Agaricus augustus

È una delle poche specie fungine appartenenti al genere Agaricus a crescita, anche se non esclusiva, boschiva. Per le particolari caratteristiche morfologico-strutturali, risulta facilmente determinabile anche dai meno esperti.

Genere Agaricus L. nom. sanct.

Sp. pl. 2: 1171 (1753)

Autore sanzionante: Fries, Syst. mycol. 1: lvi, 8 (1821)

Tratto da Miceli, 2021 (XXXIX): 68-76

Al genere appartengono basidiomi con crescita terricola o, in pochi casi, fimicola ma mai lignicola [Cappelli, 1984], di piccole, medie e grandi dimensioni, generalmente carnosi, con tipica nutrizione saprotrofica anche se le specie crescenti in prossimità degli alberi lasciano pensare ad una probabile forma di nutrizione micorrizica [La Chiusa, 2013]. In merito è opportuno precisare che alcuni micologi considerano le varie specie appartenenti al genere quali simbionti con piante erbacee. Tutte le specie appartenenti al genere hanno uno sviluppo bivelangiocarpico, ovvero risultano ricoperti, specialmente nella fase iniziale di crescita, da due veli: uno detto generale che avvolge l’intero carpoforo, l’altro detto parziale che ricopre l’imenio, parte fertile del fungo, anche se entrambi i veli, specialmente quello generale, possono essere poco persistenti e molto fugaci tanto da non lasciare alcuna traccia a maturazione dello sporoforo. [Galli, 2004].

Agaricus augustus
Agaricus augustus

I carpofori si presentano carnosi, eterogenei (quando presentano struttura molecolare diversa tra cappello e gambo e, di conseguenza, sono facilmente separabili l’uno dall’altro), con imenoforo (parte fertile del fungo ove maturano le spore) a lamelle non asportabili; con residui del velo generale presenti solo in alcune specie con resti alla base del gambo sotto forma di placche o fiocchi; mentre i resti del velo parziale sono sempre presenti in tutte le specie sotto forma di anello semplice o doppio [Boccardo ed altri, 2013].

Il genere Agaricus risulta facilmente identificabile dal semplice esame delle caratteristiche morfologiche. L’elemento maggiormente caratterizzante è costituito dal colore delle lamelle che, a seconda delle varie specie, varia dal grigio-biancastro al rosa-grigiastro, al rosa-beige, al rosa chiaro nei primi stadi di sviluppo dei carpofori per divenire, con l’avanzare della maturazione, sempre più scuro verso tonalità rosa-rossastre, rosa-brunastre, bruno, fino al bruno-porpora o bruno-nerastro negli esemplari in avanzato stato di maturazione. Il colore delle lamelle è conseguenziale al colore delle spore che maturando assumono tonalità sempre più scure con chiara identificazione di carpofori appartenenti al gruppo dei funghi iantinosporei, ovvero con spore di colore bruno-porpora.

É possibile pervenire alla determinazione delle singole specie osservando, nelle varie combinazioni, i caratteri macroscopici dei singoli carpofori quali, ad esempio, la conformazione dei residui velari, in particolare la posizione e la forma dell’anello (supero, infero, semplice, doppio, a ruota dentata ecc.), la desquamazione della superficie del cappello, il viraggio della superficie per sfregamento, il colore della carne al taglio [Cappelli, 2010]. É importante fare riferimento, sempre ai fini della determinazione della specie, anche ai caratteri organolettici, in particolare all’odore. In generale un intenso viraggio al giallo, conseguente allo strofinio delle superfici o al taglio della carne concentrato nella parte bassa del gambo, unitamente ad un apprezzabile odore di iodoformio o di fenolo (inchiostro, inchiostro di china), è identificativo di specie tossiche causa di sindrome gastroenterica, quindi non utilizzabili per il consumo; mentre un piacevole odore di anice o di mandorle è identificativo di specie commestibili. Preferiamo, ritenendo che l’argomento sia molto vasto e, di conseguenza, poco agevole da trattare nelle poche righe di una “Riflessione Micologica”, invitare il lettore al suo approfondimento consultando i testi e, in particolare, le monografie indicate nella bibliografia a corredo [Miceli, 2021].

Le numerose specie appartenenti al genere, la cui specie tipo è Agaricus campestris, sono caratterizzate dai seguenti elementi morfologio-strutturali:

Cappello: da piccole a medio, grandi dimensioni, più o meno carnoso, inizialmente emisferico poi, verso la maturazione, convesso e, infine, appianato, a volte con umbone centrale. Superficie con colorazioni variabile dal bianco-biancastro al giallastro, ocra, grigiastro, fino al brunastro, inizialmente uniforme poi, verso la maturazione, anche se non sempre, dissociata in fibrille o squamette fibrillose. Ingiallente per sfregamento o immutabile.

Imenoforo: a lamelle sottili, fitte, intervallate a lamellule, libere al gambo. Inizialmente di colore rosato o grigiastro, a volte molto chiaro e tendente al bianco poi, a maturazione, bruno-porpora sempre più scuro fino a quasi nero. La mutazione della colorazione è dovuta alla progressiva maturazione delle spore che assumono, maturando, colorazione sempre più intensa [Cappelli, 1984].

Gambo: centrale, diritto, a volte ricurvo, cilindrico o clavato, spesso con base bulbosa, bianco, biancastro o tendente al nocciola chiaro, ingiallente, arrossante o immutabile per sfregamento. Caratterizzato dalla costante presenza di residui del velo parziale sotto forma di anello supero o infero, semplice o doppio. Raramente presenti, alla base, residui del velo generale sotto forma di pseudo-volva.

Carne: bianca, caratteristicamente virante al taglio, per autossidazione, verso colorazioni rossastre o giallastre più o meno intense e marcate a seconda della specie di appartenenza. Odore variabile a seconda della specie, a volte di anice o mandorle amare, a volte di fenolo, inchiostro di china o iodoformio.

Habitat: tipicamente terricolo, predilige prati, campi, pascoli, parchi, giardini, serre, terreni molto concimati e ricchi di humus. Alcune specie si riproducono facilmente anche in ambiente boschivo.

Commestibilità: al genere appartengono specie di buona commestibilità e altre che possono risultare tossiche. Alcune specie si prestano ottimamente alla coltivazione e trovano larga diffusione commerciale in tutto il mondo.

Suddivisione del genere Agaricus

É ovvio, come normalmente avviene in ambito micologico, che anche il genere Agaricus abbia subito, nel tempo, numerose suddivisioni che, secondo i diversi punti di vista degli autori proponenti, hanno assunto una strutturazione sistematica molto varia e differente. Tra gli autori che hanno lascito il proprio contributo, come riportato da Cappelli (1984) e Galli (2004), citiamo: Alfred Möller (1950-1952), Albert Pilàt (1951), Paul Konrad e René Maublanc (1952), Robert Kühner e Henri Romagnesi (1953) Henri Essette (1964), Meinhard Moser (1967-1983), Rolf Singer (1975), Paul Heinemann (1978), Salomon P. Wasser (1980) [Cappelli, 1984; Galli, 2004] e ancora, come continua Galli (2004), David Pegler (1983), Alberto Cappelli (1984), Marcel Bon (1985) e altri ancora fino a Marijke M. Nauta (2002) che hanno inteso dare, questi ultimi, una impostazione più moderna con la creazione di nuove Sezioni, sottosezioni e nuovi taxa [Galli, 2004]. Non vogliamo, essendo la nostra “Riflessione Micologica” di natura prettamente divulgativa, entrare nel merito della questione e rimandiamo, per eventuali approfondimenti, i nostri lettori ad un testo monografico tra quelli da noi citati. Non possiamo, però, anche per completezza informativa, esimerci dal dare una indicazione di massima al fine di meglio orientare i lettori: il genere Agaricus, relativamente alle sole specie crescenti in ambiente mediterraneo, facendo riferimento alla suddivisione adottata da Cappelli (1984) e Galli (2004) che riteniamo possa essere di facile comprensione e applicata praticamente anche dai ricercatori meno esperti, viene solitamente suddiviso in:

  • Sottogenere Agaricus (L.) Heinem.

[Sinonimo: Rubescentes Möller]

ospita sporofori arrossanti sia al taglio sia allo sfregamento superficiale con odore fungino, gradevole, oppure sgradevole, come di acqua salmastra, pesce in salamoia o di urina, mai di anice, mandorle, fenolo, inchiostro o iodio [Galli, 2004]. Il sottogenere viene, a sua volta, diviso nelle seguenti sezioni: Bitorques (Kühner et Romagnesi) Bon et Cappelli, Agaricus (L.) Karsten, Sanguinolenti (Möller et Schäffer) Singer [Cappelli, 1984; Galli, 2004].

  • Sottogenere Flavoagaricus Wasser

[Sinonimo: Flavescentes Möller et Schäffer]

Ospita sporofori ingiallenti tanto al taglio quanto allo sfregamento superficiale, caratterizzati da tipico odore gradevole: anice, mandorle amare, amaretto o tipicamente sgradevole come di fenolo, inchiostro o iodio [Galli, 2004]. Il sottogenere viene, a sua volta, diviso nelle seguenti sezioni: Minores Fries, Arvenses Konrad et Maublank, Xanthodermatei Singer, [Cappelli, 1984; Galli, 2004], Intermedii Galli [Galli, 2004].

In merito alle specie inserite nelle singole sezioni e alle loro caratteristiche morfologiche, come già in precedenza consigliato, rimandiamo il lettore alla consultazione di un testo monografico specifico.

Agaricus augustus Fr.

Epicr. syst. mycol. (Upsaliae): 212 (1838)

Accentazione: Agáricus augùstus

Etimologia: Agaricus dal greco agarikòn = campestre con riferimento alla tipica crescita su prati e campi e pascoli ricchi di humus;

augustus dal latino augĕo (ingrandire, prosperare, innalzare, accrescere) con espresso riferimento al portamento nobile, elevato, maestoso e alle dimensioni dei singoli esemplari.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Agaricaceae, genere Agaricus, sottogenere Flavoagaricus, sezione Arvenses

Principali sinonimi: Psalliota augusta (Fr.) Quelet (1872); Pratella augusta (Fr.) Gillet (1878); Orcella augusta (Fr.) Kuntze (1891); Fungus augustus (Fr.) Kuntze (1898); Agaricus perrarusSchulzer (1879); Psalliota perrara (Schulzer) Bres. (1887); Agaricus peronatus Massee (1892); Fungus peronatus Kuntze (1898).

Descrizione macroscopica

Cappello di grandi dimensioni, può raggiungere anche i 30 cm di diametro [Oppicelli, 2020: Della Maggiora & Pera, 2021], inizialmente globoso-emisferico o tronco-emisferico, poi, verso la maturazione, convesso ed infine disteso; margine a lungo involuto e appendicolato per la presenza di residui biancastri del velo parziale; cuticola liscia nella zona centrale, dissociata, nella verso il margine, in numerose squame colore ocra-brunastro o bruno-rossiccio su fondo crema che assume colorazioni gialle più o meno intense allo sfregamento. Imenoforo a lamelle libere, fitte, strette, inizialmente molto chiare, a lungo biancastre, poi crema-grigiastre, rosate e infine bruno-cioccolato, bruno-nerastre con filo più chiaro. Gambo centrale, cilindrico, claviforme con bulbo basale, inizialmente pieno e robusto, poi, verso la maturazione, midolloso (quando all’interno presenta consistenza spugnosa, molliccia), bianco, ingiallente allo sfregamento e ricoperto da piccole squame di colore biancastro, brunastre con l’età, nella zona centrale, liscio e di colore rosato nella parte superiore nella zona sovrastante l’anello. Anello supero (quando si forma iniziando dalla alta del gambo e va allargandosi verso il basso), ampio, persistente, liscio nella pagina superiore, fioccoso per la presenza di squame lanose, brunastre, nella pagina inferiore. Carne bianca, con leggere tonalità salmone, brunastra alla base. Odore di mandorle amare, sapore dolce.

Habitat: tipicamente nei boschi di latifoglie e di aghifoglie, ma anche nei prati e nei pascoli, sia in primavera che in autunno. Specie non molto frequente.

Commestibilità: specie commestibile.

Caratteri differenziali

Si presta ad una facile determinazione per la taglia robusta caratterizzata dalla presenza di numerose squamette di colore ocra-brunastro sul cappello; per il gambo ricoperto da squamule; per la presenza di un evidente e largo anello; per il forte odore di mandorle amare.

Specie simili

  • Agaricus subrufescens Peck (1984)

Differisce per le dimensioni generalmente minori; per il gambo pruinoso e privo di squamule fioccose; per i caratteri miscroscopici.

  • Agaricus sylvaticus Schaeff. (1774)

Molto simile, sia per la presenza di squamule brunastre sul cappello, sia per la crescita boschiva. Differisce per la taglia più esile e per la carne fortemente arrossante.

***************

Foto: Angelo Miceli

Tavole micologiche: Gianbattista Bertelli, gentilmente concesse dal figlio Aldo.

Bibliografia citata

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli. Bologna (ristampa 2013)
  • Cappelli Alberto, 1984: Agaricus L. : Fr. Collana Fungi Europaei. Libreria editrice Biella Giovanna. Saronno. I
  • Cappelli Alberto, 2010: Approccio al genere Agaricus – I. Rivista di Micologia, Anno LIII n. 2: 99-118. A.M.B.. Trento. I
  • Della Maggiora Marco, Pera Umberto, 2021: Funghi in Toscana. AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani). La Pieve Poligrafica, Villa Verrucchio (RN). I
  • Galli Roberto, 2004: Gli Agaricus. dalla Natura. Milano. I
  • La Chiusa Lillo – 2013: Funghi Agaricoidi. Vol. 1 – Agaricaceae. ANDER Editore, Monza. I
  • Miceli Angelo, 2021: Agaricus urinascens. Il Fungo, Periodico del Gruppo Micologico “R. Franchi” Anno XXXIX: 68-76. Reggio Emilia. I
  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I

Sitografia

Bibliografia di approfondimento

  • Bertinaria Giorgio, Tizzoni Renato, Zorio Piero: 2020: Atlante dei funghi del Biellese. E20ProgettiEditore, Biella. I
  • Cappelli Alberto – 2011: Approccio al genere Agaricus – IV. Rivista di Micologia, Anno LIV n. 1: 3-27. A.M.B.. Trento. I
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo, 2009: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 3. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici. Trento. I
  • Parra Sánchez L. A.- 2013: Agaricus L. – Allopsalliota (Parte II). Candusso Editrice, Varese. I

Amanita rubescens Pers. (1797)

Specie elegante, dalle dimensioni, a volte, considerevoli e dall’aspetto accattivante, comunemente conosciuta su tutto il territorio nazionale con la denominazione volgare di “Tignosa vinata” attribuitale per la caratteristica proprietà della carne di virare al rosso-vinoso. Anche se presenta un aspetto molto mutevole nella forma, nella taglia e nelle tonalità cromatiche, risulta, in ogni caso, riconoscibile con una certa facilità anche da parte dei cercatori meno esperti.

 

Genere Amanita Pers.

Tent. disp. meth. fung. (Lipsiae): 67 (1797)

Il genere, la cui specie tipo è A. muscaria, ospita sporofori di medio-grandi dimensioni,

eterogenei, caratterizzati da cappello convesso sul quale, spesso, si trovano residui velari, con margine liscio o tipicamente striato; lamelle libere; gambo più o meno ingrossato alla base, con presenza o assenza di anello; con volva basale; sporata in massa bianca. Si conoscono specie di ottima qualità e altre, non poche, velenoso-mortali la cui ingestione provoca sindromi tossiche di varia natura: sindrome falloidea, panterinica, muscarinica, emolitica ecc. [Miceli, 2019].

In merito alla particolare e caratteristica crescita degli sporofori, alla formazione dei residui velari ed alle caratteristiche specifiche del genere, per eventuali approfondimenti, si rimanda il lettore ad un nostro precedente lavoro pubblicato su questo stesso sito web [Miceli & Di Vincenzo, 2021].

Il Genere viene suddiviso, al fine di ottenere gruppi sempre più omogenei, in Sottogeneri e Sezioni. Nello specifico A. rubescens viene posizionata nella Sezione Validae del Sottogenere Lepidella[Neville & Poumarat, 2004; Galli, 2007; Morini et al., 2020].

Sottogenere Lepidella (Gilbert) Vesely

Il sottogenere ospita sporofori di medio o medio-grandi dimensioni che, a seconda delle varie specie e delle caratteristiche comuni diverse, trovano posto in Sezioni diverse. Presentano le seguenti caratteristiche: Velo generale a struttura sferico-vescicolosa che gli conferisce un aspetto friabile e fioccoso. Cappello inizialmente carnoso ma ben presto di consistenza tenera, con margine regolare, intero, privo di residui velari appendicolari. Cuticola separabile, a seconda della specie di appartenenza, da poco vischiosa a non vischiosa, asciutta, liscia, ricoperta da numerosi residui del velo generale che, sempre secondo la specie di appartenenza, si presentano sotto forma di verruche detersili, più o meno acuminate o più o meno appiattite oppure piramidali e sempre in rilievo o sottoforma di placche più o meno larghe e appiattite. Imenoforo a lamelle, più o meno fitte, libere al gambo, intervallate da lamellule, inizialmente bianche, tendenti, in alcune specie, verso la maturità, ad assumere colorazioni giallognole o a macchiarsi di tinte rossastre. Gambo, sempre a seconda della specie e della Sezione di appartenenza, cilindrico, centrale, inizialmente pieno all’interno, poi midolloso, con grosso bulbo basale, radicante, a volte bulboso, quasi liscio o ricoperto di scaglie o residui fioccosi. Anello supero, ampio, persistente, a volte bambagioso e presto fugace. Volva aderente e farinosa, dissociata in piccole perle concentriche o in squame verrucose o fioccose posizionate nella zona soprastante il bulbo basale. Carne arrossante o appena imbrunente per alcune specie, o bianca e generalmente immutabile altre. Spore, sempre secondo la specie e la Sezione di appartenenza, da ellittiche a ovoidali-ellittiche, sempre amiloidi, da bianche a biancastre in massa [Galli, 2007].

Sezione Validae (Fries) Quelet

La Sezione ospita sporofori di medio o medio-grandi dimensioni, caratterizzati da Velo generale friabile, fioccoso, composto in prevalenza da ife formate da cellule globose, subglobose o arrotondate. Cappello inizialmente carnoso ma ben presto di consistenza tenera, con margine regolare, intero, privo di residui velari appendicolari. Cuticola separabile, da poco vischiosa a non vischiosa, asciutta, liscia; ricoperta da numerosi residui del velo generale che si presentano sotto forma di verruche detersili, più o meno acuminate o più o meno appiattite. Imenoforo a lamelle più o meno fitte, intervallate da lamellule inizialmente di colore bianco. Gambo centrale, cilindrico, sempre con bulbo basale, inizialmente pieno poi, verso la maturazione, midolloso (così quando la struttura interna comincia a degradarsi progressivamente). Anello supero, ampio, membranoso e persistente. Volva farinosa, aderente al gambo, a volte, in alcune specie, dissociata in perline concentriche posizionate al di sopra del bulbo. Carne bianca, a volte arrossante o leggermente imbrunente. Carne a volte arrosante o leggermente imbrunente. Spore ialine (trasparenti, prive di colore), bianche in massa, a forma ellittico-ovoidale, amilodi (quando a contatto con soluzioni a base di iodio come, ad esempio, il reattivo di Melzer, assumono una colorazione bluastra più o meno intensa).

Amanita rubescens Pers., nom. sanct.

Tent. disp. meth. fung. (Lipsiae): 67 (1797)

Basionimo: Amanita rubescens Pers. (1797)

Autore sanzionante: Fries, Syst. mycol. 1: 18 (1821)

Accentazione: Amaníta rubéscens

Etimologia: Amanita, dal greco ἀμᾱνῖται (amanìtai), appellativo utilizzato dagli antichi greci riferito a specie fungine mangerecce rinvenute sul monte Ἄμᾱνoς (Amanòs) nella Turchia asiatica; rubescens dal latino rubesco diventare rosso con riferimento al viraggio della carne.

Posizione sistematica: Classe Basidiomycetes, Ordine Amanitales, Famiglia Amanitaceae, Genere Amanita, Sottogenere Lepidella, Sezione Validae [Galli, 2007].

Principali sinonimi:Agaricus rubescens (Pers) Fr. (1821); Limacium rubescens (Pers.) J. Schröt. (1889); Amplariella rubescens (Pers.) E.-J. Gilbert (1940); Agaricus verrucosus Bull. (1787); Agaricus magnificus Fr. (1857); Amanita magnifica (Fr.) Gillet (1874); Lepiota magnifica (Fr.) P. Karst.(1879).

Nomi volgari: Amanita vinata, Agarico rosseggiante [Bonazzi, 2003], Amanita rosseggiante [Bonazzi, 2003; Morina et al., 2020], Tignosa vinata [Bonazzi, 2003; Buda, 2017].

Nomi dialettali: Funciu di cerza [Buda, 2017]; Funciu pelis [La Spina, 207]; Funciu vinusu, nomi dialettali in uso nel territorio siciliano.

Descrizione macroscopica

Cappello di medio-grandi dimensioni, può raggiungere anche 15 – 18 cm di diametro, inizialmente emisferico, poi, verso la maturazione, convesso e, infine, appianato-disteso, a volte depresso; margine intero, inizialmente ottuso, poi regolare, a volte leggermente lobato; cuticola separabile, asciutta a tempo secco, vischiosa a tempo umido, leggermente eccedente, integra, liscia, colore variabile da crema-rosato a rossastro più o meno marcato fino a bruno-rosso-vinoso con riflessi brunastri nella zona centrale e macchie vinose sparse, inizialmente totalmente ricoperta da verruche più o meno ampie, irregolarmente a rilievo o più o meno appiattite, di consistenza farinosa, detersili, di colore grigiastro, grigio-brunastro. Imenoforo a lamelle fitte, intercalate da lamellule tronche di diversa lunghezza, sottili, libere al gambo, bianche, leggermente macchiate di rosso a maturità o al tocco. Spore in massa bianche. Gambo centrale, cilindrico, robusto, inizialmente pieno poi farcito (così quando, verso la maturazione, la struttura interna comincia a diventare meno compatta) svasato all’apice, con bulbo basale da sferico-ovoidale a napiforme, a volte anche radicante, ricoperto da una fine pruina nella parte superiore, fioccoso nella zona centrale ed inferiore, colore bianco con piccole macchie rosa-vinoso nella parte alta, biancastro sfumato di rosa-vinoso più o meno carico altrove.Anello supero posizionato nella zona medio-alta del gambo, persistente, membranoso, ampio, fioccoso al bordo, striato nella pagina superiore, farinoso in quella inferiore, da biancastro a rosato. Volvafriabile, aderente al bulbo, indistinta, dissociata in perline fioccose grigio-brunastre disseminate irregolarmente nella zona soprastante il bulbo. Carne soda negli esemplari giovani, molle ed acquosa in quelli maturi, colore bianco virante al rosa-vinoso nelle parti erose e alla base del gambo. Odore debole, sapore gradevole.

Habitat

Da fine primavera ad autunno anche inoltrato, a tipica crescita gregaria, anche in diversi esemplari, ubiquitaria, sia in boschi di latifoglie: Castanea sativa (castagno), Quercus suber (sughera); Quercus ilex (leccio), sia in boschi di conifere: Picea abies (peccio) e Pinus (pini) sp. pl.

Commestibilità: commestibile dopo adeguata cottura, contiene tossine termolabili (1). Deve essere consumata solo dopo essere stata bollita con eliminazione dell’acqua di cottura. Tossica se consumata cruda o poco cotta, provoca sindrome emolisinica (2) [Della Maggiora & Pera, 2021].

Caratteri differenziali

Specie di facile determinazione, si distingue per il portamento robusto e per le grandi dimensioni; per i colori bruno-rossastri del cappello; per il viraggio al rosso-vinoso della carne; per le verruche sul cappello di colore grigio, grigio-brunastro, mai di colore bianco; per l’anello persistente, pendulo; per il viraggio della carne al rosa-vinoso; per la volva dissociata in perline.

Forme e varietà

La particolare caratteristica della sua mutabilità sia nell’aspetto, sia e soprattutto nella diversificazione cromatica, ha favorito la creazione di diverse forme e varietà, tutte, in ogni caso, molto discutibili e probabilmente legate alle condizioni ambientali di crescita [Galli, 2007]. Ci soffermiamo su quelle maggiormente riportate in letteratura:

  • Amanita rubescens f. Alba (Coker) Sartory & L. Maire (1922)

Perfettamente uguale nella conformazione morfologico-strutturale, differisce per il colore totalmente bianco di ogni sua parte.

  • Amanita rubescens Var. Annulosuphurea (Gillet) J. E. Lange (1915)

Differisce per il portamento meno robusto; gracile, per la colorazione meno intensa; per la presenza di anello giallo.

Specie simili

  • Amanita pantherina (DC.) Krombh. (1846)

Specie tossica, può facilmente indurre in errori di determinazione i raccoglitori poco esperti. Differisce per le verruche sul cappello sempre bianche; per le striature al margine del cappello; per la volva circoncisa e ben individualizzata; per la carne bianca e immutabile; per le dimensioni minori.

  • Amanita franchetii (Boud.) Fayod (1889)

È la specie che presenta maggiori similarità dal punto di vista morfo-cromatico. Differisce per il colore del cappello su toni beige-olivastri; per le verruche di colore giallastro; per l’anello giallastro con fiocchetti gialli al margine; per la carne bianca, immutabile e priva di tonalità rossastre; per la volva che, pur presentandosi analogamente dissociata in perline fioccose, è di colore giallo-grigiastro; per il portamento meno massiccio.

***************

  1. Tossine termolabili: (eliminabili con il calore) quando la struttura chimica delle tossine può essere modifica con il calore. Portando i funghi ad una temperatura di circa 70-80 gradi centigradi per un tempo prolungato, circa 20-30 minuti, le tossine in essi contenute modificano la loro struttura chimica divenendo prive di tossicità e inoffensive per l’organismo umano. Ne consegue che alcune specie di funghi, ritenute tossiche da crude, possono essere regolarmente consumate dopo adeguata cottura [Miceli, 2016].
  2. Sindrome emolisinica o emolitica: si tratta di sindrome a breve latenza (quando i sintomi dell’intossicazione si manifestano entro 6 ore dell’ingestione dei funghi) che si manifesta, generalmente entro poche ore dal consumo dei funghi provocando disturbi gastroduodenali seguiti da oliguria, pallore, anemia, emoglubinuria, ittero emolitico [Milanesi, 205]. Il principio tossico è costituito dalle emolisine, tossine che vengono rese inattive con la bollitura e la successiva eliminazione dell’acqua di cottura, che hanno la proprietà di provocare la lisi degli eritrociti [Milanesi, 2015].

***************

Foto: Angelo Miceli

Tavola micologica: Gianbattista Bertelli, gentilmente concesse dal figlio Aldo che si ringrazia per la consueta disponibilità.

***************

Bibliografia citata

  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Buda Andrea, 2017: I Funghi degli Iblei. Vol. 2. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Della Maggiora & Pera Umberto, 2021: Funghi in Toscana. AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani). La Pieve Poligrafica, Villa Verrucchio (RN), I
  • Galli Roberto, 2007: Le Amanite. 2^ edizione. Edit. dalla Natura, Milano. I
  • La Spina Leonardo, 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo I. Eurografica, Riposto (CT). I
  • Miceli Angelo, 2019: Amanita porrinensis, una specie rarissima ritrovata sui Monti Peloritani.Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 12: 27-33. Ponte a Moriano (LU). I
  • Miceli Angelo, Di Vincenzo Carmelo, 2021: Amanita verna, bella, subdola, mortale. https://www.adset.it/articoli/angelo-miceli/646-amanita-verna-bella-subdola-mortale
  • Milanesi Italo, 2015: Conoscere i funghi velenosi e i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • style=”margin-bottom: 11px; text-align: left;”>Morini Stefano, Illice Mirko, Todeschini Renato, 2020: Atlante dei macromiceti della famiglia Amanitaceae nella provincia di Bologna. Edizioni Tipoarte, Ozzano dell’Emilia (BO). I
  • style=”margin-bottom: 11px; text-align: left;”>Neville Pierre, Poumarat Serge, 2004: Amanitae. Amanita, Limacella & Torrendia. Fungi Europaei 9. Edizioni Candusso, Alassio (SV) – I.

Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i Funghi. 2^ Edizione. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN). I
  • Bettin Antonio, 1971: Le amanite. L.E.S. Libreria Editrice Salesiana, Verona. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, -1993, Funghi Amanite. Calderini edagricole, Bologna. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali. Genova. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I

Sitografia

Credits:

  • Foto: Angelo Miceli.
  • Tavole micologiche: Gianbattista Bertelli 

Gymnopilus penetrans (Fr.) Murrill (1912)

Un piccolo basidiomicete molto comune ed a larga diffusione territoriale, a tipica crescita lignicola nel periodo estivo-autunnale: Gymnopilus penetrans, protagonista della nostra “Riflessione Micologia”, si lascia facilmente riconoscere per la crescita di numerosi esemplari che spesso invadono, colonizzandoli, i tronchi di conifere in fase di degradazione.

Genere Gymnopilus P. Karst

Bidr. Känn. Finl. Nat. Folk 32: XXI (1879)

Al Genere, la cui specie tipo è Gymnopilus liquiritiae (Pers) P. Karst, appartengono basidiomi lignicoli a nutrizione saprotrofica, a crescita singola o cespitosa, omogenei, di taglia da piccola a grande, concappelloconvesso, non striato, con colori variabili da giallo ocra a giallo dorato a bruno aranciato, viscoso a tempo umido; imenoforo non asportabile formato da lamelle adnate (quando risultano inserite sul gambo per tutta la loro altezza) o appena smarginate (quando si inseriscono sul gambo formando una piccola ansa concava).  Il velo generale è sempre assente mentre in alcune specie rimangono tracce di velo parziale sotto forma di cortina o anello. Le spore in massa si caratterizzano per colorazione bruno-ruggine.

Gymnopilus penetrans (Fr.) Murrill

Mycologia 4 (5): 254 (1912)

Basionimo: Agaricus penetrans Fr.(1815)

Accentazione: Gymnopílus pénetrans

Etimologia: Gymnopilus da greco γυμνός (gymnós) = nudo e da πῖλος (pílos) = cappello, ovvero con il cappello, privo di ornamentazioni. Penetrans da pénetro, ovvero penetrante, per la capacità di penetrare nel substrato di crescita.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Hymenogastraceae, genere Gymnopilus.

Principali sinonimi: Dryophila penetrans (Fr.) Quél.(1886); Flammula penetrans (Fr.) Quél. (1886); Naucoria penetrans (Fr.) Henn. (1898); Fulvidula penetrans (Fr.) Singer (1937); Flammula croceolamellata Pilát (1939); Flavidula croceolamellata (Pilát) Romagn. (1944).

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole-medie dimensione (da 2 a 5-6 cm), inizialmente emisferico poi, verso la maturazione, convesso e, infine, disteso, spianato. Superficie asciutta, glabra, liscia, con colorazione variabile dal fulvo-giallastro al giallo-arancio fino ad arancione più o meno carico, tipicamente macchiata di rosso ruggine. Margine regolare, liscio, intero, acuto. Imenoforo a lamelle fitte, adnate o smarginate, inizialmente biancastre, poi gialline, tendenti a macchiarsi di rosso ruggine verso la maturazione. Gambo cilindrico, leggermente ingrossato alla base dove è ricoperto da fioccosità biancastra più o meno evidente, superficie striata, fibrillosa, di colore giallo chiaro, giallo-ocraceo; farcito all’interno; a volte con zona pseudoanulare di colore ruggine nella parte superiore. Carne sottile, tenace, biancastra nel cappello, crema nel gambo. Odore nullo. Sapore amaro.

Habitat

specie molto comune, lignicola, a larga diffusione territoriale, fruttifica fino a tardo autunno in numerosi esemplari spesso a crescita cespitosa che colonizzano tronchi e rami di aghifoglie (generalmente Pinus) in fase di degradazione.

Commestibilità

NON commestibile

Caratteri differenziali

Si riconosce con una certa facilità per la crescita in numerosi esemplari su residui degradati di conifere ed anche sulle pigne sparse sul terreno; per le piccole dimensioni; per il colore fulvo-giallastro; per le lamelle chiazzate di rosso ruggine negli esemplari adulti.

Specie simili

  • Gymnopilus hibridus(Gillet) Maire (1933)

Differisce per l’assenza di chiazze colore ruggine sulle lamelle; per le tracce residuali di anello cortiniforme sul gambo; 

  • Gymnopilus sapineus (Fr.) Murrill (1912)

Differisce per il cappello fibrilloso-squamuloso; per le lamelle di colore giallo oro; per il gambo di colore giallastro con sfumature brune verso la base assottigliata e ricoperta da residui velari cortiniforme.

  • Gymnopilus spectabilis (Weinm.) A.H. Smith (1949)[nome corrente Gymnopilus junonius (Fr.) P.D. Orton (1960)]

Specie che spesso raggiunge dimensioni notevoli, si possono confondere solo gli esemplari di piccole dimensioni che, in ogni caso, si distinguono per la presenza di anello sul gambo e per la tipica crescita su aghifoglie.

  • Hypholoma fasciculare (Huds.) P. Kumm.1871

Differisce per la tipica crescita cespitosa; per la colorazione del cappello appiattito con colorazione più gialla; per le lamelle di colore verdastro.

**************

Foto: Angelo Miceli

***************

Bibliografia di approfondimento

  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo, 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. (ristampa 2013). Zanichelli, Bologna. I 
  • Della Maggiora Marco, Pera Umberto, 202: Funghi in Toscana. AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani). La Pieve Poligrafica, Villa Verrucchio (RN). I
  • La Chiusa Lillo, 202: Guida ai funghi d’Europa. Il Castello Srl, Cornaredo (MI). I
  • La Spina Leonardo, 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo II. Eurografica, Riposto (CT) – I
  • La Spina Leonardo, Signorino Carmelina, 2018: I funghi di Santo Pietro, antico bosco di Sicilia. Eurografica S.r.l. Riposto (CT). I
  • Moser Meinhard, 1980: Guida alla detrminazione dei funghi. Art Grafiche Saturnia. Trento, I
  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali. Genova. I 

Sitografia

  • MB (ultima consultazione, febbraio 2022), Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks. www.mycobank.org
  • MicologiaMessinese (ultima consultazione, febbraio 2022) www.micologiamessinese.it

 

 

Clitopilus prunulus (Scop.) P. Kumm. (1871)

Viene comunemente conosciuto su tutto il territorio nazionale come “fungo spia” per la particolare propensione a fruttificare nello stesso periodo e nello stesso habitat di crescita dei ben noti e ricercati porcini. In effetti è possibile ritrovare nelle sue vicinanze, visto lo stesso habitat di crescita, anche “Sua Maestà il Porcino”. Per il suo colore bianco è facilmente individuabile nel bosco e una attenta osservazione della zona circostante permette, spesso, l’avvistamento di porcini sfuggiti ad una ricerca veloce in quanto ben mimetizzati nell’ambiente boschivo. 

Genere Clitopilus (Fr. ex Rabenh.) P. Kumm.

Führ. Pilzk. (Zerbst): 23 (1871)

Al genere, la cui specie tipo è Clitopilus prunulus, appartengono basidiomi di medio-piccole dimensioni, a crescita terricola e nutrizione saprotrofica che presentano i seguenti caratteri:

Cappello irregolare, liscio.

Imenoforo a lamelle decorrenti sul gambo, inizialmente bianche poi, verso la maturazione, rosa o bruno rosate. Sporata rosa.

Gambo generalmente eccentrico, a volte centrale, ben sviluppato o quasi assente, attenuato alla base.

Carne spessa, fragile, bianca.

Habitat specie terricole o su residui legnosi a nutrizione saprotrofica.

Clitopilus prunulus (Scop.) P. Kumm.

Führ. Pilzk. (Zerbst): 96 (1871)

Basionimo: Agaricus prunulus Scoop. 1872

Autore sanzionante: Fries, Syst. mycol. 1: 193 (1821)

Accentazione: Clitopílus prúnulus

Etimologia: Clitopilus dal greco κλῑτύς (clitús) = pendio e da πῖλος (pílos) = cappello, ovvero con il cappello inclinato, con riferimento alla posizione inclinata che assume il cappello; prunulus dal latino prunus = pruno, susino, con riferimento alle piante del genere prunus.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Entolomataceae, genere Clitopilus.

Principali sinonimi: Paxillus prunulus (Scop.) Quél. (1886); Pleuropus prunulus (Scop.) Murril (1917); Paxillopsis prunulus (Scop.) J.E. Lange (1939); Agaricus orcella Bull. (1793); Pleuropus orcellus (Bull.) Gray (1821); Clitopilus orcella (Bull.) P. Kumm. (1871); Hexajuga orcella (Bull.) Fayod, (1889).

Nomi volgari: spia del porcino, prugnolo, falso prugnolo, questi ultimi due trovano origine nel fatto che il suo penetrante odore di farina fresca è molto simile a quello del “prugnolo” (Calocybe gambosa) che, in ogni caso, presenta numerosi altri caratteri morfologici diversi [AGMT, 2013].

Nomi dialettali: funciu spia (Bonazzi, 2003; Buda, 2011), chiapparedda (Buda, 2011) utilizzati in Sicilia.

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole-medie dimensioni, inizialmente convesso, poi, verso la maturazione, appianato ed infine depresso. Cuticola biancastra con sfumature grigie più o meno marcate, finemente vellutata, liscia a tempo secco, ondulata, gibbosa, leggermente eccedente. Margine spesso ondulato, irregolarmente lobato, appena involuto. Imenoforo a lamelle fitte, decorrenti sul gambo, intervallate da lamellule di diversa lunghezza, facilmente separabili dalla carne del cappello, inizialmente biancastre, tendenti ad assumere una colorazione rosata sempre più marcata verso la maturazione. Sporata rosa-brunastro. Gambo da centrale ad eccentrico, breve, svasato in alto e attenuato alla base o rigonfio, diritto ma anche ricurvo, inizialmente pieno, poi farcito, concolore al cappello, con residui miceliari alla base. Carne fragile, compatta, friabile, biancastra. Odore ben marcato e tipicamente di farina. Sapore gradevole, farinoso.

Habitat: specie molto comune, ubiquitaria, solitamente gregaria, a tipica crescita estivo-autunnale. 

Commestibilità: commestibile di ottima qualità.

Caratteri differenziali:

risulta facilmente riconoscibile per il fragrante odore di farina fresca; per la carne molto fragile; per le lamelle secedenti, ovvero che si staccano facilmente dalla carne del cappello, caratterizzate, in maniera più evidente verso la maturità, da sfumature rosate dovute alla presenza delle spore di colore rosa.

Specie simili:

  • Clitopilus cystidiatus Hauskn. & Noordel.

Öst. Z. Pilzk. 8: 200 (1999)

È la specie che presenta maggiori similarità, quasi un sosia, differisce per il portamento tricholomatoide, per le dimensioni minori, per il colore grigiastro del cappello e delle lamelle, per il gambo ben sviluppato e per i caratteri microscopici [Buda, 2011; AGMT, 2013; Della Maggiora & Pera, 2021].

Può, inoltre, essere facilmente scambiato, specialmente da parte dei raccoglitori poco esperti, con molte specie fungine tossiche di colore bianco appartenenti al genere Clitocybe quali, ad esempio:

  • Clitocybe candicans (Pers.) P. Kumm. (1871) 

[nome corrente Leucocybe candicans (Pers.) Vizzini, P. Alvarado, G. Moreno & Consiglio, 2015]

  • Clitocybe cerussata (Fr.) P. Kumm. (1871)
  • Clitocybe dealbata (Sowerby) P. Kumm. (1871) 
  • Clitocybe phyllophila (Pers.) P. Kumm. 1871] 
  • Clitocybe rivulosa (Pers.) P. Kumm. (1871) 

che differiscono per la consistenza della carne che si presenta tenace, elastica e fibrosa (fragile, friabile e facilmente soggetta alla rottura in C. prunulus); per le lamelle mai asportabili dal cappello, sempre di colore bianco (rosate e facilmente asportabili dal cappello in C. prunulus); per l’odore mai di farina fresca come in C. prunulus.

***************

Foto: Franco Mondello; Angelo Miceli

Bibliografia

  • A.G.M.T., 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Buda Andrea, 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Della Maggiora Marco, Pera Umberto, 2021: Funghi in Toscana. AGMT (Associazione Gruppi Micologici Toscani). La Pieve Poligrafica, Villa Verrucchio (RN), I

Sitografia

https://www.funghiitaliani.it/topic/15085-clitopilus-prunulus-scop-fr-quel-1871/

  • IF (ultima consultazione, dicembre 2021), Indexfungorum database. www.indexfungorum.org
  • MB (ultima consultazione, dicembre 2021), Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks. www.mycobank.org
  • MicologiaMessinese (ultima consultazione, dicembre 2021), Clitopilus prunulus

https://micologiamessinese.altervista.org/Funghi%20C.htm#Clitopilus%20prunulus

Altra bibliografia di approfondimento

  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria, 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Mazza Riccardo, 2010: I funghi, guida al riconoscimento. VI Edizione. Fabbri Editori. Milano. I
  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali. Genova. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I 

Daedalea quercina (L. : Fr.) Pers. (1801)

Ritorniano, ancora una volta, nel meraviglioso ed intricante mondo dei funghi lignicoli, ovvero quelli che sono soliti crescere in associazione a colture arboree vive o in fase di degradazione. Daedalea quercina, protagonista della nostra nuova “Riflessione Micolgica” è un fungo dalla conformazione imeniale particolare che è possibile, considerata la sua forma di crescita pluriannuale, trovare nel bosco, associato a colture arboree di Quercus s.l., ma non solo, durante tutto l’arco dell’anno. Tipica specie fungina a doppia forma nutrizionale: parassitica e saprotrofica, risulta facilmente identificabile, anche da parte dei meno esperti, per la particolare conformazione labirintiforme (1) della sua superficie fertile. Viene inserita nel gruppo informale dei Polipori. 

I Polipori – tratto da Miceli & Di Vincenzo (2020: 9-18)

Denominazione informale riferita ad un raggruppamento di comodo estremamente eterogeneo e polifiletico (quando le specie inserite nel gruppo non discendono da un unico antenato) che ospita specie fungine caratterizzate da imenoforo a tubuli non asportabile dalla carne soprastante con la quale forma un insieme strettamente omogeneo. I pori, a seconda delle varie specie, possono essere di forma regolare, arrotondata o irregolare e più o meno allungata. Nel gruppo trovano posto tanto basidiomi privi di gambo (sessili) quanto muniti di gambo (stipitati) che, in tal caso, può essere posizionato centralmente o lateralmente [Boccardo et al., 2008; Miceli e Di Vincenzo, 2020].

Genere Daedalea Pers. : Fr. 

Syn. meth. fung. (Göttingen) 2: 500 (1801)

Al Genere, la cui specie tipo è Daedalea quercina, appartengono basidiomi pluriennali, di medio-grandi dimensioni, muniti di cappello e privi di gambo (sessili), a forma di mensola semicircolare, agenti di carie bruna che presentano le seguenti caratteristiche: 

Superficie sterile liscia, feltrata, solcata, glabra o vellutata, concentricamente zonata.

Superficie fertile irregolarmente poroide con pori ad andamento labirintiforme molto evidente.

Contesto relativamente spesso, bruno, inizialmente duro, tenace, poi quando secco molto leggero, suberoso.

Habitat

su latifoglie in forma parassitica o saprotrofica.

Commestibilità

NON commestibile.

Daedalea quercina (L. : Fr.) Pers. 

Syn. meth. fung. (Göttingen) 2: 500 (1801)

Accentazione: Daedàlea quercìna

Basionimo:Agaricus quercinus L. 1753

Posizione sistematica: Classe Basidiomycetes, Ordine Polyporales, Famiglia Fomitopsidaceae; Genere Daedalea.

Etimologia: Daedalea dal greco δαιδάλεος (daidàleos) = dedalo con espresso riferimento alla conformazione labirintiforme della zona imeniale; quercina dal latino quercus quercia con riferimento al tipico habitat di crescita.

Sinonimi principali: Agaricus labyrinthiformis Hoffm. (1789); Merulius quercinus (L.) Pers. (1794); Daedalea nigricans Pers. (1801); Daedalea inzengae Fr. (1869); Antrodia hexagonoides (Fr.) P. Karst. (1879); Lenzites quercinus (L.) P. Karst. (1888); Daedaleites quercinus (L.) Mesch. (1892); Trametes quercina (L.) Pilát (1939).

Nomi dialettali: Funcia di quercia [Bonazzi, 2003]; Func’i i cerza [Buda, 2017] (nomi dialettali in uso nel territorio siciliano).

Descrizione macroscopica

 

Basidiocarpo di medio-grandi dimensioni, a crescita lignicola, sessile (privo di gambo), aderente al substrato di crescita, con forma di mensola semicircolare ed irregolare, a crescita singola o in forma sovrapposta. Superficie sterile irregolare, ondulata, concentricamente zonata, gibbosa, inizialmente feltrata poi, negli esemplari maturi, glabra, nodulosa, solcata, opaca, colore variabile da grigio-grigiastro a grigio-bruno. Bruno-ocraceo, bruno-rossiccio; margine assottigliato, ottuso, ondulato e leggermente lobato, di colore bianco-biancastro, beige negli esemplari giovani, scurente negli esemplari maturi. Superficie fertile a tubuli monostratificati inizialmente di colore ocraceo poi, verso la maturazione, ocra-ruggine più o meno intenso; pori molto irregolari, ampi, da poroidi fino a sinuoso-dedaleiforme fino a lamelliforme-anastomosati, colore inizialmente beige-ocraceo chiaro, poi più scuri. Spore in massa bianco-biancastre. Contesto omogeneo, zonato, tenace, duro, di colore bruno-ocraceo, negli esemplari essiccati assume una consistenza suberosa e molto leggera. Odore gradevole; sapore amarognolo.

Habitat

Cresce in forma singola o ad esemplari sovrapposti, imbricati, prevalentemente su ceppaie o su trochi viventi di latifoglie del Genere Quercus ma anche su Castanea e Populus viene anche rinvenuto su rami secchi, morti, ma ancora attaccati alla pianta vivente, o su legname messo in opera e lavorato. Abbastanza diffuso e rinvenibile tutto l’anno. É agente di carie bruna (2).

Commestibilità: NON commestibile.

Caratteri differenziali

Facilmente distinguibile per i pori che si presentano molto grandi, di colore bianco-biancastro e, in particolare, per la loro forma allungata, labirintiforme; per la consistenza legnosa della carne che a carpoforo essiccato diviene molto leggera e suberosa.

Specie simili

  • Daedaleopsisis confragosa (Bolton : Fr.) J. Schröt. (1888)

E’ la specie che per la similarità della zona imeniale presenta una maggiore somiglianza. Differisce per le dimensioni minori dei singoli basidiomi e per l’aspetto quasi laccato degli stessi; per la conformazione dei pori oblunghi, angolosi, irregolari, inizialmente bianchi poi ocracei e viranti al tocco al fulvo-rossastro; per la diversa conformazione delle spore e di altri caratteri miscroscopici.

Foto: Filippo Gabriele La rosa, Angelo Miceli

***************

  1. Labirintiforme con andamento tortuoso e contornato che ricorda lo sviluppo contorto di un labirinto. In micologia utilizzato per definire l’andamento tortuoso della zona imeniale di alcuni polipori (es. Daedalea quercina).
  2. Carie bruna o Carie cubica – tratto da Miceli e Di Vincenzo (2020: 9-18)

si manifesta quando il fungo parassita che attacca la specie arborea utilizza, per il suo nutrimento, esclusivamente la cellulosa che deteriorandosi perde di consistenza assumendo un colore più scuro, tendente al bruno-brunastro fessurandosi, al contempo, in piccole zone a forma di parallelepipedo o di cubo derivandone, per tali motivi, la denominazione di carie bruna o carie cubica. Tra le specie fungine più comuni agenti di carie bruna ricordiamo: Laetiporus sulphureusPiptoporus betulinusPhaeolus schweinitziiFomitopsis pinicola, Fomitopsis iberica…..[ Goidànich G., 1975; AMINT; Miceli & Di Vincenzo, 2020].

***************

Bibliografia

  • Bernicchia Annarosa, 2005: Polyporaceae s.l.. Edizioni Candusso, Alassio (SV). I
  • Bernicchia Annarosa, Sergio Pérez Gorjón, 2020: Polypores of the Mediterranean Region.Romar Edizioni,Segrate Milano. I
  • Bertinara Giorgio, Tizzoni Renato, Zorio Piero, 2020: Atlante dei funghi del Biellese. E20ProgettiEditore. Biella. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Ristampa 2013. Edit. Zanichelli, Bologna. I 
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Buda Andrea, 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Buda Andrea, 2017: I Funghi degli Iblei. Vol. 2. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Goidànich Gabriele, 1975: Manuale di patologia vegetale. Vol. II, Edizioni Agricole, Bologna. I
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo, 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Miceli Angelo, Di Vincenzo Carmelo, 2020: Fomitopsis iberica, primo ritrovamento nel terriotrio messinese. Il Fungo, periodico del Gruppo Micologico e Naturalistico “R. Franchi”, anno XXXVIII n. 1: 9 – 18. Reggio Emilia. I
  • Oppicelli Nicolò, 2020: Funghi in Italia. Erredi Grafiche Editoriali. Genova. I 

 

Sitografia

  • Acta Plantarum (ultima consultazione, maggio 2021) Etimologia dei nomi botanici e micologici e corretta accentazione. https://www.actaplantarum.org/etimologia/etimologia.php
  • A.M.I.N.T. (Associazione Micologica e Botanica) (ultima consultazione, maggio 2021): Carie Bruna o carie cubica: 

http://www.funghiemicologia.com/phpBB3/viewtopic.php?t=18245

Amanita verna, bella, subdola, mortale

E’ una delle numerose specie fungine che si affaccia, al tepore della primavera, tra i cascami fogliari nei boschi di latifoglie dove si fa facilmente notare per la sua particolare, candida bellezza dietro la quale, purtroppo, nasconde, in maniera subdola, numerose e pericolosissime tossine che la posizionano tra le specie fungine più velenose e, per l’uomo, in caso di ingestione, ad effetto mortale.

Amanita verna, protagonista, purtroppo, di numerose intossicazioni anche con danni irreversibili o addirittura mortali, si configura, unitamente alle consorelle A. phalloidesA. phalloides var. AlbaA. virosa ed A. porrinensis, tra le specie fungine più pericolose esistenti al mondo, occupando un posto di rilievo nella classifica dei funghi più velenosi. Nella sistematica fungina trova posto nella Sezione Phalloideae del Sottogenere Amanitina, Genere Amanita.

Genere Amanita Pers. 1797. – Tratto da Miceli (2019: 27-33)

Il genere, la cui specie tipo è A. muscaria, ospita sporofori di medio-grandi dimensioni, eterogenei, caratterizzati da cappello convesso sul quale, spesso, si trovano residui velari, con margine liscio o tipicamente striato; lamelle libere; gambo più o meno ingrossato alla base, con presenza o assenza di anello; con volva basale; sporata in massa bianca. Si conoscono specie di ottima qualità e altre, non poche, velenoso-mortali la cui ingestione provoca sindromi tossiche di varia natura: sindrome falloidea, panterinica, muscarinica, emolitica ecc. 

Al Genere appartengono sporofori eterogenei (quando cappello e gambo presentano struttura molecolare diversa che consente una netta e facile separazione dei due elementi) ben differenziati e facilmente individuabili, limitatamente alla determinazione del genere di appartenenza, per la presenza di particolari e caratteristiche ornamentazioni che si formano sul cappello e sul gambo, tanto nella parte apicale quanto nella parte inferiore. Sono funghi bivelangiocarpici ossia muniti di due veli. Uno detto velo generale che avvolge l’intero carpoforo fin dalla sua formazione allo stadio di primordio che lo rende simile, per la sua strutturazione, ad un uovo e per tale caratteristica consente di conferirgli, appunto, la denominazione di “ovolo”; l’altro, detto velo parziale, inteso a proteggere la zona imeniale (parte fertile del fungo – formata, nel caso delle Amanite, da lamelle e situata nella parte inferiore del cappello ove si formano gli elementi riproduttivi: le spore) che dall’orlo del cappello si estende fino al gambo.

La formazione del carpoforo, con il suo accrescimento sia in altezza sia in larghezza, causa, man mano che il processo di formazione procede, la lacerazione dei due veli che, a rottura, formano, per quanto riguarda il velo generale, un residuo che rimane attaccato nella parte bassa del gambo dando origine alla formazione di una specie di guaina basale detta “volva” ed anche, a volte, alla formazione di residui dissociati sul gambo ed alla formazione – anche se non sempre – sul cappello di ornamentazioni dette, in senso generico, “verruche”. Per quanto riguarda il velo parziale, la sua lacerazione, con il distacco dello stesso dall’orlo del cappello, causa – anche se non sempre – la formazione di un “anello” che va a posizionarsi sul gambo [Miceli, 2019].

Sottogenere Amanitina (E.-J. Gilbert) E.-J. Gilbert 1941. 

Tratto da Miceli (2019: 27-33)

Il sottogenere ospita sporofori di piccole, medie o medio-grandi dimensioni, caratterizzati da cappello inizialmente carnoso che assume, verso la maturazione, una consistenza molliccia, con margine regolare, intero, non striato o leggermente striato solo a maturità, a volte leggermente appendicolato per la presenza di residui velari. Cuticola liscia, priva di verruche, più o meno vischiosa. Gambo asciutto, inizialmente pieno, con consistenza molle (midolloso) verso la maturazione, cilindrico e sempre munito di bulbo basale; di colore bianco-biancastro, liscio o ricoperto da fiocchetti concolori. Anello generalmente persistente, ampio e membranoso, a volte leggermente striato. Volva membranosa, aderente al gambo, libera nella zona apicale [Miceli, 209].

Sezione phalloideae (Fr.) Quél. 1872 – Tratto da Miceli (2019: 27-33)

Alla sezione appartengono sporofori caratterizzati da velo generale membranoso, muniti di volva e anello persistente [Miceli, 2019].

Amanita verna (Bull. : Fr.) Lam.

Encycl. Méth. Bot. (Paris) 1(1): 113 (1783)

Accentazione: Amaníta vérna

Posizione sistematica: Classe Basidiomycetes, Ordine Amanitales, Famiglia Amanitaceae, Genere Amanita, Sottogenere Amanitina, Sezione Phalloideae [Galli, 2007].

Etimologia: Amanita, dal greco amanìtai, appellativo utilizzato dagli antichi greci riferito a specie fungine mangerecce rinvenute sul monte Amanòs nella Turchia asiatica; verna dal latino ver =primavera, ovvero primaverile, con espresso riferimento al periodo di crescita.

Principali sinonimi: Agaricus bulbosus-vernus Bull. (1780); Agaricus vernus Bull. (1783); Amanitina verna (Bull. ex Lam.) E.-J. Gilbert (1940); Venenarius vernus (Bull. ex Lam.) Murrill (1948).

Nomi volgari: Tignosa di primavera, Agarico di primavera, Tignosa [Bonazzi, 2003], Tignosa bianca [Buda, 2017].

Nomi dialettali: funciu di cerza [Buda, 2017].

 

Descrizione macroscopica

Cappello di medie dimensioni (da 5 a 10 cm), inizialmente emisferico, poi, verso la maturazione convesso, piano-convesso ed infine piano o, a volte, leggermente depresso; superficie regolare, liscia, separabile, lucida, interamente bianca con, a volte, nella zona discale di esemplari maturi, sfumature giallo-ocra, raramente con residui velari; margine regolare, intero, privo di striature. Imenoforo a lamelle fitte, sottili, libere al gambo, intervallate da lamellule di diversa lunghezza, colore bianco. 

Spore in massa bianche. Gambo centrale, cilindrico, generalmente diritto, attenuato all’apice, con evidente bulbo arrotondato alla base, inizialmente pieno, poi farcito (così quando, verso la maturazione, la struttura interna comincia a diventare meno compatta) e, successivamente, cavo, superficie totalmente bianca, a volte ricoperta da una fine pruina nella zona apicale, sopra l’anello e da leggere e poco evidenti fioccosità nella zona sotto l’anello. Anello apicale, molto vicino al punto di inserzione delle lamelle, bianco, membranoso, sottile, pendulo, presto lacerato e poco persistente, liscio nella parte inferiore, leggermente striato in quella superiore. Volva bianca, membranosa, sacciforme, aderente al bulbo, libera all’orlo, spesso lobata. Carne inizialmente soda, poi molliccia, bianca priva di odore e sapore particolare.

Habitat

Tipicamente primaverile, cresce solitaria o in pochi esemplari nei boschi temperati di latifoglie o misti.

Commestibilità: VELENOSO-MORTALE. Causa sindrome falloidea(1) caratterizzata da grave insufficienza epatica.

Caratteri differenziali

Cappello emisferico, perfettamente bianco con leggere sfumature ocracee nella zona discale, privo di residui velari; gambo non zebrato con caratteristico bulbo basale avvolto da volva sacciforme libera all’orlo; per l’anello interamente bianco, posizionato nella zona alta del gambo.

Specie simili

Può essere facilmente confusa con molte specie fungine di colore bianco appartenenti allo stesso genere o a generi diversi:

  • Amanita phalloides Var. alba Costantin & L.M. Dufour (1895)

Molto simile nella conformazione morfo-cromatica e, quindi, facilmente confondibile, differisce per la presenza di fibrille sul cappello e per la tipica crescita autunnale.

  • Amanita porrinensis Freire & M.L. Castro ex Castro (1998)

Facilmente riconoscibile per il cappello di piccole dimensioni, caratterizzato da un largo umbone centrale molto prominente che gli fa assumere la tipica conformazione di un “sombrero messicano”.

  • Amanita virosa Bertill. (1866)

Differisce per la conformazione glandiforme del cappello, sempre lobato; per il gambo fioccoso; per l’habitat di crescita che privilegia boschi montani.

 

È opportuno sottolineare, ancora, che a causa del suo colore perfettamente bianco può essere confusa, come purtroppo avviene e spesso con esiti irreversibili, con numerose specie fungine appartenenti al Genere Agaricus che differiscono per il colore delle lamelle che varia dal grigio chiaro al grigio-rosato già negli esemplari giovani scurendosi sempre più, a maturazione, assumendo tonalità più intense fino a bruno-nerastro e per la totale assenza di volva alla base del gambo. 

***************

  1. Sindrome falloidea

Il periodo di latenza varia tra le 6 e le 24 ore dal consumo dei funghi.

I sintomi si manifestano in fasi progressive di aggravamento: inizialmente disturbi gastrointestinali, dolori addominali, vomito, diarrea, stato di disidratazione; successivamente, nei giorni seguenti, dopo un apparente miglioramento, inizia a manifestarsi danno epatico che, in una fase ancora successiva, si avvia verso insufficienza epatica acuta, ipoglicemia ed ittero, coma epatico, insufficienza renale, decesso.

I principi tossici si identificano in fallolisine, falloidine e amanitine, queste ultime le più pericolose: la dose letale è pari a 0,1 mg per Kg di peso corporeo, basti pensare che un esemplare fungino di medie dimensioni contiene da 5 ad 8 mg. di amanitina, più che sufficienti per causare la morte di un individuo adulto (Milanesi, 2015).

Le specie responsabile dell’intossicazione sono: Amanita phalloides, A. phalloides Var. AlbaA. vernaA. virosa,A. porrinensisGalerina marginataG. autunnalisG. badipesConocybe filarisLepiota helveolaL. josserandii,L. brunneoincarnataL. castaneaL. subincarnata, L. clypeolariodes

Le statistiche riferiscono di numerosi casi di decesso e numerosi altri risolti con trapianto di fegato. 

 

***************

Foto: Carmelo Di Vincenzo; Angelo Miceli

 

***************

Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i Funghi. 2^ Edizione. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN). I
  • Assisi Francesca, 2007: Tossicologia del Genere Amanita. In Galli R., 2007: Le Amanite. 2^ edizione. dalla Natura, Milano. I
  • Assisi Francesca, 2012: I funghi: guida alla prevenzione delle intossicazioni. Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda – Centro Antiveleni Milano, Milano. I
  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano. I
  • Bettin Antonio – 1971: Le amanite. L.E.S. Libreria Editrice Salesiana, Verona. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Buda Andrea, 2017: I Funghi degli Iblei. Vol. 2. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, -1993, Funghi Amanite. Calderini edagricole, Bologna. I
  • Galli Roberto, 2007: Le Amanite. 2^ edizione. dalla Natura, Milano. I
  • La Spina Leonardo – 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo I. Eurografica, Riposto (CT) – I
  • Merlo Erica, Traverso Mido, 1983: Le Amanite. Sagep Editrice, Genova
  • Miceli Angelo, 2019: Amanita porrinensis, una specie rarissima ritrovata sui Monti Peloritani. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 12: 27-33. Ponte a Moriano (LU) – I 
  • Miceli Angelo, Oppicelli Nicolò, Papetti Carlo, 2020: Amanita phalloides. Funghi e dintorni, Supplemento a Rivista di Micologia n. 6: 1-21. A.M.B. Trento. I
  • Neville Pierre, Poumarat Serge, 2004: Amaniteae. Collana Fungi Europaei. Edizioni Candusso, Alassio (SV)
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I

 

Sitografia

Lactarius deliciosus (L. : Fr.) Gray 1821

Strana primavera quella del 2020 che ci vede asserragliati tra le mura delle nostre case nello strenuo tentativo di difenderci dall’assedio di un nemico invisibile ma insidioso, pericoloso e pronto a colpire quando meno te lo aspetti che ci sta privando, speriamo per poco ancora, della quotidianità sociale e delle tanto attese passeggiate nei boschi che in questo periodo dell’anno lasciano sempre sperare in interessanti incontri con le prime specie fungine che cominciano a fare capolino tra l’erba del sottobosco. Tutto rimandato, quest’anno, ad un periodo più tranquillo, sperando che il prossimo autunno, o ancor prima, sia tutto finito ed il Covid 19 possa essere solo il ricordo di una drastica realtà. 

Nell’attesa, quindi, del ritorno alla normalità e fortemente incitati dal “richiamo del bosco”, ci tuffiamo a ritroso nel tempo, ammirando la nostra collezione mico-fotografica che ci riporta ai nostri primi ritrovamenti quando, prima ancora di essere irrimediabilmente contagiati dalla “febbre del fungo”, eravamo soliti accompagnarci ad un gruppo di “esperti funciari” alla ricerca di lattari e pinaroli che sollecitavano, in maniera sempre più pressante, la nostra curiosità di “cercatore principiante”.

Lactarius delicious, la prima specie conosciuta, incontrata, per la prima volta, nella pineta di San Marco nel comune di Novara di Sicilia (ME), si può dire sia stata il nostro “primo amore” che, quindi, “non si scorda mai”. Si tratta di una specie fungina a larga diffusione territoriale con crescita abbondante e tipicamente legata in rapporto di micorriza ectotrofica(1) con colture arboree del genere Pinus. Specie molto ricercata per le qualità organolettiche, per il suo utilizzo in cucina e per la facilità alla determinazione anche da parte dei cercatori principianti.

Viene posizionata, nella attuale configurazione sistematica, facendo riferimento a quella adottata da Maria Teresa Basso [Cfr. Basso M. T.: Lactarius Pers.] e da noi utilizzata nella stesura di questa “Riflessione Micologica”, nella Classe Basidiomycetes, Ordine Russulales, Famiglia Russulacae, Genere Lactarius, Sottogenenere Piperites, Sezione Dapetes.

 

Genere Lactarius Pers. 1797

La denominazione del Genere fa riferimento a Christian Hendrik Persoon, botanico e micologo sudafricano (Capo di Buona Speranza, 1761 – Parigi,1836) considerato come il padre della sistematica micologica, il quale nel 1797 attribuisce il nome Lactaria al genere comprendente funghi secernenti latice e, successivamente, nel 1799, nelle “Observationes Mycologicae” identifica il genere con il nome di Lactarius [Basso M. T., 1999].

Al Genere appartengono specie fungine caratterizzate dalla presenza, nella struttura del carpoforo (cappello, lamelle, gambo), di una sostanza latiginosa più o meno densa chiamata “latice (2), contenuta all’interno di “tubi laticiferi” che fuoriesce in maniera più o meno abbondante alla frattura del carpoforo. Per tale caratteristica risulta semplice, anche per i meno esperti, determinare con facilità il Genere di appartenenza dei singoli esemplari, anche se non è sempre semplice – anzi è piuttosto difficoltoso – pervenire con esattezza al riconoscimento della specie.

Si tratta di funghi ben strutturati, forniti di cappello e gambo con struttura omogena (quando cappello e gambo sono formati da cellule di analoga struttura e risultano essere tra di loro saldamente uniti tanto che la separazione tra i due elementi avviene con una certa difficoltà), terricoli, simbionti, con imenoforo (zona fertile del fungo posizionata nella parte inferiore del cappello ove si formano gli elementi fertili: le spore) non asportabile a lamelle ed assenza di residui velari, con carne a frattura gessosa (quando per le sollecitazioni esterne si rompe nettamente con un tipico “crac” comportandosi, alla frattura, alla stessa maniera di un pezzetto di gesso o di polistirolo), definita anche cassante, per la presenza di cellule a forma sferica (sferociti). La conformazione strutturale, proprio per la presenza di cellule sferoidee e dei vasi laticiferi, li assimila ai carpofori appartenenti al Genere Russula tanto che, unitamente a questi ultimi, vengono posizionati nella Famiglia delle Russulaceae, Ordine Russulales. E’ opportuno precisare che nel Genere Lactarius i vasi laticiferi risultano essere attivi, ovvero contengono latice, mentre nel Genere Russula sono sterili, ovvero sono privi di latice. 

Le spore in massa si presentano di colore variabile dal bianco al giallo ocra, identificando, così, specie fungine appartenenti al gruppo dei leucosporei (funghi con le spore in massa di colore bianco, biancastro o tendente al rosato o verdino).

La determinazione del genere e delle varie specie ad esso appartenenti è demandata, prevalentemente, all’attenta osservazione dei caratteri macroscopici combinati variamente tra di loro in quanto non sempre l’osservazione di uno solo di questi indirizza con certezza verso la corretta individuazione della specie [Foiera F. e altri, 1998]. In effetti sono numerose le specie appartenenti al genere Lactarius che si possono determinare anche con la sola osservazione dei caratteri macroscopici, tuttavia lo studio e l’osservazione delle caratteristiche microscopiche consentono una maggiore precisione nella individuazione della sezione di appartenenza e nella determinazione delle numerose specie [Basso M.T., 1999]. E’ opportuno precisare che l’utilizzo del microscopio ha consentito di evidenziare numerosi elementi utili a rilevare differenze e similarità tra le specie tanto da potere creare nuove specie e consentire una maggiore precisione nella suddivisione intragenerica delle numerose specie appartenenti al genere.

Omettiamo la descrizione dei caratteri macroscopici ed organolettici rimandando il lettore ad un testo monografico specifico [Cfr. Basso M. T.: Lactarius Pers. – Foiera F. e altri: Funghi Lattari], limitandoci ad evidenziare che il latice é l’elemento che maggiormente caratterizza le varie specie appartenenti al genere e costituisce un fattore particolarmente utile, anche se non unico, alla corretta determinazione di ogni singola specie.

Sottogenere Piperites (Fries) Kauffman 1918

Vi trovano posto specie fungine caratterizzati da cappello viscido, viscoso o glutinoso a tempo umido o glassato e/o lucido a tempo secco, a volte zonato (quando presenta ornamentazioni circolai concentriche con colore diverso dalla superficie), tomentoso (quando è ricoperto da una fitta e corta peluria che lo rende simile a velluto) al margine di taglia medio-grande, caratterizzate da latice inizialmente bianco, immutabile o virante al grigio, verdognolo, viola, giallo o da latice di colore arancio o rosso sangue o tendente al blù-bluastro (solo specie appartenenti alla sezione Dapetes). Nel sottogenere vengono ospitate specie appartenenti alle seguenti sezioni: AtroviridiDapetesZonarii,PiperitesUvidiGlutinosi [Basso M. T., 1999].

 

Sezione Dapetes Fries 1838

Vi appartengono carpofori di medio-grandi dimensioni caratterizzate da cappello colore arancio, arancio-rossastro con zonature e/o guttule, spesso inverdente, con latice colorato sui toni arancio, rosso, vinoso o, a volte, in parte blù. Associate, generalmente, a conifere. La Sezione, stante alla sistematica seguita, è divisa in due Sottosezioni: Deliciosini e Sanguifluini.

Lactarius deliciosus (L. : Fr.) Gray

Nat. Arr. Brit. Pl. (London) 1: 624 (1821)

Accentazione: Lactàrius deliciòsus

Basionimo: Agaricus deliciosus L. 1753cl

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Russulales, famiglia Russulaceae, genere Lactarius sottogenere: Piperites, sezione Dapetes, sottosezione Deliciosini.

 

Etimologia: Lactarius dal latino lac = latte, con espresso riferimento alla tipica emissione, al taglio o alla frattura, di latice. Delicious (dal latino) = delizioso con riferimento alla commestibilità ed alla gradevolezza al palato.

Principali sinonimi: Lactaria lateritia Pres. (1797); Lactifluus deliciosus (L.) Kuntze (1891); Lactarius laeticolor (S. Imai) Imazeki ex Hongo (1960): Lactarius pinicola (Smotl.) Z. Schaefer (1970).

Nomi volgari: Sanguinello, Lapacendro, Agarico delizioso [Bonazzi U., 2003].

Nomi dialettali: Tra i numerosi nomi dialettali in uso nelle varie zone, ci limitiamo a citare solamente quelli maggiormente utilizzati in Sicilia: Russiddu, Rusitu, Funciu rosellino [Bonazzi U., 2002] Rusillinu [Buda A., 2011, La Spina L., 2017]. 

 

Descrizione Macroscopica 

Cappello di medio-grandi dimensioni, inizialmente emisferico-convesso e precocemente ombelicato poi, verso la maturazione, piano-convesso con depressione centrale che assume, nei vecchi esemplari, una conformazione imbutiforme. Superficie grassa e lucida specialmente a tempo umido con zonature più o meno accentuate e con aspetto irregolare per la presenza di fossette e guttule, cuticola elastica, tenace e poco separabile, ricoperta da pruina biancastra a tempo secco. Margine arrotolato negli esemplari giovani, poi ricurvo e tendente ad appiattirsi negli esemplari maturi, con andamento regolare o ondulato, spesso lobato, pruinoso. Colore crema-arancio, crema-rossastro, bruno-rossastro più o meno marcato a volte con sfumature rosate o tendente al verdastro nelle zone erose. Imenoforo a lamelle fitte, adnato-decorrenti, inizialmente arcuate poi diritte, fragili e sottili, taglio intero, forcate in prossimità del gambo, intervallate da numerose lamellule di misura diversa, colore arancio, arancio-giallognolo, arancio –rossastro, rossastro-violaceo tendenti al verdastro nelle zone erose o lesionate. Gambo cilindrico, corto, tozzo, centrale, a volte eccentrico, svasato all’apice e attenuato in basso, fragile, pruinoso, farcito (quando all’interno presenta una struttura meno consistente e meno compatta), presto cavo, sovente parassitato dai vermi, ricoperto, alla base, di abbondante feltro miceliare biancastro. Superficie di colore biancastro-aranciato, crema-aranciato pallido che assume, alla manipolazione, sfumature verdastre, ornata da scrobicoli (piccole incavature di forma irregolarmente circolare più o meno profonde, tipicamente ornamentali del gambo dei lattari) di colore arancio-rossastro che contrastano con il colore di fondo. Carne cassante (si rompe nettamente alle sollecitazioni), inizialmente soda poi molliccia specialmente nel gambo dove presto viene invasa dai vermi; colore carota o arancio-carota che, con la maturazione, passa lentamente al crema-giallognolo con sfumature verdastre, biancastra nella parte centrale del gambo. Odore gradevole, fruttato; sapore inizialmente mite poi leggermente amarognolo. Latice non abbondante, arancio vivo, arancio-carota tendente, col tempo, a sbiadire. 

Habitat

Specie autunnale, dalla fine dell’estate fino ad inizio inverno. Legata in simbiosi micorrizica con specie arboree del genere Pinus. Cresce in forma gregaria ed abbondante sia nei boschi di montagna che in quelli di pianura.

Commestibilità

Buon commestibile. Specie molto diffusa, conosciuta e raccolta per uso alimentare e commercializzata nei mercati rionali.

 

Caratteri differenziali

Si riconosce facilmente per l’habitat esclusivo presso Pini; per il colore del latice arancio vivo, arancio-carota, immutabile ma tendente a schiarirsi in tempi più o meno lunghi; per il gambo corto e scrobicolato; per il cappello arancio con zonature più o meno marcate; per il leggero inverdimento delle parti erose.

 

Specie simili

Tra le numerose specie simili – specialmente quelle appartenenti alla sezione Dapetes, ma non solo – che facilmente si prestano alla confusione, riportiamo quelle da noi ritenute più significative rimandando il lettore, per eventuali approfondimenti, ad un testo monografico: 

  • Lactarius sanguifluus var. sanguifluus (Paulet) Fr. (1838)

Differisce per il colore del latice che si presenta subito color rosso-sangue non inverdente; per il cappello colore aranciato e privo di zonature.

  • Lactarius sanguifluus  var. violaceus (Barla) Basso (1999)
Foto 07 Lactarius sanguifluus var. violaceus Foto Franco Mondello
Foto 07 Lactarius sanguifluus var. violaceus Foto Franco Mondello

Differisce per il latice color vinoso e per la carne che vira al taglio verso il rosso-vinoso; per il cappello color violaceo-vinoso; per l’inverdimento spesso completo; per il gambo bianco pruinoso con scrobicoli rosso-violaceo.
 

  • Lactarius semisanguifluus R. Heim & Leclair (1950)

Differisce per il colore del latice che, inizialmente di colore arancio intenso, vira al vinoso dopo circa 7-8 minuti; per il colore del cappello arancio, arancio-rosato con sfumature vinose.
 

  • Lactarius deterrimus Gröger (1968)

Differisce per il colore del latice inizialmente colore arancio-carota, poco abbondante, che vira in circa 30 minuti verso il colore arancio-rossastro; per l’habitat di crescita che lo vede legato a aghifoglie del genere Abete.
 

  • Lactarius chrysorrheus Fr. (1838)
Foto 08 Lactarius chrysorrheus - Foto: Angelo Miceli
Foto 08 Lactarius chrysorrheus – Foto: Angelo Miceli

Si riconosce facilmente per la colorazione del cappello su toni fulvo-rosati, per la presenza di guttule e zonature di colore più scuro; per il latice abbondante di colore biancastro che tende rapidamente ad assumere un colore giallo-zolfo; per l’habitat tipico in boschi di latifoglia o misti.

 

Note e Curiosità:

Può capitare, anche con una certa frequenza, trovandosi nei boschi alla ricerca di Lattari, di imbattersi in esemplari parassitati: generalmente Lattari appartenenti alla Sezione Dapetes che vengono attaccati da un microfungo appartenente al Genere Hypomyces, generalmente Hypomyces lateritius (Fr.) Tul. & C. Tul. spesso indicato come Hypomyces deformans (Lagger) Sacc. o Peckiella deformans (Fr.) Maire. Questi attacca gli esemplari fungini nella zona imeniale impedendo una corretta formazione e crescita del carpoforo deformandolo. Le lamelle si presentano completamente invase dal fungo parassita che, ricoprendole totalmente, forma uno strato uniforme di muffa biancastra, dura e liscia. I Lattari parassitati, stante le diverse usanze locali, sono considerati migliori dal punto di vista organolettico e regolarmente consumati. Ci permettiamo di dissentire in merito a tale pratica sconsigliandone il consumo per evitare spiacevoli conseguenze anche perché, per le mutate caratteristiche morfocromatiche, possono facilmente essere scambiati con altre specie di dubbia commestibilità. 

 

Note sulla Commestibilità e tossicità del Genere Lactarius

E’ buona norma ritenere che solo i lattari secernenti latice rosso-rossastro, ovvero quelli appartenenti alla Sezione Dapetes, siano da ritenere commestibili, limitandone il consumo solo ad alcune specie quali, ad esempio, Lactarius deliciosus, L. sanglifluus, L. sanguifluus var. violaceus, L. salmonicolor e considerando tutte le altre di scarso valore gastronomico.

Alcune specie a latice bianco di sapore mite sono ritenute commestibili ma ne sconsigliamo il consumo ai fini precauzionali al fine di evitare confusione con specie tossiche. Si ritiene opportuno sconsigliare, nella maniera più assoluta, al fine di evitare spiacevoli conseguenze, il consumo delle specie a latice bianco e con sapore acre o pepato anche se alcune di queste vengono consumate in diverse zone del meridione d’Italia e in alcuni paesi nordici previo trattamenti empirici quali bollitura preliminare, salatura, essiccazione o fermentazione. 

Al genere non appartengono specie velenose ma solo tossiche in grado di provocare disturbi più o meno gravi in considerazione della quantità consumata e delle condizioni fisiche del consumatore. 

***************

  1. Micorrizza ectotrofica o ectomicorriza: forma di simbiosi stabilita tra il micelio fungino e gli apici radicali di una pianta, attorno ai quali le ife fungine si attorcigliano formando una copertura avvolgente a guisa di mantello detta micoclèna. Endomicorriza o micorriza endotrofica: quando le ife fungine, stabilendo il rapporto di simbiosi, penetrano negli apici radicali della pianta.
  2. Latice: elemento che maggiormente caratterizza le varie specie appartenenti al genere Lactarius, costituisce un fattore particolarmente utile alla corretta determinazione di ogni singola specie.

Si trova all’interno di vasi laticiferi che percorrono tutto il carpoforo dal quale fuoriesce, in maniera più o meno abbondate, per la frattura della carne.

Il colore, che assume notevole importanza per la determinazione della specie, varia dal bianco, bianco-biancastro al giallo, all’arancio, al rossastro, all’azzurro-bluastro.

La sua reazione a contatto con l’aria, dopo la fuoriuscita dal carpoforo, comporta una variazione di colore che viene definita viraggio. A seconda della reazione del latice a contatto con l’aria, si può pervenire ad una prima suddivisone tra specie a latice bianco immutabile, specie a latice rosso, rosso carota, rosso vinoso e specie a latice bianco virante [F. Foiera e altri, 1998].

Il viraggio del latice verso una determinata colorazione riveste molta importanza per la determinazione della specie.

Anche il sapore del latice consente di effettuare altra ulteriore suddivisione tra le specie che vengono distinte in specie con latice mite, specie con latice acre, specie con latice bruciante [F. Foiera e altri, 1998].

 

***************

Foto: Angelo Miceli, Franco Mondello

Tavole Micologiche: Nino Mannina che si ringrazia per la cortese concessione ed autorizzazione alla pubblicazione

 

Bibliografia

  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. (ristampa 2010) Giunti editore, Firenze. I
  • Balestreri Stefano, 2015: Genere Lactarius. Estratto da “Appunti di Micologia” (www.appuntidimicologia.it)
  • Basso Maria Teresa, 1999: Lactarius Pers.. Collana Fungi Europaei Vol. 7. Mykoflora, Alassio (SV). I
  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama srl, Trento. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013). I
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Bresadola Giacomo, 1954: Funghi mangerecci e funghi velenosi. Museo di Storia Naturale. Trento. (IV edizione a cura del Comitato Onoranze Bresadoliane. Milano -Trento). I
  • Buda Andrea, 2011: I funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I.
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, 1998: Funghi Lattari. Calderini edagricole, Bologna. I
  • Galli Roberto, 1997: Il Genere Lactarius, le specie a latice arancione o rosso. I Funghi dove e quando Anno 4 n. 32: 6 – 13. Editins Milano. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • La Spina Leonardo, 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo III. Eurografica, Riposto (CT) – I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria, 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Matteucci Sergio, 2010: I Lactarius della Sezione Dapetes. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 4: 24-31, Ponte a Moriano (LU). I
  • Mazza Riccardo, 2010: I funghi, guida al riconoscimento. VI Edizione. Fabbri Editori. Milano. I
  • Oppicelli Nicolò, 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Papetti Carlo, Consigio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Phillips Roger, 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara

 

Sitografia

Amanita ovoidea (Bull. : Fr.) Link (1833)

Il bosco, nelle sue molteplici sfaccettature di colore e di forme che nelle varie stagioni dell’anno gli conferiscono un aspetto sempre diverso ma sempre accattivante ed interessante, invita gli amanti della natura e della micologia a vivere emozionanti avventure, specialmente nella stagione autunnale, alla ricerca di specie fungine che, esulando dal mero interesse gastronomico, meritano, per la loro bellezza, per la particolarità della conformazione morfologico-strutturale, per i colori meravigliosi con i quali si affacciano nel sottobosco, l’attenzione e la curiosità di quanti, come noi, amano passeggiare nel bosco per approfondire le proprie conoscenze nel campo della micologia. Amanita ovoidea comunemente noto con il nome volgare di “farinaccio”, per la bellezza, per la conformazione e la particolarità delle ornamentazioni che, bambagiose, pendono dal cappello, attira la nostra curiosità e ci spinge a renderlo protagonista della nostra nuova “Riflessione Micologica”. 

Genere Amanita Pers. 1797

Il genere, la cui specie tipo è A. muscaria, ospita sporofori di medio-grandi dimensioni, eterogenei, caratterizzati da cappello convesso sul quale, spesso, si trovano residui velari, con margine liscio o tipicamente striato; lamelle libere; gambo più o meno ingrossato alla base, con presenza o assenza di anello; con volva basale; sporata in massa bianca. Si conoscono specie di ottima qualità e altre, non poche, velenoso-mortali la cui ingestione provoca sindromi tossiche di varia natura: sindrome falloidea, panterinica, muscarinica, emolitica ecc. [Miceli A., 2019]. 

In merito alla particolare e caratteristica crescita degli sporofori, alla formazione dei residui velari ed alle caratteristiche specifiche del genere, per eventuali approfondimenti, si rimanda il lettore a nostri precedenti lavori di recente pubblicazione (A. muscaria, A. phalloides, A. porrinensis ecc.).

 

Amanita ovoidea (Bull. : Fr.) Link, 

Handb. Erk. Gew. 3: 273 (1833)

Specie molto bella, grande e carnosa, raggiunge spesso dimensioni notevoli invogliando, per la particolarità della sua conformazione strutturale e per le dimensioni, all’utilizzo gastronomico con seri rischi di intossicazione. Facilmente riconoscibile per le bellissime decorazioni fioccose completamente bianche che ne ornano il cappello ed il gambo.

 

Basionimo: Agaricus ovoideus Bull. 1788

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Amanitaceae, genere Amanita

 

Etimologia: dal latino ovum = uovo, ovale e dal greco eìdos = somiglianza, con espresso riferimento alla forma che, specie negli esemplari giovani, riconduce a quella di un “uovo”.

Principali sinonimi: Amidella ovoidea (Bull. : Fr.) E. J. Gilbert (1940)

Nomi volgari: Farinaccio, Ovolo bianco, Boreo bianco [Oppicelli N., 2018]

 

Nomi dialettali:

Assume numerose denominazioni dialettali variabili da una località all’altra. Per approfondire l’argomento rinviamo ad un testo specifico (cfr. Bonazzi: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia).

 

Descrizione macroscopica

Cappello di grandi dimensioni, può raggiungere, a volte, anche i 25-30 cm. di diametro. Emisferico nella fase iniziale di sviluppo, poi convesso ed infine piano-convesso; molto carnoso e sodo poi, verso la maturazione, molle; margine arrotolato verso il basso, andamento regolare, a volte leggermente lobato, privo di striature ma sempre appendicolato (quando sono presenti residui velari eccedenti il margine del cappello) per i residui cremosi del velo parziale che tendono a sparire a maturità inoltrata. Cuticola umida, lucida, separabile ed eccedente, colore bianco-biancastro, bianco-latte, bianco-avorio con, a volte, leggere sfumature grigio-rosate, generalmente nude, raramente con ampi resti del velo generale sotto forma di placche di colore biancastro. Imenoforo a lamelle fitte e sottili, libere al gambo, intervallate da lamellule di diversa lunghezza, di colore inizialmente bianco con sfumature rosate verso la maturità, imbrunenti nelle zone sottoposte a pressione. Gambo cilindrico, slanciato e robusto, pieno, sodo, carnoso; leggermente svasato all’apice e progressivamente dilatato verso la base con bulbo ovoidale. Colore bianco, superficie densamente ricoperta da fiocchi biancastri, di consistenza burrosa, fini e cremosi, facilmente rimovibili, tendenti a sparire negli esemplari maturi. Anello posizionato in alto, molto fugace, fragile e poco consistente che si dissolve facilmente in piccoli fiocchi cremosi. Volva membranosa, spessa, persistente, inguainante alla base del bulbo ed allargata verso l’apice. Totalmente bianca, anche a maturità avanzata, tanto all’esterno che all’interno, a volte con piccole macchie ocracee più o meno estese. Carne soda, più compatta nel gambo e meno nel cappello. Sapore dolciastro, odore lieve negli esemplari giovani, sgradevole, forte e persistente in quelli maturi. Spore in massa bianche.

 

Habitat

Specie termofila, cresce indifferentemente sotto latifoglie o conifere preferendo colture arboree appartenenti al Genere Pinus o Quercus, nella macchia mediterranea e nei boschi litoranei, a volte anche in habitat collinari. Da inizio autunno ad inverno inoltrato. Abbondante nei luoghi di crescita.

 

Commestibilità

Controversa. Ritenuta da alcuni autori commestibile dopo cottura e tradizionalmente consumata in alcune regioni. In realtà può causare, come già avvenuto, intossicazioni con conseguenti disturbi intestinali di gravità proporzionale alla quantità di fungo ingerita [Oppicelli N., 2018]. Alcuni autori, ancora, ritengono che possa causare Sindrome Norleucinica(1) con grave insufficienza renale acuta [AMINT, 2007 – Buda A., 2011]. In ogni caso, considerata anche la notevole somiglianza con A. proxima, specie tossica, è preferibile non correre rischi ed evitare, nella maniera più assoluta, di consumarla. Consigliamo, a quanti abbiano il piacere di incontrala nel bosco, di limitarsi ad osservarla, ammirarla per il suo portamento, eleganza e bellezza, fotografarla da varie angolazioni mettendo in risalto la meraviglia delle sue ornamentazioni ed evitando, nella maniera più assoluta, di “invitarla a pranzo” lasciandola al suo posto a completare il proprio ciclo biologico.

 

Caratteri differenziali

Facilmente riconoscibile per la colorazione bianca di tutto il carpoforo, per le ornamentazioni bambagiose che pendono dal margine del cappello, per le lamelle bianche, fitte, per l’anello cremoso, fugace ed inconsistente, per la volva sacciforme ed arrotondata sul gambo e, inoltre, per la taglia che spesso raggiunge dimensioni notevoli e per l’elevato peso specifico.

 

Specie simili

  • Amanita proxima Dumée (1916)
Foto Vincenzo Migliozzi
Foto Vincenzo Migliozzi

Specie tossica. Molto simile ad A. ovoidea per aspetto, ornamentazioni e colore, differisce essenzialmente per la volva sempre di colore ocra anche nei giovani esemplari, per l’anello persistenze e ben formato, per la taglia minore. 

E’ opportuno evidenziare che per il colore totalmente bianco, anche se di conformazione morfologica diversa, può essere confusa, specialmente da quanti hanno superficiali conoscenze micologiche, con le Amanite bianche velenoso-mortali appartenenti alla Sezione Phalloideae quali A. phalloides var. Alba,A. verna ed A. virosa che, in ogni caso, si presentano prive delle ornamentazioni cotonose del cappello e del gambo.

 

***************

  1. Sindrome Norleucinica, deve la propria denominazione alla principale tossina responsabile: la Norleucina. Viene conosciuta anche con la denominazione di Nefrotossica in quanto l’organo principale interessato dalla sintomatologia è il rene; o, ancora, come sindrome Smithiana in quanto rilevata, per la prima volta, dopo il consumo di esemplari di Amanita smithiana. E’ dovuta al consumo di A. proxima o di A. smithiana. La sintomatologia tossica si manifesta entro 12 ore dal consumo dei funghi con disturbi intestinali di varia natura: nausea, vomito, diarrea, dolori addominali, sudorazione, ansietà, disturbi dell’equilibrio della durata di alcuni giorni [Assisi F. ed altri, 2008 – Milanesi I., 2015]. Successivamente, dopo circa 4-6 giorni, si manifesta insufficienza renale grave ma reversibile con una ripresa graduale e completa della funzionalità renale [Assisi F. ed altri, 2008].

***************

Foto: Maria Teresa Basso, Piero Battaglia, Angelo Miceli, Vincenzo Migliozzi, Franco Mondello

Bibliografia

  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. (ristampa 2010) Giunti editore, Firenze. I
  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano. I
  • Bettin Antonio, 1971: Le Amanite. L.E.S. Libreria Editrice Salesiana, Verona- I
  • Bonazzi Ulderico, 2003Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Buda Andrea, 2011: I funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa. I.
  • Galli Roberto, 2007: Le Amanite. 2^ edizione. dalla Natura, Milano. I
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, 1993, Funghi Amanit., Calderini edagricole, Bologna. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • La Spina Leonardo, 2017: Funghi di Sicilia Atlante illustrato. Tomo I. Eurografica, Riposto (CT). I
  • La Spina Leonardo, Signorino Carmelina, 2018: I funghi di Santo Pietro, antico bosco di Sicilia. Eurografica S. r. l. Riposto (CT). I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria, 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Mazza Riccardo, 2010: I funghi, guida al riconoscimento. VI Edizione. Fabbri Editori. Milano. I
  • Merlo Erica, Traverso Mido, 1983: Le Amanite. Sagep Editrice, Genova. I
  • Miceli Angelo, 2019: Amanita porrinensis, una specie rarissima ritrovata sui Monti Peloritani. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2: 27 -33. Ponte a Moriano (LU). I
  • Milanesi Italo – 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento 
  • Oppicelli Nicolò – 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Oppicelli Nicolò, 2018: Il “farinaccio” Amanita ovoidea” Funghi e dintorni. Supplemento a Rivista di Micologia, n. 1: 15 – 22. AMB Trento. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I

 

Sitografia

Hygrophorus marzuolus, il marzuolo dormiente

Particolarmente apprezzato e ricercato per le sue qualità organolettiche che lo rendono molto versatile per l’utilizzo in cucina, è solito fare la sua apparizione nel periodo in cui l’inverno si lascia lentamente sostituire dalle belle giornate primaverili, nascondendosi, a volte anche in profondità, tra le zolle terrose e le foglie secche nei boschi misti o puri di latifoglie ed aghifoglie che, in tale specifico periodo dell’anno, sono ancora caratterizzati dalla presenza di numerose chiazze di neve che lentamente, giorno dopo giorno, vanno sciogliendosi al calore della imminente primavera. 

Hygroforus marzuolus, deriva la sua denominazione volgare di “Marzuolo dormiente”, con la quale è conosciuto su tutto il territorio nazionale, dal fatto che se ne resta pacificamente in attesa – come dormendo – sotto la neve attendendo con pazienza che questa, con l’arrivo del tiepido sole primaverile, inizi a sciogliersi per fare la sua apparizione nei boschi. Si tratta di una specie fungina un tempo poco nota che viene conosciuta in maniera massiva solo da alcuni anni. Difatti, grazie al periodo di fruttificazione, quando pochi sono – o pochi erano – i raccoglitori di funghi che sciamano nei boschi ed alla sua tipica crescita spesso interrata unitamente alla sua innata capacità di confondersi e mimetizzarsi tra le foglie morte del bosco, è riuscito sempre a sfuggire alle ricerche dei micofagi ed a rimanere quasi del tutto sconosciuto. Oggi, grazie ai numerosi gruppi micologici presenti sul territorio e sui social network, la sua presenza viene sempre più segnalata e sempre più sono gli appassionati che, conoscendolo, si recano nei boschi alla sua ricerca.

Nella sistematica micologica, trova collocazione nella Famiglia delle Hygroforaceae che ospita numerose specie fungine, generalmente terricole, di piccole, medie o grandi dimensioni con crescita simbionte con varie colture arboree o con crescita lignicola (unica specie europea conosciuta:Hygrophorus pleurotoides) [Galli, 2014].

Nella Famiglia delle Hygrophoraceae, che inizialmente ospitava un solo genere, vengono posizionati i Generi Hygrophorus, Hygrocybe(1)Cuphophyllus(2).

Quest’ultimo viene ritenuto, ancora oggi, da alcuni autori, semplice sottogenere del Genere Hygrocybe. E’ opportuno precisare che la separazione nei tre generi oggi considerati è stata effettuata sulla base dei caratteri microscopici della trama lamellare (3) che presentano conformazione diversa.

Genere Hygrophorus Fr. 1836

Al Genere appartengono basidiomi carnosi, di medio-grandi dimensioni, omogenei (quando cappello e gambo hanno analoga struttura cellulare risultando strettamente saldati uno all’altro tanto che la loro separazione non avviene in maniera netta), con portamento clitocyboide o tricholomatoide (similari, nella conformazione generale, a seconda delle varie specie, a funghi appartenenti al Genere Clitocybe, o Tricholoma), caratterizzati da colorazioni non vivaci: bianco-biancastre, grigie, brune; a volte, ma raramente, anche giallo-giallastre, aranciate o vinose; generalmente vischiosi e/o glutinosi con lamelle adnate (quando si uniscono al gambo per tutta la loro altezza), decorrenti (quando si uniscono al gambo prolungandosi verso la parte bassa dello stesso) o molto decorrenti, spesse e mediamente o marcatamente spaziate tra di loro. Sono caratterizzati da gambo cilindrico, a volte fusiforme ed attenuato alla base, con portamento robusto o, a seconda della specie, esile; con presenza, solo in alcune specie, di un velo glutinoso o cortiniforme (a forma di cortina ovvero velo costituito da filamenti sericei che dal margine del cappello arrivano al gambo) ben evidente, generalmente asciutto, liscio o fibrilloso o fioccoso, a volte glutinoso. Carne generalmente immutabile o, a volte, chiazzata di rosso-vinoso. Habitat boschivo.

 

Hygrophorus marzuolus (Fr. : Fr.) Bres. 

Atti Acad. Agiato Rovereto 2: 3 (1893)

Basionimo: Agaricus marzuolus Fr. (1821)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Hygrophoraceae, genere Hygrophorus

Etimologia: Hygroforus dal greco hygròs = umido e da phorus (suffisso derivato dal verbo féro) = io porto ovvero “portatore di umidità” con riferimento al fatto che molte specie si presentano con cappello e gambo viscidi o glutinosi. Marzuolus dal latino = marzuolo con riferimento al mese di marzo per la tipicità della sua crescita.

 

Sinonimi principali: Clitocybe marzuolus (Fr.) Sacc. (1887); Limacium camarophyllum subsp. Marzuolum (Fr.) Herink (1949).

Nomi volgari: Dormiente; Fungo marzuolo [Bonazzi, 2003]; Marzuolo dormiente.

Nomi dialettali: Marzaròl (nome dialettale trentino); Fungi prumetiju (nome dialettale cosentino); Marzuodinu (nome dialettale della Sila greca) [Bonazzi, 2003].

 

Descrizione macroscopica Hygrophorus marzuolus

 

Cappello di medio-grandi dimensioni, può raggiungere anche 13-15 cm. di diametro, carnoso, consistente, inizialmente emisferico, poi, verso la maturazione, convesso, piano-convesso, infine piano, a volte anche depresso, con forma irregolare, gibbosa. Margine incurvato, leggermente involuto nei giovani esemplari, intero e lobato. Superficie asciutta, leggermente vischiosa a tempo umido, liscia o finemente fibrillosa, inizialmente di colore grigio chiaro poi tendente sempre più al grigio, grigio piombo, grigio-nerastro, grigio-bruno, a volte con macchie biancastre irregolari; può presentarsi anche completamente bianca negli esemplari cresciuti sotto terra. Imenoforo formato da lamelle spaziate, spesse, ceracee, lardacee, sinuose, adnate o leggermente decorrenti sul gambo, spesso collegate tra loro trasversalmente (anastomizzate), intervallate da numerose lamellule (struttura lamellare di dimensioni minore che partendo dal margine del cappello si interrompe prima di giungere al gambo interponendosi tra le lamelle stesse), inizialmente di colore bianco-biancastro tendenti, verso la maturazione, al grigio-grigiastro. Gambo cilindrico, robusto, generalmente tozzo, a volte anche slanciato, attenuato o ingrossato alla base, inizialmente pieno poi, verso la maturazione, fistoloso (quando si presenta cavo in tutta la sua lunghezza); inizialmente di colore bianco, poi grigiastro e quasi concolore alle lamelle e al cappello. Carne inizialmente soda e spessa in tutto il carpoforo, poi fragile, igrofana (quando mostra diversa intensità di colore dovuta alla capacità di assorbire umidità dall’ambiente circostante); bianca nei giovani esemplari, grigio-nerastra negli esemplari maturi specialmente nel cappello; odore lieve, fungino, sgradevole negli esemplari maturi; sapore mite, gradevole.

 

Habitat

E’ la tipica specie del periodo di transizione tra l’inverno e la primavera, fa la sua apparizione, a seconda delle varie fasce climatiche, dell’altitudine e della esposizione, fin dal mese di gennaio prolungandola anche fino a primavera inoltrata, al mese di maggio e, a volte, anche al mese di giugno. Viene tipicamente ricercato nel periodo del disgelo quando il bosco è ancora coperto da chiazze di neve che si sciolgono al tepore del sole di fine inverno inizio di primavera. Cresce a gruppi tipicamente interrato ed è solito mimetizzarsi con il colore del terreno e tra i cascami di aghi e foglie. Predilige indifferentemente boschi di latifoglie o aghifoglie misti o puri, è simbionte dell’abete bianco, dell’abete rosso, del pino silvestre, del faggio e del castagno. Specie abbastanza comune, abbondante e legata ai luoghi di crescita dove ritorna puntualmente anno dopo anno. 

 

Commestibilità

Buon commestibile. Ricercato ed apprezzato per le qualità organolettiche e per la versatilità cui si presta ad essere utilizzato in cucina. Ha carne soda e polposa, gusto delicato tipicamente fungino. Viene utilizzato nella preparazione di risotti e primi piatti o trifolato quale contorno per carne o pesce. La conservazione sott’olio è molto diffusa mentre, per l’alto contenuto di acqua, è poco adatto all’essiccazione. 

 

Specie simili

Non esistono specie simili nello stesso periodo di crescita, quelle maggiormente somiglianti hanno crescita autunnale. Ci limitiamo ad indicare:

 

  • Hygrophorus camarophyllus (Alb. & Schwein.) Dumée, Grandjean & Maire (1912)

E’ la specie più somigliante, che presenta caratteristiche morfocromatiche quasi identiche tanto da farla considerare il sosia per antonomasia. Differisce per il periodo di crescita prettamente autunnale; per il colore del cappello più scuro, a volte nero o grigiastro scuro e privo di macchie biancastre; per le lamelle grigio-biancastre o crema-grigiastre, anche a maturità, con deboli sfumature azzurrognole o crema-beige; per il gambo slanciato e mai tozzo.

 

  • Hygrophorus atramentosus (Alb. & Schwein.) H. Haas & R. Haller Aar. ex Bon, (1985)

Molto simile alla specie precedente della quale viene considerato, secondo alcuni autori, una varietà o addirittura una semplice forma ecologica tanto da esserne sinonimizzato. Differisce da H. marzuolus per il periodo di crescita prettamente estivo-autunnale, per il colore del cappello più scuro con deboli riflessi azzurrognoli su fondo fibrilloso e per la conformazione delle lamelle che si presentano, all’attacco sul gambo, smarginato-adnate e non decorrenti. 

 

  • Tricholoma portentosum (Fr.) Quél. (1873)

Specie molto simile per la conformazione morfo-cromatica, per l’habitat e per la similarità della crescita semiinterrata e tra numerosi cascami fogliari. Differisce per il periodo di crescita prettamente autunnale, per la presenza di un umbone ottuso sul cappello e per i riflessi giallastri che si notano nella zona sotto cuticolare e nel gambo, ed ancora, in particolare, per le lamelle smarginate (quando formano un’ansa prima di unirsi al gambo) con riflessi giallini più o meno evidenti. 

 

La ricerca 

Il periodo invernale, è risaputo, poco si presta alla fruttificazione fungina tanto che i numerosi “funciari” (cercatori di funghi) sono soliti riporre l’attrezzatura necessaria alla ricerca ed attendere tempi migliori. Tale motivo, unitamente alla tipica crescita interrata del nostro “dormiente” ed alla conseguente difficoltà del suo ritrovamento non ha consentito, per tantissimo tempo, l’individuazione delle sue aree di fruttificazione, così che, nei tempi passati, questi veniva ritenuto raro con crescita limitata ad alcuni areali specifici. Oggi le sue particolari abitudini ed i suoi segreti sono stati svelati e gli appassionati di micologia: micofagi, micologi o semplici curiosi, conoscendo le località di crescita e le sue particolari abitudini attendono con impazienza lo scioglimento delle nevi per riversarsi nei boschi alla sua ricerca.

E’ opportuno scegliere con cura la località per la ricerca, privilegiando areali di crescita già noti dove si hanno esperienze di precedenti raccolte. Nella ricerca conta la sensibilità individuale, la conoscenza del bosco, la pazienza, il colpo d’occhio. La presenza di chiazze di neve ed i punti dove l’umidità è più concentrata sono indicatori di potenziale crescita. E’ opportuno esaminare attentamente il terreno in prossimità dei propri piedi al fine di evitare di calpestarli; fare attenzione alle macchie scure sotto le foglie ed ai riflessi bianchi delle lamelle (a volte una piccola parte di cappello sollevata è un sicuro punto di riferimento), ricerchiamo le piccole protuberanze del terreno, spesso sono indicative della spinta del carpoforo in fase di crescita; evitiamo, nella maniera più assoluta, di utilizzare rastrelli per spostare le foglie, danneggeremmo irrimediabilmente il micelio con ripercussioni negative sulla futura crescita. Individuato il carpoforo provvediamo a spostare con cura le foglie e ad estrarlo delicatamente dal terreno cercando di spostare meno terra possibile [Oppicelli N., 2018]. Effettuata la raccolta rientriamo in sede e passiamo gli esemplari in cucina per il successivo prosieguo e…Buon appetito!

 

Note e Curiosità 

Il primo a parlarne fu Pier Antonio Micheli (botanico e micologo italiano. Firenze, 11 dicembre 1679 – 1 gennaio 1737) che lo descrisse, in maniera non approfondita, nel 1729, in “Nova plantarum genera” con il nome comune di “Fungo Marzuolo” o “Dormiente” ed indicando i boschi della Valle Ombrosa, in Toscana, quale luogo del suo ritrovamento [Bertolini V., 2018]. Le successive descrizioni da parte dei vari autori, visto che la specie non venne più ritrovata, furono basate sulla tavola illustrativa dello stesso Micheli e sulle poche notizie da questi fornite. Fu Elias Magnus Fries (Micologo e botanico svedese. Femsjö, 15 agosto 1794 – Uppsala, 8 febbraio 1878) che lo descrisse in maniera corretta e valida, nel 1821, in “Systema mycologicum” con la denominazione scientifica di Agaricus marzuolus. Successivamente, nel 1887, ad opera di Pier Andrea Saccardo (Botanico e micologo italiano. Treviso, 23 aprile 1845 – Padova, 11 febbraio 1820), fu riposizionato nel Genere Clitocybe con la denominazione di Clitocybe marzuolus. Solo nel 1893, Giacomo Bresadola (Sacerdote e micologo italiano. Ortisé, 14 febbraio 1847 – Trento, 9 giugno 1929) poté esaminare e studiare numerosi esemplari della specie, ritrovati sempre nella Valle Ombrosa e a lui inviati, elaborandone una corretta descrizione che venne pubblicata, unitamente ad una tavola illustrativa a colori, negli “Atti della Regia Accademia degli Agiati” in Rovereto, provvedendo, quindi, alla ricombinazione della specie come Hygrophorus marzuolus [Bertolini, 2018].

Il ritrovamento del Micheli rimase unico per numerosi anni tanto che la specie venne ritenuta a crescita esclusiva (endemica) della Valle Ombrosa. Ciò, in realtà, era dovuto al fatto che per il particolare periodo di crescita invernale e per il suo mimetismo, il ritrovamento era molto difficile. [AGMT, 2013]. 

Successivamente vennero segnalati altri ritrovamenti a Monticolo nei pressi di Bolzano, all’Abetone, in Val di Sabbia nel territorio Bresciano, nel Reggiano e nella Sila che rimasero unici fino a pochi decenni fa. Poi i ritrovamenti si sono fatti sempre più numerosi ed oggi la specie viene facilmente reperita in numerosi areali di crescita che si posizionano anche a basse quote ed in boschi di latifoglie [Oppicelli, 2019]

Eravamo convinti, seguendo la tendenza generale, che nei boschi della provincia di Messina, nostra zona di operatività per la ricerca fungina, la specie non fosse presente. Oggi, grazie alle indicazioni di un amico-micologo il quale ci ha accompagnati sui luoghi, siamo soliti trovare il “marzuolo”, ormai da alcuni anni, puntuale con il disgelo delle nevi, sui monti Nebrodi: nei boschi del comune di Galati Mamertino, Longi e San Fratello. Riteniamo che la specie fruttifichi anche in numerose altre località della provincia a noi al momento non ancora note.

***************

  1. Genere Hygrocybe (Fr.) P. Kumm. 1971. Il Genere ospita carpofori di piccolo-medie dimensioni, poco carnosi. Esili, con portamento omphaloide, clitocyboide o inocyboide (similari, nella conformazione generale, a seconda delle varie specie, a funghi appartenenti al Genere OmphalinaClitocybe, o Inocybe), caratterizzati da cappello multiforme, spesso conico-campanulato, con colori vivaci (giallo, rosso, arancione, verde…), di consistenza ceracea, fragile ed acquosa; cuticola asciutta, umida e vischiosa; lamelle spaziate e diversamente inserite sul gambo (adnate, subdecorrenti, decorrenti), Habitat praticolo.
  2. Genere Cuphophyllus (Donk) Bon 1984. Al Genere appartengono carpofori di piccole e medie dimensioni caratterizzati da cappello di consistenza elastico, asciutto o poco vischioso e, in tal caso, di colori non vivaci o vischioso e, in tal caso, di colori vivaci: giallo, giallo-aranciato, violetto. Lamelle sempre decorrenti ed arcuate; gambo privo di anello, liscio, asciutto o, a volte, vischioso. Habitat graminicolo (quando ha tendenza a crescere in associazione con erbe infestanti appartenenti alla famiglia delle Graminaceae o, per estensione, tra l’erba in genere). 
  3. Trama lamellare indica la maniera in cui le ife si dispongono tra le due facce della lamella. Tipicamente si fa riferimento, in maniera particolare per la famiglia delle Igroforaceae a: Trama lamellare bilaterale, distintiva del Genere HygrophorusTrama lamellare intricata, distintiva del Genere CuphophyllusTrama lamellare parallela distintiva del Genere Hygrocybe. Per ulteriori approfondimenti si consiglia di consultare un testo specifico tra quelli indicati in bibliografia.

 

***************

Foto: Carmelo Di Vincenzo, Franco Mondello

Tavole micologiche: Giambattista Bertelli per gentile concessione del figlio Aldo

 

Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T., 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN). I
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. Giunti editore, Firenze (nuova edizione 2010). I
  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama, Crocetta del Montello (TV). I
  • Bertolini Valerio, 2018: Hygroforus marzuolus: notula storico-bibliografica. Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia n. 1: 32. A. M. B. Associazione Micologica Bresadola, Trento. I
  • Bianchi Marco, 2018: Hygrophorus marzuolus. Passione Funghi e Tartufi, n. 80: 20—29. Erredi Grafiche Editoriali, Genova. I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. (ristampa 2013) Zanichelli, Bologna. I 
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Campo Emanuele, 2015: Hygrophorus, Hygrocybe e Cuphophyllus del Friuli Venezia Giulia. Gruppo Micologico Sacilese, Sacile (PN). I
  • Candusso Massimo, 1997: Hygrophorus s. l. Collana Fungi Europaei Vol. 6. Libreria Basso Editrice, Alassio (SV). I
  • Di Cocco Gianfranco, Di Cocco Silvio, 2008: I principali funghi commestibili rinvenibili in primavera. MicoPonte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2:30-37, Ponte a Moriano (LU). I
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, 1998: Funghi Igrofori. Edagricole – Edizioni Agricole della Calderini, Bologna. I
  • Galli Roberto, 2014: Gli Igrofori. Ediplan editrice, Milano. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler – 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria – 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione. Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Oppicelli Nicolò, 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi grafiche editoriali, Genova. I
  • Oppicelli Nicolò, 2018: Hygroforus marzuolus, dormiente sorpresa del disgelo Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia n. 1: 23-36. A. M. B. Associazione Micologica Bresadola, Trento. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I

 

Sitografia

  • Acta Plantarum (ultima consultazione, febbraio 2020): Etimologia dei nomi botanici e micologici e corretta accentazione.
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica): www.funghiitaliani.it
  • IF (ultima consultazione, febbraio 2020), Indexfungorum databasewww.indexfungorum.org
  • MB (ultima consultazione, febbraio.2020), Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks. www.mycobank.org
  • Micologia Messinese

Amanita porrinensis

Una specie rarissima ritrovata sui Monti Peloritani

Articolo pubblicato su “MicoPonte” Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi – Ponte a Moriano (LU). Anno 2019 n. 12: 27-33

Premessa

Ancora una volta la complessa biodiversità dell’ambiente boschivo peloritano regala, agli studiosi di micologia ed a quanti altri operano nel settore a vario titolo, un ritrovamento di tutto rispetto: una specie fungina appartenente al genere Amanita, sottogenere Amanitina, sezione Phalloideae; ritenuta, per gli sporadici ritrovamenti segnalati nell’intero globo terrestre, specie rarissima: Amanita porrinensis, un funghetto dall’aspetto gracile e dalle dimensioni minute che per le particolari caratteristiche morfo-strutturali e cromatiche risulta facilmente riconoscibile per quanti, ovviamente, hanno buone conoscenze nel campo della micologia. Si tratta di un fungo basidiomicete, di piccole-medie dimensioni, molto raro del quale si conoscono, con riferimento a quanto riportato in letteratura, sporadici ritrovamenti tanto da potere essere considerato “ricercato” e, al contempo, dopo misteriose e fugaci apparizioni, ancora una volta, come sempre, “latitante” e nuovamente “ricercato”.

 

I Monti Peloritani,

(in dialetto messinese “I Coddi, ovvero “i Colli” – termine con il quale si è soliti indicare solo la zona sovrastante la città di Messina) sono una catena montuosa della Sicilia nord-orientale che si estende per circa 65 Km tra i comuni dell’area metropolitana della città di Messina.

Hanno origine da Capo Peloro (estrema punta nord orientale della Sicilia, nella città di Messina), quale continuazione dell’Appennino Calabro. Geograficamente si delineano in “Peloritani orientali” che occupano la zona sovrastante la città di Messina estendendosi sul versante tirrenico, a nord, nei comuni di Villafranca Tirrena, Saponara e Rometta; e sul versante ionico, verso sud, fino al fiume Alcantara dove si interrompono, nel territorio di Francavilla di Sicilia, in maniera degradante, assumendo la denominazione di “Peloritani occidentali”; mentre, sul versante nord, quello prospiciente il Mare Tirreno, si estendono fino al torrente Mazzarrà con la denominazione di “Peloritani centrali”, costituiti, a loro volta, dal “Demanio di Savoca” nella zona sud della catena montuosa che interessa i comuni di Furci Siculo e Casalvecchio Siculo e dal “Demanio del Mela” posizionato nella parte nord del comprensorio, prospiciente il mare Tirreno che interessa i comuni di Barcellona Pozzo di Gotto, Castroreale e Santa Lucia del Mela [Lombardo ed altri, 2017]. Nello stesso versante, solo dal punto di vista geologico, si estendono fino alle “Rocche del Castro”, nei comuni di Longi, San Marco d’Alunzio ed Alcara li Fusi. 

Il nucleo montuoso presenta una tipica morfologia strutturale caratterizzata da pochi altopiani posizionati ad altezza non elevata, intervallati da una serie di fiumare, picchi e crinali con creste taglienti e piani scoscesi che danno origine ad un sistema fluviale a carattere torrentizio costituito da numerosi torrenti che vanno a sfociare nei due mari limitrofi: Ionio ad est, Tirreno a nord. 

Le vette più elevate sono rappresentate da Monte Dinnammare (1.127 m s.l.m., nel territorio comunale della città di Messina); Montagna Grande (1.374 m s.l.m., nel comune di Motta Camastra); Pizzo Vernà (1.287 m s.l.m., tra i comuni di Castroreale, Antillo e Casalvecchio Siculo); Monte Poverello (1.279 m s.l.m., tra il territorio del comune di San Pier Niceto e Fiumedinisi), Rocca Novara (1340 m s.l.m tra il comune di Novara Sicilia e Fondachelli Fantina), Monte Scuderi (1279 m s.l.m. tra Messina, Itala, Alì e Fiumedinisi) [Lombardo e altri, 2017].

La vegetazione originaria è stata nel tempo quasi completamente distrutta dalla mano dell’uomo e dai ricorrenti incendi, spesso di natura dolosa, e sostituita con rimboschimenti artificiali favoriti nel loro sviluppo dalla diversità climatica dei due versanti che ospitano le tipiche colture dell’area mediterranea costituite prevalentemente da meravigliose pinete di Pino domestico (Pinus pinea), Pino marittimo (Pinus pinaster), Pino d’Aleppo (Pinus halepensis) e da numerosi boschi di Castagno (Castanea sativa), Leccio (Quercus ilex), Roverella (Quercus pubescens), insistenti sul tipico sottobosco della macchia mediterranea con predominanza di Erica, Cisto, Corbezzolo e Ginestra.

In particolare, i Peloritani orientali, nella zona che contorna la città di Messina, sono stati interessati da una radicale forma di rimboschimento resasi necessaria, a far data dall’ultimo decennio del 1800, per la tutela della città che, attraverso i secoli, è sempre stata interessata da dissesto idrogeologico causato da ricorrenti e luttuose alluvioni (ultime in ordine di tempo quella di Giampilieri nel 2009 e Saponara nel 2011). Le difficili condizioni dell’area da imboschire hanno suggerito di utilizzare essenze di conifere, in particolare Pino domestico, quali “piante pioniere” che nel tempo hanno creato le condizioni ambientali più idonee per le specie arboree più esigenti (latifoglie). L’impianto sperimentale ha dato i risultati sperati consentendo, successivamente, l’insediamento di un meraviglioso bosco naturale di latifoglie indigene appartenenti al genere Quercus, quali, ad esempio: Quercus ilex e Quercus pubescens.

 

 

Genere Amanita Pers. 1797

Il genere, la cui specie tipo è A. muscaria, ospita sporofori di medio-grandi dimensioni, eterogenei, caratterizzati da cappello convesso sul quale, spesso, si trovano residui velari, con margine liscio o tipicamente striato; lamelle libere; gambo più o meno ingrossato alla base, con presenza o assenza di anello; con volva basale; sporata in massa bianca. Si conoscono specie di ottima qualità e altre, non poche, velenoso-mortali la cui ingestione provoca sindromi tossiche di varia natura: sindrome falloidea, panterinica, muscarinica, emolitica ecc. 

Al Genere appartengono sporofori eterogenei (quando cappello e gambo presentano struttura molecolare diversa che consente una netta e facile separazione dei due elementi) ben differenziati e facilmente individuabili, limitatamente alla determinazione del genere di appartenenza, per la presenza di particolari e caratteristiche ornamentazioni che si formano sul cappello e sul gambo, tanto nella parte apicale quanto nella parte inferiore. Sono funghi bivelangiocarpici ossia muniti di due veli. Uno detto velo generale che avvolge l’intero carpoforo fin dalla sua formazione allo stadio di primordio che lo rende simile, per la sua strutturazione, ad un uovo e per tale caratteristica consente di conferirgli, appunto, la denominazione di “ovolo”; l’altro, detto velo parziale, inteso a proteggere la zona imeniale (parte fertile del fungo – formata, nel caso delle Amanite, da lamelle e situata nella parte inferiore del cappello ove si formano gli elementi riproduttivi: le spore) che dall’orlo del cappello si estende fino al gambo.

La formazione del carpoforo, con il suo accrescimento sia in altezza sia in larghezza, causa, man mano che il processo di formazione procede, la lacerazione dei due veli che, a rottura, formano, per quanto riguarda il velo generale, un residuo che rimane attaccato nella parte bassa del gambo dando origine alla formazione di una specie di guaina basale detta “volva” ed anche, a volte, alla formazione di residui dissociati sul gambo ed alla formazione – anche se non sempre – sul cappello di ornamentazioni dette, in senso generico, “verruche”. Per quanto riguarda il velo parziale, la sua lacerazione, con il distacco dello stesso dall’orlo del cappello, causa – anche se non sempre – la formazione di un “anello” che va a posizionarsi sul gambo [Miceli, 2017].

Sottogenere Amanitina (E.-J. Gilbert) E.-J. Gilbert 1941

Il sottogenere ospita sporofori di piccole, medie o medio-grandi dimensioni, caratterizzati da cappello inizialmente carnoso che assume, verso la maturazione, una consistenza molliccia, con margine regolare, intero, non striato o leggermente striato solo a maturità, a volte leggermente appendicolato per la presenza di residui velari. Cuticola liscia, priva di verruche, più o meno vischiosa. Gambo asciutto, inizialmente pieno, con consistenza molle (midolloso) verso la maturazione, cilindrico e sempre munito di bulbo basale; di colore bianco-biancastro, liscio o ricoperto da fiocchetti concolori. Anello generalmente persistente, ampio e membranoso, a volte leggermente striato. Volva membranosa, aderente al gambo, libera nella zona apicale.

Sezione phalloideae (Fr.) Quél. 1872

Alla sezione appartengono sporofori caratterizzati da velo generale membranoso, muniti di volva e anello persistente.

Amanita porrinensis Freire & M.L. Castro ex Castro

Mykes 1: 59 (1998)

Posizione sistematica: 

classe Basidiomycetes, ordine Amanitales, famiglia Amanitaceae, genere Amanita, sottogenere Amanitina, sezione Phalloideae [Galli, 2007]

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole dimensioni, 2-8 cm, inizialmente semisferico, campanulato verso la maturazione, spianato-convesso caratterizzato da un largo umbone centrale molto prominente che gli conferisce un tipico aspetto da “sombrero messicano”; margine sottile, inizialmente liscio poi, verso la maturazione, leggermente striato e incurvato, privo di residui velari. Cuticola liscia, leggermente viscida a tempo umido, bianca, immutabile, difficilmente separabile. Imenoforo costituito da lamelle bianche con riflessi rosati, fitte, sublibere al gambo, intervallate da lamellule. Spore in massa bianche. Gambobianco, centrale, cilindrico, slanciato, con bulbo basale subgloboso, con bande sericee trasversali, ricoperto da fiocchetti bianchi macchiati di ocra, fistoloso (quando è percorso, all’interno e longitudinalmente, da una esile cavità simile ad un tubicino) per tutta la sua lunghezza. Anello fragile, membranoso e sottile, visibile negli esemplari giovani, poco evidente in quelli maturi dove si presenta sotto forma di lembi aderenti al gambo e sulle lamelle in maniera poco visibile. Volva bianca, sottile ed aderente al gambo, gracile e poco persistente, si disgrega facilmente a maturazione avanzata ed al tocco. Carne bianca, sottile nel cappello, spessa nel gambo e di consistenza spugnosa, leggermente imbrunente, alla sezione, verso la base del gambo, inodore.

 

Habitat

Tipicamente autunnale. In boschi misti formati da Pinus pinea (pino domestico), P. pinaster (pino marittimo), Quercus ilex (leccio), Erica arborea. Galli (2007) la segnala anche sotto Fagus sylvatica(faggio) e Castanea sativa (castagno).

 

Commestibilità e tossicità

Velenosa mortale come le altre della sezione Phalloideae, A. phalloides (Fr.: Fr.) Link, A. phalloidesvar. alba Costantin & L.M. Dufour, A. verna (Bull. : Fr.) Lam. ed A. virosa Bertill., con le quali va a completare, per il contenuto degli stessi principi tossici, il quadro delle amanite mortali. È causa di sindrome falloidea(1) caratterizzata da grave insufficienza epatica.

 

Specie simili

A. porrinensis, pur presentando, soprattutto per la colorazione generale bianco-biancastra, una certa affinità con altre specie velenoso-mortali appartenenti alla sezione Phalloideae del sottogene Amanitina, si distingue da queste molto facilmente soprattutto per la conformazione del cappello che ricorda la forma di un “sombrero messicano” e, inoltre, per le caratteristiche che appresso vengono indicate [Neville & Poumarat, 2004; Galli, 2007; Boccardo et al., 2008]:

 

  • Amanita phalloides var. alba Costantin & L.M. Dufour 

Differisce per la conformazione del cappello piano-convesso e mai umbonato; per il gambo zebrato, mai ricoperto da squamule; per l’anello sempre evidente e persistente, mai fugace; per il bulbo basale grosso e prominente; per la volva sempre evidente, membranosa e persistente, aderente al bulbo e libera all’apice.

 

  • Amanita verna (Bull. : Fr.) Lam. 

Differisce per la conformazione del cappello piano-convesso e mai umbonato; per il gambo liscio, mai ricoperto da squamule; per il bulbo basale grosso e prominente; per la volva interamente avvolgente il bulbo e libera all’apice.

 

  • Amanita virosa Bertill.

È la specie che presenta maggiori affinità con A. porrinensis, soprattutto per la conformazione del cappello che, inizialmente, è ovoidale-campanulato e, poi, campanulato convesso, a volte con umbone ottuso a maturazione, ma mai con la tipica conformazione a “sombrero messicano”; per la struttura dell’anello poco persistente e fugace che, come per A. porrinensis, lascia residui sul margine del cappello e sul filo lamellare; per le fioccosità presenti sul gambo che, anche se più abbondanti, la rendono molto vicina ad A. porrinensis.

Differisce per il colore del cappello che, come per A. porrinensis, è bianco-biancastro, ma con sfumature ocra-rosate nella zona discale specialmente negli esemplari maturi; per il bulbo basale prominente e globoso; per la volva interamente avvolgente il bulbo, ampia e membranosa, poco libera al gambo ma persistente e sempre presente anche a maturazione avanzata.

 

Curiosità tassonomiche

Il suo primo ritrovamento, come la letteratura micologica documenta, è datato 10 ottobre 1984, ed è stato effettuato nel territorio boschivo del comune di Vigo, in località Madroa, nella provincia di Pontevedra, in Spagna, ai margini di un’area boschiva a coltura mista. Successivamente, nel 1987, i micologi Luis Freire e Maria Luisa Castro ne danno notizia presentandola come “specie nuova” in “Anales Jardìn Botànico de Madrid”, provvedendo ad una prima descrizione della specie alla quale viene attribuito il binomio Amanita porrinensis Freire & M.L. Castro. Nel contesto viene precisato che “la possibilità che si tratti di un nuovo taxon del genere Amanita è stata confermata dai dottori Moreno e Bon; tuttavia, si rimane in attesa della conferma del dottor Bas, specialista in questo genere” [Freire & Castro, 1987].

Tuttavia, la specie viene presentata e descritta in maniera incompleta, priva di numero identificativo e della menzione dell’erbario ove l’holotypus è stato depositato, e quindi non ritenuta valida (nomen invalidum) ai fini della conferma del taxon [Neville & Poumarat, 2004; IF, 2018; MB, 2018]. Per questo motivo, il taxon viene riproposto successivamente da Castro (1998), mediante pubblicazione rispondente ai requisiti richiesti dal Codice, su Mykes, Bollettino del Gruppo Micologico Galego, e definitivamente accettato dal mondo scientifico internazionale come Amanita porrinensis Freire & M.L. Castro ex Castro.

 

Ritrovamento attuale

In data 27 ottobre 2018 ad opera di Mario Mondello e Piero Battaglia, soci del Centro di Cultura Micologica di Messina, nel comune di Rometta (ME), Monti Peloritani sulla dorsale Dinnammare-Monte Scuderi in prossimità del sentiero Girasì, sul versante ovest del monte Pizzo Bandiera a circa 950 m s.l.m. Tre esemplari, cresciuti in forma singola in un raggio di circa 30 m, di piccole dimensioni: altezza circa 8 cm, cappello 2-4 cm, in bosco misto formato da Pinus pinea, Pinus pinasterQuercus ilex con sottobosco di Erica arborea.

Si segnala un ulteriore ritrovamento, nella stessa stazione di crescita, di un unico esemplare, in data 21 novembre 2018 ad opera del micologo Franco Mondello, di Angelo Miceli e Mario Mondello, soci dello stesso Centro di cultura Micologica di Messina.

L’osservazione dei caratteri morfo-cromatici generali orientano, senza ombra di dubbio, verso la determinazione degli esemplari rinvenuti quali rappresentativi della specie A. porrinensis.

 

Ritrovamenti precedenti

La nostra attenta ricerca bibliografica, in considerazione delle sparute pubblicazioni esistenti in merito, ci ha consentito di individuare, oltre alla stazione di crescita attuale, che ha suggerito la presente “Riflessione Micologica”, anche le seguenti stazioni ove la specie è stata precedentemente rinvenuta:

  • 10 ottobre 1984, ritrovamento dell’holotypus, in località Madroa, comune di Vigo, Provincia di Pontevedra (Spagna), al margine di bosco misto (Quercus robur e Pinus pinaster), da Jaime Diz (gruppo M. Porriño) [Freire & Castro, 1987; Neville et al., 2000].
  • 11 novembre 1991, in località Picouto, sempre nel comune di Vigo, Provincia di Pontevedra (Spagna), in bosco misto da Jaime Diz [Castro & Blanco-Dios, 2007].
  • 16 ottobre 1998, in località Monte Cistorello, Colli Berici, Comune di Sossano (VI), in bosco misto di querce, carpini e castagni. Ritrovamento effettuato da Franco Gasparini e Franco Serafin [Gasparini & Serafin, 2012].
  • 17 ottobre 1998, in località Volano, comune di Comacchio (FE) a 0 metri s.l.m., in bosco misto formato da Pinus pinea, P. pinaster con limitata presenza di Quercus ilex. Ritrovamento effettuato da Gianni Monterumici [Neville et al., 2000].
  • Ulteriori ritrovamenti, senza precisazione temporale, sono stati segnali nel Canton Ticino (Svizzera) e, in Italia, sui Colli Euganei [Galli, 2007].

 

Per quanto sopra, anche se riteniamo che siano stati effettuati altri ritrovamenti non segnalati e dei quali non è stata data notizia, stante alle segnalazioni riportate in letteratura, è possibile affermare che A. porrinensis è un fungo molto raro che, per le limitate apparizioni, vuole confermare il suo status di fungo costantemente “ricercato” dagli studiosi, ma sempre “latitante”.

***************

  1. Sindrome falloidea

Il periodo di latenza varia tra le 6 e le 24 ore dal consumo dei funghi.

I sintomi si manifestano in fasi progressive di aggravamento: inizialmente disturbi gastrointestinali, dolori addominali, vomito, diarrea, stato di disidratazione; successivamente, nei giorni seguenti, dopo un apparente miglioramento, inizia a manifestarsi danno epatico che, in una fase ancora successiva, si avvia verso insufficienza epatica acuta, ipoglicemia ed ittero, coma epatico, insufficienza renale, decesso [Follesa, 2009; Della Maggiora & Mannini, 2013].

I principi tossici si identificano in fallolisine, falloidine e amanitine, queste ultime le più pericolose: la dose letale è pari a 0,1 mg per kg di peso corporeo, basti pensare che un esemplare fungino di medie dimensioni contiene da 5 ad 8 mg di amanitina, più che sufficienti per causare la morte di un individuo adulto [I. Milanesi, 2015].

Le principali specie responsabili dell’intossicazione sono: Amanita phalloides, A. phalloides var. AlbaA. verna,A. virosa, A. porrinensisGalerina marginataG. autunnalisG. badipesConocybe filarisLepiota helveolaL. josserandiiL. brunneoincarnataL. castaneaL. subincarnata, L. clypeolariodes.

***************

Ringraziamenti

Un grazie particolare va rivolto all’amico-micologo Carmelo Di Vincenzo per i preziosi suggerimenti e per le indicazioni utili alla stesura del paragrafo descrittivo dei Monti Peloritani.

***************

Foto: Angelo Miceli e Franco Mondello

***************

Bibliografia

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013) – I.
  • Castro Maria Luisa, 1998: Amanita porrinensis : Freire & M. L. Castro, estudio comparativo con outros taxons da seccion Phalloideae (Fr.) Quel.. Mikes 1: 57-59
  • Castro Maria Luisa, 1998: Annotated checklist of the Amanitaceae (Agaricales, Basidiomycotina) of the Iberian Peninsula and Balearic Islands. Mykotaxon 67: 227-245 – E.
  • Castro Maria Luisa & Blanco-Dios J.B., 2007: Algunos basidiomicetos raros o interesantes de la Península Ibérica. Fungi non Delineati n. 37. Edizioni Candusso, Alassio (SV) – I.
  • Della Maggiora Marco, Mannini Maurizio, 2013: Funghi buoni… o “buoni da morire” In AA. VV.: Io sto con i funghi. 2^ edizione. Edit. La Pieve Poligrafica, Villa Vernucchio (RN.) – I
  • Follesa Paola. , 2009: Manuale Tecnico-pratico per indagini su campioni fungini. Edit. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Bagnolo Mella (BS) – I
  • Freire Luis, Castro Maria Luisa, 1987: Nueva especie del género Amanita. Anales Jardìn Botànico de Madrid, 44 (2): 533-534. Madrid – E.
  • Galli Roberto, 2007: Le Amanite. 2^ edizione. dalla Natura, Milano
  • Gasparini Franco & Serafin Franco, 2012: La quarta Amanita mortale. Bollettino del Gruppo AMB di Vicenza anno XXXII n. 2: 40-42 – I.
  • IF (ultima consultazione, novembre 2018): Indexfungorum databasewww.indexfungorum.org
  • Lombardo Giovanni, D’Andrea Pasquale, 2017: Camminare e raccontare i Peloritani. Giotto Arte della Stampa, Messina. I.
  • MB (ultima consultazione, novembre 2018) Mycobank database. Fungal databases, Nomenclature e Special Banks.www.mycobank.org
  • Miceli Angelo, 2017: Amanita muscaria, il fungo delle fiabe. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 10: 30-38. Ponte a Moriano (LU) – I 
  • Milanesi Italo, 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I.
  • Neville Pierre & Poumarat Serge, 2004: Amanitae. Amanita, Limacella & Torrendia. Fungi Europaei 9. Edizioni Candusso, Alassio (SV) – I.
  • Neville Pierre, Poumarat Serge, Monterumici Gianni, 2000: Una rara Amanita della sezione Phalloideae, nuova per l’Italia: Amanita porrinensis. Bollettino del Gruppo Micologico G. Bresadola – Nuova Serie. BGMB 43 (2): 143-150. Trento – I 

 

Clathrus ruber

Premessa

Nella nostra esperienza micologica, riprendendo un pensiero più volte manifestato, abbiamo avuto modo di constatare che ogni volta che si parla di funghi in presenza di persone poco addentrate nelle problematiche connesse alla micologia, nella loro mente viene a formarsi l’immagine virtuale di un piatto di tagliatelle ai funghi porcini o di una bella insalata di “ovoli”, accoppiando a queste “succulente visioni” l’idea di un fungo morfologicamente ben strutturato che, nell’immaginario collettivo, viene concretizzato con cappello e gambo, così come, nella generalità dei casi, stante al proprio vissuto quotidiano, si è soliti ritenere che tutti i funghi siano formati.

Vogliamo immediatamente dissentire da tale convinzione precisando che nell’immenso “Regno dei Fungi” sono numerose le specie prive di cappello e gambo che si presentano con una struttura morfologica diversa da quella tradizionalmente immaginata dando origine a forme dall’aspetto particolare, strano e spesso curioso che i non addetti ai lavori sono ben lungi da identificare o considerare come funghi.

Clathrus ruber, protagonista della nostra nuova “Riflessione Micologica” appartiene, infatti, per la caratteristica conformazione morfologico-strutturale, al gruppo informale dei Gasteromiceti nel quale vengono posizionati funghi a sviluppo angiocarpico (quando il fungo si sviluppa all’interno di una membrana protettiva, detta peridio, che avvolge la zona fertile evitando contatti con l’esterno fino alla completa maturazione). Viene caratterizzato, come tutte le specie fungine appartenenti alla famiglia delle Clathraceae, dalla particolarità del ciclo vitale e dalla conformazione morfologico strutturale. Si presenta, nella fase embrionale della propria formazione, semiipogeo e conformato ad ovolo con caratteristici cordoni miceliari (rizomorfe) alla base; viene protetto da una membrana esterna chiamata peridio formata da un doppio strato: uno esterno (esoperidio) di consistenza papiracea, l’altro interno (endoperidio) di consistenza molle e gelatinosa. Durante la fase di maturazione al suo interno si forma il ricettacolo (parte interna del fungo che costituisce la sua struttura portante) a forma rotondeggiante, reticolare e di colore rossastro e la gleba (parte fertile del fungo che contiene le spore) di colore verde con aspetto gelatinoso e di odore puzzolente. Con l’accrescimento del carpoforo, sia in altezza sia in larghezza, il peridio si lacera depositando, alla base, un lembo residuale sotto forma di volva e lasciando fuoriuscire, al contempo, il ricettacolo e la gleba trattenuta tra le sue maglie che diventa, per il caratteristico e nauseabondo odore che emana, una forte attrazione per mosche ed insetti che si cibano delle sostanze zuccherine in essa contenute divenendo veicolo di diffusione delle spore che vengono depositate sul territorio anche a notevole distanza. Difatti, le spore ingerite non vengono digerite e possono quindi essere depositate, con la defecazione, in altri luoghi favorendo la crescita di nuovi carpofori.

[Per approfondire l’argomento consultare Sarasini, 2005: Gasteromiceti epigei – Opera citata in bibliografia]

 

Genere Clathrus P. Micheli : L. (1753)

Al genere appartengono carpofori a sviluppo angiocarpico e a nutrizione saprofitica, inseriti, come già precisato, nel gruppo informale dei funghi Gasteromiceti. Si presentano inizialmente semiipogei, globosi o sub globosi poi, aperti, a forma più o meno arrotondata, con ricettacolo a struttura spugnosa formato da piccole celle di dimensioni e forma variabili e tra di loro comunicanti, costituito, in alcune specie, da bracci ramificati e tra di loro saldati e formanti una specie di gabbia reticolata (es. Clathrus ruber); in altre specie unite alla base e libere all’estremità superiore, aperti, divergenti ed allargati similarmente ai petali di un fiore (es. Clathrus archeri) [Sarasini, 2005].

Clathrus ruber P. Micheli : Pers.

Syn. meth. fung. (Göttingen) 2 : 241 (1801)

Piccolo basidioma molto appariscente a forma globosa, determinabile con facilità, specialmente allo stadio adulto tanto per la particolare conformazione strutturale quanto per l’odore repellente che emana.

Basionimo: Clathrus ruber Micheli : Pers. (1801)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Phallales, famiglia Clathraceae, genere Clathrus

Etimologia: Clathrus, dal greco klèithron = cancello, inferriata, con riferimento alla caratteristica forma a maglia che assume il ricettacolo a maturazione. Ruber dal latino rosso con riferimento al colore.

Sinonimi principali: Clathrus flavesces Pers. : Pers. (1801); Clathrus cancellatus Tourn. ex Fr. (1823)

Nomi volgari: Fuoco selvatico [Bonazzi, 2003]; Cuore di strega [AMINT, 2007]; Fungo lanterna [Della Maggiora, 2008]; Puzzola [Buda, 2011],

Nomi dialettali: Funciu cularino, nome dialettale siciliano [Bonazzi, 2003 – Buda, 2011].

Descrizione macroscopica

Basidioma a crescita diversificata che, a seconda dei vari stadi, si presenta inizialmente sub-globoso, ovoidale, di consistenza molliccia e dal peso specifico elevato, poi, a maturazione, aperto con ricettacolo allungato verticalmente e costituito da bracci tra di loro collegati e disposti come le maglie di una gabbia.

E’ opportuno, per una maggiore chiarezza descrittiva prendere in esame le principali fasi di maturazione 

  • Primo Stadio (basidioma ancora chiuso – ovolo)

Alla sezione evidenzia una zona centrale di aspetto mucillaginoso e di colore verdastro (gleba), circondata da una zona irregolare, porosa, di colore rossastro (ricettacolo) nell’insieme racchiuso da una membrana esterna chiamata peridio, di colore biancastro. Peridio costituito da due strati funzionali: quello esterno, chiamato esoperidio, si presenta sottile, membranoso, molliccio, biancastro o tendente al paglierino chiaro, decorato da areolature poligonali (simile ad un pallone di calcio) dovute alla sottostante struttura reticolare, presenta, alla base, delle evidenti rizomorfe, lunghe e ramificate di colore biancastro; quello interno, chiamato endoperidio, si presenta gelatinoso, traslucido, di colore verde chiaro, attraversato da sottili setti radiali di colore bianco.

  • Secondo Stadio (basidioma maturo – aperto)

 

Clatrhus ruber – Disegno di Gianbattista Bertelli

 

Ricettacolo completamente libero alla base e da questa facilmente separabile. Globoso, allungato a maturità, a forma di gabbia, costituito da bracci allungati e tra di loro uniti tanto alla base quanto all’estremità. Di colore rosso, rosso intenso, rosso-aranciato a volte con toni giallastri, tende a sbiadire verso la maturazione. Si presenta a forma di gabbia, asimmetrica e cava all’interno, formata da maglie poligonali più o meno regolari con bracci a sezione triangolare e di grosso spessore, con superficie esterna inizialmente rugosa, corrugata, grinzosa, poi, verso la maturazione, quasi liscia; la superficie interna, che rimane a contatto con la gleba, si presenta di aspetto spugnoso. Gleba costituisce la parte più interna del basidioma, distribuita, a maturazione, all’interno dei bracci del ricettacolo e da questo completamente avvolta; è costituita da numerose cellette labirintiformi che gli danno una consistenza granulosa con aspetto mucillaginoso e deliquescente, di colore bruno-verdastro, verde-oliva tendente ad assumere toni sempre più scuri verso la maturazione, di odore fetido, nauseabondo, cadaverico tanto da attirare numerosi insetti.

Habitat

Specie piuttosto comune e largamente diffusa, dalla primavera all’autunno. E’ tipica degli ambienti caldi. Cresce indifferentemente sotto conifere e latifoglie prediligendo boschi radi, parchi ed aree adiacenti ai boschi. Si presenta, generalmente, in gruppi di numerosi esemplari in vari stadi di sviluppo.

Deiescenza (1)

Come già precisato questa avviene in conseguenza della spinta del ricettacolo che, in fase di accrescimento, causa la lacerazione del peridio nella sua zona apicale con conseguente deposito di frammenti residuali dello stesso sotto forma di volva alla base del corpo fruttifero consentendo, allo stesso tempo, la fuoriuscita del ricettacolo e della gleba trattenuta tra i suoi bracci. [Sarasini, 2005].

Commestibilità

Non commestibile. Di nessun valore gastronomico. Poco invitante specialmente per l’odore nauseabondo. In letteratura si fa riferimento a probabile utilizzo alimentare di esemplari ancora immaturi e completamente chiusi allo stadio globoso [Buda, 2011]. Riteniamo, personalmente, che tale esempio non debba assolutamente essere seguito, sconsigliandone, a tutti gli effetti, il consumo.

Specie simili

  • Clathrus archeri (Berk.) Dring (1980)

Molto simile nella conformazione strutturale sia allo stadio di ovulo sia a completa maturazione, differisce per la disposizione dei bracci del ricettacolo che si presentano liberi al vertice ed aperti con una tipica posizione retroflessa che li rende simili, per la particolare disposizione, ai petali di un fiore.

  • Colus hirudinosus Cavalier & Séchier (1835)

Molto simile sia allo stadio di ovulo sia a completa maturazione; in tale stadio differisce per la conformazione del ricettacolo formato nella parte bassa da bracci portanti che si uniscono nella parte terminale formando una caratteristica gabbia a piccole maglie.

  • Phallus impudicus L. (1753)
Phallus impudicus vari stadi di accrescimento. Foto Franco Mondello
Phallus impudicus vari stadi di accrescimento. Foto Franco Mondello

Completamente diverso nella conformazione morfo-strutturale a maturazione. Allo stadio di ovulo si presenta molto simile differendo per il peridio liscio e privo delle caratteristiche areolature poligonali tipiche di C. ruber; alla sezione presenta l’interno verdastro mentre in C. ruber è rosso.

 

Curiosità tassonomiche

Fu descritto per la prima volta nel 1592 da Fabio Colonna (Naturalista e botanico italiano. Napoli, 1567 – 1640) con la denominazione generica di Fungo lanterna.

***************

  1. Deiescenza, termine utilizzato in botanica per indicare il sistema con cui apparati vegetali chiusi si aprono per lasciare uscire il loro contenuto. Nello specifico, in micologia, fa riferimento al sistema di apertura dei funghi Gasteromiceti che consente loro, giunti a maturità, di disperdere le spore nell’ambiente circostante.

 

***************

Foto:

Robin Cara, Carmelo Di Vincenzo, Leonardo La Spina, Georgios Mantikas, Franco Mondello ai quali si rivolge un grazie particolare per la gentile concessione.

Tavole micologiche:

  • Tavola I – Clathrus ruber: morfologia e nomenclatura delle parti. Autore Stefania Calascione che si ringrazia per la cortese ed apprezzata collaborazione.
  • Tavola II – Clathrus ruber nei vari stadi di accrescimento. Autore Gianbattista Bertelli per gentile concessione del figlio Aldo che si ringrazia per la costante disponibilità.

Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T. – 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN)
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica) –2007: Tutto funghi. Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama srl, Trento
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bresadola Giacomo – 1954: Funghi mangerecci e funghi velenosi.. Museo di Storia Naturale. Trento. ( IV edizione a cura del Comitato Onoranze Bresadoliane. Milano-Trento)
  • Buda Andrea, 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Della Maggiora Marco, 2008: Funghi dall’aspetto particolare: le Phallaceae e le Clathraceae. Micoponte Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2: 15-23, Ponte a Moriano (LU)
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione maggio 2019)
  • La Spina Leonardo, Signorino Carmelina, 2018: I Funghi di Santo Pietro. Edizioni La Rocca, Riposto (CT). I
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione maggio 2019)
  • Oppicelli Nicolò, 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi grafiche editoriali, Genova
  • Sarasini Mario, 2005: Gasteromiceti epigei. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento

Hygrocybe acutoconica (Fr.) P. Kumm. (1871)

Accade, a volte, dopo una infruttuosa “mico-gastronomica” ricerca di prelibati ovoli e porcini andata buca, seppur la stagione sia delle migliori e la fruttificazione fungina abbondante come mai, a causa dei numerosi “mico-predatori” che ci hanno preceduto nella ricerca privando noi ritardatari del bottino sperato, che un piccolo e apparentemente insignificante funghetto, privo, senza ombra di dubbio, di valore gastronomico, facendo capolino in vari esemplari dai colori lucidi e vivaci tra l’erbetta ai margini del bosco, ci ripaga abbondantemente della infruttuosa ricerca e della mancata raccolta fungina stimolando la nostra “curiosità micologica” che, trovandosi alla presenza di una specie poco incontrata ed assente nella nostra galleria fotografica, ci spinge ad approfondire le nostre conoscenze in merito: Hygrocybe acutoconica un simpatico ed attraente basidiomicete che trova collocazione nella Famiglia delle Hygroforaceae nella quale vengono ospitate numerose specie fungine, generalmente terricole, di piccole, medie o grandi dimensioni con crescita simbionte con varie colture arboree o con crescita lignicola (unica specie europea conosciuta: Hygrophorus pleurotoides) [Galli, 2014].

Nella Famiglia delle Hygrophoraceae, che inizialmente ospitava un solo genere, vengono posizionati i Generi Hygrophorus (1), Hygrocybe e Cuphophyllus (2). Quest’ultimo viene ritenuto, ancora oggi, da alcuni autori, semplice sottogenere del Genere Hygrocybe. E’ opportuno precisare che la separazione nei tre generi oggi considerati è stata effettuata sulla base dei caratteri microscopici della trama lamellare (3) che presentano conformazione diversa.

Genere Hygrocybe (Fr.) P. Kumm. (1871)

Al genere appartengono basidiomi di piccolo-medie dimensioni, poco carnosi, esili, con portamento omphaloide, clitocyboide o inocyboide (similari, nella conformazione generale, a seconda delle varie specie, a funghi appartenenti al Genere Omphalina, Clitocybe, o Inocybe), caratterizzati da cappello multiforme, spesso conico-campanulato, con colori vivaci (giallo, rosso, arancione, verde, viola…), di consistenza ceracea, fragile ed acquosa; con superficie liscia, rugosa, fibrillosa o squamulosa, asciutta, umida o vischiosa. Lamelle generalmente concolori al cappello, spaziate e diversamente inserite sul gambo (adnate, subdecorrenti, decorrenti). Il gambo si presenta, quasi sempre, slanciato, cilindrico o, a volte, corto e tozzo caratterizzato da solcature longitudinali, può presentarsi asciutto o totalmente glutinoso, privo di residui velari. La carne è generalmente concolore al cappello e priva di odori particolari o ben definiti, fatta eccezione per poche specie; é insapore o, in pochi casi, amara. Habitat in zone erbose o in boschi di latifoglie o di conifere.

Hygrocybe acutoconica (Clem.) Singer

Lilloa 22: 153 (1951)

Un basidiomicete di taglia medio-piccola dai colori molto vivaci e, allo stesso tempo, molto variabili che spaziano tra le numerose sfumature del giallo e del rosso tra di loro mescolate.

Basionimo: Mycena acutoconica Clem. 1893

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Hygroforaceae, genere Hygrocybe

Etimologia: Hygrocybe dal greco higrós = umido e kúbe = testa ovvero testa umida con espresso riferimento alla vischiosità del cappello. Acutoconica dal latino acutus = acuto e conicus = conico con ovvio riferimento alla forma del cappello particolarmente aguzza.

Sinonimi principali: Prunulus acutoconicus (Clem.) Murrill (1916); Hygrocybe persistens (1940): Hygrophorus acutoconicus (Clem.) A.H. Sm. (1947); Hygrocybe aurantiolutescens P.D. Orton (1969); Hygrophorus aurantiolutescens (P.D. Orton) Dennis (1986).

Nomi volgari: cappello di cera per derivazione dall’inglese wax cap

Descrizione macroscopica

Hygrocybe acutoconica (Clem.) Singer (colore dominante rosso) - Foto: Andrea Battaglini
Hygrocybe acutoconica (Clem.) Singer (colore dominante rosso) – Foto: Andrea Battaglini

Cappello di medio-piccole dimensioni, poco carnoso, inizialmente conico, conico-campanulato, tendente, verso la maturazione, ad assumere una conformazione conico-convessa, convessa fino a piano-depressa; sempre caratterizzato, nei vari stadi di sviluppo, dalla presenza di un umbone acuto; margine irregolare, frastagliato, lobato, striato al brodo per trasparenza; colore molto variabile tra le numerose sfumature del giallo e del rosso, si presenta, difatti, giallo, giallo limone, giallo scuro, arancio o rosso o con tinte intermedie tra i colori base; Cuticola liscia e lucida, leggermente viscida a tempo umido o piovoso, asciutta a tempo secco. Imenoforo a lamelle alte e panciute, mediamente distanziate, libere (quando si fermano prima di arrivare al gambo con il quale non hanno alcun contatto) o adnate (quando si uniscono al gambo per tutta la loro altezza), intervallate da numerose lamellule (struttura lamellare di dimensioni minore che partendo dal margine del cappello si interrompe prima di giungere al gambo interponendosi tra le lamelle stesse), di consistenza ceracea ed igrofane (quando in presenza di umidità assumono colorazione più scura ed intensa), colore giallastro, giallo-arancio, con filo intero e concolore. Gambo slanciato, cilindrico, a volte leggermente incurvato, inizialmente pieno, poi fistoloso (quando all’interno si presenta cavo), quasi concolore al cappello, ricoperto da fibrille giallo-aranciate, bianco alla base dove, alla manipolazione, tende ad annerire leggermente. Carne esigua e fragile nel cappello, fibrosa nel gambo, giallastra nel cappello e nella parte superiore del gambo, alla base si presenta biancastra tendente a scurire alla manipolazione; odore e sapore non significativi.

Habitat

Specie ubiquitaria, molto comune, cresce a gruppi di parecchi esemplari sia nei prati che nei boschi di latifoglie e di conifere o nelle dune litoranee o nella macchia mediterranea, dalla primavera a tutto autunno sino ad otre 2000 metri

Commestibilità

NON commestibile, senza interesse alimentare tanto per l’esiguità della carne quanto per il sapore e l’odore praticamente nulli.

Caratteri differenziali

Taglia medio-piccola, presenza di umbone acuto su cappello conico; orlo lobato e sempre striato per trasparenza; base del gambo bianca ma ingrigente in maniera lieve e progressivamente lenta alla manipolazione – carattere, quest’ultimo, di particolare rilevanza ai fini della determinazione.

Curiosità

La specie, a causa della sua notevole varietà morfocromatica, è stata descritta e denominata con epiteti sempre diversi numerose volte, fatto che ha creato una certa confusione e difficoltà di identificazione degli esemplari con conseguente proliferare dei numerosi sinonimi che si sono accumulati nel tempo.

Specie simili

  • Hygrocybe acutoconica var. Konradii (R. Haller Aar.) Boertm. (2010)

Praticamente perfettamente uguale all’osservazione macroscopica sia per la colorazione che per la strutturazione morfologica, differisce per la conformazione delle spore: cilindriche o faseoliformi (a forma di fagiolo) in H. acutoconica, ellissodali o subglobose nella var. konradii.

  • Hygrocybe conica (Schaeff.) P. Kumm. (1871)

E’ la specie tipo del genere, anch’essa molto simile ad H. acutoconica, differisce per la carne che, sempre di colore bianco, annerisce allo sfregamento in tutte le parti del carpoforo mentre, in H. acutoconica, tale caratteristica è localizzata solo alla base del gambo.

***************

  1. Genere Hygrophorus il Genere ospita carpofori carnosi, di medio-grandi dimensioni, omogenei (quando cappello e gambo hanno analoga struttura cellulare risultando strettamente saldati uno all’altro tanto che la loro separazione non avviene in maniera netta), con portamento  clitocyboide o tricholomatoide (similari, nella conformazione generale, a seconda delle varie specie, a funghi appartenenti al Genere Clitocybe, o Tricholoma), caratterizzati da colorazioni non vivaci: bianco-biancastre, grigie, brune; a volte, ma raramente, anche giallo-giallastre, aranciate o vinose; generalmente vischiosi e/o glutinosi con lamelle adnate (quando si uniscono al gambo per tutta la loro altezza), decorrenti (quando si uniscono al gambo prolungandosi verso la parte bassa dello stesso) o molto decorrenti, spesse e mediamente o marcatamente spaziate tra di loro. Sono caratterizzati da gambo cilindrico, a volte fusiforme ed attenuato alla base, con portamento robusto o, a seconda della specie, esile; con presenza, solo in alcune specie, di un velo glutinoso o cortiniforme (a forma di cortina ovvero velo costituito da filamenti sericei che dal margine del cappello arrivano al gambo) ben evidente, generalmente asciutto, liscio o fibrilloso o fioccoso, a volte glutinoso. Carne generalmente immutabile o, a volte, chiazzata di rosso-vinoso. Habitat boschivo. 
  2. Genere Cuphophyllus (Donk) Bon 1984. Al Genere appartengono carpofori di piccole e medie dimensioni caratterizzati da cappello di consistenza elastico, asciutto o poco vischioso e, in tal caso, di colori non vivaci o vischioso e, in tal caso, di colori vivaci: giallo, giallo-aranciato, violetto. Lamelle sempre decorrenti ed arcuate; gambo privo di anello, liscio, asciutto o, a volte, vischioso. Habitat graminicolo (quando ha tendenza a crescere in associazione con erbe infestanti appartenenti alla famiglia delle Graminaceae o, per estensione, tra l’erba in genere). 
  3. Trama lamellare indica la maniera in cui le ife si dispongono tra le due facce della lamella. Tipicamente si fa riferimento, in maniera particolare per la famiglia delle Igroforaceae a: Trama lamellare bilaterale, distintiva del Genere Hygrophorus; Trama lamellare intricata, distintiva del Genere Cuphophyllus; Trama lamellare parallela distintiva del Genere Hygrocybe. Per ulteriori approfondimenti si consiglia di consultare un testo specifico tra quelli indicati in bibliografia.

***************

Foto: Andrea Battaglini; Angelo Miceli

Bibliografia di approfondimento

  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama, Crocetta del Montello (TV). I
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. (ristampa 2013) Zanichelli, Bologna. I 
  • Campo Emanuele, 2015: Hygrophorus, Hygrocybe e Cuphophyllus del Friuli Venezia Giulia. Gruppo Micologico Sacilese, Sacile (PN). I
  • Candusso Massimo, 1997: Hygrophorus s. l. Collana Fungi Europaei Vol. 6. Libreria Basso Editrice, Alassio (SV). I
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, 1998: Funghi Igrofori. Edagricole – Edizioni Agricole della Calderini, Bologna. I
  • Galli Roberto, 2014: Gli Igrofori. Ediplan editrice, Milano. I
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione maggio 2019)
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • La Spina Leonardo, Signorino Carmelina, 2018: I Funghi di Santo Pietro. Edizioni La Rocca, Riposto (CT). I
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione maggio 2019)
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Sorbi Claudio, 2012: Tre Hygrocybe rinvenute in ambienti dunali. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2: 4-9, Ponte a Moriano (LU). I

 

 “Sua Maestà il Porcino”

(Nuova stesura)

Puntuali, con l’arrivo dell’autunno e delle prime piogge, i “funciari” (cercatori di funghi), si riversano, fin dalle prime luci dell’alba, nei boschi alla ricerca di quei curiosi “esserini” che, in questo periodo, popolano le aree boschive.

Da sempre apprezzati in cucina per il loro particolare sapore, i funghi catturano l’attenzione di quanti vogliono coniugare il piacere di una sana e salutare passeggiata nei boschi con l’appagamento dei sensi del gusto.

Le prede più ambite, ovviamente, ovoli e porcini! Attenti però al loro corretto riconoscimento, la possibilità di fare confusione tra le innumerevoli specie esistenti è sempre in agguato e può riservare, per i meno esperti, spiacevoli sorprese anche con conseguenze drastiche ed irreversibili.

“Re Porcino”, sovrano dei boschi e di tutte le tavole, nella sistematica micologica viene inserito nell’ordine Boletales, famiglia Boletacee e, all’interno della famiglia di appartenenza, è identificato dal genere Boletus.

I nomi scientifici dei funghi, come avviene per le piante in genere, vengono attribuiti secondo norme stabilite dal Codice Internazionale per la Nomenclatura delle alghe, funghi e piante (ICN). (1)

L’attuale sistema di nomenclatura botanica si basa sul metodo binomiale che fa riferimento agli studi del botanico svedese Carl von Linné (italianizzato in Linneo, 1707-1778) che, nel XVIII secolo gettò le basi dell’attuale sistema di nomenclatura.

Gli studi furono approfonditi da Elias Magnus Fries (micologo svedese, 1794 – 1878) il quale ritenne opportuno sistemare le varie specie fungine all’interno di appositi settori, in considerazione degli aspetti comuni ai vari esemplari, suddividendoli in classi, ordini, famiglie e generi, dando origine, in tal modo, alle basi della moderna sistematica.

Il sistema binomiale prevede che ogni organismo vivente venga identificato da un doppio nome: il primo, generico, riferito al genere di appartenenza, il secondo, specifico, riferito alla specie. La combinazione di nome generico e specifico identifica la specie: esempio Boletus edulis (nome scientifico riferito al porcino). E’ opportuno precisare che il nome attribuito va sempre indicato in forma latina e scritto in corsivo con l’iniziale maiuscola per quanto riguarda l’indicazione del genere, con l’iniziale minuscola per quanto riguarda l’indicazione della specie. Inoltre, per completezza, deve sempre essere seguito dal nome, anche in forma abbreviata, dello studioso che per primo descrisse la specie ed è accompagnato, quando se ne presentano le condizioni, dal nome di chi ebbe a confermarne (sanzionare) (2) la denominazione: esempio Boletus aereus Bull. : Fr. sta ad indicare che la specie fu scoperta dal micologo Jean Baptiste Bulliard (Bull.) ed il nome attribuito fu confermato (sanzionato) (2) da Elias Magnus Fries (Fr.). Inoltre nel caso venga modificato l’inquadramento sistematico del fungo si dovrà indicare, tra parentesi tonda, il nome del primo autore e dell’eventuale sanzionatore, separarati da “ : ” seguiti, fuori parentesi, dal nome di chi ne ha modificato la posizione: esempio Neoboletus erythropus (Pers. : Fr.) C. Hahn per indicare Persoon quale autore del taxon (in origine chiamato Boletus erythropus), Fries come sanzionatore e Hahn per avere modificato la posizione sistematica della specie inserendola in un nuovo genere (Neoboletus).

Fatta questa premessa, utile in senso generico ad avvicinarci al complesso sistema che regola il “Regno dei Fungi”, ci sembra opportuno, al fine di soddisfare le curiosità conoscitive del lettore, ed in considerazione del fatto che è proprio il “Porcino” il fungo che maggiormente attira l’attenzione e le curiosità conoscitive dell’uomo, soffermarci su questa specie.

Con il termine “porcino” si è soliti identificare, anche come denominazione merceologica, alcune specie di funghi appartenenti al Genere Boletus. Nello specifico, per le particolari caratteristiche macro e microscopiche, nonché per la universale e riconosciuta bontà e versatilità del loro uso in cucina e come sancito dal DPR n. 376 del 14.7.1995, sono quattro le specie fungine che possono fregiarsi, a pieno titolo, di tale denominazione: Boletus edulis, Boletus aereus, Boletus pinophilus, Boletus reticulatus.

Genere Boletus L. 1753

Si tratta, senza ombra di dubbio, di uno dei più conosciuti generi del regno dei funghi, ad esso appartengono basidiomi omogenei (quando cappello e gambo presentano la stessa struttura molecolare tanto da essere uniti l’uno all’altro), carnosi, terricoli, simbionti, con imenoforo (parte fertile del fungo posizionata, generalmente, nella zona inferiore del cappello) costituito da tubuli e pori, facilmente asportabile. Tubuli adnati (quando si uniscono, per tutta la loro lunghezza, al gambo); pori piccoli e tondeggianti, inizialmente di colore bianco poi olivastri, immutabili al tocco. Gambo generalmente obeso, pieno, ricoperto da un reticolo più o meno esteso. Carne immutabile al taglio. Sporata in massa di colore bruno-olivastro.

Il genere Boletus, inizialmente di natura polifiletica (quando vi appartengono specie discendenti da più capostipiti), ospitava numerose specie fungine che, a seconda delle caratteristiche morfo-cromatiche generali e microscopiche venivano suddivise in sezioni: Edules, Appendiculati, Calopodes, Luridi. In atto, con l’applicazione della filogenesi molecolare, è stato possibile individuare, nelle singole specie, caratteri distintivi tali da consentirne il riposizionamento in altri generi, alcuni già esistenti, altri di nuova istituzione, quali, ad esempio: Butyriboletus, Caloboletus, Imperator, Lanmaoa, Neoboletus, Rubroboletus, Suillellus ed altri [Della Maggiora, 2016].

Per quanto sopra, l’attuale genere Boletus, divenuto, quindi, monofiletico (quando nel genere sono inserite specie fungine discendenti da un unico capostipite), ospita le specie già inserite nella sezione Edules dell’originario genere: B. edulis, B. aereus, B. pinophilus, B. reticulatus ossia quelle specie fungine comunemente note come Porcini.

Pur nella piena consapevolezza di tale importante modifica nella sistematica fungina, continueremo, nel corso della nostra “Riflessione Micologica”, ove dovesse rendersi necessario, a considerare i Boleti da noi trattati quali appartenenti alla tradizionale sezione Edules del genere Boletus.

Boletus edulis Bull. : Fr.

Herb. Fr. (Paris) 2: tab. 60 (1782)

E’, senz’altro, il più conosciuto di tutti, particolarmente apprezzato per il suo intenso sapore e per l’odore che lo rende il fungo più ricercato in assoluto.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Boletales, famiglia Boletaceae, genere Boletus.

Etimologia: dal latino edules = commestibile

Principali Sinonimi: Boletus bulbosus Schaeff. (1763); Boletus solidus Sowerby (1809); Boletus citrinus A. Venturi (1863); Tubiporus edulis (Bull.) P. Karst. (1882); Boletus clavipes (Peck) Pilát & Dermek (1974); Boletus betulicola (Vassilkov) Pilàt & Dermek (1974); Boletus quercicola (Vassilkov) Singer (1978)

Nomi Volgari: porcino, porcino comune, ceppatello, brisa [Bonazzi, 2003 -AGMT, 2013]

Nomi dialettali: ne esiste una miriade che variano da una località all’altra. Come sempre ci limitiamo a riportare quelli maggiormente in uso in Sicilia: Funciu siddu,  Pinnittu, Testa di fau, Porcino biondu [Bonazzi, 2003].

Descrizione macroscopica

Cappello di medie-grandi dimensioni, con diametro fino a 20-25 cm., inizialmente emisferico, successivamente guancialiforme ed ancora, a maturazione inoltrata, piano o quasi depresso. Cuticola spesso rugosa, leggermente viscida ed untuosa a tempo umido. Colore variabile da bianco-crema verso le varie gradazioni del nocciola, beige, marrone, non uniforme e tendente a sfumare verso il margine. Bordo delimitato, anche se non sempre, da una zonatura di colore bianco. Imenoforo costituito da tubuli lunghi, inizialmente di colore bianco poi, verso la maturazione, tendenti al giallo, giallo-verdastro, ed infine al verde-oliva, immutabili al taglio. Pori piccoli, rotondi, concolori ai tubuli ed immutabili al tocco. Gambo panciuto, obeso, bulboso, cilindrico verso la maturazione, sodo e pieno, inizialmente bianco, tendente verso la maturazione, al nocciola pallido o bruno chiaro; ricoperto, specialmente nella parte superiore, da un fine reticolo a maglie strette di colore bianco, bianco-biancastro, sempre più chiaro del colore di fondo. Carne spessa, soda e compatta negli esemplari giovani, molliccia in quelli maturi; bianca ed immutabile al taglio ed alla pressione, caratterizzata da una tipica colorazione rosso-vinosa sotto la cuticola tendente a divenire meno intensa e più diffusa a maturazione. Odore fungino molto gradevole e sapore dolce.

Habitat

Tipicamente ubiquitario, cresce sia nei boschi di conifere, dove viene rinvenuto con maggiore frequenza, sia nei boschi di latifoglie presentandosi con uno o più esemplari, preferendo un clima fresco. Inizia a fruttificare, dopo abbondanti precipitazioni piovose, fin dal mese di luglio protraendo la sua crescita, a seconda delle varie zone territoriali, anche fino a novembre inoltrato

Commestibilità

Ottimo commestibile. Si presta ad essere cucinato in tutti i modi ed è molto apprezzato anche da crudo (da consumare, comunque, in quantità moderate). Viene largamente consumato allo stato fresco, essiccato o conservato [Alessio, 1985].

Poiché, come scientificamente accertato, contiene il disaccaride trealosio, principio attivo (3) contenuto anche in molte altre specie fungine, può risultare dannoso e causa di intossicazioni anche importanti per persone che presentano carenza dell’enzima trealasi (4) [Mazza, 2018]

Curiosità tassonomiche

Fu il micologo tedesco Jacob Christian Schaeffer (1718 – 1790) a scoprire ed a descrivere per primo, nel 1763, questa ricercatissima specie fungina identificandola come Boletus bulbosus. Successivamente, nel 1781, la specie venne nuovamente trattata dal naturalista francese Jean Baptiste Bulliard ((1752 – 1793) e descritta come Boletus edulis epiteto confermato dal Fries nella sua opera Systema Mycologicum nella quale l’epiteto precedente, B. bulbosus, viene semplicemente indicato. Di conseguenza, ai sensi delle disposizioni previste dal Codice Internazionale per la Nomenclatura delle alghe, funghi e piante (ICN) (1) l’epiteto corretto da attribuire a questa meravigliosa specie fungina è B. edulis Bull. : Fr. [Alessio, 1985].

**********

Boletus aereus Bull. : Fr.

Herb. Fr. (Paris) 9: tab. 385 (1789)

Molto simile per taglia e conformazione morfologica al precedente ed agli altri del gruppo, si differenzia per il colore del cappello bruno-nero, bronzato, spesso con chiazze più chiare di colore ocra o con riflessi ramati. E’ considerato, per il periodo di crescita, il “porcino autunnale” e conosciuto come “Porcino nero”.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Boletales, famiglia Boletaceae, genere Boletus.

Etimologia: dal latino aéris = bronzo, per il colore del cappello.

Principali sinonimi: Tubiporus aereus (Bull.) P. Karst. (1882); Dictyopus aereus (Bull.) Quél. (1886); Suillus aereus (Bull.) Kuntze (1898)

Nomi volgari: Porcino nero, Bronzino

Nomi dialettali: Funcio siddu, Funciu lardaro, Testa niura, Porcinu niuro, Funciu di cerza (nomi dialettali siciliani) [Bonazzi, 2003]

Descrizione macroscopica Boletus aereus Bull. : Fr.

Cappello di medie-grandi dimensioni, raggiunge, e spesso supera, i 20-25 cm. di diametro. Inizialmente emisferico, piano-convesso o piano verso la maturazione, spesso bitorzoluto. E’ caratterizzato da colori molto scuri, dal bruno al marrone, al nero-nerastro con presenza, specialmente negli esemplari giovani, di chiazze decolorate di colore ocraceo o bronzo-ramato tendenti a scomparire verso la maturazione e ricoperto, spesso, da una finissima pruina bianco-biancastra presto evanescente. La cuticola è inizialmente asciutta e vellutata, successivamente, verso la maturazione, liscia, glabra ed umidiccia. Imenoforo costituito da tubuli lunghi ed adnati (quando si uniscono al gambo per tutta la loro altezza), facilmente separabili dalla carne sovrastante, perfettamente bianchi ed immutabili, con pori piccoli e concolori che tendono, verso la maturazione, ad assumere toni giallastri, poi verde-verdastri, verde-brunastri o bruno-ruggine. Non presenta alcun viraggio al taglio o alla pressione. Caratteristicamente mantiene l’iniziale colore bianco più a lungo degli altri porcini. Gambo tendenzialmente panciuto-obeso nei giovani esemplari, poi, verso la maturazione, cilindrico o claviforme, pieno ed asciutto, di colore ocra-brunastro più o meno carico ma sempre più chiaro del cappello, ricoperto nella parte superiore da un fine reticolo inizialmente bianco-biancastro tendente a scurire, divenendo concolore al fondo, verso la maturazione. Carne La carne è bianca, immutabile sia al taglio sia alla pressione, soda e compatta, molliccia solo negli esemplari molto maturi; odore gradevole e sapore dolce.

Habitat

Specie tipicamente termofila (quando predilige ambienti caldi), cresce in areali caldi, soleggiati ed asciutti, associandosi in simbiosi con varie latifoglie soprattutto querce ma anche castagni e carpini. E’ tipico della macchia mediterranea dove si associa a Cisto, Erica arborea, Corbezzolo. Si presenta in forma isolata o a gruppi di più esemplari; fruttifica, a seconda della latitudine e delle condizioni meteorologiche, dal mese di giugno fino al mese di novembre.

Commestibilità

Ottimo commestibile, anche da crudo ma in piccole quantità. In cucina c’è solo l’imbarazzo della scelta, visto che si adatta facilmente ad ogni tipo di preparazione. Essiccato aumenta la sua intensa e piacevole fragranza.

**********

Boletus pinophilus Pilàt & Dermek

Česká Mykol. 27(1): 6 (1973)

E’, tra i boleti della sezione Edules, quello con la taglia più grande che si presenta decisamente massiccia, facilmente riconoscibile per i suoi meravigliosi colori. Viene considerato, per il periodo di crescita come “Porcino del freddo” e, in considerazione dei suoi colori, come “Porcino rosso”

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Boletales, famiglia Boletaceae, genere Boletus.

Etimologia: dal latino Pinus = pino e dal greco Phìlos = amico, amante ovvero amico dei pini con riferimento al suo presunto habitat

Principali sinonimi: Boletus edulis var. pinicola Vittad. (1835); Boletus pinicola (Vittad.) A. Venturi (1863)

Nomi volgari: Porcino dei pini, Porcino rosso, Porcino del freddo, Testa rossa

Nomi dialettali: Cozza ‘e pinu (nome dialettale cosentino); Zappinaro (Nome dialettale reggino con riferimento alla sua tendenza ad associarsi ai grandi Pini dell’Aspromonte che localmente vengono chiamati Zappini); Testa russa, Porcinu di sciari, Funciu reali (nomi dialettali messinesi) [Bonazzi, 2003]

Descrizione macroscopica Boletus pinophilus Pilàt & Dermek

Cappello di medie-grandi dimensioni, può raggiungere anche i 30 cm. di diametro; sodo e carnoso, inizialmente emisferico con orlo involuto poi, verso la maturazione, convesso ed infine appianato-guancialiforme con il margine irregolare o lobato. Con toni tipicamente rossastri: rosso-rame, rosso-mogano, rosso-granata, rosso-cuoio o bruno-rossastro. Superficie umida, irregolare, lobata, grinzosa, ricoperta, nei giovani esemplari, da una finissima pruina bianca che verso la maturazione viene confinata ai margini per sparire successivamente. Imenoforo costituito da tubuli lunghi, facilmente asportabili, libero-arrotondati al gambo, immutabili alla digito pressione ed al taglio, inizialmente bianchi poi, verso la maturazione, tendenti al giallo-giallastro ed ancora al verde-verdastro. I pori, piccoli e rotondi, sono concolore ai tubuli ed immutabili alla pressione. Spore in massa di colore bruno-olivastro. Gambo corto e tozzo, grosso e panciuto da giovane, allungato verso la maturazione ma sempre con base dilatata e bulbosa; da bianco a bruno-ocra, bruno-rossiccio, ricoperto da un fine reticolo concolore più o meno esteso. Carne soda e consistente per lungo tempo, molliccia negli esemplari maturi, bianca ed immutabile al taglio, caratterizzata da un alone rosso-vinoso sotto la cuticola più marcato ed evidente di quello presente in B. edulis; odore gradevole e sapore dolce ma meno intensi rispetto agli altri boleti del gruppo.

Habitat

Fruttifica, a seconda delle varie fasce vegetative, dalla tarda primavera fino all’inizio dell’inverno, isolato o a gruppi di pochi esemplari sia in boschi di conifere che di latifoglie in simbiosi con specie arboree del genere Pinus (specialmente Pino silvestre), Fagus, Castanea e Betula, dove è abbastanza comune mentre risulta essere raro nella macchia mediterranea.

Poco diffuso nei boschi del messinese è, invece, molto comune, apprezzato e ricercato in Calabria nei boschi dell’Aspromonte e della Sila.

Commestibilità

Buon commestibile, anche da crudo ma in piccole quantità. E’ il meno saporito e profumato tra i Boleti del gruppo e quello con il maggior peso specifico. Si presta ad essere cucinato in tutti i modi ed è particolarmente versatile alla conservazione sott’olio esaltando, con i suoi colori esuberanti, anche la bellezza dei vasetti di vetro.

Curiosità tassonomiche

Il primo ad interessarsi di questa meravigliosa entità fungina fu Carlo Vittadini (micologo e botanico italiano, 1800 – 1865) che, nel 1835, in relazione ai suoi caratteri generali la considerò una varietà del B. edulis, denominandola, di conseguenza, B. edulis var. pinicola. Successivamente, nel 1863, Antonio Venturi (micologo italiano, 1806 – 1864) la elevò al rango di specie con la denominazione di Boletus pinicola, denominazione ritenuta invalida in quanto già utilizzata nel 1810 dal micologo Olof Swartz (naturalista svedese, 1760 – 1816) per indicare altra specie fungina appartenente all’ordine delle Poliporales ed oggi conosciuta come Fomitopsis pinicola. L’attuale denominazione venne definitivamente attribuita, nel 1973, dai micologi cechi Albert Pilat ed Aurel Dermek [Alessio, 1985 – Oppicelli ed altri, 2018].

**********

Boletus reticulatus Schaeff.

Fung. bavar. palat. nasc. (Ratisbonae) 4: 78 (1774)

Meglio conosciuto come Boletus aestivalis, per il tipico periodo di fruttificazione e, di conseguenza, come Porcino estivo. E’ molto simile a B. edulis dal quale differisce per piccoli particolari.

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Boletales, famiglia Boletaceae, genere Boletus

Etimologia: dal latino reticulatus, similare ad una rete, con riferimento alla superficie del cappello che generalmente si dissocia in piccole screpolature che assumono, grossolanamente, la conformazione di un reticolo [AGMT, 2013 – Oppicelli, 2018] o, secondo alcuni autori, con riferimento al reticolo che ricopre il gambo su tutta la sua superficie.

Sinonimi principali: Tubiporus aestivalis Paulet (1793); Boletus aestivalis (Paulet) Fr. (1838); Versipellis aestivalis (Paulet) Quél. (1886); Suillus reticulatus (Schaeff.) Kuntze (1898); Boletus carpinaceus Velen. (1939)

Nomi volgari: Estatino, Porcino di castagno, Porcino estivo, Fiorone, Porcino reticulato [AGMT, 2013 – Oppicelli, 2018]

Nomi dialettali: Sillu prumemtiju (nome dialettale cosentino); Mussu i boi (nome dialettale di Alcara Li Fusi – Messina); Purcinu i castagnera (nome dialettale di Ucria – Messina) [Bonazzi, 2003].

Descrizione macroscopica

Cappello di medie-grandi dimensioni, 5-20 cm di diametro, sodo e carnoso poi, verso la maturazione, molle; forma inizialmente emisferica poi convessa-appianata; margine involuto, poi disteso, regolare o leggermente lobato. La cuticola si presenta liscia e glabra, vischiosa negli esemplari giovani, finemente vellutata e spesso screpolata a tempo secco in quelli maturi. Colore molto variabile in base all’ambiente di crescita ed alle condizioni climatiche, dal bianco-nocciola al nocciola pallido, al bruno, bruno-marroncino, ocra-bruno a volte anche molto scuro. Imenoforo a tubuli lunghi, fini e sottili, più corti in prossimità del gambo ove, per tale caratteristica, formano una infossatura circolare; inizialmente bianchi poi giallognoli ed infine verdastri, immutabili al taglio, pori piccoli, tondi concolori ai tubuli, immutabili alla pressione. Gambo carnoso, robusto, cilindrico, regolare, a volte contorto, spesso ingrossato alla base; colore variabile da nocciola pallido a bruno-marroncino più o meno intenso, ricoperto da un fine reticolo in rilievo, a maglie fini, esteso fino al piede, inizialmente concolore, poi più scuro. Carne soda negli esemplari giovani, molliccia in quelli maturi, viene presto invasa dalle larve e quindi degradante per l’azione dei parassiti. Di colore bianco, immutabile al taglio ed alla pressione, odore intenso e gradevole, sapore molto dolce dovuto all’alto contenuto di mannitolo. Con l’essiccazione sapore e profumo si esaltano divenendo più intensi.

Habitat

E’ il classico porcino estivo, incomincia a fruttificare, anche se in maniera sporadica, già dalla tarda primavera, raggiungendo l’apice della fruttificazione a fine estate e soprattutto in autunno. E’ molto comune e diffuso sia nei boschi di aghifoglie (querce, castagni, faggi, noccioli, carpini) sia in quelli di aghifoglie (pini e abeti) prediligendo ambienti soleggiati e boschi termofili. Si presenta in gruppi di esemplari singoli o piccoli cespi.

Commestibilità

Ottimo commestibile anche da crudo ma in piccole quantità, si presta ad essere preparato nelle modalità più varie. Molto profumato ed apprezzabile al palato, purtroppo è spesso invaso dalle larve anche in giovane età.

Curiosità tassonomiche

E’ stato per lungo tempo conosciuto – e tuttora continua ad esserlo – come Boletus aestivalis, epiteto attribuitogli da Paulet nel 1793. Tale nome, però, non è ritenuto valido in quanto B. reticulatus, fu adottato da Schaffer nel 1774 ed è quindi considerato prioritario. In merito è anche opportuno evidenziare che Fries, nel suo Systema Mycologicum del 1821 (opera ritenta utile per il “sanzionamento” delle specie fungine (2)), si limitò ad indicare B. reticulatus quale semplice forma ecologica di B. edulis e quindi priva di rilevanza; motivo questo che non consentì il sanzionamento della specie. Lo stesso Fries riprese in altra sua opera successiva: Epicrisis Systematis Micologici del 1838, il taxon B. aestivalis di Paulet che, di conseguenza, divenne la denominazione più utilizzata della specie [Alessio, 1985].

Entrambi i nomi, però, mostrano, sotto aspetti diversi, ambiguità interpretative che, sino ad oggi, non consentono di chiarire definitivamente il problema che, riteniamo, non troverà soluzione per ancora molto tempo. E’ opportuno, in ogni caso, prendere atto che oggi Boletus estivalis (Paulet) Fr. risulta essere il nome maggiormente utilizzato da quanti operano nel settore della micologia (Bertolini, 2018].

Le specie di cui ci siamo occupati, possono essere agevolmente riconosciute senza pericolo di essere confuse con altri boleti o meglio con quelle specie fungine un tempo inserite nel genere Boletus ed oggi riposizionate, a seguito dei recenti studi di natura filogenetico-molecolare, in generi di nuova creazione (vedi sopra paragrafo Genere Boletus). E’ sufficiente prestare attenzione ai caratteri ad esse comuni come la carne bianca ed immutabile al taglio che è tipica della sezione Edules, ed i pori bianchi che mantengono, alla pressione, la colorazione originale senza assumere cambiamenti di colore. Caratteristiche che fanno la differenza con specie appartenenti alla famiglia Boletaceae e, in maniera particolare, con quelle un tempo inserite nelle sezioni Appendiculati, Fragrantes e Luridus dell’originario genere Boletus che, invece, hanno la carne giallina che reagisce al taglio virando verso un colore azzurrognolo-verdastro, e sono caratterizzati dalla presenza di pori gialli o rossi.

Con tali ultime caratteristiche troviamo un’infinità di specie distinguibili una dall’altra per la presenza di piccoli e minuti particolari, presentando difficoltà nella loro determinazione che deve essere affidata, esclusivamente, a chi è professionalmente competente.

Unica eccezione a quanto sopra è rappresentata da Tylopilus felleus che somiglia, da giovane, a B. edulis e a B. reticulatus e che, a maturità, si differenzia da questi per i pori leggermente rosati. Ha un sapore talmente amaro che, se cucinato assieme ad altri funghi, è sufficiente un solo esemplare per rendere immangiabile un intero raccolto di porcini.

Desideriamo, prima di congedarci, lanciare un appello che vuole essere, in ogni caso, un consiglio ed un monito utile a chi si improvvisa ricercatore o, più semplicemente, consumatore di funghi: consumate solo funghi della cui commestibilità siete certi, fidatevi esclusivamente del giudizio di commestibilità espresso da un “micologo” professionista; non accettate funghi in regalo né regalatene se non preventivamente controllati e certificati; diffidate sempre del parere dei così detti “esperti”.

***************

  1.  Il “Codice Internazionale di Nomenclatura per le alghe, funghi e piante (ICN) viene realizzato e mantenuto aggiornato da botanici provenienti da tutto il mondo che si riuniscono ogni 5 – 6 anni in una sessione precongressuale del Congresso Internazionale di Botanica. Il Codice attuale è stato formalizzato nel Congresso di Shenzhen (Cina) nel mese di luglio 2017 ed è operativo dall’anno 2018; è anche conosciuto semplicemente come “Codice di Shenzhen”; sostituisce il precedente “Codice di Melbourne” che è rimasto in vigore dal 2012 al 2017.
  2. Si intendono “sanzionati”, quindi confermati ed inattaccabili, i nomi dei funghi contenuti nelle opere “Synopsis Methodica Fungorum” di Christian Hendrik Persoon (micologo sudafricano, 1761 – 1836) e “Systema Mycologicum” (Voll. I-II-III) ed “Elenchus Fungorum” (Voll. I e II) di Elias Magnus Fries (micologo svedese, 1794 – 1878)
  3. Principio attivo: termine con il quale, in chimica, si intende identificare una sostanza che possiede una certa attività biologica, come, ad esempio, le sostanze dotate di effetto terapeutico (farmaci), benefico (vitamine, probiotici) o tossico (veleni).
  4. Trealasi è un enzima specifico che idrolizza il carboidrato trealosio che si trova nei funghi, alghe, insetti, lieviti e nella manna

**********

Foto: Nicolò Oppicelli – Angelo Miceli

Bibliografia di approfondimento:

  • A.G.M.T. – 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN
  • Alessio Carlo Luciano – 1985: Boletus Dill. Ex L. Collana Fungi Europaei. Libreria Editrice Biella Giovanna, Saronno
  • Alessio Carlo Luciano – 1991: Boletus Dill. Ex L. (Supplemento) Collana Fungi Europaei. Libreria Editrice Biella Giovanna, Saronno
  • Bertolini Valerio – 2018: Boletus aestivalis – Notula storico-bibliografica. Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia, n. 1:14. A.M.B. Associazione Micologica Bresadola – Trento
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia, Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico – 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici. Trento
  • Buda Andrea – 2011: I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa
  • Della Maggiora Marco, 2016: Boletaceae Chevall, Stato attuale della nomenclatura. Annali Micologici A.G.M.T. anno 2016 n. 9: 85-116
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar -2000: Funghi Boleti, Calderini edagricole, Bologna
  • Galli Roberto – 2013: I Boleti. Micologica, Pomezia
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione gennaio 2019)
  • Levorato Carmine, Rotella Maria – 1999: Funghi in Calabria. Edizioni Pubblisfera, San Giovanni in Fiore (CS) (Seconda Edizione, 2004)
  • Matteucci Sergio – 2008: I Boletus del gruppo edules – i “principi” del bosco. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2: 4-14, Ponte a Moriano (LU)
  • Mazza Riccardo – 2018: I sapori e gli odori dei funghi. ROMAR Srl – Segrate (MI)
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione gennaio 2019)
  • Oppicelli Nicolò –  2012: I funghi ed i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali – Genova
  • Oppicelli Nicolò – 2018: Porcino …o Porcini? – Boletus aestivalis. Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia, n. 1: 3-13. A.M.B. Associazione Micologica Bresadola – Trento
  • Oppicelli Nicolò – 2018: Boletus reticulatus. Passione funghi e tartufi n. 85: 54-63. ErrediGrafiche, Genova
  • Oppicelli Nicolò, Caiolino Ottavio – 2018: Boletus aereus – Nero d’autore. Passione Funghi e Tartufi anno 2018 n.  87: 36-47. Erredi Grafiche Editoriali.- Genova
  • Oppicelli Nicolò, Gava Sara – 2018: Boletus pinophilus – Rubino del bosco. Passione Funghi e Tartufi anno 2018 n.  88: 48-57. Erredi Grafiche Editoriali.- Genova
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampalolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia. Vol. I (seconda ristampa), A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento

Clitocybe nebularis, il fungo delle nebbie

E’ stato da sempre ritenuto, anche se in maniera erronea, un ottimo commestibile tanto da attirare le attenzioni dei numerosi ricercatori-micofagi che durante la stagione propizia erano, e sono ancora, soliti recarsi nei boschi alla sua ricerca.

E’ormai unanimemente appurato dalla totalità dei micologi e dagli studiosi di micotossicologia, che si tratta di un fungo tossico che ha causato, e continua a causare, numerosi ricoveri ospedalieri conseguenziali al suo consumo, tanto da essere cancellato dalle liste regionali dei funghi commestibili.

Clitocibe nebularis Disegno di Gianbattista Bertelli
Clitocibe nebularis Disegno di Gianbattista BertelliClitocibe nebularis Disegno di Gianbattista Bertelli

Veniva inserito tra le specie fungine commercializzabili, e quindi ritenuto commestibile, dall’art. 16 della Legge 23 agosto 1993 n. 352 che regolava, all’epoca, la raccolta e la commercializzazione dei funghi epigei freschi e conservati. Successivamente, per l’accertata e documentata presenza di elementi tossici, con il DPR 14 luglio 1995, n. 376, viene definitivamente depennato dall’elenco delle specie commercializzabili e ritenuto, quindi, tossico o, quantomeno, sospetto di tossicità e, quindi, non commestibile a tutti gli effetti di legge [Marra, 2011].

Purtroppo, però, le abitudini radicate sono dure a morire e nonostante la sua dimostrata tossicità viene tuttora impunemente consumato, in maniera poco cosciente, in diverse località italiane. 

E’ solito fare la sua apparizione nei boschi, a seconda delle diverse fasce vegetative, fin dall’inizio del periodo autunnale, protraendo la sua crescita fino ad inverno anche inoltrato, predisponendosi in numerosi esemplari in fila indiana o in forma circolare, dando vita, così, al classico “cerchio delle streghe” (1).

Genere Clitocybe (Fr. : Fr.) Staube 1857

Al genere appartengono funghi terricoli, di piccole-medie dimensioni, con colori variabili ma non vivaci assestati, generalmente, sui toni pallidi, biancastri, a volte rossastri o grigiastri; omogenei (quando cappello e gambo presentano struttura molecolare similare tanto da non consentire una facile separazione tra i due elementi); con cappello, a seconda della specie di appartenenza, a volte imbutiforme; igrofano (quando cambia colore a seconda del grado di umidità – diviene più scuro con l’umido e tende a sbiadire con il tempo secco), asciutto, pruinoso, squamettato con margine liscio o striato; con imenoforo (zona fertile del fungo posizionata nella zona sottostante il cappello) a lamelle predisposte in maniera decorrente sul gambo che si presenta centrale, pieno, più o meno slanciato, spesso con micelio basale abbondante, a volte adornato da rizomorfe (fascio di ife a forma di radichetta, cordoncino o di nastro a volte presente alla base del gambo di alcune specie fungine). Sporata in massa di colore bianco, giallo o crema rosato, inseriti, quindi, nel gruppo dei funghi leucosporei. Al genere appartengo sia specie commestibili e di buona qualità, sia specie tossiche responsabili di sindromi di varia natura quali, ad esempio: gastrointestinale; neurologica; muscarinica; acromelalgica; da nebularina.

Clitocybe nebularis (Batsch : Fr.) P. Kumm.

Führ. Pilzk. (Zerbst): 124 (1871)  

Basionimo: Agaricus nebularis Batsch (1871)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Tricholomataceae, genere Clitocybe

Etimologia: Clitocybe dal greco Klitos = pendio, inclinazione e da Kùbe = testa ovvero “dalla testa inclinata” con riferimento alla forma del cappello. Nebularis dal latino nebula = nebbia con riferimento al colore grigiastro del cappello che ricorda quello della nebbia

Sinonimi principali: Gymnopus nebularis (Batsch) Gray (1821); Clitocybe stenophylla P. Karst. (1881); Omphalia nebularis (Batsch) Quél. (1886); Clitocybe alba (Bataille) Singer (1951); Lepista nebularis (Batsch) Harmaja (1974)

Nomi volgari: Agarico nebbiolo, fungo della nebbia, nebbiolo, nebbione, vaccaro, ordinale [Bonazzi, 2003].

Nomi dialettali: in considerazione delle numerosissime denominazioni dialettali che variano da una località all’altra, ci limitiamo, come ormai nostra abitudine, a riportare solo i nomi in uso in Sicilia: funciu di filera, funciu i pampina [Bonazzi, 2003].

Descrizione macroscopica

Cappello generalmente di medie dimensioni, raggiunge, negli esemplari più grandi, anche 15 cm. di diametro; inizialmente convesso, tendente verso la maturazione ad assumere forma appianato-depressa; a volte con umbone centrale schiacciato; margine sottile, lungamente involuto, leggermente eccedente; superficie liscia, spesso ricoperta da una leggera pruina biancastra asportabile, con fibrille radiali innate, con colori non vivaci: grigio, grigio-cenere, grigio-bruno. Imenoforo costituito da lamelle fitte, adnate al gambo o leggermente decorrenti, facilmente separabili dalla carne del cappello (secedenti), inizialmente biancastre con riflessi crema-pallido, ingiallenti verso la maturazione. Gambo cilindrico, più o meno clavato, inizialmente pieno poi, verso la maturazione, farcito, striato da fini fibrille in senso longitudinale, concolore al cappello o più chiaro: bianco-crema o crema-grigiastro, spesso con abbondanti resti miceliari alla base. Carne soda, biancastra, con odore e sapore complessi, forti, intensi, caratteristici ma indefinibili, sgradevoli negli esemplari maturi. Relativamente all’odore, Riccardo Mazza, in una sua recente pubblicazione, precisa che appartiene ad un gruppo di “funghi il cui odore complesso è definito, a seconda degli autori, nei modi più diversi o, al contrario, in forma del tutto generica” [Mazza, 2018].

Habitat

Tipico fungo del periodo autunnale, protrae la propria crescita, a seconda delle diverse fasce vegetative, fino ad inverno anche inoltrato (inizia a fruttificare in autunno nelle regioni del nord e successivamente, nel periodo più freddo, nelle regioni meridionali) predisponendosi in gruppi di numerosi esemplari in cerchio o in filari, dando vita al classico “cerchio delle streghe” (1); a nutrizione saprofitica su lettiera di fogliame di latifoglie e di conifere.

Commestibilità e tossicità

NON commestibile, tossico. 

Pur essendo oggetto di largo consumo in alcune zone del territorio italiano, viene ritenuto, all’unanimità, a tossicità incostante e a commestibilità controversa, per la diversità di effetti, a volte nulli, che può causare.

I micologi del passato si sono spesso confrontati sulla commestibilità della specie, manifestando sempre pareri controversi e tra di loro contrastanti. Giacomo Bresadola, padre della micologia italiana, era tra i fautori della commestibilità ritenendolo “malgrado il parere contrario di qualche autore, uno dei migliori funghi mangerecci” [Bresadola, 1954]. Opinione, questa, ormai completamente superata dai numerosi studi condotti che non lasciano ombra di dubbio sulla sua tossicità.

I casi di intossicazione che annualmente vengono segnalati ai vari ispettorati micologici sono sempre numerosi: si tratta generalmente di sindrome gastrointestinale che insorge tra le 2 e le 6 ore dopo il pasto manifestandosi con nausea intensa, vomito, stordimento, mal di testa e diarrea, risolvibile nell’arco di uno o due giorni. I sintomi tossici si manifestano con severità variabile, in maniera incostante ed improvvisamente anche tra i consumatori abituali sui quali precedentemente non aveva causato alcun effetto tossico [Marra, 2011].

E’ stata accertata, nella specie, la presenza di numerosi composti volatili di natura diversa che se inalati durante la cottura o semplicemente durante il trasporto in auto dopo la raccolta possono causare, come spesso è accaduto, episodi di mal di testa, nausea e spossatezza [Marra, 2011 – Mondello].

Composti volatili e principi attivi

C. nebularis è, ormai da tempo, oggetto di numerosi studi di laboratorio che hanno pienamente confermato che la specie, nella sua strutturazione chimica, è composta da numerosi composti volatili, ben 77, e da diversi principi attivi. Si ritiene che il suo particolare ed intenso odore, considerato fortemente sgradevole, sia conseguente all’insieme dei numerosi composti volatili che, a seconda della sensibilità olfattiva individuale, vengono percepiti in maniera diversa con conseguente diversa descrizione della tipologia di odore.

Solo a titolo genericamente informativo, rimandando il lettore ad un testo specifico (vedi Marra, 2011), citiamo alcune delle sostanze estratte da C. nebularis

2-feniletanolo, con odore di fiori di rosa; benzaldeide, con odore di mandorla; β-barbatene, con odore di terra e/o di muffa; indolo, con odore fecale; derivati dell’acido butirrico, con odore nauseabondo di formaggio guasto; monoterpeni e sesquiterpeni, con odore legnoso, canforato, di resina, di agrumi [Marra, 2011 con riferimento a Rapior ed altri]. L’insieme di tali odori conferisce alla specie un odore particolare ed indefinibile cha alcuni considerano come odore “tipico” della specie [Marra, 2011 – Lavorato e altri, 2004].

E’stata ampiamente confermata, attraverso studi di varia natura, la presenza, in C. nebularis, di diversi principi attivi (2) quali:

  • Nebularina: composto organico altamente tossico che non subisce alcuna modificazione sottoposto a bollitura per oltre tre ore.

Agisce, altresì, con azione antibiotica [Assisi et altri, 2008 – Marra, 2011] ed è stato dimostrato che possiede proprietà inibitorie della moltiplicazione del Micobacterium tubercolosis e Brucella abortus, batteri responsabili della tubercolosi e della brucellosi [Marra, 2011].

Possiede, ancora, proprietà citotossiche su cellule neoplastiche [Marra, 2011]

  • Nectina (CNL – Clitocybe Nebularis Lectina): proteina naturale con effetto antiproliferativo sulle cellule del linfoma umano [Marra, 2011].
  • Clitocipyn (Clitocybe cysteine proteinase inhibitor) e CnSPIs (Clitocybe nebularis serine protease inhibitor): inibitori della proteasi [Marra, 2011].

Specie simili

  • Entoloma sinuatum (Bull. Fr.) P. Kumm (1871) = Entoloma lividum Quél. (1872)

Specie velenosa, può facilmente essere confusa con C. nebularis con la quale condivide lo stesso habitat di crescita fruttificando nello stesso periodo.

Entoloma sinuatum Foto Angelo Miceli
Entoloma sinuatum Foto Angelo Miceli

Differisce principalmente per la conformazione delle lamelle profondamente smarginate e quasi libere al gambo (adnate o leggermente decorrenti in C. nebularis), per il colore delle stesse che è inizialmente giallo divenendo poi, a maturazione, rosa più o meno carico (lamelle inizialmente bianche con riflessi crema-pallido, ingiallenti verso la maturazione in C. nebularis) e, inoltre, per il forte odore di farina fresca che emana (intenso, non definibile, sgradevole in C. nebularis).

Note e curiosità 

Clitocybe nebularis parassitata da Volvariella surrecta Foto Loredana Battisti
Clitocybe nebularis parassitata da Volvariella surrecta Foto Loredana Battisti

Spesso, specialmente a maturità avanzata, C. nebularis viene parassitata da Volvariella surrecta, che si presenta, inizialmente, come un tomento biancastro, molto simile ad una muffa, posizionato nella zona centrale del cappello, identificativo del micelio del fungo con successiva comparsa di piccoli esemplari tondeggianti e dotati di una bella volva rosata della specie parassita. E’ opportuno precisare che gli sporofori di Volvariella non presentano alcuna tossicità che invece è concentrata nel micelio del fungo [Assisi et altri, 2008].

***************

  1. Cerchio delle streghe: tipica crescita fungina in forma circolare. Deve tale denominazione alle numerose credenze e superstizioni nate nel medioevo quando i funghi, “strane creature”, spuntati dal nulla senza un supporto arboreo, lasciavano correre la fantasia degli uomini che li accoppiava a strani riti nelle radure dei boschi ad opera delle streghe. Si riteneva che i funghi nascessero in cerchio nello stesso posto dove streghe, elfi e folletti erano soliti tenere i loro incontri notturni su un’area di forma circolare.

Tale fenomeno viene scientificamente spiegato dalla particolare forma di sviluppo del micelio che, generato dalla singola spora, si propaga, in molti casi ed a seconda della specie fungina cui è legato, in senso radiale ed in maniera uniforme, allargandosi anno dopo anno raggiungendo, se non viene ostacolato durante la sua crescita da un evento naturale o dall’intervento dell’uomo, dimensioni notevoli. Nella parte interna della zona circolare il micelio rimane, dopo la fruttificazione fungina annuale, svuotato da tutte le sue sostanze nutritive, divenendo, quindi, sterile con ripercussioni negative sulla crescita della vegetazione. Successivamente, con l’incremento della massa miceliare che si estende in forma circolare, le sostanze nutritive tornano a formarsi nella parte esterna con l’emissione di ammoniaca che viene trasformata in concime caratterizzandosi, all’esterno, con la presenza di un cerchio di erba verde e rigogliosa con radici profonde e, quando le condizioni ambientali sono favorevoli, di numerosi esemplari fungini.

  1. Principio attivo: termine con il quale, in chimica, si intende identificare una sostanza che possiede una certa attività biologica, come, ad esempio, le sostanze dotate di effetto terapeutico (farmaci), benefico (vitamine, probiotici) o tossico (veleni).

***************

Tavole micologiche: Gianbattista Bertelli

Foto: Loredana Battisti, Angelo Miceli.

***************

Bibliografia di approfondimento

  • A.G.M.T. – 2013: Io sto con i funghi. La Pieve Poligrafica Editore, Villa Verucchio (RN)
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica) –2007: Tutto funghi. Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Assisi Francesca – 2012: I funghi: guida alla prevenzione delle intossicazioni. Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda – Centro Antiveleni Milano, Milano
  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli. Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico – 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici. Trento
  • Bresadola Giacomo – 1954: Funghi mangerecci e funghi velenosi.. Museo di Storia Naturale. Trento. ( IV edizione a cura del Comitato Onoranze Bresadoliane. Milano-Trento)
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione agosto 2018)
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria – 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione. Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS)
  • Marra Ernesto – 2011: Principi biologicamente attivi presenti in Clitocybe nebularis. A.M.B. Rivista di Micologia, Anno LIV n. 1: 59-66. A.M.B. Trento.
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione agosto 2018)
  • Mazza Riccardo – 2018: Gli odori e i sapori dei funghi. ROMAR Srl. Segrate (MI)
  • Milanesi Italo – 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento 
  • Mondello Francesco Clitocybe nebularis. MicologiaMessinese – (http://www.micologiamessinese.altervista.org/Funghi%20C.htm#Clitocybe nebularis)
  • Oppicelli Nicolò – 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Trento
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampalo -2004: Atlante fotografico dei funghi d’Italia, Vol. 1. Seconda ristampa. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Pelle Giovanna – 2007: Funghi velenosi e sindromi tossiche. Bacchetta Editore, Albenga (SV)

Amanita phalloides, l’Angelo della morte

Autunno 2018: nuova e ricca stagione su tutto il territorio nazionale per la produzione fungina. Il protocollo, ormai divenuto classico, si ripete, come ogni anno, nei minimi particolari: i “funciari” (raccoglitori di funghi), cestino, bastone e scarponi, “sciamano” a centinaia nei boschi alla ricerca delle prelibatezze stagionali: “ovoli” e “porcini”, dimenticando le più elementari norme relative alla raccolta ed al consumo dei “nostri amici del bosco”, “deliziandosi” con la ricerca indiscriminata di quanto, nascosto tra le foglie del sottobosco, si presenta con la classica forma del fungo e, quindi, potenzialmente utile per dare un tocco di classe alla tavola per il pasto serale a fine giornata. Il protocollo si ripete, purtroppo, anche per le conseguenze spesso spiacevoli ed irreversibili verso le quali numerosi incauti raccoglitori vanno incontro: “Rocca di Papa, famiglia avvelenata dai funghi: morti i due nonni, gravi altri tre…” la notizia diffusa via web da “il giornale.it” oggi, 14 settembre 2018, addita, ancora una volta, come responsabile del grave episodio, ponendola sul “banco degli imputati”, la solita Amanita phalloides un fungo mortale dall’aspetto elegante e dalle caratteristiche morfocromatiche particolari che ne fanno una specie di facile riconoscimento e non confondibile, almeno in teoria e per quanti hanno acquisito una minima competenza nel riconoscimento dei funghi, con altre specie fungine.

Prendiamo spunto da questa, purtroppo, ferale notizia per presentare ai nostri lettori “l’Angelo della morte”, con l’intento primario di fornire, in maniera particolare ai neofiti, gli elementi utili al suo riconoscimento.

Genere Amanita Pers. 1797

Al Genere appartengono sporofori eterogenei (quando cappello e gambo presentano struttura molecolare diversa che consente una netta e facile separazione dei due elementi) ben differenziati e facilmente individuabili, limitatamente alla determinazione del genere di appartenenza, per la presenza di particolari e caratteristiche ornamentazioni che si formano sul cappello e sul gambo, tanto nella parte apicale quanto nella parte inferiore. Sono funghi bivelangiocarpici ossia muniti di due veli. Uno detto velo generale che avvolge l’intero carpoforo fin dalla sua formazione allo stadio di primordio che lo rende simile, per la sua strutturazione, ad un uovo e per tale caratteristica consente di conferirgli, appunto, la denominazione di “ovolo”; l’altro, detto velo parziale, inteso a proteggere la zona imeniale (parte fertile del fungo – formata, nel caso delle Amanite, da lamelle e situata nella parte inferiore del cappello ove si formano gli elementi riproduttivi: le spore) che dall’orlo del cappello si estende fino al gambo.

La formazione del carpoforo, con il suo accrescimento sia in altezza sia in larghezza, causa, man mano che il processo di formazione procede, la lacerazione dei due veli che, a rottura, formano, per quanto riguarda il velo generale, un residuo che va a depositarsi nella parte bassa del gambo dando origine alla formazione di una specie di guaina basale detta “volva” ed anche, a volte, alla formazione di residui dissociati sul gambo ed alla formazione – anche se non sempre – sul cappello di ornamentazioni dette, in senso generico, “verruche”. Per quanto riguarda il velo parziale, la sua lacerazione, con il distacco dello stesso dall’orlo del cappello, causa – anche se non sempre –  la formazione di un “anello” che va a posizionarsi sul gambo [Miceli, 2017].

Amanita phalloides (Vaill. ex Fr.) Link

 Handb. Erk. Gew. 3: 272 (1833)

E’ un fungo basidiomicete a larga diffusione territoriale, presente in numerosi esemplari prevalentemente nei boschi di latifoglie (querce, noccioli, carpini, castagni, faggio) e, a volte, anche di conifere in associazione a diverse specie di pino. Comunemente conosciuto come “Amanita falloide” o “Tignosa verdognola”, è velenoso-mortale ed è considerato il più pericoloso esistente in natura a causa della sua elevata tossicità e per il suo aspetto polimorfico e policromatico che lo rende, ad un esame superficiale e per i neofiti, somigliante a molte specie fungine. Unitamente alle sorelle Amanita verna ed Amanita virosa è responsabile del più alto numero di casi di avvelenamento con esito mortale [Balestreri, 2011].

Nell’immaginario collettivo, specialmente per la mancanza di nozioni basilari di micologia, viene erroneamente identificato con Amanita muscaria, un bellissimo ed elegante fungo dal colore rosso ricoperto da fiocchetti bianchi che, pur essendo tossico, é privo di effetti letali.

Basionimo: Agaricus phalloìdes Vaill. ex Fr. 1821

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Amanitales, famiglia Amanitaceae, genere Amanita.

Etimologia: dal greco phallòs (fallo) e eîdos (forma, sembianza) e cioè “a forma di fallo” con riferimento alla conformazione che assume da giovane.

Sinonimi principali: Fungus phalloìdes Vaill. (1723), Amanita viridis Pers. (1797), Agaricus virosus Vitt. (1835), Venenarius phalloides (Vaill. ex Fr.) Murrill (1912), Amanitina phalloides (Vaill. ex Fr.) E. J. Gilbert (1940)

Nomi volgari: Tignosa verdognola, Amanita verdognola, Ovolo bastardo.

Nomi dialettali: Funciu di cerza; Funciu vilinusu (nomi dialettali siciliani) [Bonazzi, 2003]

 

Descrizione macroscopica

Cappello di medie dimensioni, generalmente 8-16 cm. di diametro; inizialmente emisferico, poi convesso e, verso la maturità, piano convesso, privo di umbone; superficie regolare, margine intero, non striato, leggermente rivoluto (rivolto verso il basso), a volte con residui del velo parziale; cuticola leggermente eccedente (quando sporge dal margine del cappello), interamente separabile dal cappello, umida e leggermente vischiosa a tempo piovoso, lucida ed asciutta a tempo secco, liscia e percorsa da fini fibrille (piccole e sottili fibre, più o meno lucenti, posizionate radialmente sulla cuticola o longitudinalmente sul gambo di alcune specie fungine) radiali innate, generalmente nuda, a volte con placche biancastre irregolari derivate dal velo generale, colore estremamente variabile con tonalità verdastre: verde, verde pallido, grigio-verde, giallo, giallo-verdastro, giallo-bruno, giallo-olivastro. Imenoforo costituito d lamelle fitte, sottili, libere al gambo (quando si interrompono prima di arrivare al gambo), intervallate da lamellule (struttura lamellare di dimensioni minori rispetto alle lamelle) tronche di diversa lunghezza, di colore bianco con riflessi giallo-verdastri negli esemplari maturi; taglio leggermente fioccoso negli esemplari giovani; spore in massa bianche, identificative dei funghi appartenenti al gruppo dei leucosporei. Gambo centrale, cilindrico, slanciato, leggermente svasato all’apice si allarga progressivamente verso la base dove dove si completa con un evidente bulbo a forma sferica o quasi sferica, inizialmente pieno poi, verso la maturazione farcito, midolloso, cavo; colore bianco-biancastro, ricoperto nella zona alta da una leggera pruina bianca, nelle altre parti decorato da bande o zebrature trasversali più o meno evidenti concolori al fondo negli esemplari giovani, con sfumature giallo-verdastri negli esemplari maturi. Anello posizionato nella zona alta del gambo, sottile, membranoso, persistente, pendulo, leggermente striato nella pagina superiore, fioccoso in quella inferiore, di colore bianco assume riflessi giallini negli esemplari maturi. Volva evidente, a sacco, membranosa, sottile, aderente al bulbo con l’orlo, spesso lobato, distanziato dal gambo, di colore bianco-bianco sporco. Carne soda e compatta, inizialmente tenere, poi molle, fibrosa nel gambo, colore bianco con sfumature giallo-verdastre sotto la cuticola, odore debole, gradevole negli esemplari giovani, sgradevole tendente al cadaverico negli esemplari maturi, sapore dolciastro.

 

Habitat

Specie molto comune e largamente diffusa, inizia a fruttificare sin dall’estate dopo le prime piogge, protraendo la crescita fino ad autunno inoltrato. Si presenta in gruppi, spesso di numerosi esemplari, nei boschi di latifoglie e, a volte, anche in quelli di conifere.

Commestibilità, tossicità e curiosità

Velenoso, mortale. Causa sindrome falloidea(1) caratterizzata da grave insufficienza epatica.

Si tratta di uno dei funghi più pericolosi esistenti in natura tanto per il contenuto di tossine velenose quanto per la sua diffusione territoriale che lo vede presente in numerosi habitat boschivi.

I casi di avvelenamento che annualmente vengono segnalati ai vari ispettorati micologici sono numerosi e spesso ad esito mortale. Tuttavia si ha notizia, in letteratura, di un curioso caso registrato nell’autunno del 2012, legato al consumo di A. phalloides cruda unitamente all’abbondante ingestione di vino ed acqua idrolitina (composto a base di bicarbonato di sodio che genera effervescenza), con conseguenze cliniche molto modeste.

Nella fattispecie dopo la comparsa della sintomatologia gastrointestinale con vomito, dolori addominali, diarrea e progressiva disidratazione, la fase clinica successiva, che generalmente determina la necrosi delle cellule epatiche, non si è verificata con la consueta gravità consentendo, dopo le cure del caso, la completa guarigione del paziente.

La stranezza dell’evoluzione clinica viene attribuita, solo a livello di ipotesi, alla concomitanza di diversi fattori quali il consumo del fungo crudo unitamente all’abbondante ingestione di liquidi (vino ed acqua idrolitina) che hanno verosimilmente diluito i succhi gastrici riducendone l’azione [Illice, 2013].

I suoi effetti mortali sono noti dai tempi più antichi, tanto che – la storia racconta – A. phalloides fu utilizzata per commettere omicidi di personaggi eccellenti quali, ad esempio, l’imperatore romano Claudio avvelenato dalla moglie Agrippina per consentire la successione al trono del figlio Nerone; tutta la famiglia di Euripide; Papa Clemente VII, la vedova dello zar Alessio [Della Maggiora, 2007 – AGMT, 2013 – Sorbi, 2014]. 

Principi attivi

E’ stata ampiamente confermata, attraverso approfonditi studi di varia natura, la presenza in A. phalloides, di tre principi tossici: fallolisine, falloidine e amatossine.

  • Le fallolisine, sostanze termolabili ad effetto emolitico, vengono decomposte con il calore e non presentano alcuna pericolosità quando il fungo viene consumato ben cotto [Milanesi, 2015].
  • Le falloidine, costituite da aminoacidi, sono termostabili, ovvero mantengono inalterate le proprietà anche se i funghi che le contengono sono sottoposti a cottura. In ogni caso non vengono assorbite dal tubo digerente nell’intestino e non svolgono, di conseguenza, alcuna attività tossica [Milanesi, 2015].
  • Le amanitine, molto pericolose e ad azione mortale, sono termostabili (quando non subiscono alcuna variazione se sottoposte all’azione del calore) e responsabili di epatocitolisi fulminante. La dose letale è di 0,1 mg per kg di peso corporeo. Si consideri che un basidioma di A. phalloides di medie dimensioni contiene 5-8 mg di amanitina, sufficiente per causare la morte di un individuo adulto del peso di 70-80 kg [Milanesi, 2015].

Proprietà farmacologiche

Un gruppo di ricercatori del Centro tedesco di Ricerca sul cancro (Deutsches Krebsforschungszentrum) con a capo il Dott. Gerhard Moldenhauer, unitamente ad altri centri, conduce, ormai da anni, uno studio mirato all’utilizzo delle tossine contenute nel fungo, in particolare le α-amanitine, per colpire e distruggere le cellule tumorali. Gli esperimenti in vitro e sugli animali, hanno consentito di accertare che legando un anticorpo presente nell’organismo umano alle α-amanitine e veicolando l’insieme direttamente sulle cellule tumorali, queste regrediscono e successivamente vengono definitivamente distrutte [Seltmann, 2012 – Sorbi, 2014]. Ovviamente la strada da seguire è ancora lunga ma gli esperimenti lasciano ben sperare e, forse, in un futuro più o meno prossimo l’Angelo della morte potrà divenire l’Angelo della vita.

Forme e varietà

  • Amanita phalloides var. alba Costantin & L.M. Dufour (1895)
Amanita phalloides var. alba Foto Franco Mondello
Amanita phalloides var. alba Foto Franco Mondello

Si presenta perfettamente identica, nella conformazione morfologico-strutturale, ad A. phalloides ma con una colorazione totalmente bianca. E’ specie velenoso-mortale.

Per il suo colore bianco è spesso confusa con esemplari fungini appartenenti al genere Agaricus che differiscono per il colore delle lamelle inizialmente grigio chiaro, beige, nei giovani esemplari che tende a scurire sempre più a maturazione verso il bruno-tabacco o nerastro.

Specie Simili

  • Amanita caesarea (Scop. : Fr.) Pers. (1801)

Ottimo commestibile e ricercata specie fungina, si presenta, allo stadio adulto, completamente diversa da A. phalloides, sia per la colorazione generale totalmente giallo-aranciato, sia per la conformazione morfologico-strutturale, tanto da non creare alcuna possibilità di confusione con A. phalloides.

Allo stadio primordiale, invece, quando si presenta completamente avvolta dal velo generale, è perfettamente identica ad A. phalloides dalla quale differisce per minimi particolari, quali, ad esempio: la base appuntita e la parte superiore più larga ed arrotondata (come un uovo rovesciato) mentre A. phalloides presenta tali caratteristiche invertite: base arrotondata, superficie superiore appuntita. Alla sezione A. caeasarea mostra i colori giallo-aranciati della superficie del cappello e delle lamelle che, in A. phalloides sono, invece, perfettamente bianche.

 

E’ opportuno ricordare che numerosi casi di avvelenamento, spesso con esiti mortali, sono dovuti alla imprudenza ed alla ingordigia dei cercatori che raccolgono il fungo allo stadio di ovolo confondendo le due specie con conseguenze molto gravi e spesso irreversibili.

Consigliamo di evitare la raccolta dei funghi allo stadio primordiale attenendosi alla normativa vigente che ne vietata tassativamente la raccolta prima che il velo generale si sia lacerato lasciando intravedere il corpo fruttifero sottostante.

A maturazione, A. phalloides si presenta con una notevole varietà cromatica che, come già detto, può essere verde, verde pallido, grigio-verde, giallo, giallo-verdastro, giallo-bruno, giallo-olivastro, quindi può facilmente creare confusione con numerose altre specie fungine appartenenti a diversi generi quali, ad esempio, Tricholoma, Russula, Volvaria, Melanoleuca, Leucoagaricus ecc. Data la vastità dell’argomento preferiamo rinviare il lettore a testi monografici specifici.

Conclusioni

Desideriamo, prima di congedarci, lanciare un appello che vuole essere, in ogni caso, un consiglio ed un monito utile a chi si improvvisa ricercatore o, più semplicemente, consumatore di funghi: consumate solo funghi della cui commestibilità siete certi, fidatevi esclusivamente del giudizio di commestibilità espresso da un “micologo” professionista; non accettate funghi in regalo né regalatene se non preventivamente controllati e certificati; diffidate sempre del parere dei “così detti esperti”.

***************

  1. Sindrome falloidea

Il periodo di latenza varia tra le 6 e le 24 ore dal consumo dei funghi.

I sintomi si manifestano in fasi progressive di aggravamento: inizialmente disturbi gastrointestinali, dolori addominali, vomito, diarrea, stato di disidratazione; successivamente, nei giorni seguenti, dopo un apparente miglioramento, inizia a manifestarsi danno epatico che, in una fase ancora successiva, si avvia verso insufficienza epatica acuta, ipoglicemia ed ittero, coma epatico, insufficienza renale, decesso.

I principi tossici si identificano in fallolisine, falloidine e amanitine, queste ultime le più pericolose: la dose letale è pari a 0,1 mg per Kg di peso corporeo, basti pensare che un esemplare fungino di medie dimensioni contiene da 5 ad 8 mg. di amanitina, più che sufficienti per causare la morte di un individuo adulto (I. Milanesi 2015).

Le specie responsabile dell’intossicazione sono: Amanita phalloides, A. phalloides Var. AlbaA. verna, A. virosa, A. porrinensis; Galerina marginata, G. autunnalis, G. badipes; Conocybe filaris, Lepiota helveola, L. josserandii, L. brunneoincarnata, L. castanea, L. subincarnata, L. clypeolariodes

Le statistiche riferiscono di numerosi casi di decesso e numerosi altri risolti con trapianto di fegato [Miceli, 2016].

***************

Foto: Carmelo Di Vincenzo, Angelo Miceli, Franco Mondello, Federico Stella

***************

Approfondimenti bibliografici

  • A.G.M.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani), 2013: Io sto con i Funghi. 2^ Edizione. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN)
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi.  Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Assisi Francesca, 2007: Tossicologia del Genere Amanita. In Galli R., 2007: Le Amanite. 2^ edizione. dalla Natura, Milano
  • Assisi Francesca, 2012: I funghi: guida alla prevenzione delle intossicazioni. Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda – Centro Antiveleni Milano, Milano
  • Assisi Francesca, Balestreri Stefano, Galli Roberto, 2008: Funghi velenosi. dalla Natura, Milano
  • Balestreri Stefano, 2011: Amanita phalloides. In Appunti di Micologia (www.appuntidimicologia.it)
  • Bettin Antonio – 1971: Le amanite. L.E.S. Libreria Editrice Salesiana, Verona
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Buda Andrea, I Funghi degli Iblei. Vol. 1. A.M.B. Gruppo di Siracusa. Siracusa
  • Buffoni Lorenzo, 1983: Gli avvelenamenti da Amanite tossiche. In Merlo E. e altri, 1983: Le Amanite. Sagep Editrice, Genova: 128-137
  • Consiglio Giovanni, Pierotti Alessio, 2013: Approccio al Genere Amanita – IV. A.M.B. Rivista di Micologia, 2: 99-116. Trento
  • Della Maggiora Marco, 2007: Gli avvelenamenti da funghi. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 1: 24-40, Ponte a Moriano (LU)
  • Della Maggiora Marco, Mannini Maurizio, 2013: Funghi buoni … o “buoni da morire”. In A.G.M.T., 2013: Io sto con i Funghi. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN): 171-204. (Seconda Edizione)
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, 1993: Funghi Amanite. Calderini edagricole, Bologna
  • Galli Roberto, 2007: Le Amanite. 2^ edizione. dalla Natura, Milano
  • Illice Mirko, 2013: Un curioso caso di consumo di Amanta phalloides privo di serie conseguenze. A.M.B. Rivista di Micologia, 1 : 45-48. Trento
  • Marra Ernesto, Macchioni Claudio, 2015: Il consumo in sicurezza dei funghi. Regione Calabria Giunta Regionale Dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie – Confederazione Micologica Calabrese
  • Merlo Erica, Traverso Mido, 1983: Le Amanite. Sagep Editrice, Genova
  • Miceli Angelo, 2016: Tra tossine e veleni – Parte Prima. NA.SA.TA Magazine – I Sapori del mio Sud – Periodico di informazione dei soci dell’Associazione Culturale Nasata. Anno XII n. 127: 11-12 –  anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (www.adset.it); e in “MicologiaMessinese/Andar per funghi” (www.micologiamessinese.it)
  • Miceli Angelo, 2016: Tra tossine e veleni – Parte Seconda. NA.SA.TA Magazine – I Sapori del mio Sud – Periodico di informazione dei soci dell’Associazione Culturale Nasata. Anno XII n. 128: 10-12 – anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (www.adset.it); e in “MicologiaMessinese/Andar per funghi” (www.micologiamessinese.it)
  • Miceli Angelo, 2017: Amanita muscaria, il fungo delle fiabe. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 10: 30-38. Ponte a Moriano (LU)
  • Milanesi Italo, 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Neville Pierre, Poumarat Serge, 2004: Amaniteae. Collana Fungi Europaei. Edizioni Candusso, Alassio (SV)
  • Oppicelli Nicolò, 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali. Genova
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Pelle Giovanna, 2007: Funghi velenosi e sindromi tossiche.  Bacchetta Editore, Albenga (SV)
  • Phillips Roger, 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara
  • Seltmann Stefanie, 2012: Death cap mushroom poison to arrest pancreatic cancer in mice. German Cancer Research Center in the Helmholtz Association (Deutsches Krebsforschungszentrum, DKFZ) n. 15.

(https://www.dkfz.de/en/presse/pressemitteilungen/2012/dkfz-pm-12-15-Death-cap-mushroom-poison-to-arrest-pancreatic-cancer-in-mice.php)

  • Sorbi Claudio, 2014: Amanita caesarea vs. Amanita phalloides “vita” e “morte” a confronto. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 8: 4-10, Ponte a Moriano (LU)

Agaricus urinascens (J. Schäff. & MØller) Singer 1951

Come comunemente avviene per le numerose specie fungine appartenenti al genere Agaricus, viene identificato e conosciuto su tutto il territorio nazionale con la denominazione volgare di Prataiolo in considerazione dell’habitat prettamente praticolo ove fa la propria apparizione, a seconda delle varie fasce territoriali, già dalla primavera prolungandola fino ad autunno inoltrato, mettendosi prepotentemente in mostra per le notevoli dimensioni che solitamente raggiunge.

E’ possibile localizzarlo, specialmente quando l’erba dei prati è ancora bassa, a notevole distanza presentandosi, per la particolare crescita in forma gregaria di numerosi esemplari, come tante macchie bianche scintillanti tra le varie sfumature del verde dei prati. L’avvistamento di una stazione di crescita consente facilmente di realizzare un buon bottino assicurando un apprezzato conviviale per molti commensali.

Storia della denominazione del Genere Agaricus

Il nome del genere risale al 1753 e fu adottato da Carl von Linné(1) il quale intese posizionare nel genere di nuova creazione tutti i funghi a lamelle, ovvero quelli che in seguito avrebbero costituito la famiglia Agaricaceae.

Successivamente Elias Magnus Fries(2), nel 1821 nel suo “Sistema Mycologicum”, separò dal grande genere Agaricus i generi: Cantharellus e Schyzzophillum, provvedendo a dividere il genere originale in tribù, adottando, per la prima volta, la denominazione di Psalliota, riservata ai funghi con gambo munito di anello con spore colore porpora, comprendente quindi gli attuali Agaricus.

Solo attraverso ulteriori ricombinazioni, dovute ancora a Fries (“Epicrisis”, 1831 e “Monographia”, 1857), si perviene alla creazione del sottogenere Psalliota che si sostituisce alla precedente “tribù”.

Sono necessarie ulteriori ricombinazioni dovute a Paul Kummer(3) (1871) che elevò il sottogenere Psalliota al rango di genere ma ancora in senso ampio comprensivo di Stropharia e a Lucien Quélet(4) (1872) che elevò tutti i sottogeneri precedenti al rango di “genere” estrapolando, così, le Stropharie dalla precedente collocazione nel sottogenere Psalliota che, finalmente, costituisce genere autonomo.

Con le numerose operazioni di smembramento e ricombinazione, purtroppo l’originaria denominazione di Agaricus viene fatta completamente sparire, in netta contraddizione con le norme di Nomenclatura Botanica che prevedono che il nome Agaricus deve essere mantenuto per uno dei nuovi generi.

Si deve, infine, a Petter Karsten(5) (1879) l’adozione definitiva del nome Agaricus in sostituzione di Psalliota.

Allo stato attuale, la denominazione corretta per il genere derivato dal sottogenere Psalliota di Fries, a tutti gli effetti nomenclaturali ed in accordo con le disposizioni del Codice di Nomenclatura, è Agaricus. [Cappelli, 1984]

Genere Agaricus L. : Fr. 1753

Al genere appartengono basidiomi con crescita terricola o, in pochi casi, fimicola ma mai lignicola [Cappelli, 1984], di piccole, medie e grandi dimensioni, generalmente carnosi, con tipica nutrizione saprofitica anche se le specie crescenti in prossimità degli alberi lasciano pensare ad una probabile forma di nutrizione micorrizica [La Chiusa, 2013]. In merito è opportuno precisare che alcuni micologi considerano le varie specie appartenenti al genere quali simbionti con piante erbacee. Tutte le specie appartenenti al genere hanno uno sviluppo bivelangiocarpico, ovvero risultano ricoperti, specialmente nella fase iniziale di crescita, da due veli: uno detto generale che avvolge l’intero carpoforo, l’altro detto parziale che ricopre l’imenio, parte fertile del fungo, anche se entrambi i veli, specialmente quello generale, possono essere poco persistenti e molto fugaci tanto da non lasciare alcuna traccia a maturazione dello sporoforo. [Galli, 2004].

I carpofori si presentano carnosi, eterogenei (quanto presentano struttura molecolare diversa tra cappello e gambo e, di conseguenza, sono facilmente separabili l’uno dall’altro), con imenoforo (parte fertile del fungo ove maturano le spore) non asportabile; con residui del velo generale presenti solo in alcune specie con resti alla base del gambo sotto forma di placche o fiocchi; mentre i resti del velo parziale sono sempre presenti in tutte le specie sotto forma di anello semplice o doppio [Boccardo ed altri, 2013].

Il genere Agaricus risulta facilmente identificabile dal semplice esame delle caratteristiche morfologiche. L’elemento maggiormente caratterizzante è costituito dal colore delle lamelle che, a seconda delle varie specie, varia dal grigio-biancastro al rosa-grigiastro, al rosa-beige, al rosa chiaro nei primi stadi di sviluppo dei carpofori per divenire, con l’avanzare della maturazione, sempre più scuro verso tonalità rosa-rossastre, rosa-brunastre, bruno, fino al bruno-porpora o bruno-nerastro negli esemplari in avanzato stato di maturazione. Il colore delle lamelle è conseguenziale al colore delle spore che maturando assumono tonalità sempre più scure con chiara identificazione di carpofori appartenenti al gruppo dei funghi iantinosporei, ovvero con spore di colore bruno-porpora.

E’ possibile pervenire alla determinazione delle singole specie osservando, nelle varie combinazioni, i caratteri macroscopici dei singoli carpofori quali, ad esempio, la conformazione dei residui velari, in particolare la posizione e la forma dell’anello (supero, infero, semplice, doppio, a ruota dentata ecc.), la desquamazione della superficie del cappello, il viraggio della superficie per sfregamento, il colore della carne al taglio [Cappelli, 2010]. E’ importante fare riferimento, sempre ai fini della determinazione della specie, anche ai caratteri organolettici, in particolare all’odore. In generale un intenso viraggio al giallo, conseguente allo strofinio delle superfici o al taglio della carne concentrato nella parte bassa del gambo, unitamente ad un apprezzabile odore di iodoformio o di fenolo (inchiostro, inchiostro di china), è identificativo di specie tossiche causa di sindrome gastroenterica, quindi non utilizzabili per il consumo; mentre un piacevole odore di anice o di mandorle è identificativo di specie commestibili. Preferiamo, ritendo che l’argomento sia molto vasto e, di conseguenza, poco agevole da trattare nelle poche righe di una “Riflessione Micologica”, invitare il lettore al suo approfondimento consultando i testi e, in particolare, le monografie indicate nella bibliografia a corredo.

Agaricus urinascens (Jul. Schäff. & F. H. MØller) Singer

Lilloa 22: 431 (1951)

Basionimo: Psalliota urinascens Jul. Schäff. & F.H. Møller 1938

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Agaricaceae, genere Agaricus

Etimologia: Agaricus dal greco agarikòn = campestre con riferimento alla tipica crescita su prati e campi e pascoli ricchi di humus;

urinascens = attinente all’urina per il caratteristico odore che emana a maturazione avanzata o, secondo alcuni autori, per la colorazione giallastra, simile al colore dell’urina, che assume allo sfregamento [Oppicelli, 2012].

Principali sinonimi: Agaricus crocodilinus Murril (1912); Agaricus macrosporus (F.H. Møller & Jul. Schäff.) Pilát (1951); Agaricus stramineus (Jul. Schäff. & F.H. Møller) Singer (1951); Agaricus excellens  F.H. Møller (1952); Agaricus albertii Bon (1988).

Nomi volgari: Prataiolo

Nomi dialettali: come ormai nelle nostre abitudini riportiamo solo i nomi in uso in Sicilia: Prataiolu; Funciu cuppiteddu; Funciu cuppuneddu; Funciu cappuni [in uso, quest’ultimo, nel territorio di Floresta e Tortorici (ME) e Troina (EN)]; Funciu di terra (in uso nel territorio di Caltagirone) [Bonazzi, 2003].

Descrizione macroscopica

Si presenta, nell’insieme, di grandi dimensioni, con portamento tozzo caratterizzato da un largo cappello su un gambo generalmente piuttosto corto. Si riconosce facilmente per la cuticola bianco-candido negli esemplari giovani e giallo-camoscio in quelli adulti facilmente staccabile dalla carne del cappello, per l’anello doppio a ruota dentata, per le numerose squamette che adornano la parte bassa del gambo, per la carne arrossante alla base del gambo, per l’odore di mandorle amare o di anice negli esemplari giovani e di ammoniaca (urina) negli esemplari adulti. Microscopicamente è caratterizzato dalle grandi dimensioni delle spore che lo diversificano dalle altre specie del genere.

Cappello di medio-grandi dimensioni, raggiunge e supera facilmente i 20-25 cm. di diametro, raggiungendo, a volte, dimensioni anche maggiori. Di consistenza molto carnosa e compatta. Inizialmente emisferico poi, verso la maturazione, sempre più piano ed appiattito al centro, con il margine eccedente caratterizzato dai residui bianchi del velo parziale. Cuticola inizialmente liscia di colore bianco, bianco-avorio, poi, verso la maturazione, di colore giallastro, giallo-paglierino, ingiallente per sfregamento e finemente fioccosa con piccole squame concolori, spesso screpolata- areolata a tempo secco. Imenoforo a lamelle libere al gambo (quando si interrompono prima di giungere al gambo con il quale non hanno alcun contatto), molto fitte e strette, intervallate da lamellule (struttura lamellare di dimensioni ridotte che si interrompe prima di giungere al gambo interponendosi tra le lamelle stesse), inizialmente di colore biancastro poi, verso la maturazione, grigio-rosa chiaro, grigio carnicino ed infine, a maturazione avanzata, bruno-nerastre. Gambo generalmente corto e tozzo, robusto, a volte slanciato, inizialmente fusiforme, poi cilindrico, napiforme e leggermente radicante; pieno e a maturazione midolloso. Bianco, liscio sopra l’anello e ricoperto da numerosi fiocchetti bianchi sotto, leggermente rosato all’apice. Anello supero (quando si forma iniziando dalla parte alta del gambo allargandosi verso il basso), doppio, ampio e membranoso, liscio nella pagina superiore, ricoperto da numerose squamule fioccose nella pagina inferiore ove si presenta a ruota dentata. Carne molto consistente e spessa, bianca, tendente al rossastro alla base del gambo con un leggero viraggio al taglio verso un colore rosa-ruggine. Odore di anice o di mandorle amare negli esemplari giovani, di urina a maturazione avanzata. Sapore gradevole.

Habitat

Agaricus urinascens

specie comune, fruttifica nei prati o nei pascoli, sia in quelli di bassa collina, sia in quelli di alta montagna, da primavera avanzata fino a tardo autunno. Ritenuto da alcuni autori specie saprotrofa, da altri invece simbionte-micorrizica con piante erbacee. Cresce singola o gregaria, spesso in gruppi di numerosi esemplari disposti a semicerchio o a cerchio (cerchio delle streghe). Specie eliofila (quando ha predisposizione a svilupparsi bene sotto la luce diretta del sole).

Commestibilità

Ottimo commestibile da giovane. Si consiglia di non consumare esemplari in avanzato stato di maturazione, facilmente identificabili per il colore bruno-nerastro delle lamelle. In considerazione della notevole capacità, tipica a tutte le specie appartenenti al genere Agaricus, di assorbire metalli pesanti(6), si consiglia un consumo moderato, non abbandonate e mai in pasti ravvicinati.

Note per i raccoglitori

Riteniamo opportuno consigliare di fare molta attenzione, in fase di raccolta, a non confondere le varie specie di Agaricus con le Amanite di colore bianco, specie velenoso-mortali, che, per la similarità del colore del cappello, inducono facilmente, specialmente i raccoglitori poco esperti, all’errore. Queste si differenziano dalle varie specie di agarici per l’habitat di crescita prettamente boschivo, per la presenza, alla base del gambo, della volva (residuo del velo generale che avvolge la base dl gambo assumendo conformazione diversa a seconda della specie fungina di appartenenza), e, soprattutto, per il colore delle lamelle sempre bianco. Ricordiamo che in tutte le specie fungine appartenenti al genere Agaricus, le lamelle non sono mai bianche assumendo, fin dall’inizio colore grigio chiaro, poi rosato e, verso la maturazione, bruno-nerastro sempre più intenso. In letteratura sono citati numerosi casi di intossicazione, a volte con esiti irreversibili, dovuti al consumo di Amanita verna scambiata, in fase di raccolta, per innocui prataioli.

Curiosità tassonomiche

Tra i numerosi sinonimi che identificano A. urinascens, ci piace evidenziare la notevole diffusione che l’epiteto binomiale A. macrosporus ha avuto in passato, ed ancora oggi, tra numerosi micologi e appassionati di micologia. Tale denominazione gli venne attribuita nel 1951 da Albert Pilàt (Botanico e micologo cecoslovacco, Praga 2 novembre 1903 – 29 maggio 1974) a seguito della ricombinazione della precedente denominazione Psalliota macrospora del 1938. In ogni caso la ricombinazione in A. macrosporus viene ritenuta illegittima in quanto si tratta di epiteto precedentemente occupato [Cappelli, 2011].

Specie simili

  • Agaricus arvensis Schaeff. : Fr. (1774)

Presenta numerose affinità con A. urinascens quali, ad esempio, il colore bianco del cappello ingiallente al tocco; l’anello supero, doppio ed a ruota dentata. Si differenzia per le dimensioni minori (15 cm. circa), per il cappello spesso con sezione a forma trapezoidale; per la cuticola difficilmente screpolata; per il gambo slanciato e robusto, non bulboso, sempre liscio o appena fioccoso alla estremità della base.

  • Agaricus macrocarpus F.H. Møller (1952)

Tendenzialmente molto simile specialmente per il colore del cappello che da bianco iniziale si porta, verso la maturazione, su colori sempre più intensi tendenti al crema-ocraceo; si differisce per il gambo bulboso caratterizzato da bulbo arrotondato o marginato, con fioccosità prevalenti alla base; per l’habitat di crescita prevalentemente boschivo a ai margini del bosco e per le dimensioni delle spore inferiori a 10 µm.

***************

(1)  Carl von Linnè, italianizzato in Carlo Linneo (Rashult, 23 maggio 1707 – Uppsala, 10 gennaio 1778) medico, botanico e naturalista svedese, viene considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli esseri viventi. Ideatore del sistema binomiale con il quale tutti gli esseri viventi, compresi i funghi, vengono identificati [Brunori ed altri, 2014].

(2) Elias Magnus Fries (Femsjö, 15 agosto 1794 – Uppsala, 8 febbraio 1878), micologo e botanico svedese, viene riconosciuto come il padre della moderna nomenclatura micologica in quanto “Systema Mycologicum”, una tra le sue opere più importanti, per unanime decisione del congresso internazionale di Bruxelles del 1910, viene considerata il punto di partenza per la moderna nomenclatura micologica [Brunori ed altri, 2014] .

(3) Paul Kummer (Zerbst, 22 agosto 1834 – Hann. Münden, 7 luglio 1912) religioso, insegnante e micologo tedesco, è stato il primo autore ad elevare a dignità di genere alcuni gruppi fungini quali, ad esempio, Hebeloma, Entoloma, Pluteus, Volvaria, Psalliota, precedentemente considerati da Fries quali appartenenti a tribù o sottogeneri del genere Agaricus [Brunori ed altri, 2014].

(4) Lucien Quélet (Montécheroux, 14 luglio 1832 – Hérimoncourt, 25 agosto 1899) naturalista e micologo francese, fu il primo ad utilizzare i caratteri organolettici dei funghi legati al sapore, all’odore al colore ed al viraggio della carne quali elementi distintivi delle varie specie fungine di appartenenza [Brunori ed altri, 2014].

(5) Petter Adolf Karsten (Merimasku, 16 febbraio 1834 – 22 marzo 1917) micologo finlandese. Per le numerose opere di natura micologica prodotte, viene considerato il successore dell’opera di Fries [Brunori ed altri, 2014].

(6) E’ stato ampiamente dimostrato, attraverso approfonditi studi specifici, che il genere Agaricus presenta un elevato potenziale assorbente di elementi chimici, in particolare di metalli pesanti quali: cadmio, piombo, mercurio, argento, zinco. E’ stato anche dimostrato che gli esemplari di dimensioni maggiori sono quelli che riescono ad accumulare una maggiore percentuale di metalli pesanti in maniera indipendente dalla eventuale presenza di questi ultimi nel substrato di crescita. A. urinascens, protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, sembra essere la specie maggiormente dotata di potere assorbente verso il cadmio [Galli, 2004].

***************

Foto: Angelo Miceli e Mario Mondello

Bibliografia di approfondimento

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli. Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico – 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici. Trento
  • Brunori Andrea, Cassinis Alessandro – 2014: I funghi nella storia. Sandro Teti Editore, Roma
  • Cappelli Alberto – 1984: Agaricus L. : Fr. Collana Fungi Europaei. Libreria editrice Biella Giovanna. Saronno
  • Cappelli Alberto – 2010: Approccio al genere Agaricus – I.  Rivista di Micologia, Anno LIII n. 2: 99-118. A.M.B.. Trento
  • Cappelli Alberto – 2011: Approccio al genere Agaricus – IV.  Rivista di Micologia, Anno LIV n. 1: 3-27. A.M.B.. Trento
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2009: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 3. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici. Trento
  • Galli Roberto – 2004: Gli Agaricus. dalla Natura. Milano
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione giugno 2018)
  • La Chiusa Lillo – 2013: Funghi Agaricoidi. Vol. 1 – Agaricaceae. ANDER Editore, Monza
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione giugno 2018)
  • Oppicelli Nicolò – 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Trento
  • Parra Sánchez L. A.- 2013: Agaricus L. – Allopsalliota (Parte II). Candusso Editrice, Varese

Coprinus comatus, il fungo dell’inchiostro

Premessa

Siamo pienamente convinti che una diversa denominazione volgare, quale “arbiter elegantiarum”, con espresso riferimento all’eleganza che il suo portamento gli conferisce, sarebbe ben appropriata ed alla stessa stregua di quella con la quale, per la sua caratteristica deliquescenza che lo porta, a maturità, a secernere un liquido nerastro molto simile all’inchiostro, lo fa identificare, ormai da sempre, appunto, quale “fungo dell’inchiostro”, denominazione, tra l’altro, perfettamente calzante e pienamente identificativa delle sue ben note caratteristiche.

Coprinus comatus vuole essere un’altra delle meravigliose specie fungine che fa la propria apparizione, unitamente a Calocybe gambosa, Hygrophorus marzuolus, Marasmius oreades, le numerose specie del genere Morchella ed altre, nel periodo primaverile prolungandola sino ad autunno inoltrato.

Lo si incontra con facilità, spesso in gruppi di numerosi esemplari, stante la sua notevole diffusione territoriale, ai margini delle strade, dei sentieri, delle radure, dei prati specialmente su terreni concimati, a qualunque altitudine, dalla pianura all’alta montagna, assumendo, per la particolarità del suo sistema nutrizionale, la conformazione di fungo saprofita (quando si nutre di sostanze organiche morte).

 

Genere Coprinus Pers. 1797

Al genere appartengono basidiomi eterogenei (quando cappello e gambo sono costituiti da struttura cellulare differente con conseguente facile distacco tra i due elementi che si separano nettamente senza lasciare residui), con crescita saprofitica, inseriti nel gruppo dei funghi melanosporei (quando il colore della sporata (1) si presenta nero o nerastro), caratterizzati da dimensioni medio-piccole e da cappello quasi sempre parabolico negli esemplari giovani e parzialmente disteso negli esemplari maturi. Alcune specie presentano resti del velo parziale sotto forma di anello quasi inconsistenze e quindi precocemente caduco o addirittura impercettibile. Le lamelle sono libere al gambo e, a volte, inserite in un collarium (struttura circolare posizionata all’apice del gambo sulla quale si inseriscono le lamelle), si presentano inizialmente di colore bianco o bianco-grigiastro e successivamente, con la maturazione delle spore, di colore nero-nerastro. La carne è tipicamente deliquescente nel senso che una volta raggiunta la maturità si dissolve in un liquido nerastro molto simile all’inchiostro. Per tale particolarità le varie specie appartenenti al genere sono comunemente conosciute con la denominazione volgare di “fungo dell’inchiostro” [Bianchi, 2018].

Le numerose specie fungine appartenenti inizialmente al genere Coprinus, in conseguenza di approfonditi studi di natura filogenetico-molecolare che hanno chiaramente dimostrato la loro indipendenza dal genere, sono state, in parte, riposizionate in altri raggruppamenti sistematici dando origine a nuovi generi quali: Coprinellus, Coprinopsis e Parasola [Bianchi, 2018].

La quasi totalità delle specie appartenenti al genere Coprinus o ai generi vicini da questo derivati, è caratterizzata dalla presenza di lamelle molto fitte e sottili che rendono difficile la diffusione delle spore nell’ambiente che, in conseguenza anche della particolare forma dello sporoforo, stretta ed allungata, non possono essere “sparate” all’esterno come avviene, invece, nei funghi a cappello pianeggiante. I Coprini, grazie all’intervento di “madre natura” compensano questa loro limitazione instaurando una forma di maturazione progressiva delle spore che procede dal margine inferiore del cappello per avviarsi, rapidamente, verso il suo apice. Dopo la maturazione delle spore e il distacco dai basidi (struttura microscopica a forma di ampolla, tipica dei basidiomiceti, sulla quale si formano le spore), il tessuto lamellare inizia ad “autodigerirsi” cominciando la liquefazione che facilita, con tale mutazione, la diffusione delle spore. Il cappello, con l’autodigestione, inizia ad aprirsi dal basso verso l’alto assumendo sempre più un colore nero come l’inchiostro. [Cazzavillan, 2011].

 

Coprinus comatus (O.F. Müll. : Fr.) Pers,

Tent. disp. meth. fung. (Lipsiae): 62 (1797)

Per il suo aspetto slanciato ed elegante e per la particolarità della “chioma arruffata” che gli ha consentito di acquisire l’appellativo americano di “Shaggy mane” (appunto “chioma arruffata”), unitamente alla particolarità della sua deliquescenza è, praticamente, un fungo di facile riconoscimento e difficilmente confondibile con le specie vicine. Continua a mantenere, dopo la frantumazione del genere Coprinus, il suo ruolo di specie tipo nel genere originario.

 

Basionimo: Agaricus comatus O.F. Müll. (1780)

 

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Coprinaceae, genere Coprinus

 

Etimologia: Coprinus dal greco Kòpros = sterco, con riferimento alla tipica crescita in terreni ricchi di escrementi animali; comatus dal latino coma = chioma, con riferimento alle placche filamentose che ricoprono il cappello presentandosi in maniera similare a ciocche di capelli.

 

Principali sinonimi: Agaricus fimetarius Bolton (1788); Agaricus cylindricus Sowerby (1799); Coprinus ovatus (Schaeff. : Fr.) Fr. (1838).

 

Nomi volgari: Agarico chiomato; Coprino chiomato; Fungo dell’inchiostro.

 

Nomi dialettali: numerose sono le denominazioni dialettali in uso nelle varie località italiane per le quali rimandiamo ad un testo specifico [Cfr. Bonazzi, 2003], limitandoci, come ormai per noi usuale, ad indicare solamente quelle in uso in Sicilia: Funciu calamaru, Calamaru, Iancheddu, Funciu d’inchiostro; Candelini (quest’ultimo un uso nel territorio catanese) [Bonazzi, 2003].

 

Descrizione macroscopica

Cappello inizialmente con andamento cilindrico, ogivale, stretto ed alto con tendenza ad aprirsi in maturazione verso forme campanulato-coniche, espandendosi fino a disfarsi completamente per deliquescenza iniziando dal margine ed allargandosi verso la parte apicale. Le dimensioni oscillano tra i 6 ed i 15 cm. di altezza e, in alcuni esemplari, possono raggiungere anche i 20-22 cm. con una larghezza di circa 3-7 cm. La superficie si presenta inizialmente sericea, asciutta, bianca per decorarsi, successivamente, con fioccosità squamulate biancastre, bruno-chiaro, brunastre su fondo chiaro e tra di loro sovrapposte; la calotta si presenta ocracea con squamette tra di loro unite e spesso frastagliate a forma di stella. Imenoforo costituito da lamelle molto fitte, libere al gambo (quando si interrompono prima di giungere al gambo con il quale, di conseguenza, non hanno alcun contatto) inizialmente bianche, tendenti, verso la maturazione ed iniziando dal margine, ad assumere un colore prima rosato poi sempre più nero, andando progressivamente verso la deliquescenza. Gambo alto, slanciato, può raggiungere anche i 30 cm. di altezza, facilmente separabile dal cappello (concetto di eterogeneità -vedi sopra), subcilindrico, più o meno attenuato all’apice ed ingrossato alla base con un bulbo a forma di ampolla, liscio e tenace nella parte esterna, cavo all’interno, di colore bianco; decorato nella parte medio-bassa da un anello fragile, scorrevole, evanescente, bianco, a volte nero per il deposito sporale. Carne bianca, poco consistente, molto fragile nel cappello; fibrosa nel gambo, di colore bianco negli esemplari giovani, nerastra a maturazione; odore e sapore delicatamente gradevoli.

Habitat

La prima fruttificazione inizia nel periodo primaverile per prolungarsi fino al tardo autunno, cresce in gruppi di numerosi esemplari, in maniera saprofitica, prediligendo i margini delle strade, dei sentieri, delle radure, dei prati, specialmente su terreno abbondantemente concimato e ricco di sostanze organiche in decomposizione.

 

Commestibilità

Senza ombra di dubbio è l’unica specie appartenente al genere Coprinus che può essere considerata commestibile. E’ ritenuta, da alcuni autori, una delle specie migliori in assoluto per l’utilizzo in cucina con l’accortezza, considerata la esiguità della carne, di sottoporla ad una cottura non prolungata e di privarla del gambo in quanto coriaceo. In considerazione della delicatezza della sua carne, si presta ad essere consumata cruda in insalata o appena saltata nel burro con aggiunta di pepe verde [Buda, 2012]. Visto la particolare proprietà della deliquescenza a maturazione avanzata, si deve consumare nel primissimo stadio di sviluppo e nella immediatezza della raccolta, quando le lamelle si presentano ancora perfettamente bianche, prima che, per l’avanzare della maturazione, prendano sfumature rosa o rosa-nerastre. E’ opportuno, al fine di rallentarne la maturazione dopo la raccolta, provvedere al trasporto degli esemplari privandoli del gambo.

La specie è stata da sempre ritenuta, con le limitazioni di cui sopra, un ottimo commestibile tanto che, in merito, l’Abate Giacomo Bresadola (Ortiseé, 14 febbraio 1847 – Trento, 9 giugno 1929) si esprimeva in tal senso: “mangereccio e di ottimo gusto, assolutamente innocuo, purché sia mangiato nel suo primo sviluppo, quando cioè le lamelle sono ancora bianche o rosee. Mangiato quando il cappello è decomposto, o anche quando comincia a decomporsi, può riuscire velenoso, non perché la specie sia per natura venefica, ma per i veleni caratteristici delle sostanze organiche in decomposizione” [Bresadola, 1954].

 

Proprietà medicinali

C. comatus per le numerose vitamine, proteine e minerali quali vanadio, potassio, calcio, ferro, rame e zinco, contenuti, viene utilizzato in medicina con azione ipoglicemizzante risultando molto utile nel trattamento del diabete. Viene anche utilizzato per la cura della stipsi e nel trattamento delle infezioni intestinali. E’ stato anche dimostrato che ha capacità inibitorie verso lo sviluppo delle cellule nel carcinoma prostatico riuscendo ad abbassare i livelli di PSA (Antigene Prostatico Specifico) [Cazzavillan, 2011].

 

Specie simili

Per la sua particolare conformazione morfocromatica e strutturale è una specie facilmente riconoscibile con poche probabilità di confusione con specie similari tra le quali, in ogni caso, è opportuno evidenziare:

  • Coprinus vosoustii Pilàt (1942)

È quello che presenta maggiori tratti di similarità con C. comatus ed analoga commestibilità, si differenzia per le dimensioni minori, per la deliquescenza poco accentuata, per la forma del cappello inizialmente ovata-subsferica e per la calotta discale che si rompe a forma di stella.

  • Coprinus sterquilinus (Fr.) Fr. 1838

Si differenzia per l’habitat di crescita tipicamente costituito da accumuli di sterco, per le dimensioni più piccole che difficilmente superano i 6 cm. di altezza e per le dimensioni delle spore.

  • Coprinus atramentarius (Bull. Fr.) Fr. 1838 = Coprinopsis atramentaria (Bull. : Fr.) Redhead, Vilgalys & Moncalvo 2001

Differisce per le dimensioni minori, per il cappello scanalato in senso radiale e di un tenue colore grigio-argento, grigio-brunastro; per la caratteristica forma di crescita cespitosa e su residui legnicoli. Specie tossica, responsabile, se consumato in associazione a bevande alcooliche, di sindrome coprinica. (2)

 

***************

  1. Con il termine sporata o spore in massa, si è soliti identificare l’accumulo delle spore ottenuto in maniera artificiale adagiando il cappello dello sporoforo, dal lato della zona fertile (imenoforo), su una lastra di vetro trasparente o su un cartoncino dove, dopo qualche ora sarà possibile osservare il deposito sporale che, raggruppato in massa, manifesterà il colore delle spore apprezzabile ad occhio nudo.

  2. Viene inserita tra le cosiddette “Sindromi a breve latenza” (quando gli effetti tossici si manifestano entro sei ore dal consumo dei funghi), è conseguente all’ingestione di “coprina”, tossina contenuta in dose elevate nel C. atramentarius, in associazione con bevande alcooliche. La sintomatologia si manifesta quasi nell’immediatezza del consumo dei funghi evidenziando disturbi cardiocircolatori, arrossamento del collo e del viso, vampate di calore, cefalea, tachicardia. Si tratta di disturbi che si risolvono spontaneamente ma che possono avere conseguenze serie su soggetti cardiopatici. [Milanesi, 2015]

***************

Foto Angelo Miceli, Franco Mondello

 

Bibliografia di approfondimento

  • A.M.G.T. (Associazione Gruppi Micologici Toscani) – 2013: Io sto con i funghi. Seconda Edizione. Edit. La Pieve Poligrafica, Villa Vernucchio (RN)
  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica) -2007: Tutto funghi. Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Bellù Francesco, Veroi Giulio – 2014: Per non confondere i funghi. Casa Editrice Panorama srl, Trento
  • Bertolini Valerio – 2018: Coprinus comatus: notula storico-bibliografica. Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia n. 1: 44:45. A. M. B. Associazione Micologica Bresadola, Trento
  • Bianchi Marco – 2018: Coprinus comatus. Funghi e dintorni – Supplemento a Rivista di Micologia n. 1: 37:43. A. M. B. Associazione Micologica Bresadola, Trento
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico – 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Bresadola Giacomo – 1954: Funghi mangerecci e funghi velenosi. Comitato onoranze Bresadoliane Milano-Trento. Museo di Storia Naturale, Trento
  • Buda Andrea – 2012: I Funghi degli Iblei. Vol. I. Ass. Micologica Bresadola – Gruppo di Siracusa, Siracusa
  • Cazzavillan Stefania 2011: Funghi medicinali, dalla tradizione alla scienza. Nuova Ipsa Editore, Palermo
  • Garau Mariano, Merlo Erica, Rosso Michele, Traverso Mido -1982: I nostri funghi. Sagep Editrice, Genova
  • Cetto Bruno – 1970: I funghi dal vero, Vol. 1. Saturnia, Trento
  • IF – Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione maggio 2018)
  • La Spina Leonardo – 2017, Funghi di Sicilia – Atlante illustrato. Tomo II. Eurografica, Riposto (CT)
  • MBMycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione maggio 2018)
  • Milanesi Italo – 2011, Conoscere i funghi velenosi e i loro sosia commestibili. A.M. B. Associazione Micologica Bresadola, Trento
  • Oppicelli Nicolò – 2012: I funghi e i loro segreti. Erredi Grafiche Editoriali, Trento
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara

 

 

Calocybe gambosa, il fungo di San Giorgio

Articolo pubblicato su “Passione Funghi & Tartufi” n. 81 Maggio 2018

Premessa

Comunemente noto, a quanti, conoscendolo, lo apprezzano per le sue ottime qualità gastronomiche, con la denominazione volgare di Fungo di San Giorgio, derivante dalla tipicità del periodo di crescita che lo lega alla ricorrenza della festività del Santo, è solito fare la sua apparizione nei boschi nel periodo primaverile, facendo sì che la sua ricerca sia appannaggio di pochi estimatori che lo cercano, nel periodo di fruttificazione, in maniera costante sempre nelle medesime stazioni di crescita, ove in forma gregaria, si riproduce in numerosi esemplari.

Genere Calocybe Kühner ex Donk 1962

Al genere appartengono funghi simbionti, terricoli omogenei (quando cappello e gambo presentano una struttura cellulare similare tanto da presentarsi attaccate tra di loro, con difficoltà ad essere separati in maniera netta), con imenoforo a lamelle, caratterizzati da portamento tricholomatoide o collibioide (quando assumono un portamento similare a quello dei funghi appartenenti al genere Tricholoma o Collibya), privi di volva e di anello; caratterizzati da cappello con colori vivaci: bianco-giallastro, giallo, arancione, violetto. Lamelle di colore bianco-giallastro, sottili, fitte, solitamente adnate (quando si inseriscono sul gambo per tutta la loro altezza) o subdecorrenti (quando giungendo sul gambo si prolungano leggermente sullo stesso). Gambo fibroso, a volte fistoloso (quando si presenta più o meno cavo all’interno). Spore in massa di colore bianco.

Calocybe gambosa (Fr.) Donk

Beih. Nova Hedwigia 5: 43 (1962)

 

Basionimo: Agaricus gambosus Fr. (1821)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Lyophillaceae, genere Calocybe

Etimologia: Calocybe dal greco Kalòs = bello e kùbe = testa; quindi dal bel cappello; gambosa dal latino gambosus ovvero dal gambo grosso

Principali sinonimi: Agaricus georgii L. (1753); Tricholoma gambosum (Fr.) P. Lumm (1871); Tricholoma georgii (L.) Quél. (1872); Calocybe georgii (L.) Kühner (1938); Lyophyllum gambosum (Fr.) Singer (1943)

Nomi volgari: Fungo di San Giorgio; Prugnolo; Spinarolo; Fungo saetta.

Nomi dialettali: è conosciuto con una miriade di nomi dialettali che variano da un territorio all’altro. Riportiamo, per motivi affettivi che ci legano alla nostra terra, solo il nome utilizzato in Sicilia in alcune zone del territorio messinese come Floresta e Santa Domenica Vittoria: Funciu di farina, così chiamato per il caratteristico odore di farina fresca o di pane caldo [Bonazzi, 2003].

Descrizione macroscopica

Cappello di piccole-medie dimensioni, generalmente 4-10 cm, inizialmente convesso, poi lentamente appianato con margine involuto (quando si presenta ripiegato su se stesso verso l’interno), a volte ondulato; superficie liscia, opaca, a volte screpolata, di colore crema-biancastro, ocra-giallastro più o meno intenso. Imenoforo costituito da lamelle fitte e poco alte, adnate o smarginate, da biancastre a crema pallido con riflessi crema verso la maturazione, filo lamellare ondulato. Gambo centrale. Slanciato o, a volte, tozzo, cilindrico, ingrossato verso la base, asciutto, ricoperto da una leggera pruina concolore, inizialmente pieno, poi, verso la maturazione, farcito (quando la struttura cellulare interna si presenta poco compatta per la presenza di zone vuote), colore biancastro tendente al crema sporco. Carne consistente, spessa e soda, immutabile al taglio, bianca tendente al crema, con accentuato caratteristico odore di farina o pane fresco, sapore dolce, farinoso.

Habitat

E’ un fungo prettamente primaverile. Cresce in forma gregaria formando lunghe file o cerchi più o meno regolari. Predilige crescere vicino ai Pioppi, nei prati e nei margini boschivi tendendo a fruttificare in associazione a cespugli di piante spinose come il Prugnolo, il Biancospino, la Rosa canina e le rosaceae. Non omogeneamente diffuso nel territorio nazionale, si presenta con regolarità nelle medesime stazioni di crescita ove, anche se raramente, fruttifica pure in autunno.

Commestibilità

Ottimo commestibile. Si presta bene ad essere conservato sott’olio od essiccato. Nelle zone ove la sua crescita è costante viene particolarmente apprezzato e ricercato. In altre zone è semisconosciuto e, a causa dell’odore farinaceo che permane anche dopo la cottura, non viene preso in considerazione ai fini gastronomici.

L’abate Giacomo Bresadola (Ortiseé, 14 febbraio 1847 – Trento, 9 giugno 1929), in merito alla sua commestibilità, affermava: “E’ uno dei funghi più squisiti, e pel forte aroma che possiede si può cuocere anche alla maniera dei tartufi servendosene come di questi per condimento. Si può pure facilmente disseccare alla maniera già indicata per l’Agarico imbuto. Non si può confondere con specie venefiche” [Bresadola, 1899].

Forme e varietà

Calocybe gambosa var. flavida Bellù & Turrini (2014)

Totalmente simile alle specie tipo, si differisce da questa per il colore giallo più intenso e per l’odore farinaceo più forte. Alcuni autori, come Consiglio e Contu, la considerano una semplice “forma” [Consiglio e altri, 2002] mentre altri, in considerazione delle poco rilevanti caratteristiche che la diversificherebbero da C. gambosa, ritengono si tratti della stessa specie che, per vari e non identificati motivi, quali ad esempio il maggiore nutrimento momentaneamente presente nel terreno, ha assunto colori ed odore più intensi.

Specie simili

Le caratteristiche morfologiche generali la rendono facilmente riconoscibile senza rischio di confusione con specie simili. E’ opportuno, in ogni caso, fare attenzione a non confonderla con la mortale Amanita verna, totalmente bianca, che, anche se ha caratteristiche morfologiche ben diverse e chiaramente identificative della specie, potrebbe, solamente per la coincidenza con il periodo di crescita, creare confusione nel cercatore poco esperto.

Note tassonomico-nomenclaturali

Con l’approfondimento degli studi di tassonomia e di sistematica ha subito, nel tempo, come accade per la maggior parte delle specie fungine, vari riposizionamenti in generi diversi: dall’originario genere Agaricus ove era stato inserito da Linneo con l’epiteto di Agaricus georgii, venne ricollocato nel genere Tricholoma con la denominazione di Tricholoma georgii, ed ancora nel genere Calocybe, dove tuttora si trova. In atto alcuni autori considerano la specie appartenente al genere Lyophyllum ove viene inserita, con la denominazione di Lyophyllum gambosum, nella sezione Calocybe.

Curiosità

Calocybe gambosa viene anche conosciuta con il sinonimo di Tricholoma georgii e con il nome comune di Fungo di San Giorgio, entrambi conseguenziali alla sua spiccata tendenza a fruttificare nel periodo primaverile, in prossimità della ricorrenza di San Giorgio (23 aprile), anche se in zone con clima temperato ed in relazione alla tendenza climatica della stagione, può fruttificare anche verso la fine di marzo.

In merito alle altre denominazioni volgari che le vengono attribuite, ci piace precisare:

  • Prugnolo denominazione legata all’habitat di crescita che associa Calocybe gambosa alla presenza di piante di prunus, biancospino, rovi e rosacee in genere [Balestreri, 2011];
  • Spinarolo è conseguenziale alla presenza di spine sulle piante sopra indicate che costituiscono l’habitat ideale di Calocybe gambosa [Balestreri, 2011];
  • Fungo saetta ha origine toscane ed è conseguenziale ad un antico proverbio che recita “Al primo tuono nasce il prugnolo” [Balestreri, 2011] o, come da alcuni ritenuto, per la sua tendenza a disporsi sul terreno a “zig zag”, assumendo, appunto, la tipica forma di una saetta.

 

Ringraziamenti

Un grazie particolare va rivolto all’amico Franco Mondello per i consigli di natura tassonomico-nomenclaturale e per la concessione e l’autorizzazione alla pubblicazione delle foto a corredo.

 

**********

Foto: Franco Mondello

Bibliografia di approfondimento

  • AMINT (Associazione Micologica Italiana Naturalistica Telematica), 2007: Tutto funghi. Giunti editore, Firenze (ristampa 2010)
  • Balestreri Stefano, 2011: Calocybe gambosa. Estratto da “Appunti di Micologia”. (www.appuntidimicologia.it)
  • Bellù Francesco, Veroi Giulio, 2014: Per non confondere i funghi – Um die Pilze nicht zu verwechseln. Casa Editrice Panorama srl, Trento
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico, 2003: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Bresadola Giacomo, 1899: I funghi magerecci e velenosi. U. Hoepli, Milano
  • Consiglio Giovanni, Contu Marco, 2002: Il genere Lyophillum P. Kartst. Emend. Kuhner, in Italia. Rivista di Micologia, Anno XLV n. 2: 99-181, A.M.B., Trento
  • Di Cocco Gianfranco, Di Cocco Silvio,2008: I principali funghi commestibili rinvenibili in primavera. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 2: 30-38, Ponte a Moriano (LU)
  • Garau Mariano, Merlo Erika, Rosso Michele, Traverso Mido, 1982: I nostri funghi. Sagep Editrice, Genova
  • IF, Index Fungorum database. www.indexfungorum.org (ultima consultazione gennaio 2018
  • MB, Mycobank database. www.mycobank.org (ultima consultazione gennaio 2018)
  • Mondello Francesco, Calocybe gambosa. Estratto da “MicologiaMessinese” (www.micologiamessinese.it)

Amanita muscaria, il fungo delle fiabe

Articolo pubblicato su MicoPonte n. 10 – 2017

Introduzione

E’ il “fungo delle fiabe” che con il suo meraviglioso cappello rosso vivo, rosso-scarlatto, ricoperto da numerosi fiocchetti bianchi, vivacizza i colori del bosco nel periodo autunnale. Deve la sua notorietà, senza ombra di dubbio, alla simbologia fiabesca, fumettistica e cinematografica che ha senz’altro contribuito a consolidare la sua fama di fungo malefico e velenoso per antonomasia, spingendosi oltre i confini della realtà ed esaltando in maniera eccessiva la sua effettiva pericolosità. In effetti, in considerazione delle sostanze chimiche che contiene, si tratta di un fungo tossico che provoca intossicazioni anche di una certa entità generalmente risolvibili con un pronto intervento medico ma non è mortale come nell’immaginario collettivo viene considerato.

Genere Amanita Pers. (1797)

Al genere appartengono sporofori ben differenziati e facilmente individuabili, limitatamente alla loro posizione sistematica generica, per la presenza di particolari e caratteristiche ornamentazioni che si formano sul cappello e sul gambo, tanto nella parte apicale quanto nella parte inferiore. Sono funghi bivelangiocarpici ossia muniti di due veli. Uno detto velo generale che avvolge l’intero carpoforo fin dalla sua formazione allo stadio di primordio che lo rende simile, per la sua strutturazione, ad un uovo e per tale caratteristica consente di conferirgli, appunto, la denominazione di “ovolo”; l’altro, detto velo parziale, inteso a proteggere l’imenoforo (parte fertile del fungo – formata, nel caso delle Amanite, da lamelle e situata nella parte inferiore del cappello ove si formano gli elementi riproduttivi: le spore) che dall’orlo del cappello si estende fino al gambo.

La formazione dello sporoforo, con il suo accrescimento sia in altezza sia in larghezza, causa, man mano che il processo di formazione procede, la lacerazione dei due veli; questi, a rottura, lasciano, per quanto riguarda il velo generale, un residuo nella parte bassa del gambo che dà origine alla formazione di una specie di guaina basale detta “volva” ed anche, a volte, alla formazione di residui dissociati sul gambo ed alla formazione, anche se non sempre, sul cappello di ornamentazioni dette, in senso generico, “verruche”. Per quanto riguarda il velo parziale, la sua lacerazione, con il distacco dello stesso dall’orlo del cappello, causa, anche se non sempre, la formazione di un “anello” che va a posizionarsi sul gambo.

Amanita muscaria (L. : Fr.) Lam.

Encycl. Méth. Bot. (Paris) 1(1): 111 (1783)

Basionimo: Agaricus muscarius L. (1753)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Amanitales, famiglia Amanitaceae, genere Amanita.

Etimologia: dal latino muscarius, attinente alle mosche per le proprietà, un tempo riconosciutale, di attirare le mosche.

Sinonimi: Agaricus imperialis Batsch.; A. pseudoaurantiacus Bull.

Nomi volgari: ovolo malefico, ovolaccio.

Amanita muscaria, esemplari in habitat
Amanita muscaria, esemplari in habitat. Foto: G. Di Cocco

Descrizione macroscopica

Cappello di mediegrandi dimensioni, raggiunge facilmente anche i 20-25 cm di diametro, inizialmente sodo e carnoso, poi, verso la maturazione, fragile. Nella fase iniziale si presenta sferico, poi, verso la maturazione, sferico-emisferico, convesso, piano-convesso, a volte anche depresso, con margine prima ottuso, poi regolare con corte e leggere striature. Cuticola facilmente separabile, liscia o vischiosa a tempo umido, di un bel colore rosso vivo, rosso scarlatto, rosso arancio, rosso fragola, generalmente ricoperta da residui del velo generale che si presentano sotto forma di verruche bianche, spesse, appuntite e con forma piramidale, in rilievo e posizionate in forma concentrica, facilmente asportabili per effetto della pioggia o del vento. Imenoforo costituito da lamelle fitte, libere (quando si interrompono prima di raggiungere il gambo), ventricose (quando nella zona centrale presentano una convessità più o meno accentuata), intervallate da lamellule (struttura lamellare di dimensioni minori rispetto alle lamelle) di colore bianco o biancastro, a volte sfumate di giallo con fiocchettature concolori. Le spore in massa, di colore bianco, caratterizzano l’appartenenza della specie al gruppo dei funghi leucosporei. Gambo bianco, cilindrico, robusto, slanciato, attenuato all’apice ed ingrossato alla base per la presenza di un bulbo subsferico-ovoidale. Si presenta pieno, a volte midolloso (quando all’interno ha consistenza molliccia), asciutto, ricoperto da una leggera pruina nella parte superiore ed irregolarmente fioccoso nella zona inferiore. Anello posizionato nella zona medio-alta del gambo, membranoso, ampio, frastagliato con fiocchetti di colore giallo sul margine. Volva totalmente ricoprente il bulbo basale, aderente, dissociata in perline o placchette squamose di colore bianco che si avvolgono in maniera più o meno concentrica sul gambo.

Habitat

Cresce abbondante in gruppi di numerosi esemplari, nel periodo estivo e fino al tardo autunno, associandosi con numerose colture arboree in boschi di latifoglie (faggi, betulle, querce) e di conifere (pecci e pini) ed ancora, con essenze della macchia mediterranea (cisto).

Rappresentazione di Amanita muscaria nei vari stadi di sviluppo
Rappresentazione di Amanita muscaria nei vari stadi di sviluppo. Disegno (incompiuto): G. Bertelli
Esemplari di Amanita muscaria nei primi stadi di sviluppo
Esemplari di Amanita muscaria nei primi stadi di sviluppo, con il velo generale bianco ancora intatto che non lascia vedere il colore rosso della cuticola. Foto: M. Della Maggiora

 

Commestibilità, tossicità e curiosità:

A. muscaria, specie molto nota e universalmente conosciuta in ogni parte del globo terrestre, deve la sua denominazione a Carl von Linné (italianizzato come Carlo Linneo), botanico e naturalista svedese (Råshult, 23 maggio 1707 – Uppsala, 10 gennaio 1778), considerato il padre della nomenclatura binomiale(1), che ne assunse la paternità descrivendola nel 1753 con la denominazione di “Agaricus muscarius”. Tale denominazione, pur non avendo la specie alcun riferimento morfologico alle mosche, la accomuna a questi fastidiosi insetti per la peculiare proprietà, riconosciutale in tempi assai remoti nei paesi del Nord Europa, di attirare ed uccidere le mosche. Era uso comune, tra le popolazioni germaniche, commercializzare il fungo che veniva sbriciolato sui davanzali delle finestre mescolato a sostanze zuccherine per attirare le mosche che rimanevano uccise. Il famoso micologo siciliano Giuseppe Inzenga (Palermo 1815 – 1887), relativamente a tale proprietà si esprimeva in tal senso: “Sin da tempo antico impiegasi questo fungo polverizzato per la distruzione delle mosche e forse di altri insetti, probabilmente mischiato a sostanze zuccherine diverse per adescarne l’appetito e d’onde il suo nome di Agaricus muscurius attribuitogli dal sommo Linneo” [Insenga, 1869].

In merito a questa ipotetica proprietà è stato chiarito, da studi ed esperimenti condotti in varie parti del mondo, che l’acido ibotenico, sostanza tossica contenuta nel fungo, ha solamente un effetto anestetizzante sulle mosche le quali, dopo un periodo più o meno lungo, riacquistano le proprie facoltà motorie. Bisogna sottolineare che la stessa sostanza tossica è contenuta anche in A. pantherina, specie alla quale non sono mai state attribuite proprietà moschicide [Bettin, 1971].

In netta contrapposizione con il suo epiteto specifico, contrariamente a quanto si può pensare, non provoca sindrome muscarinica (2), della quale si rendono responsabili specie fungine appartenenti ai generi Inocybe, Clitocybe e Mycena, bensì sindrome panterinica (3) dovuta essenzialmente ai componenti chimici in essa contenuti che sono stati individuati quali acido ibotenico, muscazone e muscimolo, sostanze idrosolubili resistenti sia alla cottura sia all’essiccamento sia ad ogni altra manovra empirica tendente alla loro eliminazione. Tali sostanze si presentano maggiormente concentrate nella cuticola e nella zona sotto cuticolare, tanto che in alcune zone dell’est Europa ed anche in alcune regioni d’Italia, veniva consumata previa asportazione della cuticola e prebollitura [Cetto, 1970].

Esemplari giovani, con lamelle non ancora esposte, di Amanita muscaria. Foto: G. Di Cocco
Esemplari giovani, con lamelle non ancora esposte, di Amanita muscaria. Foto: G. Di Cocco

Le venivano riconosciute, specialmente in passato e presso alcune popolazioni meso- americane, quali i Maia e gli Atzechi, particolari proprietà eccitanti, afrodisiache ed allucinogene tanto da farlo entrare nell’uso comune della medicina popolare e della stregoneria. Reperti archeologici delle antiche culture di numerose etnie sono, oggi, valida testimonianza del suo uso sciamanico, terapeutico e religioso [Pelle, 2007]. Le sue proprietà allucinogene sono state confermate da Robert Gordon Wasson (etnomicologo statunitense, Great Falls (Montana) 22 settembre 1898 – New Jersey 23 dicembre 1986)  che le ha sperimentate personalmente durante un suo viaggio di studio presso popolazioni indiane nel cuore delle montagne della regione di Mixteco nel Messico meridionale che la utilizzavano con scopi prettamente allucinogeni nel corso di riti tribali, unitamente ad altre specie fungine, registrandone effetti sorprendenti quali sonno profondo e nitide visioni meravigliose [Wasson, 1968; Milanesi, 2015].

Considerato che in alcune regioni della Francia, della Svizzera e della Russia, A. muscaria viene regolarmente consumata senza conseguenze, si ipotizza che la sua tossicità possa essere fortemente condizionata da alcuni fattori estrinseci che influiscono sulla maggiore o minore concentrazione delle micotossine che, secondo varie ipotesi potrebbero essere collegati alla particolarità del terreno di crescita che, stante la propria struttura chimica, limiterebbe la formazione delle tossine o alla abitudine a consumare la specie che avrebbe creato, nei consumatori abituali, una specie di immunizzazione [Buffoni, 1983].

In Giappone, dove viene chiamata “benitengutake” ovvero “tengutake rosso”, per distinguerla da A. pantherina che è conosciuta come “tengutake”, limitatamente alla regione di Nagano, viene regolarmente consumata o conservata in salamoia dopo bollitura ed eliminazione dell’acqua di cottura. Il suo consumo è talmente diffuso che viene addirittura preferita ai porcini che rimangono ignorati dagli abitanti del luogo [Arora, 2000].

Nonostante sia stata utilizzata o continua ad esserlo, in alcune regioni italiane ed in altre parti del mondo, per il consumo alimentare, se ne sconsiglia l’uso precisando che è universalmente conosciuta come fungo NON commestibile, tossico-velenoso, causa di sindrome panterinica a breve incubazione.

Forme e varietà di Amanita muscaria

Molte sono le entità che, tra sottospecie, varietà e forme, a seconda dei vari autori, si muovono attorno ad A. muscaria, per completezza dell’argomento trattato riportiamo le più significative rinviando il lettore, per eventuali approfondimenti, a testi monografici specifici:

  • A. muscaria f. formosa (Pers.) Gonn. & Rabenh., 

Totalmente simile alla specie tipo, A. muscaria, tranne che per i residui del velo generale (verruche e volva) che si presentano inizialmente di un colore giallo intenso, giallo vivo, giallo uovo, tendendo, verso la maturazione dei carpofori, a sbiadire trasformandosi in bianco-crema, bianco-sporco, grigio-giallo-bruno.

Esemplari giovani di Amanita muscaria f. formosa;
Esemplari giovani di Amanita muscaria f. formosa; si noti il velo generale (verruche sul cappello) completamente giallo anziché bianco. Foto: M. Della Maggiora
  • Amanita muscaria f. aureola  (Kalchbr.) J. E. Lange

Si differisce dalla forma muscaria inizialmente per il colore del cappello, mai rosso, rosso-vivo, ma arancione, arancio-scuro, giallo-arancio, sempre privo delle tipiche verruche bianche che caratterizzano la specie tipo e, in maniera prioritaria, per la conformazione della volva che si presenta semilibera, poco aderente al gambo e leggermente dissociata in cercini fioccosi ed irregolari.

  • Amanita muscaria var. inzengae Neville & Poumarat

Varietà dedicata al famoso micologo siciliano Giuseppe Inzenga.

Praticamente molto simile, nella strutturazione morfologico-cromatica, alla specie tipo dalla quale si differisce per il colore dei residui velari (verruche, anello e volva) che si presentano bianchi ma tendenti ad ingiallire e per l’habitat di crescita preferendo fruttificare lontano dagli alberi ed in associazione con colture arbustive di Cistus.

 

Specie simili:

  • A. caesarea (Scop. : Fr.) Pers.

Anche se dal punto di vista morfologico completamente diversa, in caso di pioggia e conseguente perdita delle tipiche ornamentazioni del cappello, A. muscaria, per la similarità della colorazione del cappello, può essere confusa con A. caesarea; in ogni caso, comunque,  presenta una tipica conformazione morfo-strutturale diversa, caratterizzata da lamelle, gambo ed anello totalmente di colore giallo che la rendono perfettamente diversificata da A. muscaria che presenta gli stessi elementi di colore bianco e, quindi, riconoscibile in ogni momento delle sue fasi di crescita. Ulteriore importante elemento differenziante è costituito dalla volva che, in A. caesarea è ampia e membranosa, sacciforme, lobata, con apice libero al gambo, di colore inizialmente bianco candido tendente, verso la maturazione, al crema-biancastro e poi beige chiaro, mentre in A. muscaria è sempre dissociata in perline o placchette squamose di colore bianco.

Note dell’Autore

Nell’affidare questa mia nuova “Riflessione Micologica” alla stampa ed ai moderni sistemi di condivisione mezzo web, intendo sottolineare la particolarità del momento che, con l’inserimento delle meravigliose tavole pittoriche realizzate da Gianbattista Bertelli, mi onora di associare questo modesto lavoro al nome di chi, con la sua notevole ed apprezzata opera pittorica e con le sue profonde competenze micologiche, ha inteso lasciare un notevole e ricco bagaglio culturale al servizio della micologia e di quanti altri, micologi, micofili, micofagi o semplicemente curiosi ed appassionati come me, intendono approfondire le proprie conoscenze su questo meraviglioso campo. Ritengo opportuno, inoltre, sottolineare l’importante opera di diffusione condotta da Aldo, figlio di Gianbattista Bertelli, intesa a diffondere, ai fini conoscitivi, le numerose e meravigliose tavole micologiche realizzate dal padre.

**********

  1. Nomenclatura Binomiale: prevede che ogni organismo vivente venga identificato da un nome composto da due epiteti: il primo, generico, riferito al genere di appartenenza, il secondo, specifico, riferito alla specie. La combinazione degli epiteti generico e specifico forma il nome che ne identifica la specie: esempio Amanita muscaria; Boletus edulis; Russula vesca; Macrolepiota procera ecc. E’ opportuno precisare che il nome attribuito va sempre indicato in forma latina e scritto in corsivo con l’iniziale maiuscola per quanto riguarda l’indicazione del genere e con l’iniziale minuscola per quanto riguarda l’indicazione della specie. I nomi scientifici dei funghi, come avviene per le piante in genere, vengono attribuiti secondo norme stabilite dal “Codice Internazionale di Nomenclatura per le alghe, funghi e piante” (ICN). Questo viene realizzato e mantenuto aggiornato da botanici provenienti da tutto il mondo che si riuniscono ogni 5 anni in una sessione precongressuale del Congresso Internazionale di Botanica. Il Codice attuale è stato formalizzato nel Congresso di Melbourne nel mese di luglio 2011 ed è operativo dall’anno 2012; è anche conosciuto semplicemente come “Codice di Melbourne”.
  2. Sindrome muscarinica: detta anche colinergica, si tratta di una sindrome a breve latenza (quando si manifesta entro 6 ore dall’ingestione dei funghi), viene causata da un alcaloide isolato, per la prima volta nel 1869, dall’A. muscaria, derivandone, di conseguenza, la propria denominazione: muscarina. La limitata quantità contenuta nell’A. muscaria è irrilevante ai fini dell’insorgenza della specifica sindrome della quale si rendono responsabili specie fungine appartenenti ai generi Inocybe, Clitocybe e Mycena nei quali il contenuto di muscarina risulta essere considerevole.

La sintomatologia tipica si manifesta, tra i 15 minuti e le tre ore dal consumo dei funghi, con dolori addominali, vomito, diarrea, cefalea, ipersalivazione, intensa sudorazione, disturbi visivi, lacrimazione, tremori, bradicardia, broncocostrizione. L’intensa perdita di liquidi può portare a disidratazione.

E’ l’unica forma tossica per la quale è stato individuato un antidoto: l’atropina, anche se il suo impiego non viene più consigliato in quanto può aumentare la fase eccitatoria del sistema nervoso centrale [Milanesi, 2015].

  1. Sindrome panterinica: detta anche micoatropinica o anticolinergica, ha un periodo di latenza variabile tra i 30 minuti e le tre ore (sindrome a breve latenza). I sintomi si manifestano, in un primo momento con disturbi gastrointestinali ed eccitazione psicomotoria, per passare, successivamente, a manifestazioni di euforia, ebbrezza, stato confusionale, difficoltà di coordinazione, allucinazioni, ed ancora, in una fase più avanzata, astenia, sopore, amnesia e, come avvenuto in alcuni casi, decesso, registrati soprattutto per consumo di A. pantherina, con maggiore concentrazione di sostanze tossiche rispetto ad A. muscaria.

I principi tossici sono acido ibotenico, muscazone e muscimolo che si trovano, principalmente, nella cuticola e nello strato sottocuticolare. Anche se la cuticola viene eliminata, come più volte dimostrato scientificamente, il fungo mantiene la sua tossicità.

Le specie responsabili dell’intossicazione sono A. pantherina, A. muscaria, A. junquillea (= A. gemmata s. auct.) e le loro varietà e forme che mantengo la loro tossicità anche dopo bollitura, salatura e/o essiccazione.

Ringraziamenti

Un grazie particolare va rivolto a Aldo Bertelli per avere fornito ed autorizzato la pubblicazione delle/a tavole/a micologiche di A. muscaria artisticamente realizzate dal padre Gianbattista Bertelli ed a Gianfranco Di Cocco per la gentile concessione delle foto

Foto: Marco Della Maggiora; Gianfranco Di Cocco

Bibliografia di approfondimento

A.G.M.T., 2013: Io sto con i Funghi. Seconda edizione. Edit. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN) – I.

Arora D. , 2000: Funghi dal mondo – Amanita muscaria, un fungo…commestibile! Bollettino del Gruppo

Micologico G. Bresadola  Trento. XLIII (2) 38-40. – I.

Assisi F., 2007: Tossicologia del Genere Amanita. In Galli R.: Le Amanite. 2° edizione. Edit. dalla Natura, Milano – I.

Assisi F., Balestreri S. & Galli R., 2008: Funghi velenosi. Edit. dalla Natura, Milano – I.

Balestreri S., 2011: Amanita muscaria. In Appunti di Micologia (www.appuntidimicologia.com).

Bettin A., 1971: Le amanite. L.E.S. Libreria Editrice Salesiana, Verona – I.

Boccardo F., Traverso M., Vizzini A. & Zotti M., 2008: Funghi d’Italia. Ristampa 2013. Edit. Zanichelli, Bologna – I.

Cetto B., 1970: I funghi dal vero, Vol. 1. Edit. Saturnia, Trento – I.

Buffoni L., 1983: Gli avvelenamenti da Amanite tossiche. In Merlo E. et al.: Le Amanite. Sagep Editrice, Genova: 128-137.

Della Maggiora M., 2007: Gli avvelenamenti da funghi. Micoponte 1: 24-40.

Della Maggiora M. & Mannini M., 2013: Funghi buoni … o “buoni da morire”. In A.G.M.T.: Io sto con i Funghi. Seconda Edizione. Edit. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN): 171-204.

Foiera F., Lazzarini E., Snabl M. & Tani O., 1993: Funghi Amanite. Edit. Calderini edagricole, Bologna – I.

Galli R., 2007: Le Amanite. 2° edizione. Edit. dalla Natura, Milano – I.

Gemelli V. & Cicognani A., 2006: I funghi allucinogeni. Pagine di Micologia 25: 83-94.

Inzenga G., 1869: Funghi siciliani. Centuria seconda. Stabilimento Tipografico di Francesco Lao, Palermo – I.

Marra E. & Macchioni C., 2015: Il consumo in sicurezza dei funghi. Edit. Regione Calabria Giunta Regionale Dipartimento tutela della salute e politiche sanitarie – Confederazione Micologica Calabrese.

Merlo E. & Traverso M., 1983: Le Amanite. Sagep Editrice, Genova – I.

Miceli A., 2016: Tra tossine e veleni. Parte Prima. NA.SA.TA Magazine. I Sapori del mio Sud. Periodico di informazione dei soci dell’Associazione Culturale Nasata. Anno XII n. 127: 11-12. Consultabile anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (www.adset.it) e in “MicologiaMessinese/Andar per funghi” (www.micologiamessinese.it).

Miceli A., 2016: Tra tossine e veleni. Parte Seconda. NA.SA.TA Magazine. I Sapori del mio Sud. Periodico di informazione dei soci dell’Associazione Culturale Nasata. Anno XII n. 128: 10-12. Consultabile anche in “ADSeT/Momenti Culturali/Angelo Miceli” (www.adset.it); e in “MicologiaMessinese/Andar per funghi” (www.micologiamessinese.it).

Milanesi I., 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. Edit. A.M.B., Fondazione Centro Studi Micologici, Trento – I.

Neville P. & Poumarat S., 2004: Amaniteae. Fungi Europaei vol. 9. Edizioni Candusso, Alassio (SV) – I.

Papetti C., Consiglio G. & Simonini G., 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia. Vol. 1 (seconda ristampa). Edit. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento – I.

Pelle G., 2007: Funghi velenosi e sindromi tossiche. Bacchetta Editore, Albenga (SV) – I.

Phillips R., 1985: Riconoscere i funghi. Edit. Istituto Geografico De Agostini, Novara – I.

Wasson R.G., 1968: Soma, divine mushroom of immortality. Edit. Harcourt Brace & World. New York – USA

Boletus emilei Barbier (1915)

= Baorangia emileorum (Barbier) Vizzini, Simonini & Gerlardi (2015)

Abbiamo più volte inteso evidenziare, in precedenti “Riflessioni Micologiche”, come il vasto ed esteso territorio boschivo della provincia di Messina e della Sicilia tutta, grazie alle numerose e varie culture arboree che lo ricoprono, ben si presta alla crescita di specie fungine rare e poco diffuse sul territorio nazionale. Ancora una volta “Madre Natura” ha inteso mostrare la sua generosità, ripagando l’impegno dei ricercatori, consentendo il ritrovamento di altra specie poco conosciuta e poco descritta in letteratura. L’attuale nuovo ritrovamento (estate 2016) effettuato sui Monti Nebrodi in Località Galati Mamertino (ME) Bosco di Magalaviti, ci fornisce lo spunto per questa nuova “Riflessione Micologica”: Boletus emilei = Baorangia emileorum. 

Si tratta di una specie ritenuta rara, della quale si hanno poche segnalazioni di ritrovamenti limitate ad alcune regioni d’Italia. Si riproduce, in simbiosi ectomicorrizica (quando le ife fungine si attorcigliano alle radichette degli alberi formando un vero e proprio manicotto attorno a queste ultime) in boschi di latifoglie, specialmente querce e castagni, ove fa la propria apparizione fin dall’estate, protraendola fino al tardo autunno.

E’ stato da sempre posizionato, nella sistematica fungina, nella Classe Basidiomycetes, Ordine Boletales, Famiglia Boletaceae, Genere Boletus.

In atto, a seguito recenti studi di varia natura, la sua posizione è stata rimodulata ed inserito nel nuovo Genere Baorangia. (1)

Genere Baorangia Wu Gang & Yang Zhu L. (2015) (1)

Nel genere vengono inseriti basidiomi appartenenti alla Famiglia Boletaceae che si differiscono da quelli appartenenti agli altri generi della stessa famiglia per l’imenoforo relativamente sottile. I basidiomi si presentano con cappello emisferico, ricoperto da un leggero tomento (peluria), inizialmente convesso e tendente ad appianarsi verso la maturazione, con margine incurvato negli esemplari giovani;  tubuli relativamente corti, solitamente decorrenti sul gambo, di colore giallo, viranti dal blu chiaro al blu verdastro al taglio; pori angolosi o quasi tondeggianti; gambo liscio o, occasionalmente, con leggero reticolo nella parte superiore; carne giallo pallido, giallastra, virante all’azzurro pallido.

Boletus emilei Barbier (1915) = Baorangia emileorum (Barbier) Vizzini, Simonini e Gerlardi (2015)

Cappello: generalmente di medie dimensioni che a volte si spingono verso misure più grandi raggiungendo anche i 15-20 cm. di diametro, inizialmente emisferico- convesso, tende, a maturazione, ad appianarsi. Si presenta, da giovane, con il margine leggermente involuto (quando tende ad arrotolarsi su se stesso verso il basso), irregolare e sempre lobato (quando si presenta ondulato con sinuosità più o meno profonde). La superficie è caratterizzata da cuticola leggermente viscida a tempo umido, asciutta e lucida a tempo secco, leggermente vellutata negli esemplari giovani. Si caratterizza per il meraviglioso colore rosato, rosa antico, rosa-rosso, rosso-vinoso tendente al rosso-cardinale, colorazione che rende il carpoforo molto simile a Boletus regius e B. pseudoregius (specie recentemente riposizionate nel nuovo genere Butyriboletus).

Imenoforo: si presenta con tubuli inizialmente corti, poi, verso la maturazione, di media lunghezza. Si posizionano sul gambo in maniera adnato-subdecorrente o anche decorrente; di colore inizialmente giallo, tendenti, verso la maturazione, al giallo-verdastro; pori grandi, irregolari, concolori ai tubuli, virano al verde-bluastro alla pressione.

Gambo: centrale, a volte leggermente eccentrico, cilindrico, ingrossato all’apice, attenuato alla base fino a leggermente radicante, giallino nella parte superiore, rosso-brunastro in quella inferiore; non reticolato, con granulosità o fioccosità rossastre all’apice, virante al blù-nerastro al tocco.

Carne: inizialmente soda, molle verso la maturazione; colore giallo chiaro, giallognolo, con viraggio più o meno intenso al taglio verso il grigio-azzurro o, a volte, verso il rosso-vinoso. Odore fruttato e sapore dolciastro.

Habitat: fruttifica, generalmente, dall’estate all’autunno, in boschi di castagno, querce e leccio, con crescita singola o anche cespitosa a gruppi di vari esemplari. In considerazione dei pochi ritrovamenti, limitati solo ad alcune regioni italiane, viene ritenuto specie rara.

Commestibilità: commestibile discreto.

Etimologia: dal nome proprio di persona Emile, con espresso duplice riferimento al micologo francese Jean Luis Emile Boudier (Garnay, 6.1.1828 – Blois, 4.2.1920), e ad Emile Boirac, Presidente della Société Mycologique de la Cote-d’Or

Basionimo :

  • Boletus emilei Barbier (1915)

Sinonimi:

  • Boletus speciosus Frost ss. Marchand (1974)
  • Boletus bicolor Peck ss. Galli (1980)
  • Boletus aemilii Barbier ss. Alessio (1985)
  • Boletus spretus Bertéa (1988)
  • Baorangia emilei (Barbier) Vizzini, Simonini, Gelardi (2015)

Nome corrente :

  • Baorangia emileorum (Barbier) Vizzini, Simonini, Gelardi (2015)

Similarità: si confonde con facilità, specialmente per i colori del cappello, con Boletus regius e Boletus pseudoregius (ora Butyriboletus regius e Butyriboletus. fuscoroseus), i quali si differenziano sia per il colore dei tubuli e dei pori che si presentano gialli, sia per il reticolo che ne adorna il gambo. In particolare il primo è privo di viraggio, il secondo vira all’azzurro.

Note nomenclaturali e tassonomiche:

dal momento della sua prima identificazione ad oggi è stato oggetto, relativamente al suo corretto posizionamento tassonomico, di interpretazioni controverse che hanno creato opinioni contrastanti nel mondo della micologia: identificato, per la prima volta, nel 1915 ad opera di Maurice Barbier, viene posizionato nella Famiglia Boletaceae con la denominazione di Boletus emilei,  Nel 1988, ad opera del micologo Paul Bertéa, viene identificato un carpoforo analogo con la denominazione di Boletus spretus che, dallo stesso autore, viene ritenuto essere diverso dall’esemplare di Barbier del 1915. I due taxa, in considerazione anche dei limitati ritrovamenti, stante le argomentazioni di Bertéa, vengono considerati, per lungo tempo, separati ed identificativi di specie diverse. Oggi, grazie agli approfonditi studi condotti dai micologi italiani Valerio Bertolini e Giampaolo Simonini, in accordo con analogo concetto espresso da Carlo Luciano Alessio (Alessio C. L. 1991) è stata “appurata l’identità tra i due taxa, con priorità obbligatoria per la specie di Barbier in quanto precedentemente pubblicata in modo valido”. (Bertolini V. e altri, 2013).

Successivamente, nel 2015, ad opera dei micologi Vizzini, Simonini, Gelardi, in considerazione di nuovi studi molecolari che hanno portato alla creazione del nuovo Genere Baorangia (1) viene posizionato in tale Genere con la denominazione di Baorangia emilei. Tale epiteto, ancora una volta, per l’applicazione corretta delle norme nomenclaturali previste dal Codice Internazionale di Nomenclatura di Melbourne (ICN- Artt. 60-61-62), viene modificato in Baorangia emileorum (Della Maggiora M. 2016). Tale ulteriore modifica si è resa necessaria in quanto la originaria denominazione, come si evince da una descrizione della specie antecedente quella ufficiale del 1915, venne adottata dal suo autore per rendere omaggio a due personaggi dallo stesso nome: “Le première est un Bolet que nous nommerons Boletus Emilei, rendant par là un même hommage reconnaisant à notre éminent conseiller en mycologie, M. EMILE BOUDIER, et à notre dévoué Président de la Société mycologique de la Côte-d’Or, M. le Recteur EMILE BOIRAC”. (Barbier M. 1914) e, quindi, in applicazione delle norme del Codice Internazionale: “Se il nome di una persona termina per vocale o per “er” l’epiteto sostantivale si forma aggiungendo la desinenza del genitivo accordata al sesso ed al numero delle persone commemorate” (ICN Melbourne 2011, Art 60 Raccomandazione 60C.1.a); nel caso specifico, quindi, si aggiunge “orum” al nome di persona e, con la denominazione corrente di Baorangia emileorum, speriamo che la intricata vicenda nomenclaturale che accompagna questa bellissima ed interessante specie fungina sia definitivamente conclusa.

Si ringrazia:

  • Marco della maggiora per l’interessante materiale bibliografico gentilmente fornito.
  • Vincenzo Migliozzi per la concessione, e l’autorizzazione alla pubblicazione, delle foto.

__________________

1 Baorangia G. Wu & Zhu L. Yang: genere di nuova istituzione, circoscritto, nell’anno 2015, dai  micologi cinesi Gang Wu e Yang Zhu L.. La denominazione deriva dai termini cinesi ”bao” (sottile ) e “rang” (imenio) con riferimento alla tipicità dell’imenio che, caratterizzato da tubuli corti, si presenta tipicamente sottile.

Foto: Enzo Migliozzi

Bibliografia:

  • Alessio Carlo Luciano – 1985: Boletus Dill. ex L.,  Collana Fungi Europaei. Ed. Biella G., Saronno,
  • Alessio Carlo Luciano – 1991: Boletus Dill. ex L., Supplemento. Collana Fungi Europaei. Ed. Biella G., Saronno
  • Barbier Maurice – 1914: Description de deux espcèces probablement nouvelles. Bulletin de la Société Mycologique de la Côte-d’Or n. 8: 12-13
  • Barbier Maurice – 1915 : Description de deux espèces de champignons probablement nouvelles. Bulletin de la Société Mycologique de France n. 3: 53-54.
  • Bertolini Valerio, Simonini Giampaolo – 2013: Problemi nomenclaturali inerenti alla Famiglia Boletacee. I – Tipificazioni: Boletus torosus, B. rhodopurpureus e B. emilei. Rivista di Micologia – Bollettino dell’Associazione Micologica Bresadola – Anno LVI n. 2:117-134, Trento
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Cetto Bruno – 1970, I funghi dal vero, Vol. 6. Saturnia, Trento
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2009: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 3. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Della Maggiora Marco – 2016: Boletaceae Chevall. Stato attuale della nomenclatura. Annali Micologici A.G.M.T., n. 9: 85-116. A.G.M.T. Santa Croce sull’Arno (PI)
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar – 2000: Funghi Boleti. Calderini edagricole, Bologna
  • Galli Roberto – 2013: I Boleti. Micologica, Pomezia
  • ICN – 2011: International Code of Nomenclature for algae, fungi, and plants (Melbourne Code)
  • ICN – 2011: Codice Internazionale di Nomeclatura per alghe, funghi e piante. (Codice di Melbourne) Traduzione italiana dalla versione inglese. Società Botanica Italiana Onlus, Firenze
  • Wu Gang, Zhao Kuan, Li Yan-Chun, Zeng Nian-Kai, Feng Bang, Halling Roy E., Yang Zhu L. – 2015: Four new genera of the fungal family Boletaceae.

Auricularia auricula-judae (Bull.) Quél. 1886

Auricularia auricula-judae, ovvero “Orecchio di Giuda”, come nel linguaggio popolare viene comunemente conosciuto, deve la sua denominazione alla leggenda tramandata attraverso i secoli che vuole che questo curioso basidiocarpo sia cresciuto, assumendo la sua particolare forma, sull’albero dove l’apostolo traditore si impiccò pentito per il suo tradimento.

Si tratta di piccolo fungo dall’aspetto gelatinoso e simile, nella sua conformazione morfologica, per le particolari venature e la forma lobata che lo caratterizzano, ad un orecchio umano, derivandone, per tale motivo, la sua denominazione.

Alla stregua di numerose altre specie fungine è molto conosciuto ed utilizzato nella cucina dei paesi asiatici dove, in considerazione della diversità geografica, viene conosciuto con nomi diversi: in Cina come mù ȇr (woo ear – orecchio del legno); in Giappone kikurage (tree-jellyfish – medusa dell’albero); in Vietnam nȃm tai méo (cat’s ear fungus – orecchio di gatto). In tali paesi, oltre ad essere apprezzato ed utilizzato in svariate preparazioni gastronomiche e coltivato e commercializzato su vasta scala, viene conosciuto per le sue proprietà medicinali e viene utilizzato, unitamente al suo simile Auricularia polytricha, ormai da secoli, specialmente in Cina, nella cura di svariate patologie come il trattamento delle emorroidi, dell’anemia, dell’angina e delle infiammazioni gastrointestinali.

Ha particolari proprietà di reidratazione: dopo essere stato essiccato, rimesso in ammollo riprende la sua iniziale consistenza gelatinosa; per tale proprietà viene chiamato, nei paesi anglosassoni, Jelly fungus (fungo gelatinoso).

Numerosi sono gli studi compiti dalla medicina moderna, nei paesi occidentali, sulle proprietà medicali di questo fungo e sembra che lo stesso abbia numerose altre proprietà che lo rendono sia un ottimo rimedio contro le patologie cardiovascolari, sia un regolatore dei livelli ematici della glicemia e del colesterolo.

Nella sistematica micologica viene posizionato, in ordine ascendente, nel Genere Auricularia, Famiglia Auriculariaceae, Ordine Auriculariales, Classe Basidiomycetes. Era inserito, un tempo, nel gruppo informale dei “Fragmobasidiomiceti”, raggruppamento artificiale nel quale, in passato, venivano inseriti “funghi gelatinosi” appartenenti alla Famiglia Auriculariaceae, Tremellaceae e Dacrymycetaceae, oggi, alla luce di approfonditi studi filogenetici, ritenuto inadeguato.

Auricularia auricula-judae (Bull.) Quel. 1886

Basidiocarpo: di piccole-medie dimensioni, può raggiungere 8-10 cm. di larghezza, sessile (privo di gambo), a volte munito di un piccolissimo e corto gambo, a forma di conchiglia, di coppa rovesciata, verosimilmente somigliante ad un orecchio umano,  superficie esterna pruinosa, vellutata, tomentosa per la presenza di peli molto corti, di colore bruno-rossastro;

Imenoforo: concavo, liscio, lucido, con andamento irregolare, spesso percorso da venature più o meno evidenti; concolore alla superficie esterna;

Carne: tenace, elastica e gelatinosa a tempo umido, assume consistenza dura a tempo asciutto con la disidratazione, reviviscente (quando, dopo la disidratazione, in presenza di umidità, ritorna allo stato originario assumendo la primitiva consistenza), di colore brunastro, dolce e priva di odori particolari;

Habitat: si riproduce, durante l’intero anno, in forma saprofitica, in gruppi di numerosi esemplari su legno morto di diverse latifoglie, tipicamente associato a specie arboree appartenenti al Genere Sambucus, a volte da parassita su alberi viventi.

Commestibilità: considerato commestibile è largamente utilizzato nei paesi asiatici dove è coltivato e commercializzato su larga scala. Non utilizzato, anzi ignorato, per il consumo alimentare nei paesi occidentali dove, in ogni caso, per il proliferare di ristoranti tipici asiatici, incomincia ad essere conosciuto. Il consumo prolungato ed in dosi eccessive, può fare insorgere la sindrome di Szechwan (1)

Etimologia: dal latino auricula, piccolo orecchio, diminutivo di auris = orecchio, e da Juda nome proprio di persona

Sinonimi:

  • Hirneola auricula-judae (Bull.) Berk. 1860

Specie simili:

  • Auricularia mesenterica (Dicks.) Pers. 1822

Si differenzia per la colorazione grigio-brunastro con zonature più scure della parte superiore; per la consistente peluria che ne ricopre il bordo; per la parte inferiore (zona fertile) di colore bruno-porporino, percorsa, come per A. auricula-judae, da nervature più o meno profonde.

  • Auricularia polytricha (Mont.) Sacc. 1885  = Auricularia nigricans (Sw.) Birkebak, Looney & Sànchez-Garcìa 2013

Differisce per le dimensioni mediamente maggiori e per le colorazioni più scure. Specie tipica del continente asiatico poco diffusa in Europa.

  1. Sindrome di Szechwan

E’ caratterizzata da emorragie di varia natura più o meno intense, quali porpore cutanee, epistassi ed emorragie interne. Fu descritta, per la prima volta, nel 1980 dal Dott. D. E. Hammerschmidt, medico-ematologo statunitense, che aveva rilevato tale patologia su un numero cospicuo di pazienti appurando che molti di questi erano consumatori abituali di un tipico piatto cinese chiamato “Mopo dou-fu” a base di Auricularia polytricha, spesso associato anche ad Auricularia auricula-judae. La sindrome venne inizialmente attribuita, in maniera erronea, al consumo di Auricularia auricula-judae, specie successivamente scagionata, individuando in Auricularia polytrica la specie responsabile. Tuttavia viene ipotizzato che anche Auricularia auricula-juade, per il contenuto di sostanze analoghe causi gli stessi effetti, specie se consumata in pasti abbondanti e ravvicinati o se viene associata a spezie quali lo zenzero o a farmaci del gruppo FANS, aspirina ed altri anticoagulanti.

La denominazione della sindrome trova origine nella regione cinese di Sse-tch’ouan, ove queste specie fungine sono coltivate, diffuse e consumate su larga scala, derivandone, quindi, il nome.

Foto: Angelo Miceli – Franco Mondello

Bibliografia essenziale:

  • Angelini Claudio – 2005: Micotossicologia – Intossicazioni da Funghi

http://www.funghiitaliani.it/index.php?showtopic=16820&st=0&p=204904&hl=Szechwan&fromsearch=1&#entry204904

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Cazzavillan Stefania – 2011: I funghi medicinali – dalla tradizione alla scienza. Nuova Ipsa Editore Srl, Palermo
  • Della Maggiora Marco, Mannini Maurizio – 2013: Funghi buoni … o “buoni da morire”. In A.G.M.T., 2013: Io sto con i Funghi. La Pieve Poligrafica, Villa Verucchio (RN): 171-204. (Seconda Edizione).
  • Milanesi Italo – 2015: Conoscere i funghi velenosi ed i loro sosia commestibili. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo – 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Phillips Roger – 1985: Riconoscere i funghi. Istituto Geografico De Agostini, Novara
  • Tolaini Francesco – 2009: Funghi sotto la lente II Auricularia auricula-judae e Tremella mesenterica. Micoponte – Bollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 3: 6 -10, Ponte a Moriano (LU)

Riferimenti siti web:

Amanita vittadinii (Moretti) Vittad. 1826

Amanita vittadinii
Amanita vittadinii

Il suo primo ritrovamento risale al 1826, in località Monticelli, frazione del Comune di San Donato Milanese (MI), ad opera di Carlo Vittadini (San Donato Milanese, 11 giugno 1800 – Milano, 20 novembre 1865), la sua prima descrizione porta la firma del Prof. Giuseppe Moretti  (Roncaro, 30 novembre 1782 – Pavia, 2 dicembre 1853), all’epoca titolare della cattedra di botanica presso l’Università di Pavia il quale, ritenendo, a ragione, che l’esemplare fungino “non sia stato peranco descritto da nessun botanico, ne parla in un proprio articolo pubblicato sul “Giornale di fisica, chimica, storia naturale e arti” precisando che “la raccolta avvenne ad opera del signor Vittadini presso Monticelli, a circa sei miglia da Milano….. ho imposto ad esso il nome specifico di questo giovane, che ci dà le più fondate speranze di diventare uno dei più distinti micologi

Seguendo i principi della sistematica dell’epoca che facevano espresso riferimento agli studi ed alla classificazione di Elias Magnus Fries (micologo e botanico svedese – Femsjö, 15 agosto 1794 – Uppsala, 8 febbraio 1878), la nuova specie fu posizionata nel gruppo dei funghi leucosporei (così denominati per il colore delle spore: bianco-biancastro), nel Genere Agaricus, Subgenere Amanita, con l’originaria denominazione di Agaricus vittadinii.

Successivamente, lo stesso Vittadini nella sua tesi “Tentamen mycologicum, seu Amanitarum illustratio” (Saggio micologico, ossia Illustrazione delle Amanite) – con la discussione della quale conseguì, nel 1826, presso l’Università di Milano, la laurea in medicina, descrive in maniera particolareggiata la specie scoperta elevandola, da Subgenere, a livello di Genere. Fatto, questo, di notevole importanza in quanto l’autore, precorrendo i tempi, è il primo studioso di micologia ad elevare il Subgenere Amanita a livello di Genere.

  • Amanita vittadinii (Moretti) Vittad. 1826

Viene posizionata, nella attuale configurazione sistematica, nella Classe Basidiomycetes, Ordine Agaricales, Famiglia Amanitaceae, Genere Amanita.

Si tratta di un fungo di particolare bellezza che, a differenza delle altre specie appartenenti al Genere Amanita, tipicamente legate in simbiosi ectomicorrizica con specie arboree in habitat boschivo, cresce da saprofita in ambiente praticolo. Viene ritenuta, da numerosi micologi, specie rara ma fedele ai luoghi di crescita ove si riproduce, anche in maniera abbondante, con periodicità annuale costante.

La nostra esperienza micologica ci consente di segnalare numerosi ritrovamenti, effettuati personalmente, in località San Marco nel comune di Novara Sicilia (ME) su terreno incolto destinato a pascolo, dove annualmente si riproduce in numerosi esemplari sparsi, sia in forma singola che gregaria, entro un raggio ben delimitato senza mai sconfinare dal sito di crescita.

Si presenta semplicemente bella, slanciata, elegante, totalmente bianca, ornata, su tutta la superficie, da verruche a forma piramidale, somigliante, nella sua strutturazione generale, anche se con marcate differenze specialmente nel colore, a carpofori appartenenti al Genere Lepiota, Macrolepiota o Armillaria, tanto che  Fries  la classificò, nella sua “Epicrisis Systematis” nel 1836, nel Sottogenere Lepiota, precisando, a supporto del suo posizionamento nella sistematica fungina: ”Fungus medius inter Amanita et Lepiota”.

Altri micologi, in considerazione delle particolari caratteristiche morfo cromatiche, hanno inteso posizionarla in altri generi come Lepidella, Aspidella, Armillaria o, come avvenuto recentemente, Saproamanita (S. A. Redhead e altri, 2016).

Nell’aspetto generale, la sua conformazione tipica è variabile in dipendenza dell’ambiente di crescita e delle condizioni ambientali esterne che influenzandone la crescita fanno sì che si presenti piccola e gracile o grande, massiccia, lussureggiante, dal bianco candido al bianco-sporco tendente all’ocra-brunastro.

Cappello: di medie, grandi dimensioni, inizialmente sferico, successivamente, nel progredire della maturazione, convesso, poi convesso-appianato. La cuticola, separabile, di colore bianco o biancastro-sporco, è ricoperta da numerose verruche a forma piramidale, residuo del velo generale, appressate nella zona centrale, che assumono, verso il margine, la conformazione di squamule, concolori negli esemplari giovani ed imbrunenti a maturazione, si presentano di consistenza friabile e, di conseguenza, per effetto della pioggia vengono facilmente asportate. Il margine si presenta eccedente per la presenza di residui fioccosi del velo generale.

Imenoforo: costituito da lamelle fitte, libere al gambo (quando si interrompono prima di arrivare al gambo con il quale, pertanto, non hanno alcun contatto), intervallate da lamellule, inizialmente bianche, tendenti, a maturazione, verso il crema-biancastro, poi giallo pallido, con riflessi verdini a maturazione avanzata. Le spore, in massa, si presentano di colore crema-biancastro, tipico dei funghi appartenenti al gruppo dei leucosporei.

Gambo: alto, slanciato, cilindrico, non bulboso, radicante, pieno, liscio nella zona apicale sopra l’anello, ricoperto da numerose squame in rilievo nella parte bassa. Inizialmente bianche, scurenti verso la maturità.

Anello: in posizione alta, ampio, fioccoso, persistente, bianco-biancastro.

Volva: dissociata in squame concentriche, revolute ed indistinte, inizialmente di colore bianco, scurenti, verso il crema-biancastro, a maturità.

Habitat: si riproduce, quale specie saprofita, sia singolarmente che in gruppi, spesso numerosi, a volte disposti in cerchio (cerchio delle streghe), in ambiente praticolo o in terreni precedentemente coltivati e concimati, nutrendosi delle sostanze organiche residue. Specie poco comune ma abbondante nell’habitat specifico. Da fine estate ad autunno inoltrato.

Commestibilità: commestibile dopo adeguata cottura ma di scarso valore organolettico. Per tale motivo ed anche al fine di evitare possibilità di confusione con specie velenose, si consiglia di non consumarla. Raccomandazione che viene ulteriormente rafforzata in considerazione della rarità della specie che deve essere salvaguardata: limitiamoci ad ammirarla, fotografarla e… lasciamola nel suo habitat naturale a completare il proprio ciclo vitale.

Etimologia: con espresso riferimento al micologo Carlo Vittadini, autore del primo ritrovamento.

Specie simili:

  • Amanita echinocephala (Vittad.) Quél. 1872

Si diversifica per le ornamentazioni sul cappello che si presentano più rade, meno appressate, piccole ed aculeate, per le lamelle che tendono ad ingiallire e per il gambo attenuato verso l’apice, bulboso-radicante alla base; liscio nella parte superiore con volva dissociata in verruche; per l’habitat boschivo essendo simbionte di latifoglie – prevalentemente querce. Specie tossica, responsabile di sindrome norleucinica, nefrotossica, smithiana

  • Amanita codinae (Maire) Bertault 1955

Ritenuta molto più rara, è praticamente simile ad A. vittadinii dalla quale si differenzia per la taglia gracile e per le dimensioni inferiori; per le ornamentazioni più scure, crema-tabacco, fin da giovane e persistenti fino a maturazione inoltrata; per il gambo relativamente corto – con altezza minore del diametro del cappello -; per l’habitat boschivo ove si riproduce in associazione con essenze arboree quali lecci (Quercus ilex) o querce da sughero (Quercus suber).

Curiosità tassonomiche:

Amanita codinae ha diviso e continua a dividere il mondo della micologia tra quanti sostengono che sia una specie a se, diversa da A. vittadini, e tra quanti, invece, sostengono l’identità tra le due specie con precedenza nomenclaturale per A. vittadini.

Affermano, questi ultimi, che le particolarità ipoteticamente diversificanti le due specie (taglia, verruche, colore, dimensione delle spore) sono elementi perfettamente variabili nella stessa specie in considerazione dell’ambiente di crescita e delle condizioni ambientali esterne e, quindi, non caratterizzanti una specie diversa.

La diatriba, a seguito recenti studi di natura molecolare, è stata definitivamente risolta con il riconoscimento di A. codinae quale specie a se ed inserita, alla stregua di A. vittadinii, nel nuovo Genere Saproamanita, con il nome corrente di Saproamanita codinae (Maire) Redhead, Vizzini, Drehmel & Contu, 2016 (S. A. Redhead e altri 2016).

Basionimo:

  • Agaricus vittadinii Moretti 1826

Sinonimi:

  • Lepiota vittadinii (Moretti) Quél. 1873
  • Mastocephalus vittadinii (Moretti) Kuntze, 1891
  • Lepidella vittadinii (Moretti) E.-J. Gilbert, 1925
  • Aspidella vittadinii (Moretti) E.-J. Gilbert, 1940
  • Armillaria vittadinii (Moretti) Locq., 1952

Nome Corrente:

  • Saproamanita vittadinii (Moretti) Redhead, Vizzini, Drehmel & Contu 2016

Recenti studi, condotti dai micologi Scott A. Redhead, Alfredo Vizzini, Dennis C. Drehmel e Marco Contu, hanno consentito, tenendo anche conto della particolarità nutrizionale della specie, che si configura essere a nutrizione saprofitica, di posizionarla nel nuovo Genere Saproamanita (Cfr. S. A. Redhead e altri, 2016: Saproamanita, a new name for both Lepidella E.-J. Gilbert and Aspidella E.-J Gilbert.  IMA Fungus, The Global Mycological Jurnal – Vol. 7 n. 1: 119-129, Madrid)

 

Foto: Emilio Pini che si ringrazia per la gradita concessione

Bibliografia essenziale:

  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Brunori AndreaStorie di funghi: l’Amanita vittadiniihttp://abcdeifunghi.altervista.org/storie-di-funghi-l-amanita-vittadinii.html
  • Brunori Andrea, Cassinis Alessandro – 2014: I funghi nella storia. Sandro Teti Editore, Roma
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2003: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 2 (prima ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar – 1993, Funghi Amanite. Calderini edagricole, Bologna
  • Galli Roberto – 2007: Le Amanite. dalla Natura, Milano
  • Lazzari Giacomo, –1973: Storia della micologia italiana. Saturnia, Trento
  • Scott A. Redhead, Alfredo Vizzini, Dennis C. Drehmel & Marco Contu – 2016: Saproamanita, a new name for both Lepidella E.-J. Gilbert and Aspidella E.-J Gilbert (Amaniteae, Amanitaceae).  IMA Fungus, The Global Mycological Jurnal – Vol. 7 n. 1: 119-129, Madrid

Riferimenti Siti Web:

Lactarius tesquorum MalenÇon 1979

Un fungo tipico dell’ambiente mediterraneo.

Le ultime giornate con le quali l’anno 2016 sta per lasciare il posto al nuovo in arrivo, caratterizzate, da noi, a Messina, dalla presenza di un meraviglioso tiepido sole che, nonostante le basse temperature, invoglia  un nutrito gruppo di soci del “Centro di Cultura Micologica”, ad avventurarsi, oggi 30 dicembre, come spesso si è soliti fare, sui vicini monti Peloritani, in località Castanea, alla ricerca di “verdura selvatica”, senza tralasciare, tuttavia, l’ormai radicata passione micologica che, in maniera meccanica e naturale, spinge il senso della vista alla ricerca di qualsivoglia forma fungina.

In tale contesto, come spesso accade, nonostante la stagione poco propizia, ci imbattiamo (Franco Mondello e Angelo Miceli) in alcuni carpofori facilmente identificabili quali appartenenti al Genere Lactarius. Ancora una volta, abbiamo la possibilità di fruire di una delle tante lezioni effettuate, in habitat, dall’amico-micologo, Franco Mondello, il quale dall’attenta osservazione delle caratteristiche morfo-cromatiche dei carpofori, dopo essersi soffermato sulla similarità tra gli stessi ed altri appartenenti allo stesso Genere, identifica il protagonista della nostra nuova “Riflessione Micologica” quale Lactarius tesquorum, specie tipica dell’ambiente mediterraneo.

La nostra curiosità micologica, ancora una volta sollecitata, riceve l’input necessario ad approfondire l’argomento.

Nella sistematica micologica viene posizionato nella classe Basidiomycetes, Ordine Russulales, Famiglia Russulaceae, Genere Lactarius, Sezione Piperites. Sottosezione Piperites.

Al Genere appartengono specie fungine caratterizzate dalla presenza nella struttura del carpoforo (cappello, lamelle, gambo), di una sostanza latiginosa più o meno densa chiamata “latice”, contenuta all’interno di “tubi laticiferi” che fuoriesce in maniera più o meno abbondante alla frattura del carpoforo. Per tale caratteristica risulta semplice, anche per i meno esperti, determinare con facilità il Genere di appartenenza dei singoli carpofori, anche se non è sempre semplice – anzi è piuttosto difficoltoso – pervenire con esattezza al riconoscimento della specie.

Lactarius tesquorum
Lactarius tesquorum

Alla Sezione Piperites, appartengono specie fungine caratterizzate da cappello ricoperto, nella totalità o solamente al margine, da peluria più o meno lunga, persistente o che svanisce verso la maturazione e dalla presenza di latice bianco immutabile o virante verso un colore giallastro.

Volendo approfondire l’argomento, è opportuno precisare che la Sezione è divisa in due Sottosezioni: Piperites, nella quale è inserito il protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, caratterizzata da specie con latice bianco immutabile e Scrobiculati alla quale appartengono specie con latice bianco virante al giallo solforino.

  • Latcarius tesquorum MalenÇon 1979

Cappello: di piccole-medie dimensioni, inizialmente piano-convesso, poi leggermente depresso al centro, sodo e poco carnoso. Colore inizialmente crema-carnicino, tendente, a maturazione, verso il crema-giallognolo, con sfumature rosate nella zona discale. La superficie è, omogenea, non zonata e ricoperta da una fitta ed appiccicosa peluria che gli conferisce un aspetto bambagioso, lanoso. Il margine si presenta inizialmente involuto poi disteso, ricoperto da peli lunghi che risultano meno evidenti verso la maturazione.

Lamelle: mediamente fitte, adnate (quando si inseriscono sul gambo per tutta la loro altezza) o leggermente decorrenti (quando prolungano la loro inserzione sul gambo), intervallate da lamellule (struttura similare alle lamelle che si interpone tra le lamelle stesse, con dimensioni minori. Ha origine dal margine del cappello e si interrompe prima di giungere al gambo) inizialmente di colore crema-pallido con sfumature rosate, poi, verso la maturazione, di colore crema-giallino sempre con sfumature rosate.

Gambo: molto corto, cilindrico, rigonfio nella zona centrale ed attenuato verso la base. Inizialmente farcito, presto cavo, ricoperto da una pruina biancastra nella parte superiore ove spesso si presenta con una zona circolare rosata. Quasi concolore al cappello e biancastro per effetto della pruina, più chiaro verso la base. Generalmente non scrobicolato, a volte con piccoli scrobicoli (piccole depressioni o fossette a forma più o meno circolare che ornano il gambo di alcune specie fungine – tipicamente quelle appartenenti al Genere Lactarius) concolori verso la base.

Carne: biancastra con sfumature carnicine, odore leggero, gradevole, fruttato. Sapore acre.

Latice: scarso, di colore bianco, immutabile anche se isolato e dopo parecchie ore, sapore molto acre.

Habitat: tipico della macchia mediterranea ove si riproduce in simbiosi con il cisto, in particolare con Cistus monspeliensis e Cistus salvifolius. Da autunno inoltrato fino a tardo inverno.

Etimologia: dal latino “loca tesqua” = “landa desertica” con espresso riferimento al suo habitat di crescita caratterizzato da macchia mediterranea.

Nomi dialettali: Pucchiariellu: nome dialettale cosentino; Funciu i Pucchiu: nome dialettale del Pollino (Cosenza); Marieddhu: nome dialettale del Salento (Lecce): Amarieddhu i mucchiu (nome dialettale di Mesagne (Brindisi)

Ritrovamento attuale:

ad opera del micologo Franco Mondello e di Angelo Miceli (Centro di Cultura Micologica – Messina) in località Monti Peloritani – Messina – Villaggio Castanea delle Furie, C.da Tonnaro – in ambiente tipicamente mediterraneo a circa 400 – 450 m. s. l. m., caratterizzato dalla presenza di Erica e Cisto: Cistus salvifolius

Descrizione della raccolta:

numero 6 esemplari di medie dimensioni che evidenziano le caratteristiche tipiche della specie: cuticola bambagiosa con fitta peluria maggiormente accentrata lungo il margine pileico; gambo molto corto con zona anulare rosata nella parte apicale; latice scarso bianco immutabile; habitat tipico legato alla presenza di Cisto: Cistus salvifolius.

Specie similari:

  • Lactarius mairei, specie anch’essa reperibile in habitat mediterraneo ma legata in simbiosi con quercia; presenta il gambo più slanciato; il cappello ornato da peli riuniti a ciuffi; il latice che ingrigisce sulle lamelle;
  • Lactarius tominosus, di dimensioni maggiori e superficie pileica ornata da peli più lunghi; habitat tipico boschivo simbionte con Betulla;
  • Lactarius pubescens, dal portamento tozzo, gambo corto, cappello ricoperto da uno strato bambagioso, margine, negli esemplari giovani, caratterizzato da una fitta e ben evidente peluria; habitat tipico boschivo, simbionte con Betulla.

Curiosità nomenclaturali:

La specie, tipica di habitat costiero-mediterraneo, legata alla presenza di cisto, in particolare Cistus salvifolius, venne descritta, per la prima volta, in tempi recenti (1979), dal micologo George MalenÇon (Parigi 1898 – 1984), tuttavia si ritiene che la stessa sia stata precedentemente raccolta e non riconosciuta come specie a se stante per la particolare similarità con specie diverse appartenenti allo stesso Genere ma tipiche di habitat boschivi. In merito è opportuno sottolineare che precedenti raccolte effettuate in zona costiera mediterranea da diversi studiosi come Maire e Werner, Bertault, Corrias, Laviano, in epoche precedenti ed identificate come L. pubescens e/o L. torminosus, specie tipicamente legate in simbiosi micorrizica con betulle, siano da ricondurre a L. tesquorum in quanto nelle zone costiere dove le raccolte sono state effettuare ben difficilmente si possono trovare le betulle (M. T. Basso 1999).

Note sulla commestibilità e tossicità:

Viene ritenuto, in letteratura, NON commestibile a causa del sapore acre e di sospetta tossicità. Nel Salento è un fungo molto conosciuto con il nome volgare “marieddhu”. Risulta essere molto ricercato e consumato, tanto che viene venduto nei mercati rionali ad un prezzo molto vicino a quello dei Porcini.

E’ buona norma ritenere che solo i lattari secernenti latice rosso – rossastro, ovvero quelli appartenenti alla Sezione Dapetes, siano da ritenere commestibili, limitandone il consumo, tra le varie specie, soltanto ai Lactarius deliciosus, L. sanguifluus, L. sanguifluus Var. violaceus e considerando tutte le altre di scarso valore gastronomico. Alcune specie a latice bianco di sapore mite, come ad esempio L. volemus e L. porninsis sono ritenute commestibili ma ne sconsigliamo il consumo ai fini precauzionali al fine di evitare confusione con specie tossiche. Si ritiene opportuno sconsigliare, nella maniera più assoluta, al fine di evitare spiacevoli conseguenze, il consumo delle specie a latice bianco e con sapore acre o pepato anche se alcune di queste, come il protagonista della nostra “Riflessione Micologica”, come sopra precisato, vengono regolarmente consumate.

Al genere non appartengono specie velenose ma solo tossiche in grado di provocare disturbi più o meno gravi in considerazione della quantità consumata e delle condizioni fisiche del consumatore. Sono da considerare assolutamente tossiche le seguenti specie: Lactarius vellereus; L. helvus; L. torminosus; L. turpis; L. piperatus; L. scrobiculatus ritenute responsabili di sindrome gastroenterica a breve latenza (quando i sintomi dell’intossicazione si presentano entro 6 ore dal consumo).

Foto: archivio micofotografico del Micologo Franco Mondello

Bibliografia:

  • Basso Maria Teresa – 1999: Lactarius Pers., Funghi Europaei Vol. 7. Mykoflora, Alassio (SV)
  • Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca – 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna (ristampa 2013)
  • Bonazzi Ulderico: Dizionario dei nomi volgari e dialettali dei funghi in Italia e nel Canton Ticino. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Consiglio Giovanni, Papetti Carlo – 2009: Atlante Fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 3. A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento
  • Cetto Bruno – 1970, I funghi dal vero, Vol. 5. Saturnia, Trento
  • Foiera Fabio, Lazzarini Ennio, Snabl Martin, Tani Oscar, -1998, Funghi Lattari, Calderini edagricole, Bologna

Andar per funghi: I Cantarelli: Famiglia Cantharellaceae

Si tratta di macromiceti di piccole dimensioni legati in simbiosi ectomicorrizica con diverse specie arboree. Sono soliti fruttificare, sia nei boschi di aghifoglie che di latifoglie, dalla primavera inoltrata al tardo autunno, prolungando spesso la loro crescita fino al periodo iniziale dell’inverno. 

Incontrandoli nei boschi risulta facile riconoscerli per il caratteristico colore giallo-uovo, per l’orlo del cappello lobato e per la particolarità della zona imeniale che risulta percorsa da pseudolamelle, anche se – è opportuna la precisazione – esistono diverse specie di colore bruno, bruno-aranciato, bruno-rossiccio o addirittura grigio-antracite o tendenti al nero-nerastro (Esempio: Cantharellus cinereus; Cantharellus lutescens; Craterellus cornucopioides…).

Sistematica

Nella sistematica micologica vengono posizionati nella Classe Basidiomycetes, Ordine Cantharellales, Famiglia Cantharellaceae, nella quale si trovano i Generi Cantharellus, Craterellus, Pseudocraterellus ed altri. Sono inseriti, in maniera generica, nel gruppo dei funghi Cantarelloidi.

I Funghi Cantarelloidi sono caratterizzati dalla presenza di cappello che si continua, in un tutt’uno omogeno, con un gambo non perfettamente centrale ed un imenoforo (zona del fungo in cui è posizionato l’imenio contenente gli elementi riproduttivi della specie: spore) liscio o corrugato con presenza di pliche (Plica: sinonimo di piega, costolatura, usato per indicare l’ispessimento di un tessuto) che dipartendosi dalla parte inferiore del cappello si prolungano sul gambo dando l’idea di pseudo lamelle. Tale tipologia di imenoforo, viene definito, proprio per la presenza di pliche, “plissettato”. I carpofori si presentano pieni, come nel caso del Genere Cantharellus o cavi ed a forma di cornucopia come nel Genere Craterellus.

I funghi appartenenti a questa tipologia, in maniera particolare le specie appartenenti al Genere Cantharellus, vengono conosciuti, sull’intero territorio nazionale, con il nome generico di Cantarelli, Galletti, Gallinacci, Finferli, denominazioni utilizzate in maniera diversificata a seconda della tipicità in uso nelle varie zone territoriali e arricchite da tantissime altre denominazioni dialettali.

Come sopra accennato, alla Famiglia Cantharellaceae appartengono i Generi Cantharellus e Craterellus. In questa nostra “Riflessione Micologica”, senza addentraci troppo nell’argomento, ci occuperemo di alcune delle specie maggiorente note appartenenti ai due generi:

Cantharellus cibarius Fr.

(Genere Cantharellus (Fr.) Adans – caratterizzato da specie fungine con gambo sempre pieno e pliche molto evidenti)

Cappello: inizialmente piano-convesso, poi depresso al centro e spesso imbutiforme; margine a lungo involuto, lobato (quando presenta anse, sinuosità, più o meno irregolari e profonde); superficie liscia, brillante, di colore giallo, giallo-uovo, giallo-arancio più o meno carico. 

Imenoforo: tipicamente plissettato, formato da pliche (pieghe, costolature) grossolane, molto evidenti, rade, decorrenti sul gambo ed anastomizzate (collegate tra di loro in più punti con setti trasversali); concolori al cappello ed al gambo.

Gambo: pieno, robusto, sodo, corto, cilindrico, svasato all’apice, attenuato verso la base, concolore al cappello.

Carne: soda, compatta, fibrosa nel gambo, bianca nella parte interna, giallognola nella zona superficiale con odore e sapore gradevole di albicocca.

Habitat: cresce in gruppi anche di numerosi esemplari, raramente singolo, dall’estate all’autunno protraendosi anche in inverno, in boschi di conifere ed aghifoglie.

Commestibilità: ottimo commestibile, ricercato e consumato in tutte le regioni d’Italia.

Etimologia: dal latino cantharus = coppa (per la similarità della forma al cantharus, antica coppa utilizzata dai romani per bere) e da cibarius = commestibile.

Nomi volgari: Galletto, Gallinaccio, Finferla 

Nomi dialettali: Cresta de gallo, Ciurrittu, Cricchia i jaddu, Jadduzzu.

Note: in letteratura si fa riferimento a numerose varietà che, a seconda dei vari autori, vengono considerate a volte come semplici varietà o forme, a volte come specie autonome. Per la consistenza della carne, della forma e del colore, è simile a Hydnum repandum e Hydnum rufescens, funghi commestibili con gusto leggermente amarognolo, che differiscono per l’imeforo ad aculei. 

Cantharellus alborufescens (MalenÇon) Papetti & Alberti

(Genere Cantharellus (Fr.) Adans – caratterizzato da specie fungine con gambo sempre pieno e pliche molto evidenti)

presenta notevole similarità, per le caratteristiche morfo-cromatiche, con il Cantharellus cibarius, tanto che, in origine, veniva considerato una varietà di quest’ultimo; recenti studi ad opera dei micologi Papetti ed Alberti (1999) hanno consentito di elevarlo al rango di specie per le seguenti caratteristiche che lo diversificano:

cappello e gambo ricoperti da una fine pruina (strato sottilissimo di consistenza farinosa o pulverulenta, ceroso al tatto) di colore bianco che conferisce al carpoforo un colore giallo sbiadito tendente al biancastro. Alla manipolazione, con esportazione della pruina, manifesta un viraggio tendente inizialmente al giallo e successivamente al rosso-bruno.

Habitat: si associa, in simbiosi, a varie latifoglie, in particolare Leccio. Ritrovamenti effettuati sui Monti Peloritani (Messina) hanno evidenziato la sua associazione anche ad altre latifoglie come Querce e Castagni e la sua crescita in boschi di aghifoglie misti: Cedro e Pini (F. Mondello – www.micologiamessinese.it).

Commestibilità: ottimo commestibile.

Sinonimi: Cantharellus cibarius var. Alborufescens MalenÇon 1975

Cantharellus cinereus (Pers.) Fr.

Craterellus cinereus
Craterellus cinereus

(Genere Cantharellus (Fr.) Adans – caratterizzato da specie fungine con gambo sempre pieno e pliche molto evidenti)

Cappello: di piccole dimensioni, inizialmente appena convesso poi imbutiforme,  margine disteso, lobato-ondulato; superficie leggermente pruinosa e squamosa; colore grigiastro con tonalità tendenti al bruno più o meno accentuato in dipendenza della maturazione e delle condizioni ambientali: più chiare a tempo asciutto, più marcate, tendenti al nerastro, a tempo umido.

Imenoforo: tipicamente caratterizzato da venature e pliche ben evidenti e tra di loro anastomizzate, spaziate e ramificate; colore grigio tendente all’avana con tonalità bluastre negli esemplari giovani, a maturazione tende verso il grigio cinerino per il colore bianco delle spore.

Gambo: pieno da giovane, poi fistoloso, leggermente incurvato percorso, in senso longitudinale, da scanalature, svasato all’apice, attenuato verso la base, concolore al cappello ma leggermente più chiaro.

Carne: bianca tendente al grigiastro nella parte interna, nettamente più chiara del grigio della parte esterna, di consistenza elastica; odore fruttato con sapere gradevole.

Habitat: poco frequente e tipico dei boschi di latifoglie, specialmente castagno. Si tratta di specie poco comune per la quale, per quanto a nostra conoscenza e limitatamente alla nostra esperienza micologica, non si ha notizia alcuna di avvenuti ritrovamenti nel territorio boschivo messinese.

Commestibilità: buon commestibile.

Etimologia: dal latino cantharus = coppa  e da cinereus = cinereo con riferimento al colore simile a quello della cenere.

Sinonimi: Cantharellus hydrolyps Schrot. – Craterellus cinereus (Pers.) Donk – Pseudocraterellus cinereus (Pers.) Kalamees.

Nomi volgari: Cantarello, Finferla.

Note: può essere confuso, per la similarità del colore, con Craterellus cornucopioides  che ha gambo vuoto ed imenoforo pressoché liscio con rugosità longitudinali. 

Craterellus cornucopioides (L.) Persoon

Cratherellus cornucopioides
Cratherellus cornucopioides

(Genere Craterellus Persoon – caratterizzato da specie fungine con gambo cavo e pliche da quasi assenti a marcate)

Cappello: profondamente imbutiforme, a forma di cornetto acustico, cavo all’interno, si prolunga in un insieme unico verso il gambo; l’orlo, inizialmente arrotolato, si allarga a maturazione formando lobi irregolari. Il colore, inizialmente grigio scuro-nerastro, a maturazione ed a tempo secco schiarisce volgendo al grigio-brunastro.

Imenoforo: posizionato nella zona inferiore esterna è pressoché liscio con rugosità verticali; il colore grigio-cenere, grigio-bluastro, tende a schiarire a maturazione anche perché viene condizionato dal colore bianco delle spore, presentandosi, in tal caso, leggermente polverulento.

Gambo: completamente cavo, svasato all’apice ed attenuato verso la base finemente rugoloso e ricoperto da fibrille longitudinali, di colore grigio scuro o nerastro, a volte poco evidenti o non presenti. 

Carne: molto sottile ed elastica, odore piacevolmente fruttato negli esemplari giovani; colore grigio scuro o nerastro.

Habitat: fruttifica dalla tarda estate in autunno, prediligendo boschi di conifere come castagni, faggi, noccioli. 

Commestibilità: buono e gustoso se consumato giovane. Viene anche essiccato e ridotto in polvere o scaglie ed utilizzato come condimento aromatico. 

Etimologia: dal latino craterellus = piccola coppa e cornucopioides = a forma di cornucopia.

Sinonimi: Craterella cornucopioides (L.) Pers. 1797 – Cantharellus cornucopioides (L.) Fr. 1821

Nomi volgari: trombetta da morto, corno dell’abbondanza, cantarello nero.

Note: per le caratteristiche morfo cromatiche può essere confuso con Cantharellus cinereus, fungo commestibile, molto somigliante specialmente per i colori analoghi ma differente per la presenza di pseudo lamelle ben definite e gambo pieno.

Riteniamo opportuno concludere questa nostra “Riflessione Micologica” senza addentraci ulteriormente nel complesso delle numerose altre specie, varietà e forme appartenenti ai generi Cantharellus e Craterellus, rinviando il lettore che volesse approfondire le proprie conoscenze a testi specifici e… ricordate: non consumate funghi senza avere prima consultato un micologo professionista al fine di acquisire il parere e la certificazione di commestibilità.

Foto:

Angelo Miceli – Franco Mondello – Emilio Pini

Bibliografia essenziale:

• Boccardo Fabrizio, Traverso Mido, Vizzini Alfredo, Zotti Mirca, 2008: Funghi d’Italia. Zanichelli, Bologna 

• Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. I (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, – Trento