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“Cartoline di una Gorgone” : come pietrificare il passato, liberandosi dal dolore

Cartoline di una Gorgone, 2013, Roma, Sovera Edizioni pg 141

Mariastella Ruvolo è una ragazza di venticinque anni, spigliata, elegante, coinvolgente, come capita di incontrarne tante nelle nostre attività giornaliere. In più, però,  è una scrittrice di rango che unisce la spontaneità del narrare a una consumata abilità stilistica. Sabato 10 Agosto, nella cornice elegante del Lido di Naxos viene presentata la sua opera prima. Interessante la vicenda editoriale del libro: Mariastella lavora per la casa editoriale Sovera e ha un sogno nel cassetto: scrivere un libro di ricordi.

Decide di presentare un testo incompleto di autore ignoto alla Sovera: non vuole favoritismi di alcun tipo. Solo dopo l’accoglimento entusiastico dell’editore, rivelerà l’arcano: un groviglio la tiene legata al suo passato e solo scrivendone la storia se ne potrà liberare ( ricalcando così una considerazione di Goethe). Il passato si materializza sotto forma di cartoline e porta alla luce il marasma di profondi turbamenti e di angosce insolute. Due sono le saghe parallele evocate nel libro, entrambe paradigmi di quella “sicilitudine” che è una malia ma anche una scelta culturale d’impegno e di partecipazione alle vicende di una collettività sofferente. Valle del Belice: due donne allo specchio, antitetiche e, nello stesso tempo, assimilate dall’appartenenza a una comunità ancora ancestrale, seppur calata nella modernità. Le loro vicende vengono trasmesse dalla scrittrice, sotto forma di istantanee che fissano l’attimo nell’eternità del tempo. La memoria scava alla ricerca di un perché.

Il lavorio del recupero del passato è, tuttavia, salvifico; le due storie si saldano, illuminando una labile verità di matrice pirandelliana. Di origine contadina è Titina, donna forte e volitiva, oppressa dalla violenza del padre-padrone e confortata dalla dolce presenza della madre, l’unica capace di sottrarre la prole alla “pedagogia delle cinghiate” del maschio dominatore. Titina contrasta la volontà del padre e sposa l’uomo che ama, va via dal microcosmo di DonnaLuna e emigra in Svizzera; ritornerà solo dopo il disastroso terremoto del Belice del 1968. A Villa Santa, in un contesto sociale e culturale completamente diverso, nasce Luna, primogenita del Barone e di Lilli, figlia del Sindaco di San Biagio. Le dimore sontuose, la vita piena di agi, i viaggi in carrozza a Palermo, le frequentazioni importanti caratterizzeranno la sua vita. Irrequieta e un po’ bizzarra, la giovane viene educata in un prestigioso collegio romano, destinata a un brillante futuro. Un flash, un ‘istantanea : Luna accanto a Giovanni, la cui diversa provenienza sociale non costituirà un ostacolo per la loro unione. Altre immagini si accumulano negli anni, nei cassetti di Titina e di Luna; una foto risulta rivelatrice, quella di due giovani innamorati, Michele, figlio di Luna e Nina, figlia di Titina.

Essi costituiscono il collante tra le due saghe ma è  Marilù, la loro figlia, ad assommare in sé la storia delle due famiglie. All’aeroporto Falcone –Borsellino, in procinto di partire da Palermo, nella noia dell’attesa, ella tirerà fuori dalla borsa, casualmente, tre cartoline antiche e una manciata di fotografie: annoderà così i fili dei suoi ricordi e decifrerà i misteri che hanno angosciato la sua infanzia. “ Le guardò una per una e vi ritrovò la sua famiglia e quella storia”.

La microstoria della famiglia si salda con la macrostoria di un periodo complesso e difficile, di cui l’Italia paga ancora oggi lo scotto. I toni drammatici e accorati della vicenda, tuttavia, sono risolti spesso da una ironia liberatoria che riconduce la Ruvolo alla grande narrativa siciliana.