Presentazione libro “Per vie traverse”

Presentazione del Romanzo di Claudio Sergio Stazzone, Aula Magna Istituto Antonello, lì Messina 21 Aprile 2015, h. 18, 00 di Giuseppe Triglia.

 

INTRODUZIONE

1. Saluto tutti i presenti, gentilmente intervenuti stasera, quanti ci ospitano, tutti gli amici che ci onorano; e anche coloro che hanno voluto la mia, seppur modesta, partecipazione, scusandomi in anticipo per ciò che dirò e per come lo dirò: balbettando. Impresa ardua la mia: parlare del romanzo senza togliere il gusto della lettura, della scoperta, della curiosità, (dei colpi di scena); anzi dovrei contribuire col mio dire ad accrescerla, stimolarla, incoraggiarla. Potrei forse cavarmela prendendo a prestito dall’Ariosto; “le donne, i cavalieri, gli amori, le armi io canto” E tutto questo è il romanzo! Ma sono sicuro che non supererei indenne la serata e l’uscita. Allora proverò, chiedendo in anticipo venia a tutti, a provocare la vostra benevolenza e generosità nell’ascoltarmi, per l’esercizio di pazienza che richiede, senza cedere alla forte tentazione si sottrarvi.

INTRODUZIONE

1. Saluto tutti i presenti, gentilmente intervenuti stasera, quanti ci ospitano, tutti gli amici che ci onorano; e anche coloro che hanno voluto la mia, seppur modesta, partecipazione, scusandomi in anticipo per ciò che dirò e per come lo dirò: balbettando. Impresa ardua la mia: parlare del romanzo senza togliere il gusto della lettura, della scoperta, della curiosità, (dei colpi di scena); anzi dovrei contribuire col mio dire ad accrescerla, stimolarla, incoraggiarla. Potrei forse cavarmela prendendo a prestito dall’Ariosto; “le donne, i cavalieri, gli amori, le armi io canto” E tutto questo è il romanzo! Ma sono sicuro che non supererei indenne la serata e l’uscita. Allora proverò, chiedendo in anticipo venia a tutti, a provocare la vostra benevolenza e generosità nell’ascoltarmi, per l’esercizio di pazienza che richiede, senza cedere alla forte tentazione si sottrarvi.

2. Anzitutto vorrei rispondere alla domanda: Perché proprio io qui, stasera? Semplicemente per onorare (anche se indegnamente), un grosso debito di riconoscenza restituendo una squisita cortesia, da me ricevuta generosamente in precedenza, da un amico; ed inoltre confermare ulteriormente – se ce ne fosse bisogno-, l’amabilità delle persone care, nutrita e avvertita, poiché rappresentano per me, ormai da tempo Claudio e Lea con la loro famiglia: sostegno, motivo di attenzione e stima, affetto fraterno che reciprocamente avvolgono e sostanziano la nostra amicizia e vicinanza, manifestate ed emerse nelle diverse occasioni della vita: le tante di dolore e di prove ma anche nelle poche, altrettanto importanti, perché gradevoli, di sollievo, di scambio e arricchimento, come quella singolare di stasera, tutte preziose come il sale della vita. 

 

PARTE I

3. Permettetemi in premessa, una riflessione sull’Homo viator ed il valore del viaggio, per la quale attingo un poco a Gabriel Marcel, mentre mi rifaccio pure ad un interessante libro di Sabino Chialà, monaco a Bose: “Parole in Cammino”. Tutto questo mi serve per poi collegarmi al tema del libro che presentiamo stasera: “Per vie traverse”, del prof. Claudio Sergio Stazzone, nostro comune caro amico, titolo che condensa e sintetizza un leit motiv esistenziale, che il nostro autore precisa nel sottotitolo del suo Romanzo che qui anticipo: “per vie traverse si devia dal proprio progetto, per vie traverse si giunge più efficacemente alla meta”.

4. “Se esistere significa essere in cammino, l’homo viator (tema di G.Marcel) è l’essere in cammino: così desidera, lotta, conquista, spera e si apre al futuro. Finché questo succede c’è possibilità di cambiare.”. “ Nel cammino del desiderio sarai solo. Unico tuo compagno sarà il dolore” (avverte Rumi ). E questo procedere, avanzare, guardare in avanti verso un orizzonte anche di senso mai raggiunto, perché mai definitivo come limite invalicabile che ci sta sempre davanti, permette all’uomo di conoscere e abitare il mondo, insieme agli altri uomini che incontra nel cammino, rendendolo umano e rendendosi più pienamente uomo. Con gli altri, infatti, ciascuno fa accadere la vita, provoca e genera la storia, la civiltà, incide nello spazio e nel tempo, segna dunque solchi, traccia sentieri, stabilisce e fissa percorsi, costruisce strade che si incontrano, accavallano, incrociano, si insabbiano, si interrompono, si consolidano; elementi essenziali che permettono dunque incontri, cammini, percorsi, avanzate…

5. Questo incedere, (procedere) della vita con le sue frenetiche accelerazioni, con i suoi ritmi consueti, con i suoi arresti, le sue soste volute o forzate, con rallentamenti e inevitabili regressioni o marce indietro, personali e comunitarie, spesso avviene, accade, si realizza, non per strade diritte, lineari, larghe, maestre, consolari, consolidate, già segnate, battute in precedenza, sperimentate ed indagate, sicure, scontate, ma piuttosto per vie impensate, improvvise, percorsi imprevisti, varchi sorprendenti, sentieri scoscesi e impervi, ponti da vertigini, limitari che corrono sull’orlo di precipizi abissali, di esperienze estreme, di sogni ed incubi che facilmente debordano dal nutrito repertorio dell’immaginario e delle esperienze umane, ove si condensa quell’azzardo impensato, creduto impossibile, che pure coniuga l’assurdo e l’orrendo, il crudele e l’infimo estremo, il banale e il cinico e produce i grappoli turgidi del male e delle sue inesauribili appendici. (Hanna Arendt ci ha avvertito della banalità del male).

6. “Il viaggio più che un andare avanti, proseguire, procedere, in verità è sempre autenticamente un discendere in basso, nelle profondità vorticose da cui ciascuno è abitato; interiori infatti sono lo stimolo, la stessa strada e la meta; i cammini sono tutti in me, sono io: attraversarsi, conoscersi, emergersi allo scoperto, davanti a sé stesso; la vera difficoltà è che il viaggio, mostra l’uomo a sé stesso, nella sua verità lo rivela, strappa difese, ripari, nascondigli. E di questo, in verità, si ha paura…”(Cfr S. Chialà op. cit.).

7. Ecco dunque anche il viaggio del pellegrino e il pellegrinaggio. “ L’andare verso un luogo sacro, una meta, è presente e tipico in molte religioni;… ma il viaggio esterno è valido solo se coinvolge un viaggio verso, dentro se stessi che coinvolge il cuore”.(Cfr. S. Chialà, op. cit.).

8.Il mondo, questo nostro mondo concreto, questa nostra unica possibilità ricevuta, donataci di esistere, di esser al mondo, il mondo abitato dall’uomo, tutto l’ecumene, diventa umano, abitabile, accogliente, “quando l’uomo che lo abita si coglie, si riconosce come homo viator ed assolve a questa sua alta responsabilità anzitutto verso se stesso”. Allora il mondo diventa vissuto, esplorato, attraversato, percorso, scoperto, conosciuto, “dominato” nel senso di apprezzato e valorizzato per le sue risorse, custodito più che consumato e violentato irrimediabilmente. Terra nostra sorella madre che ci genera, alimenta e sostiene, segnata ed orientata, attraversata da strade esteriori ed interiori, in cui gli uomini si incontrano, scontrano, camminano insieme, si osservano, scrutano, scoprono imparando a condividere equamente e ad abitare validamente lo spazio e il tempo.

9. “L’ Homo viator che giunge a noi dal mondo tardo antico e dalla post-classicità, attraverso l’elaborazione del pensiero cristiano e medievale, è consapevole di compiere un cammino autentico seguendo le tracce di Cristo, nella Via che è Cristo stesso, e con Lu, i verso la Meta ultima ”.

 

PARTE II

10. Finalmente vede la luce e stasera si tiene a battesimo – è il caso di dirlo, scusate questa mia stravaganza nell’insistere nell’uso di questo linguaggio-, una felice intuizione che attraversa e nutre queste pagine del Romanzo Per vie traverse, avuta come un concepimento, in idea, durante un viaggio naturalmente, – di andata o ritorno poco importa, – al centro della Sicilia (Nicosia), nel cuore della nostra isola dalla montagna divina (come la definirono i fenici vedendola per la prima volta, e dal cui termine fenicio sembra derivi, tra le altre ipotesi più affascinanti ed accreditate i- ta- là il termine Italia (Rumiz).

11. Proprio in quella terra dal cuore fecondo cara a Proserpina Cerere, ov’è l’antica patria (terra dei padri) da cui è originaria la famiglia Stazzone, lì c’è la necessità di tornare e ritrovare le sedimentate radici vitali. (29 sett. 2012). Da quel momento sorgivo, ha avuto corso ed ha preso corpo, nello spazio di appena 38 giorni, da Ottobre a Novembre (2012), una febbre feconda ed indomabile che si è impossessata del nostro autore, ed ha prodotto, – come da una singolare estasi giovannea, – un intenso, frenetico, appassionato lavoro letterario. Non il primo del nostro autore, non nuovo a fatiche editoriali, (come si può ben notare dal nutrito curriculum vitae che viene riportato nella copertina di cosa), ma che in questa sua Opera ci offre l’esordio narrativo: un romanzo, fioccato dalla florida penna.

12. Per le modalità compositive mi viene da pensare a Stendhal (scusate l’accostamento che non vuol sembrare irriverente ne per l’uno ne per l’altro), che durante una volontaria reclusione nel suo studio parigino (fra il 4 Novembre e il 26 Dicembre del 1838), in appena 52 giorni, (forse dettata ad un copista), compone la sua Opera: La Certosa di Parma, che nel titolo si può accostare benissimo ad uno dei filoni narrativi principali su cui si intreccia il nostro romanzo. Lo sfondo era l’Italia della restaurazione e l’orizzonte ideologico quello delle idee di libertà di cui Napoleone si faceva portatore, ma che sarebbero sfociate nella Waterloo; i temi trattati nel romanzo: amori passionali, intrecci, tradimenti, congiure, matrimoni di facciata, omicidi, scelte forzate di vita ecclesiastica riparatrice, fino alla definitiva reclusione in Certosa appunto a Parma. Il romanzo dell’ illustre autore romantico francese (come tant’altri illustri precedenti, basti pensare emblematicamente al Manzoni), prendeva spunto da un rinvenuto manoscritto che narrava vicende altrettanto intriganti, risalenti al sec. XVI e riguardanti personaggi in vista come il futuro Paolo III (Alessandro Farnese), ambientati nella Roma cortigiana del suo tempo.

13. Per quanto concerne il nostro Romanzo invece, una dritta utile ci giunge proprio direttamente dall’ autore, quando nella circostanziata introduzione al suo testo, insieme a molti utili dettagli messi opportunamente in premessa, – guida preziosa utile ed illuminante per i lettori, tra l’altro, ci parla esplicitamente della sua fonte principale di ispirazione: “Il nome della rosa” (Romanzo e sua trasposizione cinematografica), almeno per la contaminazione dei generi, qui pure dal nostro tentata con successo nella sua tessitura anche per il fascino suscitato dall’pera del precedente illustre di Eco.

14. Era il 1980 come si ricorderà, quando il semiologo prof. Umberto Eco, stupiva pubblico e critica, con l’uscita per Bompiani, suo editore storico, del suo primo Romanzo (dopo numerosi saggi), “cimentandosi sul genere giallo-storico (in particolare quello deduttivo), anche se il poderoso libro (503pp.) “Il nome della Rosa”, si presentava come un vero e proprio incrocio di generi, a metà strada tra lo storico e il narrativo”. Senza voler tentare analisi alte, accostamenti indebiti e giustapposizioni improprie che non sono di mia competenza e portata, devo riconoscere che anche il testo che intendiamo proporre (stasera) e sottolineare all’attenzione dei presenti, segue proprio in un certo qual modo, la scia del capolavoro letterario pubblicato da U. Eco, ormai 35 anni or sono, per ammissione del resto del nostro stesso autore, come riportato chiaramente nella premessa che citavo poco prima, che non nasconde affatto fascino e suggestioni ricevute da quello.

15. L’opera come ricorderete certamente, ambientata nel 1327 si presenta come un manoscritto di Adso da Melk, monaco che ormai anziano, rivisita i fatti vissuti da novizio (molti decenni prima), in compagnia del proprio maestro Guglielmo da Baskerville. Ed anche nel nostro lavoro abbiamo un professore, Dirigente in pensione che nella sua maturità esistenziale e letteraria che coincide con l’inizio della quiescenza, trova il tempo per dar espressione alla sua Opera, poiché sulla via per Nicosia concepisce e quindi mette per iscritto una insistente e fondata intuizione insieme ad alcune personali fantasie che da tempo frullavano per la mente alle quali finalmente si prova a dare voce e forma letteraria adeguata. E pure nel nostro caso ritroviamo tra i protagonisti ed i personaggi storie di maestri e discepoli, che si incrociano appunto per vie traverse, insieme non più ad un antico manoscritto ma un Libro questa volta, prezioso dono d’un caro amico di famiglia in occasione della Laurea, la cui lettura interessante era stata solo rinviata, ed ora finalmente può diventare molto opportunamente lo sfondo storico di eventi e trame da cui prendono le mosse e si sviluppano alcune vicende fondamentali del nostro romanzo.

16. E mentre Eco ambientata e svolge la sua narrazione degli eventi in sette giorni all’interno di un monastero benedettino dell’Italia settentrionale, (sette come le note di una partitura musicale), scanditi dai ritmi consueti della tradizionale vita monastica non proprio immune però da trame e dinamiche mondane, ” umane troppo umane”, il nostro autore più recente sembra privilegiare come si nota fin dall’inizio del romanzo come luogo in cui ambienta in parte il romanzo, una abbazia certosina dell’Italia meridionale, (come orgogliosamente meridionale è il nostro autore), i cui tratti e caratteristiche architettoniche descritte sembrano volersi riferire a quella di Serra S. Bruno nelle vicine Calabrie o più improbabilmente a quella pure maestosa di Padula nel salernitano. I ritmi di scansione della narrazione (dei capitoli) sono stati presi sapientemente ed opportunamente a prestito, attingendo alla passione musicale dell’autore al repertorio di generi e tipologie artistiche delle composizioni. Passione di famiglia in verità, già viva infatti e feconda nel nonno, maestro di musica, a cui una piccola e discreta parte nel romanzo è pure riservata. Più precisamente risulta l’unico personaggio reale non di fantasia citato del romanzo, e voluto intenzionalmente dal nostro autore come grato ricordo e sentito omaggio di riconoscenza per i suoi alti sentimenti morali e valori cristiani professati. Il suo ruolo nel romanzo costituisce un nesso chiave, funzionale alla trama delle vicende del protagonista principale (allorchè lo ha avuto di fatto nella realtà), anche se nel testo risulta molto sfumato dal ricamo letterario e dai forti accenti di fantasia impressi. Il personaggio reale a cui si allude nel romanzo nel ruolo di protagonista (il prof. nostromo o più tardivo Cristoforo), appartiene alla storia recente, artefice di spicco della cultura scientifica del nostro paese, che ritorna spesso nelle cronache anche più recenti. 

17. Il nostro romanzo scorre molto velocemente articolandosi nei 25 capitoli, alcuni dei quali snelli, in cui si snodano le vicende che imbastiscono il romanzo, accompagnati da un sottotitolo, efficace ed indovinata sintesi inerente al contenuto della specifica sezione narrativa.

18. In un crescendo di protagonismo siano condotti attraverso le pagine che si susseguono, come in un’ immersione (full immersion) in un’ opera sinfonica d’ampio respiro. In essa l’autore ci offre parole dense che alternano nella ricca composizione descrizioni particolareggiate, racconti, confessioni, aneddoti, documentazioni storiche, scientifiche, giornalistiche, analisi artistiche, citazioni, reminescenze e rinvii a brani poetici, di autori classici, richiami letterari religiosi che attingono anche all’innografia sacra.

19. Eco a proposito della sua Opera rammentava come sua fonte di ispirazione una esperienza nel monastero di S. Scolastica avuta a 16 anni, durante un corso di esercizi: testualmente “un indelebile momento di inquietudine suscitato in lui dalle lame di luce che entravano dalle vetrate opache, del monastero e si posavano sui testi degli Acta Sactorum aperti sul leggio”. Ed anche il nostro Claudio Stazzone nella sua narrazione utilizza esperienze, curiosità indagate, visite a luoghi d’arte e della storia, incontri importanti, letture, approfondimenti, studi, indagini, resoconti di gite scolastiche, viaggi: tutto un solido bagaglio con poderoso materiale d’ispirazione filtrato, elaborato, sedimentato negli anni e metabolizzato letterariamente al vaglio del fuoco evaporante della fantasia, utile necessario anche per obbedire ai canoni che stanno sottesi al racconto storico e rispondono alla logica della verosimiglianza di luoghi, personaggi e vicende.

20. Tornando al lavoro del grande U. Eco, sembra che anche l’Ordàlia (del 1979) di Italo Alighiero Chiusano, romanzo storico di ambientazione medievale sia tra le fonti ispiratrici: tempo, genere, scelta dei personaggi, (novizio e il suo maestro). Ma si può anche intravedere – come affermato dall’analisi e dalla critica letteraria – anche abbondantemente presente A. Conan Doyle col suo personaggio di successo, Sharlock Holmes: “ su di lui sembra ritagliato Guglielmo per descrizione fisica, metodo di indagine, capacità deduttiva, umiltà, desiderio di conoscenza: elementi che sembrano riprendere ed a tratti esaltare gli aspetti migliori del detective britannico”. Come del resto il personaggio di Adso che sembra riprende alcuni aspetti di Wason holmesiano, il narratore della vicenda. I nomi come vien fatto notare presentano una certa assonanza. Viene ancora notato a proposito come è possibile un riferimento anche ad un altro personaggio: un certo Cadfael, monaco “detective” medievale, protagonista di romanzi gialli, uscito dalla penna di una scrittrice inglese Ellis Peters (1913-1995). E persino la ripartizione delle ore canoniche del giorno, sembra un prestito dall’Ulisse di James Joyce.

Se questo è il grande Eco, molta più originalità troviamo nella acuta elaborazione della ardita e suggestiva composizione della trama che Claudio Stazzone imbastisce per i suoi potenziali lettori. Anche Claudio però non disdegna nel suo lavoro tra le righe citazioni, riferimenti diretti e indiretti ad altri autori, alla Scrittura Sacra, a filosofi: nessuno è mai originale, puro, tranne l’oro.…

Eco rivisiterà il romanzo nel 2011, (da cui risulteranno 18 pagine in più), semplificando la lingua, modificando l’aspetto fisico di alcuni personaggi, ecc… E già nel 1983 aveva aggiunto una postilla che finirà col fare corpo intero col romanzo, dove spiegava (come pure fa nella sua introduzione il nostro Claudio), il percorso letterario che aveva portato l’autore alla stesura del Romanzo, inserito dal giornale Le Monde nella lista dei “cento libri del secolo”. Eco così ebbe a chiarire l’intenzionalità sottesa al suo lavoro:

“ Il passato siamo costretti a riconoscerlo. Visto che non può essere distrutto deve essere rivisitato con ironia, in modo non innocente e senza ingenuità”. E questo senz’altro, può valere anche per le Vie traverse di Claudio Stazzone.

21. Quaranta sono i personaggi che entrano ed escono, abitando il romanzo le cui vicende personali a volte stravaganti a volte cruente, si intrecciano nella tessitura della trama che ostenta una certa vivacità e dinamismo insieme a fine intuizione psicologica e sottile capacità introspettiva, attenzione allo spettacolare senza però troppo indugiarvi.

Sono 25 i titoletti, dicevamo poc’anzi – come gli altrettanti ritmi del sottofondo musicale che accompagnano costantemente il lettore, avvertendolo della tensione narrativa presente, circolante nella scrittura di quelle pagine che seguono. Elemeti che tradiscono la passione di famiglia per la musica e personale dell’autore per la tragedia antica come pure per il melodramma; passione insopprimibile che viene partecipata a noi, in modo saliente, pertinente all’ordito che sostiene il movimento narrativo che si esplica nel romanzo. Venticinque sono pertanto i capitoli che compongono le sezioni narrative in cui si sviluppano le tematiche fondamentali del testo, ben distribuite e dosate. regolarmente si succedendosi alternativamente ad incastro offrendo la descrizione di vicende che coprono l’arco temporale dei sette anni (dal 1939 al 1945) della II Guerra Mondiale: anni che animano la vita dell’Abbazia certosina e di qualche piccolo centro vicino, caratterizzando inoltre alcune vicende che partendo da Napoli e passando per Palermo, si intrecciano e snodano, scorrendo sempre per vie traverse, raggiungendo rocambolescamente ed interessando il freddo nord Europa: la Germania e il mar Baltico, l’Austria, l’Alto Adige; ed ancora il profondo sud della Calabria e della Sicilia (luoghi visitati, immaginati, ricostruiti o dove il nostro autore ha vissuto e infine è ritornato a vivere con la famiglia). Egli si pone idealmente quasi come una ombra – proiezione del riflesso di luce del protagonista del romanzo, che decisamente ha affrontato con determinazione anche un altro tratto del percorso (contro corrente, alternativo, originale, robusto, di forte impatto: la opzione radicale della vita religiosa).

Nel nord Europa in verità si svolge larga parte della trama del romanzo, in una località dove nella apparente staticità di una vita d’interni ovattata e imposta forzatamente, si intersecavano originali vicende esistenziali, consumate nel giuoco di rimbalzo delle impegnative e faticose relazioni personali (come in quel particolare ed imprevedibile triangolo che si viene a creare, ed anche artatamente voluto). Qui in rarefatti e soffocanti interni ben curati, maturano scelte personali di fondo parallelamente agli eventi di portata devastante e di cui ci si rendeva protagonisti, per la vita sia dei singoli che delle numerose Nazioni coinvolte nel II Conflitto Mondiale.

Siamo in un’isola piccola del nord Europa sul Baltico, molto lontana e diversa dalla natia Sicilia assolata, colorata, profumata, frizzante e densa d’affetti ed umanità, dove gli eventi seguono ritmi lenti e le immagini appaiono sempre cangianti, indefinite e in dissolvenza.

27. Viaggi si snodano, alcuni di sola andata non voluti, forzati, imposti, decisi da altre volontà di potenza; viaggi con esiti non previsti che si attuano per macchina, in nave, in treno; (la composizione artistica della copertina colorata richiama alcuni di questi elementi). Viaggi di uomini, di coppie famiglie, di singoli, di monaci, di professori, di militari, di spie, di amanti lasciati e feriti nell’orgoglio; e ancora imprese di fuggiaschi, di superstiti, di profughi o scampati alla guerra, di spie; per mare verso la Sicilia. Vi è anche un viaggio di ritorno che passa, attraversa lo Stretto di Messina, la cui natura è densa dell’ incantevole fascino del mito e profuma della generosità dell’operosa e provata sua gente. Un viaggio ancora un ultimo fino Palermo e poi ancora oltre…, in cui Claudio Stazzone attraverso la narrazione ci comunica vivamente, ridestandoli in noi, con una intensità lirica solenne e vibrante, i sentimenti profondi che hanno nutrito le sue esperienze sedimentate nel profondo, dell’estati gioiosa del ritorno.

28. I personaggi del Racconto emergono via via come comparse sulla scena, alcune grottesche altre come “maschere” o macchiette caratterizzanti le varie tipologie di umanità, pure sedimentate nell’immaginario di ciascuno che ritornano, si ripresentano, affiorano, balzano sul proscenio della vita, protagonisti del loro percorso scivolato su vie traverse, dove si ritrovano, si ricongiungono, spesso involontariamente (es. Simplicio e Silverio, ”Garibaldi” e “Capustoticu”, Rocco ed Evaristo, ecc…)

Il racconto poi ci immerge in efficaci e dense descrizioni di luoghi della natura e dello spirito, di interni ben curati, di città devastate, di quartieri degradati e antichi palazzi gentilizi, ecc…

29. Dalla Domenica col solenne canto eucaristico del “Tantum ergo” (di S. Tommaso d’aquino) che si ode in sottofondo all’inizio del romanzo, giungiamo per movimenti ascensionali e repentini ed imprevisti “precipitare”, alla finale esaltazione della bellezza della natura con il Cantico delle creature di Francesco, che anticipa (col tema della palingenesi – nuova creazione) l’ultima strofa del cantico della vita riscattata del nostro protagonista principale (come di altri personaggi), raccontata con struggente intensità lirica, profonda commozione, autentico animo poetico, proprio nella sezione finale del romanzo: un vero e proprio “Canto del cigno”, di pestalozziana memoria, veramente apprezzabile, religiosamente solenne, notevole cifra stilistica regalata ai lettori dal nostro autore.

Il romanzo dunque si presenta “tosto”, consistente (di peso e spessore), impegnativo sempre. L’autore ci introduce nella familiarità con i suoi personaggi che risultano sue “creature”, amate, guardate sempre con affetto e tenerezza, grande compassione ed empatica, carezzati e mostrati ai lettori con profonda simpatia e grande umanità.

30. Sono 150 le dense pagine del nostro Romanzo scritte tipograficamente con caratteri piccoli che scorrono, – ahimè, – con pochi personaggi femminili, tuttavia riscattati brillantemente da quella figura cui vien affidato un ruolo di rilievo (quasi una “bocca di rosa” del grande F. De Andrè ante litteram), che giganteggia nel romanzo del calibro e dello spessore umano-femminile di Edeltraud, una “Marlen Dietric”, famoso l’angelo azzurro del nostro immaginario, qui tornato in auge e proposto in versione sensuale rosso fuoco; un fuoco che nel suo dinamismo da passione travolgente si trasforma in fuoco purificatore, dando forza e consistenza nuova al colore rosso vermiglio dell’amore autentico, ritrovato, forse scoperto e conosciuto per la prima volta.

31. Non mancano le pagine impegnative, marcate dal taglio documentaristico e descrittivo, dove emergono ritratti psicologici di personaggi, dinamiche interiori, intime confidenze, rivelazioni shock, confessioni vere e proprie fatte a cuore aperto con sincerità, mostrando le ferite nascoste, profonde e ripugnanti ancora sanguinanti; descrizioni di elementi grotteschi ed analisi profonde dell’animo umano si susseguono e rincorrono insieme agli slanci e aneliti d’infinito o alla crudeltà e ottusa materialità; non si fa scrupolo l’autore inoltre di pagine in cui anche l’erotismo trova posto per una descrizione realistica e non ipocrita dei personaggi, delle loro inquietudini, contraddizioni, efferatezze, passioni che li attraversano, istintività ed emozioni che li avvolgono ed inghiottono.

32. Intriganti e minuziose appaiono le ricostruzioni storiche: Peenemunde, Berlino, Dresda; le vicende di spionaggio e contro spionaggio internazionale; la missione VEGA; gli scandali giornalistici di casi di omosessualità veri o presunti, artatamente montati ad arte e intenzionalmente provocati per motivi politici, che hanno fatto vivo scalpore e segnato persino il destino di politici Case regnanti; le descrizioni riguardanti le tremende fasi finali della II Guerra Mondiale e del mostro violento del nazismo che pur agonizzante ha colpito con i suoi tentacoli distruttivi i nostri personaggi; e le nefaste conseguenze e le complicità legate alla ricerca scientifica per scopi bellici (come la fusione nucleare), che aveva visto inizialmente per protagonisti (nei risultati avanzati ottenuti della ricerca), il gruppo di italiani diretto da Enrico Fermi, cosiddetti “ragazzi di via Panisperna”.

 

CONCLUSIONI 

Se si esordisce con un solenne inizio di Domenica col Canto e la Preghiera in Abbazia, la conclusione del Romanzo è offerta con una immagine ricca di pathos: l’immagine – metafora di un ritorno finalmente sulla soglia di casa, in un caldo e tardo pomeriggio d’agosto siciliano, -quasi accenno ad una liturgia cosmica -, dopo un ultimo viaggio…; e ancora un sogno ristoratore pacificante che aiuta a ripercorrere (come denso feed beack ), in un unico abbraccio le sensazioni, gli affetti, i ricordi di una vita intera, per proiettarli in una eternità di pace e di beatitudine già pregustata, intravista dopo un faticoso percorso catartico di riscatto, di riconciliazione con se stessi, con gli altri, il mondo, il passato, il presente, la propria terra, la propria gente.

Si compongono così le fila del racconto in un’unità finale: la conclusione dietro un corteo funebre con tanto di carrozza e cavalli. Espediente, categoria di chiusura, che serve al nostro autore per esaltare una vocazione alla vita, ricevuta e vissuta intensamente da protagonista, in pienezza; possibilità offerta pure a tanti altri personaggi, che hanno riacquistato col tempo la possibilità di un orizzonte positivo di senso, proprio snodandosi la propria vita per vie traverse: alcune volute, altre subite dalla vita e dalle circostanze, dalle scelte sbagliate, dagli imprevisti del caso e del destino beffardo ma tutte percorse e vissute intensamente, con la sapienza del cuore e lo slancio verso l’infinito, che sa andare oltre il mero presente, il limite delle possibilità, la angusta contingenza guardando ostinatamente e con fiducia sempre avanti, – “sperando contro ogni speranza, diremmo con S. Paolo” -, per andare oltre l’esistente, il qui e ora angusto e perdersi/ritrovarsi nell’abbraccio caldo di un Altro, che è pure pienezza di vita sperata, creduta, sognata, compiuta: il già e non ancora di quel Totalmente Altro, estuario infinito e pacificante della nostra vigente realtà penultima, ove per chi ama, crede e spera, tutto acquisterà un senso e ogni cosa verrà ricapitolata nell’Amore. 

Così giunge a conclusione l’avventura di queste pagine e delle vicende dei personaggi in esse raccontate. Un riscatto, una ulteriore possibilità, circola nell’aria come colomba del tempo di Noè, nonostante il denso fumo asfissiante, scuro e nebbioso della violenza, della cattiveria umana, delle distruzioni. La vita ricomincia sempre, riparte, si fa strada nonostante tutto, anche e soprattutto per le vie traverse di ognuno di noi, che si aprono, spalancano improvvise, incontrano e a volte si identificano proprio con quelle mostrate, attraversate, – vie esistenziali possibili, – indicate nel romanzo da Claudio Stazzone, per ribadire la fiducia e l’ottimismo ad ogni costo nella vita e nell’umanità ricevuta, donata, condivisa con i nostri compagni di viaggio, incontrati sempre per vie traverse. Grazie, Giuseppe Triglia.

 

P.S.

a.Ho voluto tacere molti nomi per non toglier il gusto della scoperta e della tensione narrativa che il romanzo ci offre conducendoci tra le pieghe di quelle pagine e del vissuto dei nostri personaggi che da ora in poi ci saranno più familiari perche ci abitano, convivono con ciascuno di noi nel profondo.

b.Un fiume in piena si incontra in queste pagine, con tutto ciò che la sua vasta portata raccoglie di limpido e sublime, fresco trasparente e incantevole ma anche con ciò che di torbido e limaccioso esso si ingrossa minacciosamente.

c.Musica wagneriana e non solo occupa gli spazi, dilaga nelle pianure, si insinua nelle crepe e nei dirupi accompagnandoci ed avvolgendoci in contrappunto ai densi silenzi sospesi e lasciati immaginare.

d.La Lettura di un libro (La caccia agli scienziati nazisti, 1966 di Bar Zohar), dono per la laurea rinviata per anni diventa al momento opportuno fonte documentale e di ispirazione, cui attingere a piene mani per costruire così opportunamente quell’appiglio essenziale per dare alle vicende umane necessaria consistenza e fondato realismo. Non più questa volta un antico manoscritto ritrovato, ma un vero e proprio testo, documento pregnante e grondante di dolorosa storia recente, la cui lettura era stata solo accidentalmente rinviata ad un tempo più favorevole, onde nutrire opportunamente pause di riflessione, intuizioni da rendere in forma letteraria e poetica, che non lasciano spazio alla noia e al vuoto essenziale, che come spettro potrebbe insinuarsi producendo nocumento negli spazi della vita non più freneticamente affollati da impegni quotidiani e incombenze professionali cogenti. Ma opportunità che riempiono pause, occasioni feconde per respirare con calma, per pensare, per riflettere, per approfondire, studiare, leggere, amare, sognare, desiderare ancora, inventare, per contemplare creativamente, tornare indietro e restituire alla coscienzala consapevolezza densa della vita, riguastando e riappropriandosi del passato, passato troppo in fretta e per questo forse sfuggito di mano, e così dare ancora spessore agli istanti di quell’impasto o mosaico che è il capolavoro unico della vita.

e. Sta forse anche in questo il fascino segreto della vita contemplativa, quando è risposta autentica ad una specifica chiamata, ad una vocazione, risposta ad una iniziativa, Parola Altra, Alta, dall’Alto, dal profondo, capace di accendere gli istanti della vita quotidiana di luce, di eternità, di infinito, vivendoli in prospettiva, nell’orizzonte pregnante dell’infinito di Dio, che è Dio.

 

Bibliografia e Sitografia essenziale consultata:

  • G Marcel, Homo Viator;
  • U. Eco, Il nome della Rosa
  • S. Chialà: Parole in Cammino;

 

Sitografia:

La Certosa di Parma; Il Nome della Rosa, Homo Viator; Viaggio; Vie Traverse; H.Arendt; Rumiz.