Andare a scuola a Messina nel 1908

“ Una passeggiata ginnastica e d’istruzione”

Gaetano  La Corte Cailler(1)  nel suo diario degli anni dal 1893 a l903 (2) descrive una “ passeggiata ginnastica e d’istruzione” di fine anno scolastico della durata di due giorni fatta da alunni messinesi  in Calabria La gita scolastica prevedeva la visita di Gioia Tauro,  pernottamento a Palmi ,  escursione al Piano Corona  e Bagnara, e rientro nella serata a Messina. L’avvenimento didattico, evidentemente perché  in quei tempi non frequente,  era stato annunciato dalla Gazzetta di Messina del 3 aprile 1897 che riportava la notizia : “ Escursione scolastica- Domenica prossima una quarantina di giovani, alunni dell’Istituto Tecnico, della Scuola Normale e dell’Istituto Nautico, accompagnati da parecchi professori  faranno una passeggiata ginnastica e d’istruzione in Calabria…La gita sarà certamente deliziosa ed importante : i luoghi percorsi saranno illustrati dal prof. V.Visalli della Scuola Normale per la parte storico-geografica, e dal prof. E. Paratore dello Istituto Tecnico, per la botanica e la geologia. Auguriamo buon viaggio a molto divertimento ai bravi giovinetti”.

La lettura delle pagine del diario che descrivono gli avvenimenti (se ne riporta una sintesi con la trascrizione di alcuni brani particolarmente efficaci ) di quella gita scolastica dei nostri avi forse non proprio “deliziosa”- come si capirà in seguito-, come auspicato dal giornale, ci  intenerisce e stupisce considerando quanto poco si poteva offrire ai giovani  con i mezzi di allora; tuttavia, costituiva  una opportunità di svago  non comune che solo i figli delle famiglie  benestanti della città si potevano permettere. E’ molto probabile- l’autore non riporta infatti alcuna protesta né benché minima lagnanza da parte degli alunni-  che i giovani messinesi coinvolti, nonostante la pochezza dell’offerta didattica e le condizioni defaticanti del viaggio per noi assolutamente impensabili e improponibili, si siano ugualmente divertiti avendone colto,così come accade ai loro coetanei di oggi impegnati in viaggi  d’istruzione impareggiabilmente più interessanti e confortevoli in giro per l’Europa,  l’aspetto ludico e la bellezza dello stare insieme in un tempo indimenticabile della loro giovinezza.

Il nostro autore descrive  con scrupolo e precisione tutte le fasi del breve ma non confortevole viaggio. Ci dice con rammarico che dopo aver attraversato il  “Canale con il vaporino” ,  purtroppo non ebbero modo di visitare Villa S. Giovanni perché subito si recarono in stazione dove  nella sala d’aspetto “s’iniziarono allegre danze fra gli alunni, e talune canzonette furono cantate…Alle1,30 , il treno partiva per guidarci a Gioia Tauro”.Egli riporta che  il viaggio  durò un’ora e mezza, tempo che i docenti utilizzarono per suscitare l’interesse culturale degli allievi con notizie su un torrente calabro: “ il Krotèiso Mater Scallae (al dire di Plinio) che sale con le origini all’Aspromonte, ove fu ferito G. Garibaldi “. Inoltre, li informarono che vicino a quel torrente “Cluverio si  crede che sorgesse la città di Argeades, oggi completamente scomparsa.”  Per i novanta minuti del viaggio  continuò la lezione di storia, archeologia e mitologia, si parlò del  fiume Metauro, volgarmente detto Petrace, della favola di Oreste e delle Furie, di Vittorio Alfieri e di altro ancora .

Dopo una breve visita di Gioia Tauro- che supponiamo non avrà certo sbalordito i ragazzi per i suoi tanti monumenti e bellezze architettoniche- alle quattro meno un quarto la comitiva partì a piedi sotto una costante pioggerellina  verso Palmi che raggiunsero dopo tre ore e mezza di cammino  su una strada sterrata. Per fortuna la cena pare che  sia stata adeguata alla fatica sostenuta nella giornata. La Corte Cailler ce la descrive assieme al dopocena: “Ci riversammo tutti nel Caffè Coscinà , ove un buon piatto di maccheroni, due fette di carne, un po’ di formaggio, della frutta ed un caffè diedero nuova vita agli stanchi viaggiatori. Finito il pasto, il Prof. Visalli pel primo si alzò, ed in poche parole espose lo scopo della gita , i rapporti di simpatia tra la Sicilia e la Calabria, brindò all’uno e all’altro popolo. Parlarono quindi il Prof. Paratore, l’alunno socialista Polito, il Prof. DeVellis , inconcludente sempre. Si passò quindi  nuovamente al Circolo, ove si cantò, si danzò, ed il Prof. De Francesco si mostrò di allegro umore”.

La scolaresca, superò  la notte  su improvvisati giacigli infestati pure da qualche pulce, il giorno dopo visitò la cittadina di Palmi che l’autore si sofferma a descrivere scrupolosamente. Per il pranzo rientrarono al Caffè Coscinà: “ ove ci attendevano due fette di carne, che il mio amico E.De Francesco reputò carne di cavallo (!!) un po’ di formaggio e della frutta”. Nel pomeriggio con il treno  scesero a Villa S. Giovanni dove il gruppo si divise , per il cattivo tempo alcuni, compreso il La Corte, decisero di rinviare la traversata per Messina, altri vi si avventurarono: “… il tempo era cattivo, furibondo il mare , impossibile l’imbarcazione al piroscafo. Dopo molto tentennare , i Prof. Paratore, Barbaroe e De Vellis si arrischiarono sulle barche , e con essi la massima parte di alunni che, mezzo bagnati dalle onde e con grave pericolo, giunsero al piroscafo e quindi a Messina.” L’altro gruppo con 15 alunni rimase a Villa S.Giovanni dove cenarono: “ Si mangiò un piatto di pasta, pessima, un po’ di pesce stocco a ghiotta  e della frutta, per Lire 1,50 a persona!!! Ciò, innaffiato con vino battezzatissimo…”.  La notte , in attesa di attraversare lo stretto il mattino seguente , trascorse in modo allucinante su materassi  di crine vegetale in stanzoni con quattro letti in compagnia di altri viaggiatori; lo stesso autore la definisce, peraltro  senza perdere un certo aplomb professionale  :” come meglio si è potuto”. All’alba  alle ore 6 dopo il caffè e soprattutto dopo avere trascorso una notte non proprio confortevole, forse per non privare gli alunni di un’irripetibile  ulteriore opportunità didattica , visitarono  velocemente Villa S. Giovanni “ che non avevamo potuto visitare”; il nostro non manca di riportare sul diario alcune annotazioni sulla sua Cattedrale e altro. Alle  sette e mezza  il gruppo  salì sulle barche per raggiungere il pirografo che li sbarcò a Messina alle  ore nove. Si esprime il parere che oggi ,dopo una simile sconvolgente esperienza,  i genitori dei nostri alunni supportati da un nugolo di avvocati, richiederebbero  alla scuola i danni e terrebbero per vari giorni a casa i loro figli per una opportuna disinfestazione e per farli riprendere dalle fatiche sostenute.

Il racconto di quella gita scolastica, in tutto così diversa dai viaggi che oggi si svolgono nei nostri istituti, ci permette di inoltrarci nella realtà scolastica messinese dei primi anni del ‘900 interrotta  bruscamente dal terremoto del 28 dicembre 1908.   L’escursione raccontata da La Corte Caller, coinvolse sei professori e cinquanta alunni di tre istituti della città: la Scuola Normale maschile, l’Istituto Tecnico e l’Istituto Nautico. Questi istituti costituivano solo una parte delle numerose scuole pubbliche e private (foto 1 e 2)  presenti a Messina in quegli anni. Nella seconda parte di questo scritto, con l’aiuto di una carta topografica del tempo, ci inoltreremo nel dedalo delle strade della città, così diversa da quella in cui noi viviamo, per ritrovarne almeno le più importanti e ,con l’aiuto dell’immaginazione, forse rivedere quei giovani messinesi che al suono della campana ne uscivano inconsapevoli di quanto sarebbe accaduto da lì a poco . Ora cerchiamo di farci un’idea sulla scuola- in particolare l’elementare- di quei primi anni del XX secolo: ordinamento,  calendario scolastico, giorni di vacanza, giornata didattica.

 

L’ordinamento scolastico dopo la legge Orlando del 4 agosto 1904

Dopo l’unità d’Italia era stata estesa a tutta la Nazione la realtà scolastica piemontese e lombarda strutturata dalla Legge 13 nov. 1859 n. 3725 detta Legge Casati dal nome del ministro del Regno di Sardegna Gabrio Casati.  La legge presentava un impianto ampio e organico che nell’organizzazione e nelle finalità formative resterà applicata almeno fino alla riforma Gentile e anche oltre. Sappiamo che in quell’inizio del XX secolo l’analfabetismo in Italia era molto diffuso, Messina  non faceva eccezione, anzi, la situazione era ancora più grave se confronta con altre città del centro o nord Italia. Il censimento del 1901-dati Istat- riportava che gli alfabeti a Messina e provincia erano, nella fascia d’età 12-19 anni, tra i maschi il 36 % e tra le femmine il 29%, conseguentemente, ancora il 64% dei maschi e il 71% delle femmine non sapeva né leggere né scrivere, ovviamente, nelle fasce di maggiore età le percentuali erano ulteriormente più alte.  Lo Stato dovette con un forte e complesso impegno ridurre il diffuso analfabetismo dei ceti popolari, organizzando di necessità una scuola con tempi didattici che tenessero conto del diffuso lavoro minorile nelle campagne e dell’esistenza di innumerevoli paesini e borgate con poche e impercorribili  strade, soprattutto nel periodo invernale,  che rendevano difficile lo spostamento degli allievi per raggiungere le località in cui erano ubicate le scuole. L’istruzione elementare nasce nei fatti come scuola per il popolo e non pure per le classi sociali più evolute e benestanti, infatti, solo nel tempo e con molte riserve le famiglie dei ceti medio-alti, alti e borghesi accettarono di accedere alla scuola pubblica: oltre un secolo fa (il fatto certamente non ci stupisce) era inconcepibile che il figlio del notaio, del farmacista o del ricco proprietario terriero studiasse nello stesso banco con il figlio del calzolaio, del carrettiere o del salariato. Altri motivi allontanavano le famiglie benestanti dalla scuola pubblica. I più importanti erano le condizioni strutturali delle tante scuole gestite dai comuni, fatiscenti, senza banchi, con assenza di sussidi didattici, a fronte dei bei locali spaziosi con giardini, palestre e ricchezza di sussidi delle scuole private e la preparazione modesta di tanti maestri e maestre. La Scuola normale che abilitava maestre e maestri all’insegnamento prevedeva solo tre anni di studio dopo la scuola complementare. Il lavoro dei maestri era poco considerato e ancor meno remunerato con evidenti differenze salariali tra maestri e maestre e tra coloro che insegnavano nei maggiori centri  o nelle campagne e pure tra insegnati di classi maschili o femminili (tabella 1) ); si aggiunga che i loro incarichi di lavoro offerti dalle municipalità erano a tempo determinato e dunque facilmente revocabili a discrezione delle stesse e -per completare la grave condizione del loro stato giuridico- non avevano ancora  diritto alla pensione. Ce ne dà una documentazione affidabile una petizione presentata al Governo del Re e all’Assemblea Legislativa da insegnanti elementari di varie provincie nel 1869 “… la nostre scuole, nove sopra dieci, sono tenute in locali assolutamente disadatti, sfornite di tutti quegli arredi,libri ed altre suppellettili materiali , senza di cui è impossibile che il maestro anche più abile e volenteroso possa far nulla che sappia di metodo, di forma, di modo didattico”. Lo stesso dicasi della parte educativa né fisica che morale ambedue ben bisognose di mezzi materiali, che ora mancano. Né mi si dica che esagero, se asserisco che di denaro fa pur mestieri, se si vuole che il maestro educhi moralmente i suoi allievi (… ) rispettando e  amando colui  che dai loro padri è lasciato languire  nella miseria, e spesso obbiettato e fatto segno delle più ingiuste persecuzioni”.

  Le famiglie agiate- come si è detto- evitavano la scuola pubblica provvedendo all’ istruzione  dei figli con precettori, maestri privati o affidandoli ai sacerdoti o alle scuole confessionali potendoli fare accedere facilmente  all’istruzione secondaria statale con  esami da esterni. L’istruzione privata e paterna era ampiamente scelta e ne fornisce prova l’elevato numero di scuole parificate  allora  operanti anche a Messina come si vedrà nella seconda parte di questo articolo.  La Chiesa non aveva alcun interesse a incoraggiare  le famiglie a iscrivere i figli alla scuola pubblica sostenendo l’assunto che l’obbligo di educare i giovani ricadesse non sullo Stato ma sulla famiglia e sulle sue strutture formative, in un tempo in cui si sentiva osteggiata dalle idee laiche e anticlericali che si affermavano nel Paese  sostenute e diffuse, anche con i contenuti didattici dei libri di testo, dai governi sia di destra sia di sinistra che si succedevano a Roma. Il Parlamento non aveva certo la forza politica per contrastare coloro che non gradivano la scuola pubblica i cui rappresentanti erano ampiamente  presenti al suo interno,  non mancò ugualmente di valorizzarla ponendo anche qualche pur timida difficoltà normativa  a chi non la sceglieva.  Un pallido tentativo si ebbe con la Legge Orlando che tolse l’esame di ammissione alla prima classe delle suole secondarie  istituendo quello di maturità previsto al  termine della scuola elementare, si cercò così di dare maggiore importanza ai programmi dalla scuola elementare pubblica sui quali erano interrogati gli alunni esterni (3) . Sul popolo si agì con maggiore vigore negando sia il porto d’armi per la caccia, sia le licenze commerciali a coloro che non sapevano compilare il modulo di domanda e apporre la propria firma.(4)

Lo Stato gestiva direttamente l’istruzione con una struttura amministrativa molto centralizzata,  pur consentendo la presenza dell’istruzione privata. Nel periodo temporale di cui ci interessiamo, varie norme intervennero, dopo la legge Casati, per migliorare la qualità dei programmi necessari per rispondere con una più moderna preparazione scolastica ai nuovi scenari europei e al più complesso ruolo dell’Italia unita ora in competizione economica e culturale con le altre nazioni. In particolare, furono aumentati gli anni della scuola primaria, curata meglio la formazione dei maestri e delle maestre, istituita la scuola complementare che colmava il gap temporale tra la fine della scuola primaria e l’accesso alla secondaria, affermato con maggiore convinzione l’obbligo scolastico, ecc. Le principali norme, successive alla legge Casati, che si occuparono di questi aspetti e di altri che riguardavano anche la struttura burocratica e istituzionale del Ministero e dei Provveditorati agli studi furono, la   legge  Coppino  (R.D. 19 ottobre 1877 n.4101), i programmi della scuola elementare curati dal pedagogista Aristide Gabelli, la legge Gianturco (12 luglio 1896 n.293), la legge Orlando (4 agosto 1904 n. 407) . Negli anni che precedettero il 28 dicembre 1908 la realtà scolastica, vedeva la scuola messinese vivere organizzata con le più recenti innovazioni sancite dalla legge Orlando che di seguito in sintesi proviamo a riportare.   

L’obbligo scolastico era previsto fino  a 12 anni: (Art. 1 c.1) (5). Per i bambini fino a cinque anni vi erano i“Giardini d’infanzia”, gestiti dai comuni e dalle scuole private prevalentemente religiose. Ovunque poco numerosi, accoglievano perché a pagamento, quasi esclusivamente bambini e bambine di famiglie benestanti.

La scuola elementare si sviluppava in quattro anni con il corso inferiore I e II classe e corso superiore III e IV classe. Le classi potevano avere anche 50 alunni (6) Per i bambini appartenenti alle classi sociali più modeste e dunque inevitabilmente destinati da adulti alle attività lavorative manuali, al superamento della quarta classe, era previsto l’accesso a un corso biennale definito non a caso Corso popolare che completava l’obbligo scolastico. Le famiglie che volevano fare proseguire ai propri figli gli studi nelle scuole secondarie dovevano presentarli al termine della quarta classe all’esame di maturità. (7)

Per ridurre l’analfabetismo diffuso soprattutto nei paesi e nelle campagne, i comuni istituivano corsi serali e festivi diurni per alunni che non avevano completato la scuola elementare e per adulti analfabeti e corsi solo festivi per alunne della durata di due anni. (8)

La scuola secondaria era destinata, per ovvi motivi culturali ed economici, quasi esclusivamente ai figli del ceto colto e della borghesia produttiva. Essi frequentavano prevalentemente il liceo, in alternativa la scuola normale, eccezionalmente gli istituti professionali. La scuola preposta alla preparazione culturale della classe dirigente era e rimase per un secolo il Liceo classico con il Ginnasio di 5 anni e il Liceo di 3 anni.

In particolare per le ragazze,  probabili future maestre con un titolo di studio più che adeguato e confacente alla loro condizione sociale, era prevista la scuola normale di tre anni con la scuola complementare pure di tre anni  , necessaria per il raccordo tra la scuola elementare e la scuola normale.

Soprattutto alla piccola borghesia e ai ragazzi volenterosi dei ceti più modesti si offriva l’opportunità di affrontare l’istruzione tecnica con la scuola tecnica di 3 anni articolata con diversi indirizzi funzionali alle attività artigianali o industriali  presenti nel territorio e l’istituto tecnico con  ulteriori 3 anni e le  stesse finalità della scuola tecnica.

In sintesi, prima del 1911 anno in cui entrò in vigore una nuova riforma scolastica con la Legge Daneo-Credaro, un bambino conclusa la quarta classe elementare senza aver sostenuto e superato l’esame di maturità , doveva frequentare il corso biennale popolare e chiudere così la sua carriera formativa nel rispetto dell’obbligo scolastico (9); gli restava però  sempre la possibilità dopo il biennio, di accrescere la propria preparazione, anche per un  possibile successivo migliore  lavoro,  iscrivendosi alla seconda classe di una scuola professionale (10). Il compagno di quel bambino, forse perché più studioso o molto più probabilmente perché più fortunato, che aveva sostenuto e superato l’esame di maturità, poteva iscriversi a tutte le scuole secondarie: a una scuola professionale per poi procedere nell’istituto professionale, oppure al ginnasio e dopo al classico, oppure alla scuola complementare per poi andare alla scuola normale.

Il tempo della scuola

Alla  giovane Nazione italiana toccava ,tra i tanti, anche il compito di  organizzare un calendario scolastico che tenesse conto della grande eterogeneità culturale, economica e sociale dei nuovi cittadini oltre alle difficoltà poste dalla diversità dei climi, dalle condizioni orografiche e dalla viabilità dei   territori da poco uniti. La decisione da prendere non risultava semplice e non solo per  motivi oggettivi ma pure per altre e numerose problematiche anche di ordine sociale e politico. Il primo e più importante ostacolo  da superare era il lavoro minorile, soprattutto nelle campagne , in una Italia allora sostanzialmente agricola. Se si voleva veramente ridurre l’analfabetismo portando a scuola i bambini, essendo spuntata l’arma dell’obbligo scolastico perché inapplicabile con sanzioni irrilevanti, era necessario contemperare realisticamente  due contrapposte esigenze: il tempo scuola e il lavoro minorile del quale le famiglie non potevano fare a meno. Altro problema di non facile soluzione era il gran numero di giorni festivi stabiliti dal calendario liturgico. La Chiesa richiedeva che nelle numerose importanti ricorrenze religiose lo Stato non impegnasse i bambini e gli insegnanti in attività di lavoro scolastico; sappiamo però che tale esenzione dal lavoro non sempre si estendeva a quello dei campi e delle botteghe . Per non accrescere i contrasti  esistenti tra Chiesa e Stato, come sempre si arrivò a una mediazione . In fine, i governi laici con forti componenti massoniche ritenevano doveroso per costruire nel popolo una comune identità nazionale, inserire nel calendario scolastico giorni di vacanza per ricordare gli avvenimenti più importanti del recente Risorgimento e la celebrazione degli anniversari della Casa Savoia 

E’ evidente che anche il Calendario scolastico dal 1861 al 1908-anno al quale si ferma la nostra breve e incompleta analisi-, subì non poche modifiche per adattarsi sempre meglio all’evoluzione sociale della nazione.  Nel 1908 Il  R.D n°150 del 6 febbraio rimodulò la durata dell’anno scolastico e delle lezioni con inizio il primo ottobre e fine il primo agosto. Bisogna premettere, per capire oggi la realtà del tempo, che allora per anno scolastico si intendeva un ampio contenitore temporale all’interno del quale si svolgevano vari adempimenti tra cui le lezioni, gli esami e le iscrizioni. Non c’era un solo modello di scuola elementare, ma vari tipi (urbana, rurale, maschile, femminile, mista) con diverso tempo scuola.

I comuni potevano, previo accordo con il Consiglio scolastico provinciale, modificare i giorni di apertura e chiusura delle scuole, restando obbligatori dieci mesi di apertura dei corsi scolastici. Specialmente nelle campagne gli alunni si presentavano alle lezioni quando le necessità familiari e i lavori dei campi glielo consentivano e non era inconsueto trovare nelle medesime classi alunni con età diverse e conoscenza dei programmi non omogenea  Con la disapprovazione del mondo cattolico, lo Stato aveva stabilito che non tutte le ricorrenze previste dal calendario liturgico dovessero essere pure festività nazionali con conseguente chiusura delle scuole. Dopo il 1861 erano state mantenute le più importanti e sentite tra il popolo: Corpus Domini, Natività B.V.M., S. Pietro e Paolo, Immacolata Concezione, Ascensione, Assunzione B.V., Ognissanti, Presentazione di Gesù al tempio; ovviamente anche Natale, Pasqua e il giorno del Santo patrono della località. Altri giorni in cui gli alunni facevano vacanza, per ricordare avvenimenti di particolare importanza della Nazione o feste civili erano: Capodanno, Carnevale, l’Anniversario della Breccia di Porta Pia-20 settembre, la Festa del Lavoro- 1 maggio, Giorno natale del Re Vittorio E. III- 11 novembre, anniversario della morte del Re Vittorio E. II – 9 gennaio- Giorno natalizio della Regina Elena-8 gennaio, e pure per il giorno natalizio della Regina Madre Margherita di Savoia -20 novembre. Inoltre, i Municipi avevano la possibilità di chiudere le scuole per quattro giorni anche in tempi diversi a loro discrezione per particolari ricorrenze locali da notificare all’Ufficio scolastico provinciale. Ovviamente non si andava a scuola le domeniche ma pure i giovedì. In precedenza quando una festa cadeva di lunedì o di sabato gli alunni avevano 5 giorni di scuola consecutivi il che sembrava eccessivo e in contraddizione con la vacanza ordinaria del giovedì che interrompeva la successione dei giorni di scuola, nel 1908 si pervenne alla conclusione di fare scuole il giovedì se la festa cadeva di mercoledì. L’orario della scuola popolare era stato ridotto da quattro a tre ore giornaliere: art.10 (11)

Una giornata scolastica nelle elementari

Nel 1888 il regolamento stabilisce 5 ore di lezioni giornaliere con ginnastica e canto , 2 ore al mattino e 2 ore al pomeriggio, con 2 ore di intervallo in inverno e più di 2 ore nella migliore stagione. L’orario continuato era di 4 ore e mezza. Nel 1908 il nuovo regolamento riduce ulteriormente l’orario giornaliero. L’art. 19 del R.D. n.150 (12) concede ai Comuni la possibilità ridurre l’anno scolastico a sei mesi e l’art. 93 e la possibilità di interrompere l’a.s. per i lavori agricoli.

Si riporta la tabella oraria della scuola elementare adottata dal 1908 e riportata nel  R.D n°150 del 6 febbraio1908, Regolamento generale per l’istruzione elementare; G.U. n°111 dell’11maggio 1908; governo Giolitti III, ministro Rava.

“TABELLA D’ORARI (Allegato C di cui all’art. 97 del Regolamento)

Orario antimeridiano

Prima lezione – un’ora e un quarto.

Pausa – dieci minuti.

Seconda lezione – un’ora e un quarto

Orario pomeridiano

Terza lezione – quarantacinque minuti.

Pausa – dieci minuti.

Quarta lezione – quarantacinque minuti.

L’orario è continuato o interrotto: se è continuato si assegnano 40 minuti per la refezione o la ricreazione fra la2a e la 3a lezione; se è interrotto, sempre fra la 2a e la 3a lezione debbono intercedere almeno due ore, nelle quali gli alunni abbandonano la scuola. […] Durante le pause fra una lezione e l’altra si rinnova l’aria nella classe, con le cautele richieste dalla stagione e dal clima e consigliate dall’ufficiale sanitario. Nelle scuole rurali dove gli alunni percorrono notevoli distanze, le ore di scuola possono essere ridotte a 3 e mezzo con opportune riduzioni delle pause o del tempo destinato alla refezione e ricreazione “.(continua)

Note

  1. Gaerano La Corte Cailler: Messina 1 agosto 1874- 26 gennaio 1933.   Cultore di storia  in particolare della  sua città, valente musicista, scrive fin da giovane di storia e arte messinese; nel 1899 è nominato socio ordinario della Reale Accademia Peloritana e dà vita alla “ Società Messinese di Storia Patria” . Nel 1904 è nominato direttore del Civico Museo Peloritano. Inizia una intensa attività di studio con notevole produzione di scritti sulle vicende storiche della città. Dopo il terremoto del 28 dicembre 1908 si sposta a Palermo con la famiglia per rientrare a Messina dopo poco tempo. E’ nominato ispettore onorario comunale di antichità e belle arti, diviene pure componente della “Commissione conservatrice dei monumenti, degli scavi ed oggetti di antichità ed arte della Provincia di Messina” e Ispettore bibliografico onorario. Il suo amore per la città, l’indiscussa competenza e l’impegno profuso, nonostante una salute malferma, non gli consentirono di salvare il patrimonio artistico messinese  dalla distruzione operata con la dinamite dai nuovi padroni della città.
  2.  Gaetano La Corte Cailler, Il mio diario 1893-1903, Ed. G.B.M. Messina, pp.73-79  Messina e Dintorni
  3. “Annuario – Guida Commerciale –Professionale ed Amministrativa della città di Messina,1902-Ristampa anastatica Edizioni G.B.M.,199
  4. Art.8 c.2 “E’ abolito l’esame di ammissione alla prima classe di qualsiasi scuola secondaria. Gli alunni di scuola privata e paterna, nati dopo il 1894 che si presentano agli esami di ammissione alle altre classi delle scuole secondarie devono presentare il diploma di maturità di cui sopra”.
  5. Art. 16 c.1: “… la concessione del permesso d’armi è sottoposta alla condizione che il richiedente stenda la domanda e apponga di suo pugno… la propria firma…”. Art 16 c.2: Alla stessa condizione è sottoposta la concessione della licenza  d’esercizio e rivendita per i nati dopo il 1890”.
  6. “L’obbligo dell’istruzione stabilito coll’art. 2 della legge 15 luglio 877, n. 3961, è esteso fino al dodicesimo anno di età e rimane limitato al corso elementare inferiore in quei comuni ove manchi il corso  superiore obbligatorio. E’ esteso negli altri comuni, salvo le disposizioni degli articoli 8 e a tutte le classi obbligatorie del corso superiore ivi esistente”.
  7. Art, 3 c,3: “Quando il numero degli alunni sia minore di 50, anche il corso elementare superiore può essere promiscuo”.
  8. Art.8 “ Gli alunni della scuola primaria che vogliono proseguire gli studi nelle scuole secondarie potranno, compiuta la quarta classe elementare , sostenere un esame speciale di maturità valido per l’ammissione nelle dette scuole, nei modi e nelle forme da stabilire nel regolamento”.
  9. Art. 13” I corsi serali e festivi …potranno essere divisi in due o più sezioni, secondo l’età e il grado d’istruzione degli alunni e delle alunne.Art. 14:Nei comuni nei quali sono istituite scuole per adulti analfabeti ai sensi dei precedenti articoli esse sono aperte a coloro che, non più obbligati per ragioni di età alla scuola elementare pubblica diurna, tuttavia non sappiano leggere e scrivere”.
  10. Art.10 c.3“ Saranno materie d’insegnamento della quinta e sesta classe: l’italiano, nozioni di storia civile d’Italia del XIX secolo anche in relazione ai fatti economici; nozioni delle istituzioni civili dello Stato e di morale civile;geografia gemerale ed economica in particolare dell’Italia; aritmetica e nozioni di geometria e di contabilità pretica ed economica domestica; nozioni di scienze naturali. Nelle classi femminili si aggiungono i lavori donneschi”.
  11.  Art.10 c.6 “Il Ministero della Pubblica Istruzione, visti gli insegnamenti obbligatori e facoltativi impartiti in ciascuna scuola elementare superiore, ed ove ne riconosca l’equivalenza, potrà consentire che il diploma di licenza elementare dopo il 6° anno di studio sia titolo di ammissione alla seconda classe della Scuola Tecnica, salvo il pagamento di una sopratassa  di L.25”.
  12. Art. 10 c.1: “ … riducendo a tre le ore giornaliere obbligatorie di lezione tanto nel 5° che nel 6° anno oltre le ore destinate agli esercizi ginnastici e alle materie facoltative”.
  13. Art.19: “ Nei comuni rurali e nelle frazioni dove gli scolari, per bisogni economici, abitualmente abbandonano la suola per una parte dell’anno, è data facoltà ai consigli comunali di ridurre i mesi di scuola a sei, “.