
Il mio amico José Gambino soleva ripetere con disappunto, già nei primi anni della nostra docenza magisterina, che Messina è una «città sul mare» ma «non di mare». E io, cariddoto inurbato, gli «infuocavo la posta»: «Molti messinesi manco si rendono conto dell’enorme quantità di pesci – mio padre ne conosceva 169 tipi – che vivono nelle acque dello Stretto, e si contentano di mangiare fettine di pescespada e acciughe, o un polpo “alla luciana” quando gli va bene. D’altra parte, i giovani cercano il posto fisso in banca o al Comune e nessuno vuole più fare il pescatore: il piatto piange. Né gli amministratori fanno qualcosa per invertire la rotta. E però oramai il mare e la gente di mare sono guardati con «dispitto», dall’alto in basso, dai cittadini piccolo borghesi che vivono in città. Il che comporta, peraltro, sul terreno socio-economico, uno spreco incredibile di risorse umane». Il mio amico geografo annuiva. «Per non dire – aggiungevo infe...