1707-1778) che, nel XVIII secolo gettò le basi dell’attuale sistema di nomenclatura.

Gli studi furono approfonditi da Elias Magnus Fries (micologo svedese, 1794 – 1878) il quale ritenne opportuno sistemare le varie specie fungine all’interno di appositi settori, in considerazione degli aspetti comuni ai vari esemplari, suddividendoli in classi, ordini, famiglie e generi, dando origine, in tal modo, alle basi della moderna sistematica.

Il sistema binomiale prevede che ogni organismo vivente venga identificato da un doppio nome: il primo, generico, riferito al genere di appartenenza, il secondo, specifico, riferito alla specie. La combinazione di nome generico e specifico identifica la specie: esempio Boletus edulis (nome scientifico riferito al porcino). E’ opportuno precisare che il nome attribuito va sempre indicato in forma latina e scritto in corsivo con l’iniziale maiuscola per quanto riguarda l’indicazione del genere, con l’iniziale minuscola per quanto riguarda l’indicazione della specie. Inoltre, per completezza, deve sempre essere seguito dal nome, anche in forma abbreviata, dello studioso che per primo descrisse la specie ed è accompagnato, quando se ne presentano le condizioni, dal nome di chi ebbe a confermarne (sanzionare) (2) la denominazione: esempio Boletus aereus Bull. : Fr. sta ad indicare che la specie fu scoperta dal micologo Jean Baptiste Bulliard (Bull.) ed il nome attribuito fu confermato (sanzionato) (2) da Elias Magnus Fries (Fr.). Inoltre nel caso venga modificato l’inquadramento sistematico del fungo si dovrà indicare, tra parentesi tonda, il nome del primo autore e dell’eventuale sanzionatore, separarati da “ : ” seguiti, fuori parentesi, dal nome di chi ne ha modificato la posizione: esempio Neoboletus erythropus (Pers. : Fr.) C. Hahn per indicare Persoon quale autore del taxon (in origine chiamato Boletus erythropus), Fries come sanzionatore e Hahn per avere modificato la posizione sistematica della specie inserendola in un nuovo genere (Neoboletus).

Fatta questa premessa, utile in senso generico ad avvicinarci al complesso sistema che regola il “Regno dei Fungi”, ci sembra opportuno, al fine di soddisfare le curiosità conoscitive del lettore, ed in considerazione del fatto che è proprio il “Porcino” il fungo che maggiormente attira l’attenzione e le curiosità conoscitive dell’uomo, soffermarci su questa specie.

Con il termine “porcino” si è soliti identificare, anche come denominazione merceologica, alcune specie di funghi appartenenti al Genere Boletus. Nello specifico, per le particolari caratteristiche macro e microscopiche, nonché per la universale e riconosciuta bontà e versatilità del loro uso in cucina e come sancito dal DPR n. 376 del 14.7.1995, sono quattro le specie fungine che possono fregiarsi, a pieno titolo, di tale denominazione: Boletus edulis, Boletus aereus, Boletus pinophilus, Boletus reticulatus.

Genere Boletus L. 1753

Si tratta, senza ombra di dubbio, di uno dei più conosciuti generi del regno dei funghi, ad esso appartengono basidiomi omogenei (quando cappello e gambo presentano la stessa struttura molecolare tanto da essere uniti l’uno all’altro), carnosi, terricoli, simbionti, con imenoforo (parte fertile del fungo posizionata, generalmente, nella zona inferiore del cappello) costituito da tubuli e pori, facilmente asportabile. Tubuli adnati (quando si uniscono, per tutta la loro lunghezza, al gambo); pori piccoli e tondeggianti, inizialmente di colore bianco poi olivastri, immutabili al tocco. Gambo generalmente obeso, pieno, ricoperto da un reticolo più o meno esteso. Carne immutabile al taglio. Sporata in massa di colore bruno-olivastro.

Il genere Boletus, inizialmente di natura polifiletica (quando vi appartengono specie discendenti da più capostipiti), ospitava numerose specie fungine che, a seconda delle caratteristiche morfo-cromatiche generali e microscopiche venivano suddivise in sezioni: Edules, Appendiculati, Calopodes, Luridi. In atto, con l’applicazione della filogenesi molecolare, è stato possibile individuare, nelle singole specie, caratteri distintivi tali da consentirne il riposizionamento in altri generi, alcuni già esistenti, altri di nuova istituzione, quali, ad esempio: Butyriboletus, Caloboletus, Imperator, Lanmaoa, Neoboletus, Rubroboletus, Suillellus ed altri [Della Maggiora, 2016].

Per quanto sopra, l’attuale genere Boletus, divenuto, quindi, monofiletico (quando nel genere sono inserite specie fungine discendenti da un unico capostipite), ospita le specie già inserite nella sezione Edules dell’originario genere: B. edulis, B. aereus, B. pinophilus, B. reticulatus ossia quelle specie fungine comunemente note come Porcini.

Pur nella piena consapevolezza di tale importante modifica nella sistematica fungina, continueremo, nel corso della nostra “Riflessione Micologica”, ove dovesse rendersi necessario, a considerare i Boleti da noi trattati quali appartenenti alla tradizionale sezione Edules del genere Boletus.

Boletus edulis Bull. : Fr.

Herb. Fr. (Paris) 2: tab. 60 (1782)

E’, senz’altro, il più conosciuto di tutti, particolarmente apprezzato per il suo intenso sapore e per l’odore che lo rende il fungo più ricercato in assoluto.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Boletales, famiglia Boletaceae, genere Boletus.

Etimologia: dal latino edules = commestibile

Principali Sinonimi: Boletus bulbosus Schaeff. (1763); Boletus solidus Sowerby (1809); Boletus citrinus A. Venturi (1863); Tubiporus edulis (Bull.) P. Karst. (1882); Boletus clavipes (Peck) Pilát & Dermek (1974); Boletus betulicola (Vassilkov) Pilàt & Dermek (1974); Boletus quercicola (Vassilkov) Singer (1978)

Nomi Volgari: porcino, porcino comune, ceppatello, brisa [Bonazzi, 2003 -AGMT, 2013]

Nomi dialettali: ne esiste una miriade che variano da una località all’altra. Come sempre ci limitiamo a riportare quelli maggiormente in uso in Sicilia: Funciu siddu,  Pinnittu, Testa di fau, Porcino biondu [Bonazzi, 2003].

Descrizione macroscopica

Cappello di medie-grandi dimensioni, con diametro fino a 20-25 cm., inizialmente emisferico, successivamente guancialiforme ed ancora, a maturazione inoltrata, piano o quasi depresso. Cuticola spesso rugosa, leggermente viscida ed untuosa a tempo umido. Colore variabile da bianco-crema verso le varie gradazioni del nocciola, beige, marrone, non uniforme e tendente a sfumare verso il margine. Bordo delimitato, anche se non sempre, da una zonatura di colore bianco. Imenoforo costituito da tubuli lunghi, inizialmente di colore bianco poi, verso la maturazione, tendenti al giallo, giallo-verdastro, ed infine al verde-oliva, immutabili al taglio. Pori piccoli, rotondi, concolori ai tubuli ed immutabili al tocco. Gambo panciuto, obeso, bulboso, cilindrico verso la maturazione, sodo e pieno, inizialmente bianco, tendente verso la maturazione, al nocciola pallido o bruno chiaro; ricoperto, specialmente nella parte superiore, da un fine reticolo a maglie strette di colore bianco, bianco-biancastro, sempre più chiaro del colore di fondo. Carne spessa, soda e compatta negli esemplari giovani, molliccia in quelli maturi; bianca ed immutabile al taglio ed alla pressione, caratterizzata da una tipica colorazione rosso-vinosa sotto la cuticola tendente a divenire meno intensa e più diffusa a maturazione. Odore fungino molto gradevole e sapore dolce.

Habitat

Tipicamente ubiquitario, cresce sia nei boschi di conifere, dove viene rinvenuto con maggiore frequenza, sia nei boschi di latifoglie presentandosi con uno o più esemplari, preferendo un clima fresco. Inizia a fruttificare, dopo abbondanti precipitazioni piovose, fin dal mese di luglio protraendo la sua crescita, a seconda delle varie zone territoriali, anche fino a novembre inoltrato

Commestibilità

Ottimo commestibile. Si presta ad essere cucinato in tutti i modi ed è molto apprezzato anche da crudo (da consumare, comunque, in quantità moderate). Viene largamente consumato allo stato fresco, essiccato o conservato [Alessio, 1985].

Poiché, come scientificamente accertato, contiene il disaccaride trealosio, principio attivo (3) contenuto anche in molte altre specie fungine, può risultare dannoso e causa di intossicazioni anche importanti per persone che presentano carenza dell’enzima trealasi (4) [Mazza, 2018]

Curiosità tassonomiche

Fu il micologo tedesco Jacob Christian Schaeffer (1718 – 1790) a scoprire ed a descrivere per primo, nel 1763, questa ricercatissima specie fungina identificandola come Boletus bulbosus. Successivamente, nel 1781, la specie venne nuovamente trattata dal naturalista francese Jean Baptiste Bulliard ((1752 – 1793) e descritta come Boletus edulis epiteto confermato dal Fries nella sua opera Systema Mycologicum nella quale l’epiteto precedente, B. bulbosus, viene semplicemente indicato. Di conseguenza, ai sensi delle disposizioni previste dal Codice Internazionale per la Nomenclatura delle alghe, funghi e piante (ICN) (1) l’epiteto corretto da attribuire a questa meravigliosa specie fungina è B. edulis Bull. : Fr. [Alessio, 1985].

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Boletus aereus Bull. : Fr.

Herb. Fr. (Paris) 9: tab. 385 (1789)

Molto simile per taglia e conformazione morfologica al precedente ed agli altri del gruppo, si differenzia per il colore del cappello bruno-nero, bronzato, spesso con chiazze più chiare di colore ocra o con riflessi ramati. E’ considerato, per il periodo di crescita, il “porcino autunnale” e conosciuto come “Porcino nero”.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Boletales, famiglia Boletaceae, genere Boletus.

Etimologia: dal latino aéris = bronzo, per il colore del cappello.

Principali sinonimi: Tubiporus aereus (Bull.) P. Karst. (1882); Dictyopus aereus (Bull.) Quél. (1886); Suillus aereus (Bull.) Kuntze (1898)

Nomi volgari: Porcino nero, Bronzino

Nomi dialettali: Funcio siddu, Funciu lardaro, Testa niura, Porcinu niuro, Funciu di cerza (nomi dialettali siciliani) [Bonazzi, 2003]

Descrizione macroscopica Boletus aereus Bull. : Fr.

Cappello di medie-grandi dimensioni, raggiunge, e spesso supera, i 20-25 cm. di diametro. Inizialmente emisferico, piano-convesso o piano verso la maturazione, spesso bitorzoluto. E’ caratterizzato da colori molto scuri, dal bruno al marrone, al nero-nerastro con presenza, specialmente negli esemplari giovani, di chiazze decolorate di colore ocraceo o bronzo-ramato tendenti a scomparire verso la maturazione e ricoperto, spesso, da una finissima pruina bianco-biancastra presto evanescente. La cuticola è inizialmente asciutta e vellutata, successivamente, verso la maturazione, liscia, glabra ed umidiccia. Imenoforo costituito da tubuli lunghi ed adnati (quando si uniscono al gambo per tutta la loro altezza), facilmente separabili dalla carne sovrastante, perfettamente bianchi ed immutabili, con pori piccoli e concolori che tendono, verso la maturazione, ad assumere toni giallastri, poi verde-verdastri, verde-brunastri o bruno-ruggine. Non presenta alcun viraggio al taglio o alla pressione. Caratteristicamente mantiene l’iniziale colore bianco più a lungo degli altri porcini. Gambo tendenzialmente panciuto-obeso nei giovani esemplari, poi, verso la maturazione, cilindrico o claviforme, pieno ed asciutto, di colore ocra-brunastro più o meno carico ma sempre più chiaro del cappello, ricoperto nella parte superiore da un fine reticolo inizialmente bianco-biancastro tendente a scurire, divenendo concolore al fondo, verso la maturazione. Carne La carne è bianca, immutabile sia al taglio sia alla pressione, soda e compatta, molliccia solo negli esemplari molto maturi; odore gradevole e sapore dolce.

Habitat

Specie tipicamente termofila (quando predilige ambienti caldi), cresce in areali caldi, soleggiati ed asciutti, associandosi in simbiosi con varie latifoglie soprattutto querce ma anche castagni e carpini. E’ tipico della macchia mediterranea dove si associa a Cisto, Erica arborea, Corbezzolo. Si presenta in forma isolata o a gruppi di più esemplari; fruttifica, a seconda della latitudine e delle condizioni meteorologiche, dal mese di giugno fino al mese di novembre.

Commestibilità

Ottimo commestibile, anche da crudo ma in piccole quantità. In cucina c’è solo l’imbarazzo della scelta, visto che si adatta facilmente ad ogni tipo di preparazione. Essiccato aumenta la sua intensa e piacevole fragranza.

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Boletus pinophilus Pilàt & Dermek

Česká Mykol. 27(1): 6 (1973)

E’, tra i boleti della sezione Edules, quello con la taglia più grande che si presenta decisamente massiccia, facilmente riconoscibile per i suoi meravigliosi colori. Viene considerato, per il periodo di crescita come “Porcino del freddo” e, in considerazione dei suoi colori, come “Porcino rosso”

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Boletales, famiglia Boletaceae, genere Boletus.

Etimologia: dal latino Pinus = pino e dal greco Phìlos = amico, amante ovvero amico dei pini con riferimento al suo presunto habitat

Principali sinonimi: Boletus edulis var. pinicola Vittad. (1835); Boletus pinicola (Vittad.) A. Venturi (1863)

Nomi volgari: Porcino dei pini, Porcino rosso, Porcino del freddo, Testa rossa

Nomi dialettali: Cozza ‘e pinu (nome dialettale cosentino); Zappinaro (Nome dialettale reggino con riferimento alla sua tendenza ad associarsi ai grandi Pini dell’Aspromonte che localmente vengono chiamati Zappini); Testa russa, Porcinu di sciari, Funciu reali (nomi dialettali messinesi) [Bonazzi, 2003]

Descrizione macroscopica Boletus pinophilus Pilàt & Dermek

Cappello di medie-grandi dimensioni, può raggiungere anche i 30 cm. di diametro; sodo e carnoso, inizialmente emisferico con orlo involuto poi, verso la maturazione, convesso ed infine appianato-guancialiforme con il margine irregolare o lobato. Con toni tipicamente rossastri: rosso-rame, rosso-mogano, rosso-granata, rosso-cuoio o bruno-rossastro. Superficie umida, irregolare, lobata, grinzosa, ricoperta, nei giovani esemplari, da una finissima pruina bianca che verso la maturazione viene confinata ai margini per sparire successivamente. Imenoforo costituito da tubuli lunghi, facilmente asportabili, libero-arrotondati al gambo, immutabili alla digito pressione ed al taglio, inizialmente bianchi poi, verso la maturazione, tendenti al giallo-giallastro ed ancora al verde-verdastro. I pori, piccoli e rotondi, sono concolore ai tubuli ed immutabili alla pressione. Spore in massa di colore bruno-olivastro. Gambo corto e tozzo, grosso e panciuto da giovane, allungato verso la maturazione ma sempre con base dilatata e bulbosa; da bianco a bruno-ocra, bruno-rossiccio, ricoperto da un fine reticolo concolore più o meno esteso. Carne soda e consistente per lungo tempo, molliccia negli esemplari maturi, bianca ed immutabile al taglio, caratterizzata da un alone rosso-vinoso sotto la cuticola più marcato ed evidente di quello presente in B. edulis; odore gradevole e sapore dolce ma meno intensi rispetto agli altri boleti del gruppo.

Habitat

Fruttifica, a seconda delle varie fasce vegetative, dalla tarda primavera fino all’inizio dell’inverno, isolato o a gruppi di pochi esemplari sia in boschi di conifere che di latifoglie in simbiosi con specie arboree del genere Pinus (specialmente Pino silvestre), Fagus, Castanea e Betula, dove è abbastanza comune mentre risulta essere raro nella macchia mediterranea.

Poco diffuso nei boschi del messinese è, invece, molto comune, apprezzato e ricercato in Calabria nei boschi dell’Aspromonte e della Sila.

Commestibilità

Buon commestibile, anche da crudo ma in piccole quantità. E’ il meno saporito e profumato tra i Boleti del gruppo e quello con il maggior peso specifico. Si presta ad essere cucinato in tutti i modi ed è particolarmente versatile alla conservazione sott’olio esaltando, con i suoi colori esuberanti, anche la bellezza dei vasetti di vetro.

Curiosità tassonomiche

Il primo ad interessarsi di questa meravigliosa entità fungina fu Carlo Vittadini (micologo e botanico italiano, 1800 – 1865) che, nel 1835, in relazione ai suoi caratteri generali la considerò una varietà del B. edulis, denominandola, di conseguenza, B. edulis var. pinicola. Successivamente, nel 1863, Antonio Venturi (micologo italiano, 1806 – 1864) la elevò al rango di specie con la denominazione di Boletus pinicola, denominazione ritenuta invalida in quanto già utilizzata nel 1810 dal micologo Olof Swartz (naturalista svedese, 1760 – 1816) per indicare altra specie fungina appartenente all’ordine delle Poliporales ed oggi conosciuta come Fomitopsis pinicola. L’attuale denominazione venne definitivamente attribuita, nel 1973, dai micologi cechi Albert Pilat ed Aurel Dermek [Alessio, 1985 – Oppicelli ed altri, 2018].

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Boletus reticulatus Schaeff.

Fung. bavar. palat. nasc. (Ratisbonae) 4: 78 (1774)

Meglio conosciuto come Boletus aestivalis, per il tipico periodo di fruttificazione e, di conseguenza, come Porcino estivo. E’ molto simile a B. edulis dal quale differisce per piccoli particolari.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Boletales, famiglia Boletaceae, genere Boletus

Etimologia: dal latino reticulatus, similare ad una rete, con riferimento alla superficie del cappello che generalmente si dissocia in piccole screpolature che assumono, grossolanamente, la conformazione di un reticolo [AGMT, 2013 – Oppicelli, 2018] o, secondo alcuni autori, con riferimento al reticolo che ricopre il gambo su tutta la sua superficie.

Sinonimi principali: Tubiporus aestivalis Paulet (1793); Boletus aestivalis (Paulet) Fr. (1838); Versipellis aestivalis (Paulet) Quél. (1886); Suillus reticulatus (Schaeff.) Kuntze (1898); Boletus carpinaceus Velen. (1939)

Nomi volgari: Estatino, Porcino di castagno, Porcino estivo, Fiorone, Porcino reticulato [AGMT, 2013 – Oppicelli, 2018]

Nomi dialettali: Sillu prumemtiju (nome dialettale cosentino); Mussu i boi (nome dialettale di Alcara Li Fusi – Messina); Purcinu i castagnera (nome dialettale di Ucria – Messina) [Bonazzi, 2003].

Descrizione macroscopica

Cappello di medie-grandi dimensioni, 5-20 cm di diametro, sodo e carnoso poi, verso la maturazione, molle; forma inizialmente emisferica poi convessa-appianata; margine involuto, poi disteso, regolare o leggermente lobato. La cuticola si presenta liscia e glabra, vischiosa negli esemplari giovani, finemente vellutata e spesso screpolata a tempo secco in quelli maturi. Colore molto variabile in base all’ambiente di crescita ed alle condizioni climatiche, dal bianco-nocciola al nocciola pallido, al bruno, bruno-marroncino, ocra-bruno a volte anche molto scuro. Imenoforo a tubuli lunghi, fini e sottili, più corti in prossimità del gambo ove, per tale caratteristica, formano una infossatura circolare; inizialmente bianchi poi giallognoli ed infine verdastri, immutabili al taglio, pori piccoli, tondi concolori ai tubuli, immutabili alla pressione. Gambo carnoso, robusto, cilindrico, regolare, a volte contorto, spesso ingrossato alla base; colore variabile da nocciola pallido a bruno-marroncino più o meno intenso, ricoperto da un fine reticolo in rilievo, a maglie fini, esteso fino al piede, inizialmente concolore, poi più scuro. Carne soda negli esemplari giovani, molliccia in quelli maturi, viene presto invasa dalle larve e quindi degradante per l’azione dei parassiti. Di colore bianco, immutabile al taglio ed alla pressione, odore intenso e gradevole, sapore molto dolce dovuto all’alto contenuto di mannitolo. Con l’essiccazione sapore e profumo si esaltano divenendo più intensi.

Habitat

E’ il classico porcino estivo, incomincia a fruttificare, anche se in maniera sporadica, già dalla tarda primavera, raggiungendo l’apice della fruttificazione a fine estate e soprattutto in autunno. E’ molto comune e diffuso sia nei boschi di aghifoglie (querce, castagni, faggi, noccioli, carpini) sia in quelli di aghifoglie (pini e abeti) prediligendo ambienti soleggiati e boschi termofili. Si presenta in gruppi di esemplari singoli o piccoli cespi.

Commestibilità

Ottimo commestibile anche da crudo ma in piccole quantità, si presta ad essere preparato nelle modalità più varie. Molto profumato ed apprezzabile al palato, purtroppo è spesso invaso dalle larve anche in giovane età.

Curiosità tassonomiche

E’ stato per lungo tempo conosciuto – e tuttora continua ad esserlo – come Boletus aestivalis, epiteto attribuitogli da Paulet nel 1793. Tale nome, però, non è ritenuto valido in quanto B. reticulatus, fu adottato da Schaffer nel 1774 ed è quindi considerato prioritario. In merito è anche opportuno evidenziare che Fries, nel suo Systema Mycologicum del 1821 (opera ritenta utile per il “sanzionamento” delle specie fungine (2)), si limitò ad indicare B. reticulatus quale semplice forma ecologica di B. edulis e quindi priva di rilevanza; motivo questo che non consentì il sanzionamento della specie. Lo stesso Fries riprese in altra sua opera successiva: Epicrisis Systematis Micologici del 1838, il taxon B. aestivalis di Paulet che, di conseguenza, divenne la denominazione più utilizzata della specie [Alessio, 1985].

Entrambi i nomi, però, mostrano, sotto aspetti diversi, ambiguità interpretative che, sino ad oggi, non consentono di chiarire definitivamente il problema che, riteniamo, non troverà soluzione per ancora molto tempo. E’ opportuno, in ogni caso, prendere atto che oggi Boletus estivalis (Paulet) Fr. risulta essere il nome maggiormente utilizzato da quanti operano nel settore della micologia (Bertolini, 2018].

Le specie di cui ci siamo occupati, possono essere agevolmente riconosciute senza pericolo di essere confuse con altri boleti o meglio con quelle specie fungine un tempo inserite nel genere Boletus ed oggi riposizionate, a seguito dei recenti studi di natura filogenetico-molecolare, in generi di nuova creazione (vedi sopra paragrafo Genere Boletus). E’ sufficiente prestare attenzione ai caratteri ad esse comuni come la carne bianca ed immutabile al taglio che è tipica della sezione Edules, ed i pori bianchi che mantengono, alla pressione, la colorazione originale senza assumere cambiamenti di colore. Caratteristiche che fanno la differenza con specie appartenenti alla famiglia Boletaceae e, in maniera particolare, con quelle un tempo inserite nelle sezioni Appendiculati, Fragrantes e Luridus dell’originario genere Boletus che, invece, hanno la carne giallina che reagisce al taglio virando verso un colore azzurrognolo-verdastro, e sono caratterizzati dalla presenza di pori gialli o rossi.

Con tali ultime caratteristiche troviamo un’infinità di specie distinguibili una dall’altra per la presenza di piccoli e minuti particolari, presentando difficoltà nella loro determinazione che deve essere affidata, esclusivamente, a chi è professionalmente competente.

Unica eccezione a quanto sopra è rappresentata da Tylopilus felleus che somiglia, da giovane, a B. edulis e a B. reticulatus e che, a maturità, si differenzia da questi per i pori leggermente rosati. Ha un sapore talmente amaro che, se cucinato assieme ad altri funghi, è sufficiente un solo esemplare per rendere immangiabile un intero raccolto di porcini.

Desideriamo, prima di congedarci, lanciare un appello che vuole essere, in ogni caso, un consiglio ed un monito utile a chi si improvvisa ricercatore o, più semplicemente, consumatore di funghi: consumate solo funghi della cui commestibilità siete certi, fidatevi esclusivamente del giudizio di commestibilità espresso da un “micologo” professionista; non accettate funghi in regalo né regalatene se non preventivamente controllati e certificati; diffidate sempre del parere dei così detti “esperti”.

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  1.  Il “Codice Internazionale di Nomenclatura per le alghe, funghi e piante (ICN) viene realizzato e mantenuto aggiornato da botanici provenienti da tutto il mondo che si riuniscono ogni 5 – 6 anni in una sessione precongressuale del Congresso Internazionale di Botanica. Il Codice attuale è stato formalizzato nel Congresso di Shenzhen (Cina) nel mese di luglio 2017 ed è operativo dall’anno 2018; è anche conosciuto semplicemente come “Codice di Shenzhen”; sostituisce il precedente “Codice di Melbourne” che è rimasto in vigore dal 2012 al 2017.
  2. Si intendono “sanzionati”, quindi confermati ed inattaccabili, i nomi dei funghi contenuti nelle opere “Synopsis Methodica Fungorum” di Christian Hendrik Persoon (micologo sudafricano, 1761 – 1836) e “Systema Mycologicum” (Voll. I-II-III) ed “Elenchus Fungorum” (Voll. I e II) di Elias Magnus Fries (micologo svedese, 1794 – 1878)
  3. Principio attivo: termine con il quale, in chimica, si intende identificare una sostanza che possiede una certa attività biologica, come, ad esempio, le sostanze dotate di effetto terapeutico (farmaci), benefico (vitamine, probiotici) o tossico (veleni).
  4. Trealasi è un enzima specifico che idrolizza il carboidrato trealosio che si trova nei funghi, alghe, insetti, lieviti e nella manna

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Foto: Nicolò Oppicelli – Angelo Miceli

Bibliografia di approfondimento:

  • A.G.M.T. – 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN
  • Alessio Carlo Luciano – 1985: Boletus Dill. Ex L. Collana Fungi Europaei. Libreria Editrice Biella Giovanna, Saronno
  • Alessio Carlo Luciano – 1991: Boletus Dill. Ex L. (Supplemento) Collana Fungi Europaei. Libreria Editrice Biella Giovanna, Saronno
  • Bertolini Valerio – 2018: Boletus aestivalis – Notula storico-bibliografica. Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia, n. 1:14. A.M.B. Associazione Micologica Bresadola – Trento
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia, Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico – 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici. Trento
  • Buda Andrea – 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa
  • Della Maggiora Marco, 2016: Boletaceae Chevall, Stato attuale della nomenclatura. Annali Micologici A.G.M.T. anno 2016 n. 9: 85-116
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar -2000: Funghi Boleti, Calderini edagricole, Bologna
  • Galli Roberto – 2013: I Boleti. Micologica, Pomezia
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione gennaio 2019)
  • Levorato Carmine, Rotella Maria – 1999: Funghi in Calabria. Edizioni Pubblisfera, San Giovanni in Fiore (CS) (Seconda Edizione, 2004)
  • Matteucci Sergio – 2008: I Boletus del gruppo edules – i “principi” del bosco. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2: 4-14, Ponte a Moriano (LU)
  • Mazza Riccardo – 2018: I sapori e gli odori dei funghi. ROMAR Srl – Segrate (MI)
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione gennaio 2019)
  • Oppicelli Nicolò –  2012: I funghi ed i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali – Genova
  • Oppicelli Nicolò – 2018: Porcino …o Porcini? – Boletus aestivalis. Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia, n. 1: 3-13. A.M.B. Associazione Micologica Bresadola – Trento
  • Oppicelli Nicolò – 2018: Boletus reticulatus. Passione funghi e tartufi n. 85: 54-63. ErrediGrafiche, Genova
  • Oppicelli Nicolò, Caiolino Ottavio – 2018: Boletus aereus – Nero d’autore. Passione Funghi e Tartufi anno 2018 n.  87: 36-47. Erredi Grafiche Editoriali.- Genova
  • Oppicelli Nicolò, Gava Sara – 2018: Boletus pinophilus – Rubino del bosco. Passione Funghi e Tartufi anno 2018 n.  88: 48-57. Erredi Grafiche Editoriali.- Genova
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampalolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia. Vol. I (seconda ristampa), A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento

Clitocybe nebularis, il fungo delle nebbie

E’ stato da sempre ritenuto, anche se in maniera erronea, un ottimo commestibile tanto da attirare le attenzioni dei numerosi ricercatori-micofagi che durante la stagione propizia erano, e sono ancora, soliti recarsi nei boschi alla sua ricerca.

E’ormai unanimemente appurato dalla totalità dei micologi e dagli studiosi di micotossicologia, che si tratta di un fungo tossico che ha causato, e continua a causare, numerosi ricoveri ospedalieri conseguenziali al suo consumo, tanto da essere cancellato dalle liste regionali dei funghi commestibili.

Clitocibe nebularis Disegno di Gianbattista Bertelli
Clitocibe nebularis Disegno di Gianbattista BertelliClitocibe nebularis Disegno di Gianbattista Bertelli

Veniva inserito tra le specie fungine commercializzabili, e quindi ritenuto commestibile, dall’art. 16 della Legge 23 agosto 1993 n. 352 che regolava, all’epoca, la raccolta e la commercializzazione dei funghi epigei freschi e conservati. Successivamente, per l’accertata e documentata presenza di elementi tossici, con il DPR 14 luglio 1995, n. 376, viene definitivamente depennato dall’elenco delle specie commercializzabili e ritenuto, quindi, tossico o, quantomeno, sospetto di tossicità e, quindi, non commestibile a tutti gli effetti di legge [Marra, 2011].

Purtroppo, però, le abitudini radicate sono dure a morire e nonostante la sua dimostrata tossicità viene tuttora impunemente consumato, in maniera poco cosciente, in diverse località italiane. 

E’ solito fare la sua apparizione nei boschi, a seconda delle diverse fasce vegetative, fin dall’inizio del periodo autunnale, protraendo la sua crescita fino ad inverno anche inoltrato, predisponendosi in numerosi esemplari in fila indiana o in forma circolare, dando vita, così, al classico “cerchio delle streghe” (1).

Genere Clitocybe (Fr. : Fr.) Staube 1857

Al genere appartengono funghi terricoli, di piccole-medie dimensioni, con colori variabili ma non vivaci assestati, generalmente, sui toni pallidi, biancastri, a volte rossastri o grigiastri; omogenei (quando cappello e gambo presentano struttura molecolare similare tanto da non consentire una facile separazione tra i due elementi); con cappello, a seconda della specie di appartenenza, a volte imbutiforme; igrofano (quando cambia colore a seconda del grado di umidità – diviene più scuro con l’umido e tende a sbiadire con il tempo secco), asciutto, pruinoso, squamettato con margine liscio o striato; con imenoforo (zona fertile del fungo posizionata nella zona sottostante il cappello) a lamelle predisposte in maniera decorrente sul gambo che si presenta centrale, pieno, più o meno slanciato, spesso con micelio basale abbondante, a volte adornato da rizomorfe (fascio di ife a forma di radichetta, cordoncino o di nastro a volte presente alla base del gambo di alcune specie fungine). Sporata in massa di colore bianco, giallo o crema rosato, inseriti, quindi, nel gruppo dei funghi leucosporei. Al genere appartengo sia specie commestibili e di buona qualità, sia specie tossiche responsabili di sindromi di varia natura quali, ad esempio: gastrointestinale; neurologica; muscarinica; acromelalgica; da nebularina.

Clitocybe nebularis (Batsch : Fr.) P. Kumm.

Führ. Pilzk. (Zerbst): 124 (1871)  

Basionimo: Agaricus nebularis Batsch (1871)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Tricholomataceae, genere Clitocybe

Etimologia: Clitocybe dal greco Klitos = pendio, inclinazione e da Kùbe = testa ovvero “dalla testa inclinata” con riferimento alla forma del cappello. Nebularis dal latino nebula = nebbia con riferimento al colore grigiastro del cappello che ricorda quello della nebbia

Sinonimi principali: Gymnopus nebularis (Batsch) Gray (1821); Clitocybe stenophylla P. Karst. (1881); Omphalia nebularis (Batsch) Quél. (1886); Clitocybe alba (Bataille) Singer (1951); Lepista nebularis (Batsch) Harmaja (1974)

Nomi volgari: Agarico nebbiolo, fungo della nebbia, nebbiolo, nebbione, vaccaro, ordinale [Bonazzi, 2003].

Nomi dialettali: in considerazione delle numerosissime denominazioni dialettali che variano da una località all’altra, ci limitiamo, come ormai nostra abitudine, a riportare solo i nomi in uso in Sicilia: funciu di filera, funciu i pampina [Bonazzi, 2003].

Descrizione macroscopica

Cappello generalmente di medie dimensioni, raggiunge, negli esemplari più grandi, anche 15 cm. di diametro; inizialmente convesso, tendente verso la maturazione ad assumere forma appianato-depressa; a volte con umbone centrale schiacciato; margine sottile, lungamente involuto, leggermente eccedente; superficie liscia, spesso ricoperta da una leggera pruina biancastra asportabile, con fibrille radiali innate, con colori non vivaci: grigio, grigio-cenere, grigio-bruno. Imenoforo costituito da lamelle fitte, adnate al gambo o leggermente decorrenti, facilmente separabili dalla carne del cappello (secedenti), inizialmente biancastre con riflessi crema-pallido, ingiallenti verso la maturazione. Gambo cilindrico, più o meno clavato, inizialmente pieno poi, verso la maturazione, farcito, striato da fini fibrille in senso longitudinale, concolore al cappello o più chiaro: bianco-crema o crema-grigiastro, spesso con abbondanti resti miceliari alla base. Carne soda, biancastra, con odore e sapore complessi, forti, intensi, caratteristici ma indefinibili, sgradevoli negli esemplari maturi. Relativamente all’odore, Riccardo Mazza, in una sua recente pubblicazione, precisa che appartiene ad un gruppo di “funghi il cui odore complesso è definito, a seconda degli autori, nei modi più diversi o, al contrario, in forma del tutto generica” [Mazza, 2018].

Habitat

Tipico fungo del periodo autunnale, protrae la propria crescita, a seconda delle diverse fasce vegetative, fino ad inverno anche inoltrato (inizia a fruttificare in autunno nelle regioni del nord e successivamente, nel periodo più freddo, nelle regioni meridionali) predisponendosi in gruppi di numerosi esemplari in cerchio o in filari, dando vita al classico “cerchio delle streghe” (1); a nutrizione saprofitica su lettiera di fogliame di latifoglie e di conifere.

Commestibilità e tossicità

NON commestibile, tossico. 

Pur essendo oggetto di largo consumo in alcune zone del territorio italiano, viene ritenuto, all’unanimità, a tossicità incostante e a commestibilità controversa, per la diversità di effetti, a volte nulli, che può causare.

I micologi del passato si sono spesso confrontati sulla commestibilità della specie, manifestando sempre pareri controversi e tra di loro contrastanti. Giacomo Bresadola, padre della micologia italiana, era tra i fautori della commestibilità ritenendolo “malgrado il parere contrario di qualche autore, uno dei migliori funghi mangerecci” [Bresadola, 1954]. Opinione, questa, ormai completamente superata dai numerosi studi condotti che non lasciano ombra di dubbio sulla sua tossicità.

I casi di intossicazione che annualmente vengono segnalati ai vari ispettorati micologici sono sempre numerosi: si tratta generalmente di sindrome gastrointestinale che insorge tra le 2 e le 6 ore dopo il pasto manifestandosi con nausea intensa, vomito, stordimento, mal di testa e diarrea, risolvibile nell’arco di uno o due giorni. I sintomi tossici si manifestano con severità variabile, in maniera incostante ed improvvisamente anche tra i consumatori abituali sui quali precedentemente non aveva causato alcun effetto tossico [Marra, 2011].

E’ stata accertata, nella specie, la presenza di numerosi composti volatili di natura diversa che se inalati durante la cottura o semplicemente durante il trasporto in auto dopo la raccolta possono causare, come spesso è accaduto, episodi di mal di testa, nausea e spossatezza [Marra, 2011 – Mondello].

Composti volatili e principi attivi

C. nebularis è, ormai da tempo, oggetto di numerosi studi di laboratorio che hanno pienamente confermato che la specie, nella sua strutturazione chimica, è composta da numerosi composti volatili, ben 77, e da diversi principi attivi. Si ritiene che il suo particolare ed intenso odore, considerato fortemente sgradevole, sia conseguente all’insieme dei numerosi composti volatili che, a seconda della sensibilità olfattiva individuale, vengono percepiti in maniera diversa con conseguente diversa descrizione della tipologia di odore.

Solo a titolo genericamente informativo, rimandando il lettore ad un testo specifico (vedi Marra, 2011), citiamo alcune delle sostanze estratte da C. nebularis

2-feniletanolo, con odore di fiori di rosa; benzaldeide, con odore di mandorla; β-barbatene, con odore di terra e/o di muffa; indolo, con odore fecale; derivati dell’acido butirrico, con odore nauseabondo di formaggio guasto; monoterpeni e sesquiterpeni, con odore legnoso, canforato, di resina, di agrumi [Marra, 2011 con riferimento a Rapior ed altri]. L’insieme di tali odori conferisce alla specie un odore particolare ed indefinibile cha alcuni considerano come odore “tipico” della specie [Marra, 2011 – Lavorato e altri, 2004].

E’stata ampiamente confermata, attraverso studi di varia natura, la presenza, in C. nebularis, di diversi principi attivi (2) quali:

  • Nebularina: composto organico altamente tossico che non subisce alcuna modificazione sottoposto a bollitura per oltre tre ore.

Agisce, altresì, con azione antibiotica [Assisi et altri, 2008 – Marra, 2011] ed è stato dimostrato che possiede proprietà inibitorie della moltiplicazione del Micobacterium tubercolosis e Brucella abortus, batteri responsabili della tubercolosi e della brucellosi [Marra, 2011].

Possiede, ancora, proprietà citotossiche su cellule neoplastiche [Marra, 2011]

  • Nectina (CNL – Clitocybe Nebularis Lectina): proteina naturale con effetto antiproliferativo sulle cellule del linfoma umano [Marra, 2011].
  • Clitocipyn (Clitocybe cysteine proteinase inhibitor) e CnSPIs (Clitocybe nebularis serine protease inhibitor): inibitori della proteasi [Marra, 2011].

Specie simili

  • Entoloma sinuatum (Bull. Fr.) P. Kumm (1871) = Entoloma lividum Quél. (1872)

Specie velenosa, può facilmente essere confusa con C. nebularis con la quale condivide lo stesso habitat di crescita fruttificando nello stesso periodo.

Entoloma sinuatum Foto Angelo Miceli
Entoloma sinuatum Foto Angelo Miceli

Differisce principalmente per la conformazione delle lamelle profondamente smarginate e quasi libere al gambo (adnate o leggermente decorrenti in C. nebularis), per il colore delle stesse che è inizialmente giallo divenendo poi, a maturazione, rosa più o meno carico (lamelle inizialmente bianche con riflessi crema-pallido, ingiallenti verso la maturazione in C. nebularis) e, inoltre, per il forte odore di farina fresca che emana (intenso, non definibile, sgradevole in C. nebularis).

Note e curiosità 

Clitocybe nebularis parassitata da Volvariella surrecta Foto Loredana Battisti
Clitocybe nebularis parassitata da Volvariella surrecta Foto Loredana Battisti

Spesso, specialmente a maturità avanzata, C. nebularis viene parassitata da Volvariella surrecta, che si presenta, inizialmente, come un tomento biancastro, molto simile ad una muffa, posizionato nella zona centrale del cappello, identificativo del micelio del fungo con successiva comparsa di piccoli esemplari tondeggianti e dotati di una bella volva rosata della specie parassita. E’ opportuno precisare che gli sporofori di Volvariella non presentano alcuna tossicità che invece è concentrata nel micelio del fungo [Assisi et altri, 2008].

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  1. Cerchio delle streghe: tipica crescita fungina in forma circolare. Deve tale denominazione alle numerose credenze e superstizioni nate nel medioevo quando i funghi, “strane creature”, spuntati dal nulla senza un supporto arboreo, lasciavano correre la fantasia degli uomini che li accoppiava a strani riti nelle radure dei boschi ad opera delle streghe. Si riteneva che i funghi nascessero in cerchio nello stesso posto dove streghe, elfi e folletti erano soliti tenere i loro incontri notturni su un’area di forma circolare.

Tale fenomeno viene scientificamente spiegato dalla particolare forma di sviluppo del micelio che, generato dalla singola spora, si propaga, in molti casi ed a seconda della specie fungina cui è legato, in senso radiale ed in maniera uniforme, allargandosi anno dopo anno raggiungendo, se non viene ostacolato durante la sua crescita da un evento naturale o dall’intervento dell’uomo, dimensioni notevoli. Nella parte interna della zona circolare il micelio rimane, dopo la fruttificazione fungina annuale, svuotato da tutte le sue sostanze nutritive, divenendo, quindi, sterile con ripercussioni negative sulla crescita della vegetazione. Successivamente, con l’incremento della massa miceliare che si estende in forma circolare, le sostanze nutritive tornano a formarsi nella parte esterna con l’emissione di ammoniaca che viene trasformata in concime caratterizzandosi, all’esterno, con la presenza di un cerchio di erba verde e rigogliosa con radici profonde e, quando le condizioni ambientali sono favorevoli, di numerosi esemplari fungini.

  1. Principio attivo: termine con il quale, in chimica, si intende identificare una sostanza che possiede una certa attività biologica, come, ad esempio, le sostanze dotate di effetto terapeutico (farmaci), benefico (vitamine, probiotici) o tossico (veleni).

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Tavole micologiche: Gianbattista Bertelli

Foto: Loredana Battisti, Angelo Miceli.

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Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T. – 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN)
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica) –2007: Tutto funghi. Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Assisi Francesca – 2012: I funghi: guida alla prevenzione delle intossicazioni. Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda – Centro Antiveleni Milano, Milano
  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli. Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico – 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici. Trento
  • Bresadola Giacomo – 1954: Funghi mangerecci e funghi velenosi.. Museo di Storia Naturale. Trento. ( IV edizione a cura del Comitato Onoranze Bresadoliane. Milano-Trento)
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione agosto 2018)
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria – 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione. Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS)
  • Marra Ernesto – 2011: Principi biologicamente attivi presenti in Clitocybe nebularis. A.M.B. Rivista di Micologia, Anno LIV n. 1: 59-66. A.M.B. Trento.
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione agosto 2018)
  • Mazza Riccardo – 2018: Gli odori e i sapori dei funghi. ROMAR Srl. Segrate (MI)
  • Milanesi Italo – 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento 
  • Mondello Francesco Clitocybe nebularis. MicologiaMessinese – (http://www.micologiamessinese.altervista.org/Funghi%20C.htm#Clitocybe nebularis)
  • Oppicelli Nicolò – 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Trento
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampalo -2004: Atlante fotografico dei funghi d’Italia, Vol. 1. Seconda ristampa. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Pelle Giovanna – 2007: Funghi velenosi e sindromi tossiche. Bacchetta Editore, Albenga (SV)

Amanita phalloides, l’Angelo della morte

Autunno 2018: nuova e ricca stagione su tutto il territorio nazionale per la produzione fungina. Il protocollo, ormai divenuto classico, si ripete, come ogni anno, nei minimi particolari: i “funciari” (raccoglitori di funghi), cestino, bastone e scarponi, “sciamano” a centinaia nei boschi alla ricerca delle prelibatezze stagionali: “ovoli” e “porcini”, dimenticando le più elementari norme relative alla raccolta ed al consumo dei “nostri amici del bosco”, “deliziandosi” con la ricerca indiscriminata di quanto, nascosto tra le foglie del sottobosco, si presenta con la classica forma del fungo e, quindi, potenzialmente utile per dare un tocco di classe alla tavola per il pasto serale a fine giornata. Il protocollo si ripete, purtroppo, anche per le conseguenze spesso spiacevoli ed irreversibili verso le quali numerosi incauti raccoglitori vanno incontro: “Rocca di Papa, famiglia avvelenata dai funghi: morti i due nonni, gravi altri tre…” la notizia diffusa via web da “il giornale.it” oggi, 14 settembre 2018, addita, ancora una volta, come responsabile del grave episodio, ponendola sul “banco degli imputati”, la solita Amanita phalloides un fungo mortale dall’aspetto elegante e dalle caratteristiche morfocromatiche particolari che ne fanno una specie di facile riconoscimento e non confondibile, almeno in teoria e per quanti hanno acquisito una minima competenza nel riconoscimento dei funghi, con altre specie fungine.

Prendiamo spunto da questa, purtroppo, ferale notizia per presentare ai nostri lettori “l’Angelo della morte”, con l’intento primario di fornire, in maniera particolare ai neofiti, gli elementi utili al suo riconoscimento.

Genere Amanita Pers. 1797

Al Genere appartengono sporofori eterogenei (quando cappello e gambo presentano struttura molecolare diversa che consente una netta e facile separazione dei due elementi) ben differenziati e facilmente individuabili, limitatamente alla determinazione del genere di appartenenza, per la presenza di particolari e caratteristiche ornamentazioni che si formano sul cappello e sul gambo, tanto nella parte apicale quanto nella parte inferiore. Sono funghi bivelangiocarpici ossia muniti di due veli. Uno detto velo generale che avvolge l’intero carpoforo fin dalla sua formazione allo stadio di primordio che lo rende simile, per la sua strutturazione, ad un uovo e per tale caratteristica consente di conferirgli, appunto, la denominazione di “ovolo”; l’altro, detto velo parziale, inteso a proteggere la zona imeniale (parte fertile del fungo – formata, nel caso delle Amanite, da lamelle e situata nella parte inferiore del cappello ove si formano gli elementi riproduttivi: le spore) che dall’orlo del cappello si estende fino al gambo.

La formazione del carpoforo, con il suo accrescimento sia in altezza sia in larghezza, causa, man mano che il processo di formazione procede, la lacerazione dei due veli che, a rottura, formano, per quanto riguarda il velo generale, un residuo che va a depositarsi nella parte bassa del gambo dando origine alla formazione di una specie di guaina basale detta “volva” ed anche, a volte, alla formazione di residui dissociati sul gambo ed alla formazione – anche se non sempre – sul cappello di ornamentazioni dette, in senso generico, “verruche”. Per quanto riguarda il velo parziale, la sua lacerazione, con il distacco dello stesso dall’orlo del cappello, causa – anche se non sempre –  la formazione di un “anello” che va a posizionarsi sul gambo [Miceli, 2017].

Amanita phalloides (Vaill. ex Fr.) Link

 Handb. Erk. Gew. 3: 272 (1833)

E’ un fungo basidiomicete a larga diffusione territoriale, presente in numerosi esemplari prevalentemente nei boschi di latifoglie (querce, noccioli, carpini, castagni, faggio) e, a volte, anche di conifere in associazione a diverse specie di pino. Comunemente conosciuto come “Amanita falloide” o “Tignosa verdognola”, è velenoso-mortale ed è considerato il più pericoloso esistente in natura a causa della sua elevata tossicità e per il suo aspetto polimorfico e policromatico che lo rende, ad un esame superficiale e per i neofiti, somigliante a molte specie fungine. Unitamente alle sorelle Amanita verna ed Amanita virosa è responsabile del più alto numero di casi di avvelenamento con esito mortale [Balestreri, 2011].

Nell’immaginario collettivo, specialmente per la mancanza di nozioni basilari di micologia, viene erroneamente identificato con Amanita muscaria, un bellissimo ed elegante fungo dal colore rosso ricoperto da fiocchetti bianchi che, pur essendo tossico, é privo di effetti letali.

Basionimo: Agaricus phalloìdes Vaill. ex Fr. 1821

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Amanitales, famiglia Amanitaceae, genere Amanita.

Etimologia: dal greco phallòs (fallo) e eîdos (forma, sembianza) e cioè “a forma di fallo” con riferimento alla conformazione che assume da giovane.

Sinonimi principali: Fungus phalloìdes Vaill. (1723), Amanita viridis Pers. (1797), Agaricus virosus Vitt. (1835), Venenarius phalloides (Vaill. ex Fr.) Murrill (1912), Amanitina phalloides (Vaill. ex Fr.) E. J. Gilbert (1940)

Nomi volgari: Tignosa verdognola, Amanita verdognola, Ovolo bastardo.

Nomi dialettali: Funciu di cerza; Funciu vilinusu (nomi dialettali siciliani) [Bonazzi, 2003]

 

Descrizione macroscopica

Cappello di medie dimensioni, generalmente 8-16 cm. di diametro; inizialmente emisferico, poi convesso e, verso la maturità, piano convesso, privo di umbone; superficie regolare, margine intero, non striato, leggermente rivoluto (rivolto verso il basso), a volte con residui del velo parziale; cuticola leggermente eccedente (quando sporge dal margine del cappello), interamente separabile dal cappello, umida e leggermente vischiosa a tempo piovoso, lucida ed asciutta a tempo secco, liscia e percorsa da fini fibrille (piccole e sottili fibre, più o meno lucenti, posizionate radialmente sulla cuticola o longitudinalmente sul gambo di alcune specie fungine) radiali innate, generalmente nuda, a volte con placche biancastre irregolari derivate dal velo generale, colore estremamente variabile con tonalità verdastre: verde, verde pallido, grigio-verde, giallo, giallo-verdastro, giallo-bruno, giallo-olivastro. Imenoforo costituito d lamelle fitte, sottili, libere al gambo (quando si interrompono prima di arrivare al gambo), intervallate da lamellule (struttura lamellare di dimensioni minori rispetto alle lamelle) tronche di diversa lunghezza, di colore bianco con riflessi giallo-verdastri negli esemplari maturi; taglio leggermente fioccoso negli esemplari giovani; spore in massa bianche, identificative dei funghi appartenenti al gruppo dei leucosporei. Gambo centrale, cilindrico, slanciato, leggermente svasato all’apice si allarga progressivamente verso la base dove dove si completa con un evidente bulbo a forma sferica o quasi sferica, inizialmente pieno poi, verso la maturazione farcito, midolloso, cavo; colore bianco-biancastro, ricoperto nella zona alta da una leggera pruina bianca, nelle altre parti decorato da bande o zebrature trasversali più o meno evidenti concolori al fondo negli esemplari giovani, con sfumature giallo-verdastri negli esemplari maturi. Anello posizionato nella zona alta del gambo, sottile, membranoso, persistente, pendulo, leggermente striato nella pagina superiore, fioccoso in quella inferiore, di colore bianco assume riflessi giallini negli esemplari maturi. Volva evidente, a sacco, membranosa, sottile, aderente al bulbo con l’orlo, spesso lobato, distanziato dal gambo, di colore bianco-bianco sporco. Carne soda e compatta, inizialmente tenere, poi molle, fibrosa nel gambo, colore bianco con sfumature giallo-verdastre sotto la cuticola, odore debole, gradevole negli esemplari giovani, sgradevole tendente al cadaverico negli esemplari maturi, sapore dolciastro.

 

Habitat

Specie molto comune e largamente diffusa, inizia a fruttificare sin dall’estate dopo le prime piogge, protraendo la crescita fino ad autunno inoltrato. Si presenta in gruppi, spesso di numerosi esemplari, nei boschi di latifoglie e, a volte, anche in quelli di conifere.

Commestibilità, tossicità e curiosità

Velenoso, mortale. Causa sindrome falloidea(1) caratterizzata da grave insufficienza epatica.

Si tratta di uno dei funghi più pericolosi esistenti in natura tanto per il contenuto di tossine velenose quanto per la sua diffusione territoriale che lo vede presente in numerosi habitat boschivi.

I casi di avvelenamento che annualmente vengono segnalati ai vari ispettorati micologici sono numerosi e spesso ad esito mortale. Tuttavia si ha notizia, in letteratura, di un curioso caso registrato nell’autunno del 2012, legato al consumo di A. phalloides cruda unitamente all’abbondante ingestione di vino ed acqua idrolitina (composto a base di bicarbonato di sodio che genera effervescenza), con conseguenze cliniche molto modeste.

Nella fattispecie dopo la comparsa della sintomatologia gastrointestinale con vomito, dolori addominali, diarrea e progressiva disidratazione, la fase clinica successiva, che generalmente determina la necrosi delle cellule epatiche, non si è verificata con la consueta gravità consentendo, dopo le cure del caso, la completa guarigione del paziente.

La stranezza dell’evoluzione clinica viene attribuita, solo a livello di ipotesi, alla concomitanza di diversi fattori quali il consumo del fungo crudo unitamente all’abbondante ingestione di liquidi (vino ed acqua idrolitina) che hanno verosimilmente diluito i succhi gastrici riducendone l’azione [Illice, 2013].

I suoi effetti mortali sono noti dai tempi più antichi, tanto che – la storia racconta – A. phalloides fu utilizzata per commettere omicidi di personaggi eccellenti quali, ad esempio, l’imperatore romano Claudio avvelenato dalla moglie Agrippina per consentire la successione al trono del figlio Nerone; tutta la famiglia di Euripide; Papa Clemente VII, la vedova dello zar Alessio [Della Maggiora, 2007 – AGMT, 2013 – Sorbi, 2014]. 

Principi attivi

E’ stata ampiamente confermata, attraverso approfonditi studi di varia natura, la presenza in A. phalloides, di tre principi tossici: fallolisine, falloidine e amatossine.

  • Le fallolisine, sostanze termolabili ad effetto emolitico, vengono decomposte con il calore e non presentano alcuna pericolosità quando il fungo viene consumato ben cotto [Milanesi, 2015].
  • Le falloidine, costituite da aminoacidi, sono termostabili, ovvero mantengono inalterate le proprietà anche se i funghi che le contengono sono sottoposti a cottura. In ogni caso non vengono assorbite dal tubo digerente nell’intestino e non svolgono, di conseguenza, alcuna attività tossica [Milanesi, 2015].
  • Le amanitine, molto pericolose e ad azione mortale, sono termostabili (quando non subiscono alcuna variazione se sottoposte all’azione del calore) e responsabili di epatocitolisi fulminante. La dose letale è di 0,1 mg per kg di peso corporeo. Si consideri che un basidioma di A. phalloides di medie dimensioni contiene 5-8 mg di amanitina, sufficiente per causare la morte di un individuo adulto del peso di 70-80 kg [Milanesi, 2015].

Proprietà farmacologiche

Un gruppo di ricercatori del Centro tedesco di Ricerca sul cancro (Deutsches Krebsforschungszentrum) con a capo il Dott. Gerhard Moldenhauer, unitamente ad altri centri, conduce, ormai da anni, uno studio mirato all’utilizzo delle tossine contenute nel fungo, in particolare le α-amanitine, per colpire e distruggere le cellule tumorali. Gli esperimenti in vitro e sugli animali, hanno consentito di accertare che legando un anticorpo presente nell’organismo umano alle α-amanitine e veicolando l’insieme direttamente sulle cellule tumorali, queste regrediscono e successivamente vengono definitivamente distrutte [Seltmann, 2012 – Sorbi, 2014]. Ovviamente la strada da seguire è ancora lunga ma gli esperimenti lasciano ben sperare e, forse, in un futuro più o meno prossimo l’Angelo della morte potrà divenire l’Angelo della vita.

Forme e varietà

  • Amanita phalloides var. alba Costantin & L.M. Dufour (1895)
Amanita phalloides var. alba Foto Franco Mondello
Amanita phalloides var. alba Foto Franco Mondello

Si presenta perfettamente identica, nella conformazione morfologico-strutturale, ad A. phalloides ma con una colorazione totalmente bianca. E’ specie velenoso-mortale.

Per il suo colore bianco è spesso confusa con esemplari fungini appartenenti al genere Agaricus che differiscono per il colore delle lamelle inizialmente grigio chiaro, beige, nei giovani esemplari che tende a scurire sempre più a maturazione verso il bruno-tabacco o nerastro.

Specie Simili

  • Amanita caesarea (Scop. : Fr.) Pers. (1801)

Ottimo commestibile e ricercata specie fungina, si presenta, allo stadio adulto, completamente diversa da A. phalloides, sia per la colorazione generale totalmente giallo-aranciato, sia per la conformazione morfologico-strutturale, tanto da non creare alcuna possibilità di confusione con A. phalloides.

Allo stadio primordiale, invece, quando si presenta completamente avvolta dal velo generale, è perfettamente identica ad A. phalloides dalla quale differisce per minimi particolari, quali, ad esempio: la base appuntita e la parte superiore più larga ed arrotondata (come un uovo rovesciato) mentre A. phalloides presenta tali caratteristiche invertite: base arrotondata, superficie superiore appuntita. Alla sezione A. caeasarea mostra i colori giallo-aranciati della superficie del cappello e delle lamelle che, in A. phalloides sono, invece, perfettamente bianche.

 

E’ opportuno ricordare che numerosi casi di avvelenamento, spesso con esiti mortali, sono dovuti alla imprudenza ed alla ingordigia dei cercatori che raccolgono il fungo allo stadio di ovolo confondendo le due specie con conseguenze molto gravi e spesso irreversibili.

Consigliamo di evitare la raccolta dei funghi allo stadio primordiale attenendosi alla normativa vigente che ne vietata tassativamente la raccolta prima che il velo generale si sia lacerato lasciando intravedere il corpo fruttifero sottostante.

A maturazione, A. phalloides si presenta con una notevole varietà cromatica che, come già detto, può essere verde, verde pallido, grigio-verde, giallo, giallo-verdastro, giallo-bruno, giallo-olivastro, quindi può facilmente creare confusione con numerose altre specie fungine appartenenti a diversi generi quali, ad esempio, Tricholoma, Russula, Volvaria, Melanoleuca, Leucoagaricus ecc. Data la vastità dell’argomento preferiamo rinviare il lettore a testi monografici specifici.

Conclusioni

Desideriamo, prima di congedarci, lanciare un appello che vuole essere, in ogni caso, un consiglio ed un monito utile a chi si improvvisa ricercatore o, più semplicemente, consumatore di funghi: consumate solo funghi della cui commestibilità siete certi, fidatevi esclusivamente del giudizio di commestibilità espresso da un “micologo” professionista; non accettate funghi in regalo né regalatene se non preventivamente controllati e certificati; diffidate sempre del parere dei “così detti esperti”.

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  1. Sindrome falloidea

Il periodo di latenza varia tra le 6 e le 24 ore dal consumo dei funghi.

I sintomi si manifestano in fasi progressive di aggravamento: inizialmente disturbi gastrointestinali, dolori addominali, vomito, diarrea, stato di disidratazione; successivamente, nei giorni seguenti, dopo un apparente miglioramento, inizia a manifestarsi danno epatico che, in una fase ancora successiva, si avvia verso insufficienza epatica acuta, ipoglicemia ed ittero, coma epatico, insufficienza renale, decesso.

I principi tossici si identificano in fallolisine, falloidine e amanitine, queste ultime le più pericolose: la dose letale è pari a 0,1 mg per Kg di peso corporeo, basti pensare che un esemplare fungino di medie dimensioni contiene da 5 ad 8 mg. di amanitina, più che sufficienti per causare la morte di un individuo adulto (I. Milanesi 2015).

Le specie responsabile dell’intossicazione sono: Amanita phalloides, A. phalloides Var. AlbaA. verna, A. virosa, A. porrinensis; Galerina marginata, G. autunnalis, G. badipes; Conocybe filaris, Lepiota helveola, L. josserandii, L. brunneoincarnata, L. castanea, L. subincarnata, L. clypeolariodes

Le statistiche riferiscono di numerosi casi di decesso e numerosi altri risolti con trapianto di fegato [Miceli, 2016].

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Foto: Carmelo Di Vincenzo, Angelo Miceli, Franco Mondello, Federico Stella

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Approfondimenti bibliografici

  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i Funghi. 2^ Edizione. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN)
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi.  Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Assisi Francesca, 2007: Tossicologia del Genere Amanita. In Galli R., 2007: Le Amanite. 2^ edizione. dalla Natura, Milano
  • Assisi Francesca, 2012: I funghi: guida alla prevenzione delle intossicazioni. Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda – Centro Antiveleni Milano, Milano
  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano
  • Balestreri Stefano, 2011: Amanita phalloides. In Appunti di Micologia (www.appuntidimicologia.it)
  • Bettin Antonio – 1971: Le amanite. L.E.S. Libreria Editrice Salesiana, Verona
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Buda Andrea, I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa
  • Buffoni Lorenzo, 1983: Gli avvelenamenti da Amanite tossiche. In Merlo E. e altri, 1983: Le Amanite. Sagep Editrice, Genova: 128-137
  • Consiglio Giovanni, Pierotti Alessio, 2013: Approccio al Genere Amanita – IV. A.M.B. Rivista di Micologia, 2: 99-116. Trento
  • Della Maggiora Marco, 2007: Gli avvelenamenti da funghi. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 1: 24-40, Ponte a Moriano (LU)
  • Della Maggiora Marco, Mannini Maurizio, 2013: Funghi buoni … o “buoni da morire”. In A.G.M.T., 2013: Io sto con i Funghi. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN): 171-204. (Seconda Edizione)
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, 1993: Funghi Amanite. Calderini edagricole, Bologna
  • Galli Roberto, 2007: Le Amanite. 2^ edizione. dalla Natura, Milano
  • Illice Mirko, 2013: Un curioso caso di consumo di Amanta phalloides privo di serie conseguenze. A.M.B. Rivista di Micologia, 1 : 45-48. Trento
  • Marra Ernesto, Macchioni Claudio, 2015: Il consumo in sicurezza dei funghi. Regione Calabria Giunta Regionale Dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie – Confederazione Micologica Calabrese
  • Merlo Erica, Traverso Mido, 1983: Le Amanite. Sagep Editrice, Genova
  • Miceli Angelo, 2016: Tra tossine e veleni – Parte Prima. NA.SA.TA Magazine – I Sapori del mio Sud – Periodico di informazione dei soci dell’Associazione Culturale Nasata. Anno XII n. 127: 11-12 –  anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (www.adset.it); e in “MicologiaMessinese/Andar per funghi” (www.micologiamessinese.it)
  • Miceli Angelo, 2016: Tra tossine e veleni – Parte Seconda. NA.SA.TA Magazine – I Sapori del mio Sud – Periodico di informazione dei soci dell’Associazione Culturale Nasata. Anno XII n. 128: 10-12 – anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (www.adset.it); e in “MicologiaMessinese/Andar per funghi” (www.micologiamessinese.it)
  • Miceli Angelo, 2017: Amanita muscaria, il fungo delle fiabe. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 10: 30-38. Ponte a Moriano (LU)
  • Milanesi Italo, 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Neville Pierre, Poumarat Serge, 2004: Amaniteae. Collana Fungi Europaei. Edizioni Candusso, Alassio (SV)
  • Oppicelli Nicolò, 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali. Genova
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Pelle Giovanna, 2007: Funghi velenosi e sindromi tossiche.  Bacchetta Editore, Albenga (SV)
  • Phillips Roger, 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara
  • Seltmann Stefanie, 2012: Death cap mushroom poison to arrest pancreatic cancer in mice. German Cancer Research Center in the Helmholtz Association (Deutsches Krebsforschungszentrum, DKFZ) n. 15.

(https://www.dkfz.de/en/presse/pressemitteilungen/2012/dkfz-pm-12-15-Death-cap-mushroom-poison-to-arrest-pancreatic-cancer-in-mice.php)

  • Sorbi Claudio, 2014: Amanita caesarea vs. Amanita phalloides “vita” e “morte” a confronto. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 8: 4-10, Ponte a Moriano (LU)

Rubroboletus demonensis

Una nuova specie siciliana dal portamento “demoniaco”

Articolo pubblicato su “MicoPonte” n. 11 Anno 2018

Introduzione

Ancora una volta la bella terra di Sicilia si rende protagonista di un ritrovamento eccezionale che porta la firma, come primo raccoglitore e coautore, del noto micologo di “casa nostra” Gianrico Vasquez(1); si tratta di un boleto dai colori “fiammeggianti” presentato ufficialmente al mondo scientifico internazionale il 4 maggio 2017, dalle pagine della prestigiosa rivista americana “Fungal Diversity”. Le caratteristiche morfocromatiche generali che lo accomunano, nell’aspetto complessivo, al noto Rubroboletus satanas ed alle altre specie del gruppo, conferendogli un portamento a dir poco “demoniaco”, unitamente ad una serie di fortuite coincidenze, come, ad esempio, il luogo del suo ritrovamento, hanno consentito alla equipe di studio formata dai micologi internazionali G. Vasquez, G. Simonini, T.Y. Svetasheva, M. Miks̆ìk e A. Vizzini, di posizionarlo adeguatamente nel genere Rubroboletus e di attribuirgli, dopo anni di studio, il calzante nome di Rubroboletus demonensis.

 

Genere Rubroboletus Kuan Zhao & Zhu L. Yang (2014)

È un genere di recente istituzione (2014), con specie tipo Rubroboletus sinicus (W.F. Chiu) Kuan Zhao & Zhu L. Yang, inteso a diversificare basidiomi appartenenti alla famiglia Boletaceae caratterizzati da dimensioni medio-grandi e da caratteri macroscopici ben definiti, quali cappello dalle colorazioni con varianti tonali rosso, rosso-arancione, rosso sangue; imenoforo a tubuli dal colore giallo intenso, con pori di colore rosso più o meno intenso; gambo centrale, ingrossato, ricoperto da reticolo ben definito, con colorazione rossastra; carne virante al blu [Kuan Zhao et al., 2014]. In Rubroboletus trovano posto specie fungine già appartenenti al genere Boletus L. : Fr. ed inserite nella sezione Luridi Fr. emend Estadès & Lannoy [Lannoy & Estadès, 2001] che, per le peculiari caratteristiche filogenetiche emerse a seguito di approfonditi studi di natura molecolare, sono state trasferite nel nuovo genere; fino ad ora, oltre a quella qui approfondita, sono state segnalate sul nostro territorio nazionale le seguenti specie [Della Maggiora, 2016; IF; MB]:

R. dupainii (Boud.) Kuan Zhao & Zhu L. Yang

R. legaliae (Pilát & Dermek) Della Maggiora & Trassin.

R. lupinus (Fr.) Costanzo, Gelardi, Simonini & Vizzini

R. pulchrotinctus (Alessio) Kuan Zhao & Zhu L. Yang

R. rhodoxanthus (Krombh.) Kuan Zhao & Zhu L. Yang

R. rubrosanguineus (Cheype) Kuan Zhao & Zhu L. Yang

R. satanas (Lenz) Kuan Zhao & Zhu L. Yang.

Rubroboletus demonensis Vasquez, Simonini, Svetasheva, Mikšík & Vizzini

Fungal Diversity 83:190 (2017)

Posizione sistematica: divisione Basidiomycota, classe Agaricomycetes, ordine Boletales, famiglia Boletaceae, genere Rubroboletus.

Etimologia: dal latino demonensis con espresso riferimento all’attuale areale di crescita che, anticamente, veniva chiamato Valdemone(2).

Principali Sinonimi: Boletus rhodopurpureus f. polypurpureus sensu Ruiz [Ruiz Fernàdez & Ruiz Pastor, 2006]; Boletus rubrosanguineus sensu Calzada Domìnquez [Calzada Domìnquez, 2007]; Boletus legaliae sensu Rodà [Rodà, 2012] [Tibpromma et al., 2017].

I sinonimi indicati trovano origine per la presenza in letteratura micologica di descrizioni e foto di R. demonensis sotto errata determinazione della specie.

 

Descrizione macroscopica

Rubroboletus demonensis nei vari stadi di sviluppo. Disegno J. Polkak
Rubroboletus demonensis nei vari stadi di sviluppo. Disegno J. Polkak

Cappello di medie-grandi dimensioni, generalmente con un diametro di 6-15 cm, raggiungendo, negli esemplari più grandi, anche 20-25 cm. Si presenta inizialmente emisferico, poi, seguendo le fasi della maturazione, convesso, guancialiforme e quasi del tutto appianato a maturazione avanzata; margine inizialmente regolare poi ondulato-lobato; cuticola non separabile dalla carne sottostante, di colore fortemente variabile a seconda delle condizioni climatiche: su tonalità rosa-carnicino tendenti al grigio-brunastro o addirittura al bianco-crema a tempo asciutto, in zone molto soleggiate e per esemplari giovani; su tonalità molto vivaci tendenti al rosso-porpora a clima umido, in zone ombreggiate e per esemplari in fase di maturazione. La superficie pileica si presenta tomentosa ed asciutta a tempo secco, liscia o viscosa a tempo umido. Imenoforo costituito da tubuli corti o di media lunghezza, liberi al gambo, inizialmente di colore giallo intenso tendente, verso la maturazione, al verde-olivastro, con pori piccoli e rotondi di colore rosso vivo, rosso-porpora, rosso scuro, viranti al bluastro alla pressione, caratterizzati, a volte, da un alone giallo-aranciato in prossimità del margine del cappello. Gambo robusto, massiccio, cilindrico ad andamento clavato, di colore rosso intenso, rosso-sangue, rosso-porpora, tendente a scurire verso la base, con, a volte, un alone giallo nella parte apicale, ricoperto da un reticolo poligonale rosso ben marcato a maglie larghe che si estende per buona parte della superficie. Carne(3) soda e compatta, di colore biancastro, bianco-crema; giallastro evidente nelle lacerazioni del cappello e del gambo. Al taglio manifesta, inizialmente, un viraggio verso il blu-azzurro concentrato nel cappello e nella parte superiore del gambo, più evidente a tempo umido, tendente poi ad estendersi, iniziando dai bordi del gambo, in maniera tenue, verso le altre parti del gambo stesso ove si decolora verso un tenue grigio-crema a volte poco visibile. Sapore acidulo con odore leggermente fungino e gradevole negli esemplari giovani, poco gradevole e/o di cicoria cotta negli esemplari maturi.

 

 

Habitat

Specie tipicamente termofila (rinvenibile in ambienti e climi caldi), cresce a gruppi di pochi esemplari prediligendo boschi di latifoglia puri o misti a conifere con preferenza per le colture di quercia, di castagno o di faggio. Dalla primavera inoltrata ad inizio autunno, con minore fruttificazione durante l’estate nei periodi particolarmente siccitosi.

Distribuzione territoriale

Segnalato nelle regioni meridionali d’Italia quali Basilicata, Campania, Calabria ed in maniera particolare in Sicilia, nella catena dei monti Nebrodi e delle Madonie. È ritenuta probabile la sua presenza anche in Italia centrale e nell’Appennino Tosco-Emiliano [Vasquez, 2017].

Commestibilità, tossicità e curiosità

Senza ombra di dubbio, tossico da crudo. Anche se esemplari di R. demonensis sono stati consumati dopo prolungata cottura senza causare problemi di alcuna natura, considerando la sua vicinanza filogenetica a specie ritenute tossiche e l’impossibilità di prevedere le possibili conseguenze sul singolo individuo, viene considerato specie velenosa [Vasquez, 2017].

Confronto con specie simili

  • Rubroboletus legaliae (Pilát & Dermek) Della Maggiora & Trassin. [basionimo Boletus legaliae Pilàt & Dermek]

Differisce per la colorazione del cappello che si presenta biancastra o tendente al rosa-rossastro anche in fase avanzata di maturazione non raggiungendo, quasi mai, le tonalità rosso brillanti tipiche di R. demonensis che ha colori biancastri solo da giovane; per il gambo che evidenzia, nella totalità, una colorazione rossa priva di alone giallo all’apice ed è ricoperto da reticolo a maglie strette e fitte; per il colore dei pori che è sempre di un bell’arancio-giallo e mai rosso come in R. demonensis.

  • Rubroboletus rubrosanguineus (Cheype) Kuan Zhao & Zhu L. Yang [basionimo Boletus rubrosanguineus Cheype]

Differisce per il cappello che, anche se con colorazioni similari, ma meno marcatamente rosse, è sempre asciutto e mai untuoso; per il gambo ricoperto da reticolo a maglie molto più fitte ed allungate che presenta una colorazione rosso sangue estesa su tutta la superficie senza alone giallo all’apice; per l’habitat di crescita localizzato in alta montagna ed associato a conifere.

  • Rubroboletus rhodoxantus (Krombh.) Kuan Zhao & Zhu L. Yang [basionimo Boletus sanguineus var. rhodoxantus Krombh.]

Viene diversificato per la colorazione del cappello che si mantiene a lungo di colore biancastro in quanto ricoperto da una pruina di tale colore che, sparendo con l’età o per effetto delle piogge, lascia visibile il colore di fondo rosso-chiaro, rosso-vinoso che non raggiunge mai tonalità rosso intenso; per l’assenza di viraggio nella carne del gambo che è di colore giallo.

  • Imperator rhodopurpureus (Smotl.) Assyov, Bellanger, Bertéa, Courtec., Koller, Loizides, G. Marques, J.A. Muñoz, N. Oppicelli, D. Puddu, F. Rich. & P.-A. Moreau, [basionimo Boletus rhodopurpureus Smotl.]

Presenta, al taglio e/o alla manipolazione, un forte viraggio al blu intenso che, anche se le caratteristiche cromatiche lo avvicinano a R. demonensis, lo rendono facilmente riconoscibile e differenziabile dallo stesso. Come la specie precedente presenta, inizialmente, una pruina giallastra che ne ricopre il cappello lasciandone vedere, quando dissolta, il colore di fondo inizialmente arancio-rosa, rosa-salmone, poi rosso-porpora, infine bruno porpora.

  • Rubroboletus satanas (Lenz) Kuan Zhao & Zhu L. Yang [basionimo Boletus satanas Lenz]

Pur non presentando marcate caratteristiche di similarità con R. demonensis, tranne che con esemplari giovani per il colore biancastro della cuticola, riteniamo opportuno, in considerazione della similarità della denominazione, ricordarne le caratteristiche generali che lo rendono assolutamente non confondibile: cappello di colore bianco-latte, bianco-sporco, grigio tenue, crema, tendente, verso la maturazione, ad assumere una colorazione bruno-olivastro, mai con toni rosso intenso; gambo tipicamente giallo nella parte apicale, rossastro nella parte centrale, giallo-rossastro nella parte inferiore (caratteristica, questa, per la quale viene chiamato “fungo tricolore”).

Per un approfondimento tassonomico sulle specie sopra accennate, seppur con diversa nomenclatura, si rimanda alle monografie sulle Boletaceae consultabili in letteratura quali, ad esempio, Alessio (1985), Galli (2013), Mikšìk (2017) e Muñoz (2005).

Note e curiosità

Fu “un amore a prima vista” che fece battere il cuore di Gianrico Vasquez in quel lontano anno 2004, quando, per la prima volta, trovò sul suo cammino un fungo sconosciuto, ancora “tutto da scoprire”. Come lo stesso interessato racconta, il “primo incontro” avvenne nella sede del Gruppo Micologico AMB di Catania; le “presentazioni” furono fatte da Jano Distefano, socio del gruppo ed amico di Gianrico, il quale, rinvenendolo nei boschi, ebbe a portarlo nella sede AMB per sottoporlo ad un corretto riconoscimento [Vasquez, 2017]. Da quel momento, come avviene a quanti vengono colpiti dalla “freccia di Cupido”, iniziò un continuo e costante tentativo di “nuovi incontri”, inizialmente rari, poi sempre più frequenti sino a divenire costanti e numerosi. Le raccolte, susseguitesi negli anni successivi, sono state sottoposte ad approfonditi studi di natura macro e microscopica oltre che di natura filogenetico-molecolare rendendosi necessario un adeguato studio di approfondimento nel quale si sono uniti i micologi Gianpaolo Simonini, Tatyana Svetasheva, Michal Miks̆ìk e Alfredo Vizzini, delineando nettamente le caratteristiche e la posizione sistematica della nuova specie che può essere considerata specie intermedia tra R. legaliae e R. rubrosanguineus [Mondello, 2017].

Tra le curiosità che confermano l’adeguata attribuzione dell’epiteto di specie, è opportuno precisare che una delle prime località dove lo sporoforo è stato rinvenuto viene chiamata “Pizzo inferno”, situata nel territorio del comune di Floresta (ME). Questo fatto, unitamente all’areale di crescita, Valdemone, ed alle caratteristiche generali che lo accomunano al noto R. satanas, lo rendono, a tutti gli effetti, veramente “demoniaco”.

Ringraziamenti

Un grazie di cuore va rivolto a Gianrico Vasquez per la gentile concessione ed autorizzazione alla pubblicazione delle foto di R. demonensis, per i riferimenti bibliografici forniti e per la sua scoperta che ha dato l’input alla stesura di questa nuova “Riflessione Micologica”. Un grazie particolarmente affettuoso all’amico Franco Mondello, per i consigli di natura nomenclaturale e tassonomica. Ancora un grazie a Jiri Polkak (Polonia) per la meravigliosa tavola a colori rappresentante R. demonensis nelle varie fasi di maturazione, gentilmente concessa ed utilizzata a completamento dell’articolo.

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(1) Gianrico Vasquez, nato a Catania il 16 aprile 1983, è Micologo specializzato in tossicologia agroalimentare. Dal 1995 è iscritto all’Associazione Micologica Bresadola di Catania, dal 2002 è delegato al Comitato Scientifico Nazionale dell’A.M.B. Nel 2008 consegue il Master in Micologia Agroalimentare presso l’Università degli studi di Bologna. Dal 2010 è Direttore Scientifico dei Corsi di formazione per il rilascio dell’Attestato di Micologo in Sicilia (D.M. 29/11/96 n. 686). Nel 2013 consegue il Dottorato di Ricerca in Biologia Evoluzionistica presso l’Università di Catania. Attualmente è insegnante di ruolo di Scienze Naturali presso il Liceo Superiore “E. Majorana” di Scordia e ha un contratto di docenza di Morfologia e Fisiologia Vegetale presso il corso di Laurea in Scienze Ambientali dell’Università di Catania. È autore di numerosi saggi ed articoli di micologia pubblicati su importanti e prestigiose riviste a larga diffusione internazionale.

(2) Il “Val Demone” (o Valdemone), unitamente al “Val di Noto” ed al “Val di Mazzara”, era, ai tempi della dominazione musulmana e fino al periodo borbonico, uno dei tre grandi “Valli”, detti anche “Provincie” o “Reali Domini”, in cui era divisa la Sicilia. Questo occupava il territorio nord orientale dell’isola comprendendo l’area montuosa dei Monti Nebrodi dell’attuale provincia di Messina, il Monte Etna ed i territori lungo le sue pendici, costituendo un immaginario triangolo i cui vertici identificavano le città di Messina, Catania e Caronia [Amari, 1854]. L’etimologia del nome del Vallo riconduce a diverse ipotesi quali, ad esempio, il riferimento alla boscosità dei monti Nebrodi che identificava il territorio quale “Vallis Nemorum” (Valle dei boschi); o ad una leggenda che, ritenendo l’Etna abitato dai demoni, presupponeva che il vulcano fosse l’accesso agli inferi, da cui la denominazione di “Vallis daemonorum” (Valle dei demoni) [Amari, 1854].

(3)  In considerazione di una leggera difformità riscontrata nel confronto tra la diagnosi originale relativa alle caratteristiche morfocromatiche della carne e le foto riproducenti la specie [Tibpromma et al., 2017], si è provveduto a contattare Gianrico Vasquez, tra gli autori del taxon; questo ha permesso di ottenere i chiarimenti necessari, utili all’elaborazione della presente descrizione che maggiormente risponde alle reali caratteristiche della carne.

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Foto: Gianrico Vasquez

Disegni: Jiri Polkak

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Bibliografia e Sitografia

  • Alessio C.L., 1985: Boletus Dill. ex L. Fungi Europaei 2. Edit. Libreria Editrice Biella Giovanna, Saronno – I.
  • Amari M., 1854: Storia dei Musulmani in Sicilia. Libro Primo. Edit. Le Monnier, Firenze- I.
  • Della Maggiora M., 2016: Boletaceae Chevall. Stato attuale della nomenclatura. Annali Micologici AGMT n. 9: 85-116.
  • Calzada D., 2007: Guìa de los Boletos de Espana y Portugal
  • IF (ultima consultazione, giugno 2018): Index Fungorum database. www.indexfungorum.org.
  • Galli R., 2013: I Boleti. 4° Edizione. Edit. Micologica, Pomezia – I.
  • MB (ultima consultazione, giugno 2018): Mycobank Database. Fungal Databases, Nomenclature & Species Banks. www.mycobank.org.
  • Lannoy G. & Estadès A., 2001: Les Bolets. Flore Mycologique d’Europe 6. Amiens – F.
  • Mikšìk M., 2017: Hřibovité houby Evropy. Edit. Svojtka & Co. Nakladatelstvì, Praha – SK.
  • Mondello F., 2017: Rubroboletus demonensis. Micologia messinese (sito web).
  • Muñoz J.A., 2005: Boletus. Fungi Europaei 2. Edit. Candusso, Saronno – I.
  • Tibpromma S., Hyde K.D., Jeewon R., Maharachchikumbura S.S.N., Liu J.K., Bhat D.J., Jones E.B.G., McKenzie E.H.C., Camporesi E., Bulgakov T.S., Doilom M., Santiago A.L.C.M.A., Das K., Manimohan P., Gibertoni T.B., Lim Y.W., Ekanayaka A.H., Thongbai B., Lee H.B., Yang J.B., Kirk P.M., Sysouphanthong P., Singh S.K., Boonmee S., Dong W., Raj K.N.A., Latha K.P.D., Phookamsak R., Phukhamsakda C., Konta S., Jayasiri S.C., Norphanphoun C., Tennakoon D.S., Li J., Dayarathne M.C., Perera R.H., Xiao Y., Wanasinghe D.N., Senanayake I.C., Goonasekara I.D., de Silva N.I., Mapook A., Jayawardena R.S., Dissanayake A.J., Manawasinghe I.S., Chethana K.W.T., Luo Z.L., Hapuarachchi K.K., Baghela A., Soares A.M., Vizzini A., Meiras-Ottoni A., Mešić A., Dutta A.K., de Souza C.A.F., Richter C., Lin C.G., Chakrabarty D., Daranagama D.A., Lima D.X., Chakraborty D., Ercole E., Wu F., Simonini G., Vasquez G., da Silva G.A., Plautz Jr. H.L., Ariyawansa H.A., Lee H., Kušan I., Song J., Sun J., Karmakar J., Hu K., Semwal K.C., Thambugala K.M., Voigt K., Acharya K., Rajeshkumar K.C., Ryvarden L., Jadan M., Hosen M.I., Mikšík M., Samarakoon M.C., Wijayawardene N.N., Kim N.K., Matočec N., Singh P.N., Tian Q., Bhatt R.P., de Oliveira R.J.V., Tulloss R.E., Aamir S., Kaewchai S., Marathe S.D., Khan S., Hongsanan S., Adhikari S., Mehmood T., Bandyopadhyay T.K., Svetasheva T.Y., Nguyen T.T.T., Antonín V., Li W.J., Wang Y., Indoliya Y., Tkalčec Z., Elgorban A.M., Bahkali A.H., Tang A.M.C., Su H.Y., Zhang H., Promputtha I., Luangsa-ard J., Xu J., Yan J., Ji-Chuan K., Stadler M., Mortimer P.E., Chomnunti P., Zhao Q., Phillips A.J.L., Nontachaiyapoom S., Wen T.C. & Karunarathna S.C., 2017: Fungal diversity notes 491–602: taxonomic and phylogenetic contributions to fungal taxa. Fungal Diversity 83: 1-261.
  • Rodà P., 2012: Funghi aspromontani comparati – Boletales. AZ Editrice – I
  • Ruiz F & Ruiz P., 2006: Guìa Micologica. Tomo n. 4, Supl. Orden Boletales en Espana
  • Vasquez G., 2017: Un nuovo boleto dalla Sicilia: Rubroboletus demonensis. Mostra Micologica – Catania 2017: 18-22. AMB Bresadola – Gruppo di Catania, Sciarraba Editrice, Catania – I.
  • Zhao K., Wu G., Yang Z.L., 2014: A new genus, Rubroboletus, to accommodate Boletus sinicus and its allies. Phytotaxa 188 (2): 61-77.

Lentinus tigrinus (Bull. : Fr.) Fr. 1825

Un fungo dall’aspetto tipicamente “tigroso” per il quale, a ragion veduta, ha origine il suo nome scientifico. Nonostante sia dotato di imenoforo a lamelle, viene stranamente inserito nell’ordine Polyporales nel quale sono tipicamente ospitati funghi con imenoforo a tubuli e pori.

Lentinus tigrinus, protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, presenta un caratteristico portamento pleurotoide che, a prima vista, può facilmente orientare la determinazione degli esemplari verso le specie appartenenti al genere Pleurotus, dalle quali differisce per alcune tipicità come, ad esempio, la conformazione del filo lamellare che è caratterizzato da un andamento dentellato che è specificatamente indicativo del genere Lentinus; la presenza sul cappello e sul gambo di numerose squamette di colore nerastro; il residuo del velo parziale che, nei giovani esemplari, si presenta sotto forma di cortina posizionata nella zona apicale del gambo.

Genere Lentinus Fr. 1825

Al genere, la cui specie tipo è Lentinus crinitus, appartengono basidiomi di medie dimensioni a crescita prettamente lignicola, non putrescenti, con portamento pleurotoide, omogenei (quando cappello e gambo sono costituiti da struttura cellulare analoga, non separabili nettamente uno dall’altro), caratterizzati da lamelle fortemente decorrenti (quando si prolungano a lungo sul gambo) con margine denticolato, seghettato; spore in massa bianco-biancastre identificative di specie fungine appartenenti al gruppo dei fughi leucosporei. Alcune tra le varie specie ospitate nel genere presentano caratteristiche morfo cromatiche molto simili che ne rendono difficoltosa la determinazione che richiede, spesso, il ricorso all’esame microscopico.

Lentinus tigrinus (Bull. : Fr.) Fr.

Systema Orbis Vegetabilis (Lundae) 1: 78 (1825)

Basionimo: Agaricus tigrinus Bull. 1782

Posizione sistematica(1): classe Basidiomycetes, ordine Polyporales, famiglia Polyporaceae, genere Lentinus.

Etimologia

Lentinus: dal latino lentus = flessibile, persistente, tenace

Tigrinus = tigrino, maculato, con espresso riferimento alle squamule che lo adornano rendendolo similare al mantello di una tigre

Sinonimi principali: Clitocybe tigrina (Bull.) P. Kumm. (1871); Panus tigrinus (Bull.) Singer (1951); Pleurotus  tigrinus (Bull.) Kühner (1980)

Descrizione macroscopica

Specie fungina saprofita (2) a tipica crescita gregaria, spesso in forma cespitosa, fascicolata, agente di carie bianca. (3)

Cappello di piccole-medie dimensioni, generalmente 3-10 cm., emisferico nella fase iniziale di crescita, poi convesso-appianato fino a concavo-depresso, ombelicato ed infine profondamente imbutiforme. Superficie inizialmente bruno-nerastra per la presenza di numerose squamette fitte, fibrillose, concentriche, poi, verso la maturazione, con l’espansione del cappello, di colore crema-ocraceo-biancastro con le squamette concentrate nella zona centrale e rade verso il margine che inizialmente involuto si rettifica verso la maturazione presentandosi sottile, lobato. Imenoforo a lamelle fitte ed intervallate da numerose lamellule, decorrenti sul gambo; di colore biancastro negli esemplari giovani, tendono al crema-giallastro, a volte con sfumature rosate, verso la maturazione. Il filo delle lamelle si presenta sempre denticolato, seghettato, lacerato, ondulato; caratteristica, questa, identificativa delle varie specie appartenenti al genere. Gambo quasi sempre eccentrico, a volte anche centrale, cilindrico o ricurvo, pieno, rastremato (assottigliato) alla base, di colore biancastro, ricoperto da squamette nero brunastre nella parte basale; nella zona apicale, immediatamente sotto l’attaccatura delle lamelle, è presente, nei giovani esemplari, un residuo biancastro di cortina (struttura filamentosa, simile ad una ragnatela che protegge l’imenoforo nella prime fasi di svuluppo, tipica delle specie fungine appartenenti al genere Cortinarius) evanescente a maturazione. Carne di colore bianco-biancastro con sfumature crema, immutabile al taglio e nel tempo, con odore gradevole, lieve, fungino, leggermente di latte bollito; sapore mite ma leggermente acidulo dopo lunga masticazione. Sporata bianco-biancastra.

Habitat

Specie saprofita, cresce dalla primavera all’inverno, anche inoltrato, a gruppi di numerosi esemplari, su residui marcescenti di latifoglie o in zone morte di culture arboree vive.

Commestibilità

NON commestibile per la consistenza della carne troppo coriacea.

In alcune zone del Sud Africa è di interesse alimentare [Vizzini, 2012 con riferimento a Lechner & Albertò].

Specie simili

  • Lentinus lepideus (Fr. : Fr.) Fr. (1838) = Neolentinus lepideus (Fr. : Fr.) Redhead & Ginns (1985)

Molto simile per l’analoga conformazione del cappello ricoperto da squamette, differisce per la consistenza della carne che si presenta molto carnosa, per le lamelle rade e per il forte odore di anice.

  • Lentinus ponderosus  O. K. Mill. (1965) = Neolentinus ponderosus (O.K. Mill.) Redhead & Ginns (1985)

Simile a L. tigrinus per la presenza, sul cappello, di numerose squamette di colore ocra-brunastro, differisce per le dimensioni maggiori che raggiungono anche i 15-20 cm. di diametro; per il gambo slanciato e decorato da scagliosità forforacee; per l’habitat di crescita che lo lega a conifere, specialmente del genere Pinus

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  1. Le specie appartenenti al genere Lentinus, in considerazione della particolarità morfologico-strutturale di natura macro e microscopica che li caratterizza, hanno da sempre manifestato una certa difficoltà nell’essere adeguatamente posizionate nella sistematica fungina, tanto da venire considerate a posizionamento incerto (incertae sedis: espressione latina utilizzata in tassonomia per indicare l’incapacità di collocare esattamente un taxon all’interno di uno schema di classificazione). Fu il micologo tedesco Rolf Singer (Schliersee, 23 giugno 1906 – Chicago, 18 gennaio 1994), nel 1986, che in considerazione delle forti analogie che le legano al genere Polyporus, nonostante l’imenoforo a lamelle, ritenne opportuno inserirle nella famiglia delle Polyporaceae caratterizzata, invece, da imenoforo a tubuli e pori.

Le analogie riscontrate da Singer trovarono, successivamente, conferma nel tempo e comprovate da studi di natura filogenetico-molecolare condotti tra l’anno 2000 ed il 2011, da numerosi studiosi, che hanno dimostrato la vicinanza delle specie appartenenti al genere Lentinus a quelle del genere Polyporus [Vizzini, 2012]. E’ opportuno però evidenziare che i limiti e le affinità tra le specie appartenenti alle famiglie prese in considerazione continuano ad essere, come già in passato, ancora molto controversi.

  1. Saprofita: quando è solito nutrirsi di sostanze morte ed ha, quindi, tipica crescita su residui marcescenti. Accade spesso che specie fungine fruttificano su culture arboree in fase rigogliosa di crescita attecchendo su zone necrotizzate delle stesse.
  2. La carie, o marciume del legno, è una patologia vegetale che causa la progressiva degenerazione dei tessuti legnosi di piante vive o del legname in conservazione o in opera. Viene diversificata, generalmente, in carie bianca e carie bruna. La carie bianca é diffusa su numerose specie arboree, sia di latifoglie che di conifere e viene causata da specie fungine appartenenti   tanto alla classe dei Basidiomiceti quanto a quella degli Ascomiceti i quali agiscono eliminando in maniera progressiva la lignina, conferendo, di conseguenza, ai tessuti legnosi attaccati, un aspetto chiaro, biancastro. La carie bruna è la conseguenza della progressiva degradazione della cellulosa che deteriorandosi perde di consistenza assumendo un colore bruno scuro. Le specie fungine che agiscono quali agenti di carie, bianca o bruna, assumono la denominazione di “parassiti da ferita” in quanto trovano facilità di attecchimento in corrispondenza delle ferite del tronco arboreo, nei tagli di potatura, nelle ferite provocate da insetti, nelle lesioni traumatiche della corteccia. Normalmente l’attacco invasivo viene realizzato dal micelio che, dopo aver condotto un periodo di vita saprofitario su organi morti della pianta, riesce a penetrare all’interno della massa legnosa attaccandone le parti vive [Goidànich G. 1975].

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Disegno: Gianbattista Bertelli

Foto: Marco Bianchi

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Bibliografia di approfondimento:

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli. Bologna (ristampa 2013)
  • Goidànich Gabriele 1975: Manuale di patologia vegetale. Vol. II,. Edizioni Agricole, Bologna
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione luglio 2018)
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione luglio 2018)
  • Moser Meinhard – 1980: Guida alla determinazione dei funghi. Polyporales, Boletales, Agaricales, Russulales. Vol. 1. Arti Grafiche Saturnia, Trento
  • Oppicelli Nicolò – 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Trento
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampalo -2004: Atlante fotografico dei funghi d’Italia, Vol. 1. Seconda ristampa. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Vizzini Alfredo – 2012: Lentinus tigrosus: morfogenesi dei basidiomi e tasonomai di una specie comune. Bollettino Amer Anno XXVIII n. 87 (3): 31-35

Agaricus urinascens (J. Schäff. & MØller) Singer 1951

Come comunemente avviene per le numerose specie fungine appartenenti al genere Agaricus, viene identificato e conosciuto su tutto il territorio nazionale con la denominazione volgare di Prataiolo in considerazione dell’habitat prettamente praticolo ove fa la propria apparizione, a seconda delle varie fasce territoriali, già dalla primavera prolungandola fino ad autunno inoltrato, mettendosi prepotentemente in mostra per le notevoli dimensioni che solitamente raggiunge.

E’ possibile localizzarlo, specialmente quando l’erba dei prati è ancora bassa, a notevole distanza presentandosi, per la particolare crescita in forma gregaria di numerosi esemplari, come tante macchie bianche scintillanti tra le varie sfumature del verde dei prati. L’avvistamento di una stazione di crescita consente facilmente di realizzare un buon bottino assicurando un apprezzato conviviale per molti commensali.

Storia della denominazione del Genere Agaricus

Il nome del genere risale al 1753 e fu adottato da Carl von Linné(1) il quale intese posizionare nel genere di nuova creazione tutti i funghi a lamelle, ovvero quelli che in seguito avrebbero costituito la famiglia Agaricaceae.

Successivamente Elias Magnus Fries(2), nel 1821 nel suo “Sistema Mycologicum”, separò dal grande genere Agaricus i generi: Cantharellus e Schyzzophillum, provvedendo a dividere il genere originale in tribù, adottando, per la prima volta, la denominazione di Psalliota, riservata ai funghi con gambo munito di anello con spore colore porpora, comprendente quindi gli attuali Agaricus.

Solo attraverso ulteriori ricombinazioni, dovute ancora a Fries (“Epicrisis”, 1831 e “Monographia”, 1857), si perviene alla creazione del sottogenere Psalliota che si sostituisce alla precedente “tribù”.

Sono necessarie ulteriori ricombinazioni dovute a Paul Kummer(3) (1871) che elevò il sottogenere Psalliota al rango di genere ma ancora in senso ampio comprensivo di Stropharia e a Lucien Quélet(4) (1872) che elevò tutti i sottogeneri precedenti al rango di “genere” estrapolando, così, le Stropharie dalla precedente collocazione nel sottogenere Psalliota che, finalmente, costituisce genere autonomo.

Con le numerose operazioni di smembramento e ricombinazione, purtroppo l’originaria denominazione di Agaricus viene fatta completamente sparire, in netta contraddizione con le norme di Nomenclatura Botanica che prevedono che il nome Agaricus deve essere mantenuto per uno dei nuovi generi.

Si deve, infine, a Petter Karsten(5) (1879) l’adozione definitiva del nome Agaricus in sostituzione di Psalliota.

Allo stato attuale, la denominazione corretta per il genere derivato dal sottogenere Psalliota di Fries, a tutti gli effetti nomenclaturali ed in accordo con le disposizioni del Codice di Nomenclatura, è Agaricus. [Cappelli, 1984]

Genere Agaricus L. : Fr. 1753

Al genere appartengono basidiomi con crescita terricola o, in pochi casi, fimicola ma mai lignicola [Cappelli, 1984], di piccole, medie e grandi dimensioni, generalmente carnosi, con tipica nutrizione saprofitica anche se le specie crescenti in prossimità degli alberi lasciano pensare ad una probabile forma di nutrizione micorrizica [La Chiusa, 2013]. In merito è opportuno precisare che alcuni micologi considerano le varie specie appartenenti al genere quali simbionti con piante erbacee. Tutte le specie appartenenti al genere hanno uno sviluppo bivelangiocarpico, ovvero risultano ricoperti, specialmente nella fase iniziale di crescita, da due veli: uno detto generale che avvolge l’intero carpoforo, l’altro detto parziale che ricopre l’imenio, parte fertile del fungo, anche se entrambi i veli, specialmente quello generale, possono essere poco persistenti e molto fugaci tanto da non lasciare alcuna traccia a maturazione dello sporoforo. [Galli, 2004].

I carpofori si presentano carnosi, eterogenei (quanto presentano struttura molecolare diversa tra cappello e gambo e, di conseguenza, sono facilmente separabili l’uno dall’altro), con imenoforo (parte fertile del fungo ove maturano le spore) non asportabile; con residui del velo generale presenti solo in alcune specie con resti alla base del gambo sotto forma di placche o fiocchi; mentre i resti del velo parziale sono sempre presenti in tutte le specie sotto forma di anello semplice o doppio [Boccardo ed altri, 2013].

Il genere Agaricus risulta facilmente identificabile dal semplice esame delle caratteristiche morfologiche. L’elemento maggiormente caratterizzante è costituito dal colore delle lamelle che, a seconda delle varie specie, varia dal grigio-biancastro al rosa-grigiastro, al rosa-beige, al rosa chiaro nei primi stadi di sviluppo dei carpofori per divenire, con l’avanzare della maturazione, sempre più scuro verso tonalità rosa-rossastre, rosa-brunastre, bruno, fino al bruno-porpora o bruno-nerastro negli esemplari in avanzato stato di maturazione. Il colore delle lamelle è conseguenziale al colore delle spore che maturando assumono tonalità sempre più scure con chiara identificazione di carpofori appartenenti al gruppo dei funghi iantinosporei, ovvero con spore di colore bruno-porpora.

E’ possibile pervenire alla determinazione delle singole specie osservando, nelle varie combinazioni, i caratteri macroscopici dei singoli carpofori quali, ad esempio, la conformazione dei residui velari, in particolare la posizione e la forma dell’anello (supero, infero, semplice, doppio, a ruota dentata ecc.), la desquamazione della superficie del cappello, il viraggio della superficie per sfregamento, il colore della carne al taglio [Cappelli, 2010]. E’ importante fare riferimento, sempre ai fini della determinazione della specie, anche ai caratteri organolettici, in particolare all’odore. In generale un intenso viraggio al giallo, conseguente allo strofinio delle superfici o al taglio della carne concentrato nella parte bassa del gambo, unitamente ad un apprezzabile odore di iodoformio o di fenolo (inchiostro, inchiostro di china), è identificativo di specie tossiche causa di sindrome gastroenterica, quindi non utilizzabili per il consumo; mentre un piacevole odore di anice o di mandorle è identificativo di specie commestibili. Preferiamo, ritendo che l’argomento sia molto vasto e, di conseguenza, poco agevole da trattare nelle poche righe di una “Riflessione Micologica”, invitare il lettore al suo approfondimento consultando i testi e, in particolare, le monografie indicate nella bibliografia a corredo.

Agaricus urinascens (Jul. Schäff. & F. H. MØller) Singer

Lilloa 22: 431 (1951)

Basionimo: Psalliota urinascens Jul. Schäff. & F.H. Møller 1938

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Agaricaceae, genere Agaricus

Etimologia: Agaricus dal greco agarikòn = campestre con riferimento alla tipica crescita su prati e campi e pascoli ricchi di humus;

urinascens = attinente all’urina per il caratteristico odore che emana a maturazione avanzata o, secondo alcuni autori, per la colorazione giallastra, simile al colore dell’urina, che assume allo sfregamento [Oppicelli, 2012].

Principali sinonimi: Agaricus crocodilinus Murril (1912); Agaricus macrosporus (F.H. Møller & Jul. Schäff.) Pilát (1951); Agaricus stramineus (Jul. Schäff. & F.H. Møller) Singer (1951); Agaricus excellens  F.H. Møller (1952); Agaricus albertii Bon (1988).

Nomi volgari: Prataiolo

Nomi dialettali: come ormai nelle nostre abitudini riportiamo solo i nomi in uso in Sicilia: Prataiolu; Funciu cuppiteddu; Funciu cuppuneddu; Funciu cappuni [in uso, quest’ultimo, nel territorio di Floresta e Tortorici (ME) e Troina (EN)]; Funciu di terra (in uso nel territorio di Caltagirone) [Bonazzi, 2003].

Descrizione macroscopica

Si presenta, nell’insieme, di grandi dimensioni, con portamento tozzo caratterizzato da un largo cappello su un gambo generalmente piuttosto corto. Si riconosce facilmente per la cuticola bianco-candido negli esemplari giovani e giallo-camoscio in quelli adulti facilmente staccabile dalla carne del cappello, per l’anello doppio a ruota dentata, per le numerose squamette che adornano la parte bassa del gambo, per la carne arrossante alla base del gambo, per l’odore di mandorle amare o di anice negli esemplari giovani e di ammoniaca (urina) negli esemplari adulti. Microscopicamente è caratterizzato dalle grandi dimensioni delle spore che lo diversificano dalle altre specie del genere.

Cappello di medio-grandi dimensioni, raggiunge e supera facilmente i 20-25 cm. di diametro, raggiungendo, a volte, dimensioni anche maggiori. Di consistenza molto carnosa e compatta. Inizialmente emisferico poi, verso la maturazione, sempre più piano ed appiattito al centro, con il margine eccedente caratterizzato dai residui bianchi del velo parziale. Cuticola inizialmente liscia di colore bianco, bianco-avorio, poi, verso la maturazione, di colore giallastro, giallo-paglierino, ingiallente per sfregamento e finemente fioccosa con piccole squame concolori, spesso screpolata- areolata a tempo secco. Imenoforo a lamelle libere al gambo (quando si interrompono prima di giungere al gambo con il quale non hanno alcun contatto), molto fitte e strette, intervallate da lamellule (struttura lamellare di dimensioni ridotte che si interrompe prima di giungere al gambo interponendosi tra le lamelle stesse), inizialmente di colore biancastro poi, verso la maturazione, grigio-rosa chiaro, grigio carnicino ed infine, a maturazione avanzata, bruno-nerastre. Gambo generalmente corto e tozzo, robusto, a volte slanciato, inizialmente fusiforme, poi cilindrico, napiforme e leggermente radicante; pieno e a maturazione midolloso. Bianco, liscio sopra l’anello e ricoperto da numerosi fiocchetti bianchi sotto, leggermente rosato all’apice. Anello supero (quando si forma iniziando dalla parte alta del gambo allargandosi verso il basso), doppio, ampio e membranoso, liscio nella pagina superiore, ricoperto da numerose squamule fioccose nella pagina inferiore ove si presenta a ruota dentata. Carne molto consistente e spessa, bianca, tendente al rossastro alla base del gambo con un leggero viraggio al taglio verso un colore rosa-ruggine. Odore di anice o di mandorle amare negli esemplari giovani, di urina a maturazione avanzata. Sapore gradevole.

Habitat

Agaricus urinascens

specie comune, fruttifica nei prati o nei pascoli, sia in quelli di bassa collina, sia in quelli di alta montagna, da primavera avanzata fino a tardo autunno. Ritenuto da alcuni autori specie saprotrofa, da altri invece simbionte-micorrizica con piante erbacee. Cresce singola o gregaria, spesso in gruppi di numerosi esemplari disposti a semicerchio o a cerchio (cerchio delle streghe). Specie eliofila (quando ha predisposizione a svilupparsi bene sotto la luce diretta del sole).

Commestibilità

Ottimo commestibile da giovane. Si consiglia di non consumare esemplari in avanzato stato di maturazione, facilmente identificabili per il colore bruno-nerastro delle lamelle. In considerazione della notevole capacità, tipica a tutte le specie appartenenti al genere Agaricus, di assorbire metalli pesanti(6), si consiglia un consumo moderato, non abbandonate e mai in pasti ravvicinati.

Note per i raccoglitori

Riteniamo opportuno consigliare di fare molta attenzione, in fase di raccolta, a non confondere le varie specie di Agaricus con le Amanite di colore bianco, specie velenoso-mortali, che, per la similarità del colore del cappello, inducono facilmente, specialmente i raccoglitori poco esperti, all’errore. Queste si differenziano dalle varie specie di agarici per l’habitat di crescita prettamente boschivo, per la presenza, alla base del gambo, della volva (residuo del velo generale che avvolge la base dl gambo assumendo conformazione diversa a seconda della specie fungina di appartenenza), e, soprattutto, per il colore delle lamelle sempre bianco. Ricordiamo che in tutte le specie fungine appartenenti al genere Agaricus, le lamelle non sono mai bianche assumendo, fin dall’inizio colore grigio chiaro, poi rosato e, verso la maturazione, bruno-nerastro sempre più intenso. In letteratura sono citati numerosi casi di intossicazione, a volte con esiti irreversibili, dovuti al consumo di Amanita verna scambiata, in fase di raccolta, per innocui prataioli.

Curiosità tassonomiche

Tra i numerosi sinonimi che identificano A. urinascens, ci piace evidenziare la notevole diffusione che l’epiteto binomiale A. macrosporus ha avuto in passato, ed ancora oggi, tra numerosi micologi e appassionati di micologia. Tale denominazione gli venne attribuita nel 1951 da Albert Pilàt (Botanico e micologo cecoslovacco, Praga 2 novembre 1903 – 29 maggio 1974) a seguito della ricombinazione della precedente denominazione Psalliota macrospora del 1938. In ogni caso la ricombinazione in A. macrosporus viene ritenuta illegittima in quanto si tratta di epiteto precedentemente occupato [Cappelli, 2011].

Specie simili

  • Agaricus arvensis Schaeff. : Fr. (1774)

Presenta numerose affinità con A. urinascens quali, ad esempio, il colore bianco del cappello ingiallente al tocco; l’anello supero, doppio ed a ruota dentata. Si differenzia per le dimensioni minori (15 cm. circa), per il cappello spesso con sezione a forma trapezoidale; per la cuticola difficilmente screpolata; per il gambo slanciato e robusto, non bulboso, sempre liscio o appena fioccoso alla estremità della base.

  • Agaricus macrocarpus F.H. Møller (1952)

Tendenzialmente molto simile specialmente per il colore del cappello che da bianco iniziale si porta, verso la maturazione, su colori sempre più intensi tendenti al crema-ocraceo; si differisce per il gambo bulboso caratterizzato da bulbo arrotondato o marginato, con fioccosità prevalenti alla base; per l’habitat di crescita prevalentemente boschivo a ai margini del bosco e per le dimensioni delle spore inferiori a 10 µm.

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(1)  Carl von Linnè, italianizzato in Carlo Linneo (Rashult, 23 maggio 1707 – Uppsala, 10 gennaio 1778) medico, botanico e naturalista svedese, viene considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli esseri viventi. Ideatore del sistema binomiale con il quale tutti gli esseri viventi, compresi i funghi, vengono identificati [Brunori ed altri, 2014].

(2) Elias Magnus Fries (Femsjö, 15 agosto 1794 – Uppsala, 8 febbraio 1878), micologo e botanico svedese, viene riconosciuto come il padre della moderna nomenclatura micologica in quanto “Systema Mycologicum”, una tra le sue opere più importanti, per unanime decisione del congresso internazionale di Bruxelles del 1910, viene considerata il punto di partenza per la moderna nomenclatura micologica [Brunori ed altri, 2014] .

(3) Paul Kummer (Zerbst, 22 agosto 1834 – Hann. Münden, 7 luglio 1912) religioso, insegnante e micologo tedesco, è stato il primo autore ad elevare a dignità di genere alcuni gruppi fungini quali, ad esempio, Hebeloma, Entoloma, Pluteus, Volvaria, Psalliota, precedentemente considerati da Fries quali appartenenti a tribù o sottogeneri del genere Agaricus [Brunori ed altri, 2014].

(4) Lucien Quélet (Montécheroux, 14 luglio 1832 – Hérimoncourt, 25 agosto 1899) naturalista e micologo francese, fu il primo ad utilizzare i caratteri organolettici dei funghi legati al sapore, all’odore al colore ed al viraggio della carne quali elementi distintivi delle varie specie fungine di appartenenza [Brunori ed altri, 2014].

(5) Petter Adolf Karsten (Merimasku, 16 febbraio 1834 – 22 marzo 1917) micologo finlandese. Per le numerose opere di natura micologica prodotte, viene considerato il successore dell’opera di Fries [Brunori ed altri, 2014].

(6) E’ stato ampiamente dimostrato, attraverso approfonditi studi specifici, che il genere Agaricus presenta un elevato potenziale assorbente di elementi chimici, in particolare di metalli pesanti quali: cadmio, piombo, mercurio, argento, zinco. E’ stato anche dimostrato che gli esemplari di dimensioni maggiori sono quelli che riescono ad accumulare una maggiore percentuale di metalli pesanti in maniera indipendente dalla eventuale presenza di questi ultimi nel substrato di crescita. A. urinascens, protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, sembra essere la specie maggiormente dotata di potere assorbente verso il cadmio [Galli, 2004].

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Foto: Angelo Miceli e Mario Mondello

Bibliografia di approfondimento

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli. Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico – 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici. Trento
  • Brunori Andrea, Cassinis Alessandro – 2014: I funghi nella storia. Sandro Teti Editore, Roma
  • Cappelli Alberto – 1984: Agaricus L. : Fr. Collana Fungi Europaei. Libreria editrice Biella Giovanna. Saronno
  • Cappelli Alberto – 2010: Approccio al genere Agaricus – I.  Rivista di Micologia, Anno LIII n. 2: 99-118. A.M.B.. Trento
  • Cappelli Alberto – 2011: Approccio al genere Agaricus – IV.  Rivista di Micologia, Anno LIV n. 1: 3-27. A.M.B.. Trento
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2009: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 3. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici. Trento
  • Galli Roberto – 2004: Gli Agaricus. dalla Natura. Milano
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione giugno 2018)
  • La Chiusa Lillo – 2013: Funghi Agaricoidi. Vol. 1 – Agaricaceae. ANDER Editore, Monza
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione giugno 2018)
  • Oppicelli Nicolò – 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Trento
  • Parra Sánchez L. A.- 2013: Agaricus L. – Allopsalliota (Parte II). Candusso Editrice, Varese

Tricholomopsis rutilans, l’Agarico dalla chioma rossa

Comunemente conosciuto con la denominazione volgare di “Agarico dalla chioma rossa”, in considerazione del meraviglioso colore rosso-prugna che lo caratterizza, è solito fare la sua apparizione, quale fungo saprofita, sui ceppi marcescenti nei boschi di conifere, già dall’inizio dell’estate protraendo la propria crescita, in rapporto alla tipologia climatica delle stazioni di crescita, fino ad autunno inoltrato. E’ caratterizzato dalla grande variabilità cromatica che va dai colori aranciati a quelli violacei con sfumature di colore prugna-lampone. Incontrarlo nei boschi, per chi come noi predilige la raccolta a fini scientifici e non gastronomici, costituisce particolare soddisfazione che induce a soffermarci su una nuova “Riflessione Micologica”.

Genere Tricholomopsis Singer 1939 (1)

Al genere appartengono funghi omogenei (quando la carne del cappello e del gambo presenta struttura similare tanto da rendere difficile la netta separazione tra i due elementi), lignicoli, a nutrizione saprofitica (quando si nutrono di sostanze morte che portano lentamente ed in maniera costante verso la degradazione), di medio-grandi dimensioni, dal portamento tricholomatoide (quando presentano caratteri generali similari a quelli dei funghi appartenenti al genere Tricholoma) con crescita normalmente cespitosa; privi di residui velari, caratterizzati da cuticola (membrana che ricopre il cappello) asciutta e finemente squamettata dai colori accesi che vanno, a seconda delle specie, dal giallo al violaceo; lamelle generalmente adnato-uncinate (quando prima di giungere al gambo formano una piccola ansa concava) sempre di colore giallo; sporata in massa bianca che li identifica quali appartenenti al gruppo dei funghi leucosporei; carne giallastra. La specie tipo è rappresentata da Tricholomopsis rutilans, protagonista della nostra “Riflessione Micologica”.

Tricholomopsis rutilans (Schaeff.) Singer

Schweiz. Z. Pilzk. 17: 56 (1939)

Basionimo: Agaricus rutilans Schaeff. (1774)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Tricholomataceae, genere Tricholomopsis

Etimologia: Tricholomopsis = simile ad un Tricholoma; rutilans, dal latino,  = arrossamento con espresso riferimento al colore del cappello

Principali sinonimi: Gymnopus rutilans (Schaeff.) Gray (1821); Tricholoma rutilans (Schaeff.) P. Kumm. (1871); Tricholoma variegatum (Scop.) Gillet, (1878); Cortinellus rutilans (Schaeff.) P. Karst. (1879); Pleurotus rutilans (Schaffer.) Dumée (1917)

Nomi volgari: Agarico rutilante; Agarico arrossante; Agarico dalla chioma rossa, derivante, quest’ultimo, dalla denominazione comune attribuitagli nei paesi anglosassoni ove è conosciuto come red-haired agaric, con espresso riferimento ai colori arrossanti del cappello

Nomi dialettali: perrupatu ‘e lignu, nome dialettale cosentino [Bonazzi, 2003]

Descrizione macroscopica

Cappello di medie-grandi dimensioni, raggiunge facilmente i 15 cm. di diametro, inizialmente conico-convesso, poi, verso la maturazione, appianato, a volte con largo umbone ottuso, con orlo involuto; la cuticola si presenta ricoperta da squamette che conferiscono un aspetto lanoso, feltrato, nell’insieme di acceso colore rosso-lampone, rosso-prugna su fondo giallo oro, colore, questo, che diviene sempre più evidente verso la maturazione del carpoforo per il diradarsi delle squamette. Lamelle da adnate (quando si uniscono al gambo per tutta la loro altezza) a smarginato-uncinate (quando si uniscono al gambo formando, prima del contatto, una piccola ansa concava), fitte ed in parte anastomizzate (quando si presentano unite tra di loro da pieghe o nervature trasversali), di colore giallo oro intenso con filo fioccoso. Gambo cilindrico, robusto, inizialmente pieno poi, verso la maturazione, cavo, concolore al cappello o leggermente più chiaro, ricoperto da fibrille appressate che lasciano intravvedere il colore giallastro della carne sottostante. Carne soda da giovane, molle verso la maturità, spessa nella zona centrale, fibrosa, bianco-giallastro con odore di farina e muffa, sgradevole, sapore amarognolo.

Habitat

Su legno marcescente di conifere con preferenza per abeti e pini, a crescita fascicolata o a gruppi, dall’estate ad autunno anche inoltrato, abbastanza comune.

Commestibilità

Anche se non esistono controindicazioni in merito alla commestibilità è opportuno sconsigliarne il consumo e ritenerlo NON commestibile per la fibrosità della carne, per il sapore amaro e per le sgradevoli qualità organolettiche.

Specie simili

  • Tricholomopsis decora (Fr.) Singer 1939

Anch’esso lignicolo con preferenza verso i ceppi di conifere, si differisce per le dimensioni inferiori (generalmente il cappello presenta un diametro tra i 3 e gli 8 cm.); per il colore del cappello più chiaro, generalmente giallo-olivastro e privo di tonalità rosso-prugna-vinose, ricoperto da abbondanti scagliosità superficiali.

Curiosità

Nei paesi anglosassoni è anche noto con l’inusuale ma appropriato nome volgare di “Plums and Custard” ovvero “Prugna e crema pasticcera” con ovvio riferimento al colore rosso-prugna del cappello e a quello giallo delle lamelle che è similare al colore della crema pasticcera. E’ anche noto, occasionalmente, sempre per il particolare colore del cappello, come “Strawberry Mushroom” (fungo fragola) oltre che, come in già indicato, come “red-haired agaric” (agarico dalla chioma rossa).

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  1. Il genere Tricholomopsis nasce nel 1939, legando la propria denominazione al nome del micologo tedesco Rolf Singer (Schliersee, 23 giugno 1906 – Chicago, 8 gennaio 1994), il quale ha inteso diversificare alcune specie già inserite nel genere Tricholoma ma evidenzianti caratteristiche morfo-cromatiche e microscopiche diverse, quali, ad esempio, crescita lignicola con nutrimento saprofitico; cappello ricoperto da piccole squame; colore della carne giallo; altre differenze di natura microscopica come la presenza di cistidi (struttura microscopica sterile, di forma e dimensioni diverse, presente in varie parti del basidioma) dalle grandi dimensioni e giunti a fibbia (tipico rigonfiamento delle ife presente nei basidiomiceti che indica l’avvenuta divisione dei nuclei).

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Foto: Angelo Miceli

Bibliografia di approfondimento:

  • Boekhout Teun, Noordeloos Machiel, 1999: Tricholomopsis Singer. Flora Agaricina Neerlandica. Vol. 4: 151-152. Balkema, Rotterdam  
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca , 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • IF, Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione gennaio 2018)
  • MB, Mycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione gennaio 2018)
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Phillips Roger, 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara

Phellinus torulosus, una poliporacea dalle grandi dimensioni

Phellinus torulosus
Phellinus torulosus

Le molteplici sfaccettature del bosco, unitamente alla variabilità dei suoi colori che da una stagione all’altra ne modificano radicalmente l’aspetto presentandolo in una meravigliosa e sempre diversa cornice, ci invitano, anche nella fredda stagione invernale, spinti dalla sempre costante “febbre del fungo”, ad effettuare lunghe e salutari passeggiate che spesso ci portano a piacevoli incontri con specie fungine interessanti, rare, dall’aspetto particolare o, come recentemente avvenuto (febbraio 2018), dalle dimensioni eccezionali: Phellinus torulosus, una comune poliporacea a larga diffusione territoriale che a volte, come nel caso specifico, raggiunge dimensioni apprezzabili, ci fa gioire per il fortuito ritrovamento divenendo, al contempo, protagonista della nostra “Riflessione Micologica”.

Genere Phellinus Quél. 1886

Il genere ospita numerose specie, alcune delle quali recentemente riposizionate nel genere Fuscoporia, a crescita pluriennale (quando l’accrescimento si protrae per più anni consecutivi aggiungendo nuovi strati di crescita su quelli già esistenti), singoli o sovrapposti, con tipica crescita a mensola o a ventaglio; privi di gambo e attaccati lateralmente al substrato di crescita. La superficie sterile si presenta tomentosa (coperta da peluria) ispida o glabra, di colore giallo, bruno, grigio, nero. La superficie fertile, di colore brunastro, è caratterizzata da pori rotondo-angolosi. La carne (contesto) presenta colori variabili, a seconda della specie, dal giallastro al bruno, bruno ruggine, nero, con consistenza suberosa (quando si presenta simile al sughero) o legnosa.

Phellinus torulosus (Pers.) Bourdot & Galzin

Bull. trimest. Soc. mycol. Fr. 41(2): 191 (1925)

Si tratta di un comunissimo fungo parassita che si associa a diverse colture arboree prediligendo fruttificare alla base dell’albero ospite assumendo una tipica forma appianata ed a ventaglio con fruttificazione singola o a più esemplari sovrapposti.

Viene posizionato nel gruppo informale dei Polipori nel quale trovano posto specie fungine con imenoforo a tubuli e pori, asportabile con difficoltà dalla carne sovrastante con la quale forma un insieme strettamente omogeneo

Basionimo: Boletus torulosus Pers. 1818

Nome corrente: Fuscoporia torulosa (Pers.) T. Wagner & M. Fisch., 2001

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Hymenochaetales, famiglia Hymenochaetaceae, genere Phellinus

Etimologia: dal latino Phellinus = fatto di sughero e torulosus = muscoloso, tarchiato, con riferimento alla consistenza ed alla conformazione robusta

Principali sinonimi: Polyporus torulosus (Pers.) Pers., 1825; Phellinus rubriporus (Quél.) Quél., 1886; Fomes torulosus (Pers.) Lloyd, 1910

Descrizione macroscopica:

Basidioma a crescita pluriennale, sessile (privo di gambo), pileato (munito di cappello), con forma irregolarmente circolare e disposizione a mensola ad esemplari singoli o sovrapposti ad embrice. Molto comune e con larga diffusione territoriale, si associa, in forma parassitaria, quale agente di carie bianca (1), a diverse specie arboree che conduce facilmente a rapida disgregazione, continuando a nutrirsi, dopo la morte dell’albero, in forma saprofitica, dei residui legnosi dell’ospite. Può raggiungere dimensioni considerevoli sino a 45-50 cm di larghezza all’attacco sul tronco.

Superficie sterile più o meno piana, a volte ondulata, solcata, nodulosa, tomentosa (quando per la presenza di peli corti e molto fitti assume, al tatto, la consistenza del velluto), di colore bruno-rossastro, spesso ricoperta da formazioni di muschio; margine rotondeggiante, ondulato, a volte ispessito, di colore bruno cannella.

Superficie fertile composta da tubuli stratificati con pori di piccole dimensioni, fitti, regolari, tondeggianti, di colore bruno cannella più o meno carico.

Carne tenace, coriacea e compatta, di consistenza suberosa di colore bruno-giallastro tendente al bruno-rossiccio.

Habitat durante tutto l’anno, a larga diffusione territoriale, cresce in forma singola o a gruppi di vari esemplari posizionati in forma più o meno sovrapposta, alla base di numerose specie arboree quali, ad esempio, querce, castagni, erica arborea, olivi, eucaliptus, cedrus….

Commestibilità: NON commestibile per la particolare consistenza suberoso-legnosa

Specie simili

Hinonotus hispidus (Bull.) P. Karst (1879)

Predilige crescere nella zone alte delle colture arboree alle quali si associa e mai, come P. torulosus, alla loro base; si differenzia, inoltre, da questo, per la maggiore consistenza legnosa, per la mancanza sulla superficie sterile delle caratteristiche formazioni di muschio e per il colore rosso scuro o marrone nerastro; per la superficie fertile costituita da tubuli e pori più o meno ampi, irregolari di colore crema tendenti verso la maturazione a divenire bruno nerastri e per la presenza, tra i pori, di piccoli fori: idatodi (2) che secernono goccioline di liquido di colore giallino.

Ritrovamento recente

In data 2 febbraio 2018, ad opera del micologo Carmelo Di Vincenzo e di Angelo Miceli (Centro di Cultura Micologica – Messina), in località Torrente Tarantonio a circa 150 mt. slm, nel comune di Messina, a poca distanza dell’alveo torrentizio, ai piedi di un vecchio tronco marcescente di olivo. Numero due esemplari posizionati in forma sovrapposta, uno di notevoli dimensioni: larghezza (all’attacco sul tronco) cm. 45; sporgenza massima cm. 35; altezza cm. 40; circonferenza cm. 105

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  1. La carie, o marciume del legno, è una patologia vegetale che causa la progressiva degenerazione dei tessuti legnosi di piante vive o del legname in conservazione o in opera. Viene diversificata, generalmente, in carie bianca e carie bruna (per maggiori approfondimenti si rimanda ad un testo specifico). Viene causata da numerose specie fungine appartenenti a diversi generi di funghi quali, ad esempio, Fomes, Ganoderma, Phellinus, Polyporus…, che assumono, nella fattispecie, la denominazione di “parassiti da ferita” in quanto trovano facilità di attecchimento in corrispondenza delle ferite del tronco arboreo, nei tagli di potatura, nelle ferite provocate da insetti, nelle lesioni traumatiche della corteccia. Normalmente l’attacco invasivo viene realizzato dal micelio che, dopo aver condotto un periodo di vita saprofitario su organi morti della pianta, riesce a penetrare all’interno della massa legnosa attaccandone le parti vive [Goidànich G. 1975].
  2. Idatodi: condotti escretori tipici delle foglie e di alcune specie fungine (I. hispidus) attraverso i quali viene eliminata l’eccessiva umidita assorbita che non consente la regolare traspirazione. Tale processo viene scientificamente definito guttazione.

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Foto: Angelo Miceli

Bibliografia di approfondimento

  • Bernicchia Annarosa – 2005: Polypocaceae s. l.. Edizioni Candusso, Alassio (SV)
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Goidànich Gabriele – 1975: Manuale di patologia vegetale. Vol. II,. Edizioni Agricole, Bologna
  • La Spina Leonardo – 2017: Funghi di Sicilia Atlante Illustrato. Tomo III. Eurografica, Riposto (CT)
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Gianpaolo – 2004: Atlante fotografico dei funghi d’Italia. Vol. I. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento (Seconda ristampa)

Coprinus comatus, il fungo dell’inchiostro

Premessa

Siamo pienamente convinti che una diversa denominazione volgare, quale “arbiter elegantiarum”, con espresso riferimento all’eleganza che il suo portamento gli conferisce, sarebbe ben appropriata ed alla stessa stregua di quella con la quale, per la sua caratteristica deliquescenza che lo porta, a maturità, a secernere un liquido nerastro molto simile all’inchiostro, lo fa identificare, ormai da sempre, appunto, quale “fungo dell’inchiostro”, denominazione, tra l’altro, perfettamente calzante e pienamente identificativa delle sue ben note caratteristiche.

Coprinus comatus vuole essere un’altra delle meravigliose specie fungine che fa la propria apparizione, unitamente a Calocybe gambosa, Hygrophorus marzuolus, Marasmius oreades, le numerose specie del genere Morchella ed altre, nel periodo primaverile prolungandola sino ad autunno inoltrato.

Lo si incontra con facilità, spesso in gruppi di numerosi esemplari, stante la sua notevole diffusione territoriale, ai margini delle strade, dei sentieri, delle radure, dei prati specialmente su terreni concimati, a qualunque altitudine, dalla pianura all’alta montagna, assumendo, per la particolarità del suo sistema nutrizionale, la conformazione di fungo saprofita (quando si nutre di sostanze organiche morte).

 

Genere Coprinus Pers. 1797

Al genere appartengono basidiomi eterogenei (quando cappello e gambo sono costituiti da struttura cellulare differente con conseguente facile distacco tra i due elementi che si separano nettamente senza lasciare residui), con crescita saprofitica, inseriti nel gruppo dei funghi melanosporei (quando il colore della sporata (1) si presenta nero o nerastro), caratterizzati da dimensioni medio-piccole e da cappello quasi sempre parabolico negli esemplari giovani e parzialmente disteso negli esemplari maturi. Alcune specie presentano resti del velo parziale sotto forma di anello quasi inconsistenze e quindi precocemente caduco o addirittura impercettibile. Le lamelle sono libere al gambo e, a volte, inserite in un collarium (struttura circolare posizionata all’apice del gambo sulla quale si inseriscono le lamelle), si presentano inizialmente di colore bianco o bianco-grigiastro e successivamente, con la maturazione delle spore, di colore nero-nerastro. La carne è tipicamente deliquescente nel senso che una volta raggiunta la maturità si dissolve in un liquido nerastro molto simile all’inchiostro. Per tale particolarità le varie specie appartenenti al genere sono comunemente conosciute con la denominazione volgare di “fungo dell’inchiostro” [Bianchi, 2018].

Le numerose specie fungine appartenenti inizialmente al genere Coprinus, in conseguenza di approfonditi studi di natura filogenetico-molecolare che hanno chiaramente dimostrato la loro indipendenza dal genere, sono state, in parte, riposizionate in altri raggruppamenti sistematici dando origine a nuovi generi quali: Coprinellus, Coprinopsis e Parasola [Bianchi, 2018].

La quasi totalità delle specie appartenenti al genere Coprinus o ai generi vicini da questo derivati, è caratterizzata dalla presenza di lamelle molto fitte e sottili che rendono difficile la diffusione delle spore nell’ambiente che, in conseguenza anche della particolare forma dello sporoforo, stretta ed allungata, non possono essere “sparate” all’esterno come avviene, invece, nei funghi a cappello pianeggiante. I Coprini, grazie all’intervento di “madre natura” compensano questa loro limitazione instaurando una forma di maturazione progressiva delle spore che procede dal margine inferiore del cappello per avviarsi, rapidamente, verso il suo apice. Dopo la maturazione delle spore e il distacco dai basidi (struttura microscopica a forma di ampolla, tipica dei basidiomiceti, sulla quale si formano le spore), il tessuto lamellare inizia ad “autodigerirsi” cominciando la liquefazione che facilita, con tale mutazione, la diffusione delle spore. Il cappello, con l’autodigestione, inizia ad aprirsi dal basso verso l’alto assumendo sempre più un colore nero come l’inchiostro. [Cazzavillan, 2011].

 

Coprinus comatus (O.F. Müll. : Fr.) Pers,

Tent. disp. meth. fung. (Lipsiae): 62 (1797)

Per il suo aspetto slanciato ed elegante e per la particolarità della “chioma arruffata” che gli ha consentito di acquisire l’appellativo americano di “Shaggy mane” (appunto “chioma arruffata”), unitamente alla particolarità della sua deliquescenza è, praticamente, un fungo di facile riconoscimento e difficilmente confondibile con le specie vicine. Continua a mantenere, dopo la frantumazione del genere Coprinus, il suo ruolo di specie tipo nel genere originario.

 

Basionimo: Agaricus comatus O.F. Müll. (1780)

 

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Coprinaceae, genere Coprinus

 

Etimologia: Coprinus dal greco Kòpros = sterco, con riferimento alla tipica crescita in terreni ricchi di escrementi animali; comatus dal latino coma = chioma, con riferimento alle placche filamentose che ricoprono il cappello presentandosi in maniera similare a ciocche di capelli.

 

Principali sinonimi: Agaricus fimetarius Bolton (1788); Agaricus cylindricus Sowerby (1799); Coprinus ovatus (Schaeff. : Fr.) Fr. (1838).

 

Nomi volgari: Agarico chiomato; Coprino chiomato; Fungo dell’inchiostro.

 

Nomi dialettali: numerose sono le denominazioni dialettali in uso nelle varie località italiane per le quali rimandiamo ad un testo specifico [Cfr. Bonazzi, 2003], limitandoci, come ormai per noi usuale, ad indicare solamente quelle in uso in Sicilia: Funciu calamaru, Calamaru, Iancheddu, Funciu d’inchiostro; Candelini (quest’ultimo un uso nel territorio catanese) [Bonazzi, 2003].

 

Descrizione macroscopica

Cappello inizialmente con andamento cilindrico, ogivale, stretto ed alto con tendenza ad aprirsi in maturazione verso forme campanulato-coniche, espandendosi fino a disfarsi completamente per deliquescenza iniziando dal margine ed allargandosi verso la parte apicale. Le dimensioni oscillano tra i 6 ed i 15 cm. di altezza e, in alcuni esemplari, possono raggiungere anche i 20-22 cm. con una larghezza di circa 3-7 cm. La superficie si presenta inizialmente sericea, asciutta, bianca per decorarsi, successivamente, con fioccosità squamulate biancastre, bruno-chiaro, brunastre su fondo chiaro e tra di loro sovrapposte; la calotta si presenta ocracea con squamette tra di loro unite e spesso frastagliate a forma di stella. Imenoforo costituito da lamelle molto fitte, libere al gambo (quando si interrompono prima di giungere al gambo con il quale, di conseguenza, non hanno alcun contatto) inizialmente bianche, tendenti, verso la maturazione ed iniziando dal margine, ad assumere un colore prima rosato poi sempre più nero, andando progressivamente verso la deliquescenza. Gambo alto, slanciato, può raggiungere anche i 30 cm. di altezza, facilmente separabile dal cappello (concetto di eterogeneità -vedi sopra), subcilindrico, più o meno attenuato all’apice ed ingrossato alla base con un bulbo a forma di ampolla, liscio e tenace nella parte esterna, cavo all’interno, di colore bianco; decorato nella parte medio-bassa da un anello fragile, scorrevole, evanescente, bianco, a volte nero per il deposito sporale. Carne bianca, poco consistente, molto fragile nel cappello; fibrosa nel gambo, di colore bianco negli esemplari giovani, nerastra a maturazione; odore e sapore delicatamente gradevoli.

Habitat

La prima fruttificazione inizia nel periodo primaverile per prolungarsi fino al tardo autunno, cresce in gruppi di numerosi esemplari, in maniera saprofitica, prediligendo i margini delle strade, dei sentieri, delle radure, dei prati, specialmente su terreno abbondantemente concimato e ricco di sostanze organiche in decomposizione.

 

Commestibilità

Senza ombra di dubbio è l’unica specie appartenente al genere Coprinus che può essere considerata commestibile. E’ ritenuta, da alcuni autori, una delle specie migliori in assoluto per l’utilizzo in cucina con l’accortezza, considerata la esiguità della carne, di sottoporla ad una cottura non prolungata e di privarla del gambo in quanto coriaceo. In considerazione della delicatezza della sua carne, si presta ad essere consumata cruda in insalata o appena saltata nel burro con aggiunta di pepe verde [Buda, 2012]. Visto la particolare proprietà della deliquescenza a maturazione avanzata, si deve consumare nel primissimo stadio di sviluppo e nella immediatezza della raccolta, quando le lamelle si presentano ancora perfettamente bianche, prima che, per l’avanzare della maturazione, prendano sfumature rosa o rosa-nerastre. E’ opportuno, al fine di rallentarne la maturazione dopo la raccolta, provvedere al trasporto degli esemplari privandoli del gambo.

La specie è stata da sempre ritenuta, con le limitazioni di cui sopra, un ottimo commestibile tanto che, in merito, l’Abate Giacomo Bresadola (Ortiseé, 14 febbraio 1847 – Trento, 9 giugno 1929) si esprimeva in tal senso: “mangereccio e di ottimo gusto, assolutamente innocuo, purché sia mangiato nel suo primo sviluppo, quando cioè le lamelle sono ancora bianche o rosee. Mangiato quando il cappello è decomposto, o anche quando comincia a decomporsi, può riuscire velenoso, non perché la specie sia per natura venefica, ma per i veleni caratteristici delle sostanze organiche in decomposizione” [Bresadola, 1954].

 

Proprietà medicinali

C. comatus per le numerose vitamine, proteine e minerali quali vanadio, potassio, calcio, ferro, rame e zinco, contenuti, viene utilizzato in medicina con azione ipoglicemizzante risultando molto utile nel trattamento del diabete. Viene anche utilizzato per la cura della stipsi e nel trattamento delle infezioni intestinali. E’ stato anche dimostrato che ha capacità inibitorie verso lo sviluppo delle cellule nel carcinoma prostatico riuscendo ad abbassare i livelli di PSA (Antigene Prostatico Specifico) [Cazzavillan, 2011].

 

Specie simili

Per la sua particolare conformazione morfocromatica e strutturale è una specie facilmente riconoscibile con poche probabilità di confusione con specie similari tra le quali, in ogni caso, è opportuno evidenziare:

  • Coprinus vosoustii Pilàt (1942)

È quello che presenta maggiori tratti di similarità con C. comatus ed analoga commestibilità, si differenzia per le dimensioni minori, per la deliquescenza poco accentuata, per la forma del cappello inizialmente ovata-subsferica e per la calotta discale che si rompe a forma di stella.

  • Coprinus sterquilinus (Fr.) Fr. 1838

Si differenzia per l’habitat di crescita tipicamente costituito da accumuli di sterco, per le dimensioni più piccole che difficilmente superano i 6 cm. di altezza e per le dimensioni delle spore.

  • Coprinus atramentarius (Bull. Fr.) Fr. 1838 = Coprinopsis atramentaria (Bull. : Fr.) Redhead, Vilgalys & Moncalvo 2001

Differisce per le dimensioni minori, per il cappello scanalato in senso radiale e di un tenue colore grigio-argento, grigio-brunastro; per la caratteristica forma di crescita cespitosa e su residui legnicoli. Specie tossica, responsabile, se consumato in associazione a bevande alcooliche, di sindrome coprinica. (2)

 

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  1. Con il termine sporata o spore in massa, si è soliti identificare l’accumulo delle spore ottenuto in maniera artificiale adagiando il cappello dello sporoforo, dal lato della zona fertile (imenoforo), su una lastra di vetro trasparente o su un cartoncino dove, dopo qualche ora sarà possibile osservare il deposito sporale che, raggruppato in massa, manifesterà il colore delle spore apprezzabile ad occhio nudo.

  2. Viene inserita tra le cosiddette “Sindromi a breve latenza” (quando gli effetti tossici si manifestano entro sei ore dal consumo dei funghi), è conseguente all’ingestione di “coprina”, tossina contenuta in dose elevate nel C. atramentarius, in associazione con bevande alcooliche. La sintomatologia si manifesta quasi nell’immediatezza del consumo dei funghi evidenziando disturbi cardiocircolatori, arrossamento del collo e del viso, vampate di calore, cefalea, tachicardia. Si tratta di disturbi che si risolvono spontaneamente ma che possono avere conseguenze serie su soggetti cardiopatici. [Milanesi, 2015]

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Foto Angelo Miceli, Franco Mondello

 

Bibliografia di approfondimento

  • A.M.G.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani) – 2013: Io sto con i funghi. Seconda Edizione. Edit. La Pieve Poligrafica, Villa Vernucchio (RN)
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica) -2007: Tutto funghi. Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Bellù Francesco, Veroi Giulio – 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama srl, Trento
  • Bertolini Valerio – 2018: Coprinus comatus: notula storico-bibliografica. Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia n. 1: 44:45. A. M. B. Associazione Micologica Bresadola, Trento
  • Bianchi Marco – 2018: Coprinus comatus. Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia n. 1: 37:43. A. M. B. Associazione Micologica Bresadola, Trento
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico – 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Bresadola Giacomo – 1954: Funghi mangerecci e funghi velenosi. Comitato onoranze Bresadoliane Milano-Trento. Museo di Storia Naturale, Trento
  • Buda Andrea – 2012: I Funghi degli Iblei. Vol. I. Ass. Micologica Bresadola – Gruppo di Siracusa, Siracusa
  • Cazzavillan Stefania 2011: Funghi medicinali, dalla tradizione alla scienza. Nuova Ipsa Editore, Palermo
  • Garau Mariano, Merlo Erica, Rosso Michele, Traverso Mido -1982: I nostri funghi. Sagep Editrice, Genova
  • Cetto Bruno – 1970: I funghi dal vero, Vol. 1. Saturnia, Trento
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione maggio 2018)
  • La Spina Leonardo – 2017, Funghi di Sicilia – Atlante illustrato. Tomo II. Eurografica, Riposto (CT)
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione maggio 2018)
  • Milanesi Italo – 2011, Conoscere i funghi velenosi e i loro sosia commestibili. A.M. B. Associazione Micologica Bresadola, Trento
  • Oppicelli Nicolò – 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Trento
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara