I Vespri: “El Pueblo unido jamàs serà vencido” (Inti Illimani/Sorel)

Sono solito dire che quella che è mancata all’Italia è una Rivoluzione alla francese!

Non é sadismo, né amore per lo stragismo ed il terrorismo: chi mi conosce sa che sono un fermo assertore dei Valori del Discorso della Montagna del Cristo e del suo 70 volte 7, ma è pur vero che la sedimentazione di angherie, arretratezza, prepotenza, e chi più ne ha più ne metta, dei due millenni (scarsi) dopo la caduta dell’impero Romano ha alimentato la perdita di quella avanzata civiltà latina, e dei suoi valori, sublimati in simbiosi nella predicazione di Gesù, che spiega come, dove e quando questa nostra Italia si sia ridotta nello stato infimo in cui oggi versa a causa di una sovrastruttura storicamente consolidatasi non solo sulla iniqua struttura economica, ma soprattutto sulla cultura della prevaricazione istituzionalizzata: ed allora probabilmente la chirurgia di una rivoluzione di quella fatta appena invocata, se ci fosse stata, forse avrebbe rimesso oggi i ‘remi in barca’ della nostra ‘nave senza nocchiero in gran tempesta’.

L’ingovernabilità politica faticosamente gestita ai nostri giorni tra pieni conflitti di interessi, con il tradimento della ideologie tutte (nessuna esclusa) ‘pro domo eorum’, nel ‘j’accuse ‘ generale tra i preposti tutti alla gestione della ‘Res publica’, un debito pubblico allucinante da ‘quarto mondo’, la disoccupazione giovanile e d’ultracinquantenni al grado insopportabile, la fuga dei cervelli, un degrado sociale e valoriale alla Sodoma e Gomorra, l’erompere della diffusa violenza sui fronti più impensati del vivere quotidiano, il guasto dell’umore civico e sociale quotidiano degli Italiani (ai vecchi tempi ottimistico a… ‘prescindere/checché…’), anche e soprattutto a causa di una cronaca massmediale in cerca del sensazionalismo orrido, il cattivo gusto nella moda e lo scadimento dello spettacolo nella bassezza e nella volgarità, adesso pure lo sconquasso sportivo: Roma tagliata fuori dalle Olimpiadi, la Ferrari declassata a perdente cronica, i mondiali mandati in fumo da un CT inadeguato dopo 60 anni, hanno indotto l’apatia e l’insicurezza civile nel popolo più autentico (quello che più non crede nella ‘casta’), che poi è quello che diserta le urne.

Nel deprimente quadro generale dei poveri abitanti dello Stivale, chi la fa da protagonista del negativo è la nostra Sicilia, la nostra città – Messina – in prima linea, e non sto a tediare chi mi legge con i particolari, ben noti: privata e mortificata in ogni cosa che possa in qualche modo conservarle il minimo del benessere, la gioia del vivere e il proprio prestigio.

Non poco ha inciso contro la Trinacria quel disprezzo per l’autonomia siciliana, che ha portato ad ignorarne lo Statuto a Roma, e non meno, o più, a Palermo.                                                                               

E allora, ‘rebus sic stantibus’ sarà pur giusto andare a scartabellare sul passato per trovare i due momenti felici della nostra Isola, e così avere contezza del come e del quando perdemmo la nostra dignità civica di autogoverno per scadere nella sottomissione non rassegnata, ma coatta.

Questo si è voluto fare andando a guardare in quel guizzo di orgoglio nazionale civico siciliano, che mirava a riguadagnare libertà e dignità: i Vespri; questo squarcio culturale è stato magistralmente offerto ai Convenuti da Agata-Ada Midiri con la sua relazione “ L’ora dei Vespri, al grido ribelle di ‘Antudo’ ”, che raccomando di leggere a completezza di relazione, se questa mia premessa vuole avere un senso compiuto.

Una chicca si è avuta con la testimonianza di Renato Fasanella, il quale ha dato contezza ai presenti della sua discendenza da Pandolfina Fasanella, moglie di Giovanni Da Procida.

E tuttavia altri momenti hanno reso grande la Sicilia, per tutti uno: Siracusa Antiquiore, per tacere dei movimenti insurrezionali abortiti: della resistenza antisabauda di metà Ottocento, spacciata in ‘toto’ per brigantismo, e dei Fasci Siciliani di primo Novecento, ma quello darà altra occasione a riflettere.

Da parte mia mi sono soffermato su Siracusa, con le riflessioni che seguono; sono cose che ben si sanno nel mondo colto, ma serve rammentarle a supporto del tema qui trattato, nella logica leopardiana di tornare a dolersi di nostra sventura.

Dal punto di vista archeologico la prima identità di stato sovrano della Sicilia è certamente ascrivibile al ruolo condottiero di Siracusa; essa, paragonabile in dignità ad Atene o a Roma stessa costituì la città stato d’eccellenza rispetto alle poleis dell’isola.

Essa fu fondata dagli Eoli di Grecia, i quali avrebbero occupato Ortigia, cacciandone i Siculi, ad opera di Archia di Corinto al nostro 734 o il 733 a.C.; sembra che già Omero ne richiamasse il nome in Odissea con i termini Syra e Ortigia. Tuttavia, quale compagine umana, preesisteva come presenze allocative in epoca neolitica fra il 6000 e il 5000 a.C, come dimostrano i siti più antichi, tra i più remoti dell'intera Sicilia: il villaggio trincerato della civiltà di Stentinello col limitrofo villaggio di Matrensa, quasi alla foce dell’Anapo, e con l’isolotto semisommerso del sito di Ognina, reperti questi che danno luogo a riscontro in analogie con la civiltà megalitica di Malta, tra l’età del bronzo e l’età del ferro. In più dal ventunesimo secolo a.C. furono abitati dai Siculi e dai Sicani siti oggi archeologici, che possiamo poi annoverare quali propaggini coloniali di Siracusa nella sua fase espansiva verso l’entroterra, e cioé Pantalica, e Cassibile.

Il nome Syrakousai trae la sua origine da Syraka, denominazione preistorica, termine che non è  collocabile né per la sua origine e neppure per il suo significato originario.

La città crebbe in ascesa rapidamente sotto la tirannide di Gelone I, e proseguì, in crescendo di conquiste e di ricchezze, ancor più con Dionsio I e i suoi successori. Dionisio II dotò la città di un colossale sistema di fortificazioni, si rese forte di migliaia di soldati all’interno del perimetro cittadino, al suo esterno riuscì a reclutare altrettanti cavalieri, e dieci volte di più di opliti soprattutto mercenari; la sua flotta era poderosa quanto quella di Cartagine.

Siracusa potente suscitò la rivalità di Atene, Cartagine e Roma, contro cui ebbe a misurarsi pagandone poi il prezzo, e fu altresì il logorio interno della compagine politica (memento!!!) a far giungere al declino Dionisio, insieme a cui Siracusa stessa declinò fino a scomparire dalla centralità mediterranea.

Per la piena centralità mediterranea bisognerà attendere gli Altavilla e gli Hohenstaufen, in particolare Federico II con il quale vi fu l’Acme di tutti i tempi della gloria della Sicilia, della sua capacità di autogovernarsi e governare.

Fu detentore del potere imperiale sovrano custodito in mano ferma onnipresente. La sua corte reale siciliana lo vide convinto protettore di artisti e studiosi, e il suo impero fu luogo di incontro fra le culture greca, latina, germanica, araba ed ebraica. Alla sua corte soggiornarono uomini di gran cultura di quei tempi. Da Palermo ebbe origine l’utilizzo della lingua romanza, e la Scuola poetica siciliana, che nacque tra il 1230 e il 1250: è attraverso la poesia in essa fiorita che si costituì incentivo alle successive conquiste artistiche e culturali fiorentine. 

Alla sua morte la rivalità del papato verso gli Hohenstaufen – eterna verso ogni tentativo di unificazione italiana – consegnò la Sicilia agli Angioini, mettendo fuori gioco Manfredi e Corradino.

Il resto è materia della nostra relatrice, vicepresidente relazionale di Accademia Culturale Zanclea, Agata Ada Midiri.

 

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