La pietra dei Giudei

Quella Pasqua del 1347

1. Cos’è la Pietra dei Giudei?

La “Pietra dei Giudei” è una piccola lapide di marmo delle dimensioni di circa 20 cm x 5 cm a forma di cartiglio murata tra le liste orizzontali  di marmi policromi della facciata del Duomo di Messina. Più precisamente essa si trova a circa 3 m dal suolo tra il Portale Gotico principale e quello alla sinistra di chi guarda. Il gesuita Placido Samperi nel 1644 attestava  che vi era incisa  la frase:” Signum Perfidorum Iudaeorum”. Oggi il piccolo marmo appare gravemente danneggiato e la scritta risulta incompleta e poco leggibile. In particolare  sembra che  il marmo sia stato volutamente corroso  proprio in corrispondenza della parola Iudaeorum  per eliminare- si può ipotizzare senza tuttavia alcun riferimento a dati certi- qualsiasi riferimento alla comunità giudaica presente a Messina.

Dell’intera frase oggi si leggono chiaramente solo  le  seguenti lettere “ SIGNUM   P… RFIDO … …  … … … … … … … … M   “ (fig. 3)

2.Note sulla presenza di una comunità ebraica a Messina

La presenza a Messina di una comunità ebraica sembra sia documentabile fin dal VII secolo. Documenti certi provano  nel periodo normanno la presenza di numerose famiglie  (Epistola Ghenizah), si ritiene che  tra il XIV e il XV secolo circa 2000 persone abitassero in città costituendo attorno al tre per cento della popolazione complessiva. Gli ebrei risiedevano prevalentemente nella Contrada che da loro prendeva il nome di Giudaica, una parte del più esteso quartiere del Paraporto, attraversato dalla via della Giudecca, in seguito denominata via Cardines. Sui documenti cartografici del tempo si coglie che si estendeva lungo un tratto delle mura quattrocentesche lato sud (fig. 1) superata la Porta della Giudecca e si sviluppava  sia a ovest oltre il torrente Portalegni, sia verso est delimitata da importanti chiese cattoliche latine  e da altre di rito greco: la Cattedrale di S. Nicolò, i Monasteri di S. Caterina Valverde e S. Angelo dei Rossi, S. Teodoro,S. Giovanni del Greci. La Contrada oggi si può individuare nell’area urbana compresa nel quadrilatero delimitato dalle vie T. Cannizzaro, Centonze, S. Filippo Bianchi,  C. Battisti (Fig.2).  La Sinagoga principale, a forma di esedra con un pozzo al suo interno- pare che in città ve ne fossero altre di più modeste dimensioni- sorgeva secondo alcuni autori (F. Chillemi e altri), nel luogo dove al suo posto si costruì nei primi anni del ‘600 la chiesa di S. Filippo Neri, area che oggi corrisponde a parte dell’ Istituto scolastico A.M. Jaci. (Fig.1 e 2). La comunità aveva pure la disponibilità di un macello ubicato oltre le mura nei pressi del torrente Portalegni e di locali per i  bagni rituali.

Gli ebrei messinesi si dedicavano prevalentemente ad attività commerciali sia in città sia con i porti del Mediterraneo. Erano anche ottimi artigiani soprattutto esperti nella colorazione e nell’arte dei tessuti in particolare nella lavorazione della seta, e nella costruzione di strumenti da lavoro; molto apprezzati i manufatti in ferro costruiti nelle numerose officine che si affacciavano sui vicoli. Tanti gli argentieri e gli orefici partecipi della fiorente produzione orafa di ottimo livello artistico  della città; diffusa l’attività del prestito a interesse di somme di denaro. Particolarmente numerosi e ricercati per le loro competenze i medici e gli speziali. I dotti ebrei messinesi curavano  studi in ambito giuridico soprattutto su questioni commerciali e della navigazione con elaborazione di tesi apprezzare e adottate nelle altre Giudecche siciliane. La comunità messinese aveva saputo assimilare la scomparsa cultura araba integrandola con la propria greco-giudaica sefardita caratterizzandosi così in ambito mediterraneo per il suo alto  livello culturale, ciò la rendeva proficuamente integrata nel tessuto sociale della città al quale apportava un notevole e determinante contributo in ambito economico, tuttavia, nella Messina cosmopolita di allora, ricca di numerose comunità straniere, Catalana, Greca, Pisana, Amalfitana, Fiorentina ecc., quella ebraica costituiva  per la sua specificità religiosa  un gruppo sociale fortemente strutturato  e politicamente poco efficace nella gestione della comunità cittadina.

In ambito religioso le diverse fedi osservate in città, cattolica, ortodossa, musulmana, riuscivano a convivere nonostante inevitabili difficoltà; non così l’ebraica che, forse per non unilaterale responsabilità, fu sempre oggetto di ostracismo e violenze. La storiografia ci informa che anche a Messina i giudei furono soggetti a limitazioni e costrizioni dovute alla loro “diversità”, all’invidia del popolo cristiano che non sopportava il loro relativo maggiore benessere economico e all’aggressività della Chiesa che li accusava di deicidio, di proselitismo e di ogni possibile comportamento amorale. Gli ebrei messinesi godevano di maggiori privilegi rispetto ai correligionari delle altre città siciliane perché inseriti in un contesto cittadino socio-culturale caratterizzato da maggiore apertura e tolleranza, benché anch’essi dovessero sopportare non pochi soprusi:  pagare la speciale tassa della Gisia, chiudere negozi e botteghe  durante le messe, assistere ai sermoni dei preti spesso verbalmente violenti, e altre pesanti umiliazioni. La ricorrenza annuale della Pasqua costituiva per la comunità un momento di grande tensione e paura. Si hanno molte conferme documentali di aggressioni, soprattutto in quel momento dell’anno alla comunità ebraica da parte di quella cristiana, certamente dalla sua componente più ignorante e violenta, eccitata dai sermoni che ricordavano la passione di Cristo della quale erano stati artefici-secondo le convinzioni di allora- i loro progenitori. Nel ‘400 in molte occasioni, l’autorità civile dovette emanare disposizioni per contenere l’irruenza antiebraica dei predicatori, soprattutto domenicani, e dare disposizioni per limitare gli eccessi e proteggere le loro case e i loro beni. Con l’intento di isolarli e per meglio distinguerli e controllarli nella quotidianità furono loro imposte fin dal 1221 da Federico II  e negli anni successivi confermate numerose restrizioni: l’obbligo di indossare sugli abiti e collocare sui muri delle  botteghe una rotella di colore rosso, lasciare la barba incolta,   le loro donne di camminare per la città a capo scoperto, diversamente dalle cristiane che normalmente si coprivano con un manto, e altro ancora. Nel 1310 Federico II d’Aragona vietava loro il possesso di schiavi cristiani,  escludeva l’esercizio della professione medica e di farmacista a favore dei cristiani e l’accesso a qualsiasi ufficio pubblico. 

Fig.1 Particolare Stampa di Leida 1619 che riporta la fisionomia della città tardo cinquecentesca.Si utilizza per la nitidezza del tracciato e per la realtà urbana riportata ancora sostanzialmente simile a quella esistente nel periodo storico in cui si svolsero i  fatti qui narrati

Luoghi del quartiere giudaico riconducibili nell’attuale planimetria della città.
Luoghi del quartiere giudaico riconducibili nell’attuale planimetria della città.

Colore nero: Zona prevalentemente abitata da ebrei.
Colore viola: Strada della Giudecca, dal ‘500 via Cardines.
Colore rosso: probabile sito della Sinagoga.
Colore blu: probabile sito della piana della Giudecca e porta della Giudecca

Signum Perfidorum Iudaeorum

3.L’epigrafe: “Signum Perfidorum Iudaeorum”. Perché?

Il primo studioso di storia e tradizioni messinesi che si interessa dell’epigrafe, per quanto si  sappia, è il gesuita Placido Samperi. Nella sua “Iconologia della gloriosa Vergine Madre di Dio Maria protettrice di Messina volume pubblicato nel 1644, alle pagine 86, 469, 470, egli  difende l’ortodossia e la devozione del popolo messinese, che sembra fossero messe in dubbio da detrattori soprattutto di altre città con le quali Messina era in perenne contesa, che coglievano spunto per le loro critiche  a motivo della presenza nel Duomo di una piccola antica colonna di marmo riportante scritte in latino e di un’epigrafe con forma di cartiglio di marmo con la scritta “SIGNUM PERFIDORUM IUDAEORUM”. Samperi così si esprime a difesa in entrambi i casi dell’ortodossia dei messinesi: “Non lascerò di nota di notar in questo luogo (il Duomo n.d.r.) due cofe degne di considerazione, che han dato occafione a maldicenti d’interpretare finiftramente, e per poca erudizione, e mal affetto, hanno ardimento di dar nota d’infamie, oue è splendor di lode. Vedesi nel Duomo, di cui parliamo, una colonnetta di due cubiti in circa, che foftenta il Fonte battesimale, con due ifcrittioni, quella della parte d’avanti dice così.”

AESCULAPIO ET HYGIAE SERVATORIBUS: URBIS TUTELARIBUS

E nella parte di dietro.

AELIO ADRIANO ANTONINO AUGUSTO PIO : PATRE PATRIAE

L’autore afferma che tali iscrizioni- Esculapio e Igea protettori: difensori della città— Elio Adriano Antonino Augusto Pio: Padre della Patria– davano occasione a persone ignoranti di affermare ingiustamente che i messinesi  nel tempo avessero abbandonato la vera fede tornando al paganesimo e riaffidato la protezione della città agli dei pagani. Risponde così alle gravi e temute  illazioni difendendo l’ortodossia e fedeltà della comunità messinese a Cristo e alla Vergine:

…In oltre sulla facciata del Duomo vicino alla porta maggiore, nell’entrata a man finiftra, in una delle pietre riquadrate fi legge questo fcritto SIGNUM PERFIDORUM  IUDAEORUM. Parole anche senza fondamento alcuno, a pregiudizio de Mefsinefi in ogni tempo fedeli, interpretati. E fe non fanno l’eruditione del Paefe, l’imparino, inperochè v’è certifsima tradizione, che quella pietra foffe ftata collocata nella Contrada Giudeca, fotto governo della Regina Elifabetta moglie di Federico Secondo, come altrove più distesamente si dirà, doue s’era fatta, per ordine di Lei, una giustitia efemplere di alcuni giudei che aueuano nel Venerdì Santo Crocififfo un Fanciullo i giudei, e rouinato quel luogo, fu giudicato, che quella memoria non doueffe pèerire, onde fu incrostata doue oggidì fi vede, tanto s’è detto del Tempio maggiore da Mesfinefi alla Gran Madre di Dio.” 

Si riporta di seguito la descrizione che fa Samperi di quegli avvenimenti alla pagina 469 del suo volume dove, con dovizia di particolari, espone i fatti che motivarono, secondo lui, il comportamento dei messinesi del tempo e la successiva  scrittura della frase sul piccolo marmo collocato sul prospetto del Duomo.  Egli premette  che era consuetudine e vanto prima della cacciata degli ebrei dalla Sicilia nel 1492, il Venerdì Santo di far passare dalle strade della Contrada Giudecca la processione del Santissimo Sacramento: “… per maggiore confufione di quella oftinata gente. Et in particolare per efsere avvenuto in quella Contrada un cafo afsai strano in un Venerdì Santo verso l’anno 1347. Tanto habbiamo rifaputo da alcune fcritture, da un Autor moderno l’accenna, e dalla tradizione di perfone degne di fede. “ Così continua l’autore: “ Eravi un fanciullo, che mandato dai suoi genitori a comprare nel mercato le cose necessarie per il vitto, paffava verso la fera dalle ftrade dei Giudei cantando, come fogliono i Ragazzi, alcuna canzone, egli pure falutava ad alta voce la Beata Vergine in belle note, con l’antifona Salve Regina. Uno di quei Giudei, innanzi alla cui porta passava, non potendo tollerare, che il ragazzo lodafse in quel modo la Madre di Dio, lo fgridò, e lo minacciò infine… Quefti non si atterrì punto e non curando le minacce del Giudeo, anzi difprezzandolo, feguiva  a dofpetto a cantar la Salve Regina…Era appunto il tempo della Settimana Santa giorno di venerdì, e congregati alcuni Giudei infieme, fecero di quel Fanciullo crudelifsimo scempio, tormentandolo con flagelli e poi con chiodi conficcandolo in una croce, rinnovando nella perfona di quell’innocente, quanto nella perfona di Chrifto aueuano efeguito i loro maggiori. E dopo…gettarono in un pozzo il cadavero…miracolosamente il pozzo cominciò a bollire, ridondare e verfare fuori  abbondanza di vivo sangue… i Miniftri di giuftitia viddero il cadauero del Fanciullo… e per ordine della Maeftà della Regina Elifabetta, fe ne fece diligente Inquifitione, e publichiProcefsi, no fenza un dovuto caftigo di quei perfidi le cui tefte in luogo pubblico, per ifpavento degli altri, collocate e fama, che vi fi pofe una pietra, in cui erano fcolpite quefte parole:

SIGNUM PERFIDORUM IUDAEORUM

La quale poi, con gli anni, nella parte deftra della facciata del Duomo, vicino alla porta maggiore, fù incrostata con l’altre  & oggidì fi vede …Per quefta poi, e latre molte fcelleratezze furono da tutto quefto Regno fcacciati tutti li Giudei da Federico Re di Sicilia detto il Cattolico.

Conclude  Samperi  dichiarando che il grave misfatto contribuì alla decisione di cacciare gli ebrei dalla città nel 1492

4. Quali problemi creava ai contemporanei di Samperi quella piccola lapide?

E’ probabile che nei primi decenni del XVII secolo- momento in cui Samperi si occupa della piccola lapide- la frase fosse interpretata dalla gente comune e dai detrattori della comunità che sollecitarono la sua difesa, col significato: “Indizio (prova) degli eretici giudei”; dando all’aggettivo “perfido” l’originario significato latino “infedele” (composto da per negativo + fidus) e non quello in uso dopo: “cattivo, malvagio”. E’ anche possibile che in città, dopo circa 200 anni dagli avvenimenti che ne avevano originata la scrittura non ci fosse più chiara memoria degli stessi. Quella frase era dunque “indizio (prova)” di cosa? Tolleranza, accordi, cedimenti dottrinali della Chiesa messinese, eresia?

Coloro che diffamavano la città, chiaramente consideravano dissacrante e offensivo che la stessa aborrita parola Giudei, indipendentemente dal significato della frase, potesse trovarsi scritta sul prospetto del massimo tempio cattolico della Città e pertanto, da parte di coloro che ne avevano consentito la collocazione, ne derivava evidente,  chiara,  grave e colpevole accondiscendenza verso la religione ebraica. Il nostro autore, così come già fatto per le scritte in latino riportate sulla colonna, s’impegna a giustificarne la presenza in quel luogo “sacro”. Egli, collega l’epigrafe con  l’uccisione del fanciullo esponendo nei dettagli il fatto di sangue (come sopra riportato) di quel venerdì di Pasqua di cui si aveva memoria tra il popolo e della cui veridicità pare non avesse alcun dubbio. Così difende i messinesi che, contrariamente a quanto immaginato da chi per cattiveria gettava fango sulla loro corretta fede cristiana, su decisione della Regina Isabella, avevano giustamente formulato e posta  quella frase sul muro della Sinagoga assieme alle teste mozzate dei responsabili dell’infanticidio e successivamente, dopo la distruzione della Sinagoga, ricollocata sul prospetto del Duomo per non perderne memoria. Pertanto- a parere del Samperi-, per quanto con certezza  accaduto, non si poteva che “lodare” il comportamento dei reali cattolici e dei messinesi di allora che avevano saputo fare “giustizia esemplare”.

5.Quella Pasqua del 1347 non è dimenticata.

La descrizione del “caso” messinese è ripresa e riportata successivamente da numerosi autori.

Nel 1748 Giovanni di Giovanni, canonico palermitano, nel suo volume “L’ebraismo della Sicilia” al capitolo XXIV intitolato” Delle scelleratezze, empietà, e misfatti degli stessi ebrei “, riporta il racconto di Samperi collegandolo ad altri simili fatti accaduti in varie parti d’Italia, sempre consistenti in massacri e crocifissioni di giovanetti cristiani: “La scellerata usanza degli Ebrei di crocifiggere e martirizzare i ragazzi Cristiani che, anche a suo parere, determinarono la cacciata degli ebrei dal regno di Spagna e dunque dalla Sicilia nel 1492.

Il messinese Domenico Gallo nel suo “Annali della Città di Messina capitale del Regno di Sicilia”, riporta quanto accaduto a Messina in quella Pasqua del 1347 e dichiara che il piccolo marmo con l’epigrafe era ancora visibile nel 1758: “Degno è qui deterna ricordanza lo strepitofo accidente fortito in questanno in Mefsina.Un fanciullo pafsando vicino al Ghetto degli Ebrei () Detta lapide poi col decorfo degli anni fu tolta via da quel luogo e pofta nella facciata del Duomo nella parte destra in mezzo agli altri marmi, ove fin oggi efiste benché appena legger si pofsono le tettere corrose dal tempo. Ancora nel 1840 gli avvenimenti messinesi sono utilizzati acriticamente in un articolo comparso sulla Rivista di Lugano “Il Cattolico- giornale religioso letterario”, per dare supporto alle ragioni che vedevano in quegli anni il mondo cattolico esprimere ancora forti toni antigiudaici. Giova ricordare che la parola “perfidus” fu tolta dalle preghiere ufficiali della Chiesa cattolica del venerdì Santo non molti anni orsono da Papa Giovanni XXIII, per sanare alla radice ogni equivoco sul suo significato e per una rinnovata apertura verso coloro che poi Giovanni Paolo II chiamerà “Fratelli maggiori”.

6. I fatti riportati da Samperi e riproposti nel tempo da altri sono realmente accaduti a Messina? Mito o realtà?

Per  una lettura interpretativa degli avvenimenti alla ricerca di  possibili fatti realmente accaduti che diedero origine alla elaborazione popolare di quel racconto che accusava gli ebrei della città di essere colpevoli di quel grave misfatto seguito per volere divino da un evidente miracolo,dobbiamo necessariamente affrontare il tema dell’”infanticidio rituale”, rito macabro attribuito dal XIII secolo alle comunità ebraiche presenti in Europa. Tema molto complesso, delicato e controverso la cui disamina impone approfondite conoscenze, qui è affrontato per cenni nei nostri limiti, per i fini che ci siamo proposti e si rimanda alla bibliografia.

Solo nel XVIII secolo si cominciò a ritenere poco verosimili, contrariamente al passato, i tanti fatti che portavano a ritenere gli ebrei autori dei  reati di infanticidio da essi perpetrati per dileggiare la passione di Cristo,  reiterandola attraverso la crocifissione e l’uccisione di un bambino cristiano  o per estrarre il sangue dalle giovani vittime da usare quale ingrediente del pane azzimo consumato nei giorni in cui si celebravano i riti della Pasqua.  Ancora nel 1755 Benedetto XIV con la Bolla “Beatus Andreas” dava il suggello papale sulla questione dell’accusa di omicidio rituale per consentire la canonizzazione degli “infanti martirizzati” dagli ebrei in “odium fidei”. Nel 1734 era stato confermato il martirio del Beato Simonino da Trento ucciso in quella città il 23 marzo 1475, Vigilia di Pesach, la Pasqua ebraica.

Durante troppi secoli dell’era cristiana, dal Medioevo fino all’Ottocento, e in troppi casi, gli ebrei si sono sentiti accusare d’”infanticidio rituale”, col passare dei secoli quelle accuse finirono con l’apparire alla coscienza moderna niente più che il parto di un antisemitismo ossessivo, virulento, feroce al punto da escludere nel modo più assoluto la veridicità di quelle storie riportate negli atti di processi gestiti da inquisitori ed estorte ai malcapitati con efferate torture. In questi ultimi tempi tra non poche polemiche, è in atto un tentativo di approfondimento scientifico dei comportamenti anticristiani di molte  comunità giudaiche che potrebbero aver giustificato o dato occasione a menti prevenute di formulare quelle gravissime accuse nei loro confronti.

 Ci si pone oggi la domanda: il ricordo (convinzione) tramandato nei secoli tra il popolo cristiano  delle crocifissioni di infanti alla vigilia di Pesach, il presunto uso di sangue cristiano quale ingrediente del pane azzimo consumato nella festa sono soltanto miti,  antiche credenze antisemite, razzismo, apologetica cristiana, oppure fanno parte di riti, cioè eventi reali e addirittura prescritti da alcuni rabbini? All’inquietante domanda dà risposta Ariel Toaff, ebreo, docente di storia medievale in Israele. Egli sostiene che per i tanti fatti accaduti  dal 1100 al 1500 in Europa di cui si hanno documenti, non è da escludere aprioristicamente che il sangue di giovani cristiani sia stato realmente utilizzato nelle cene pasquali. E’noto che nel mondo medievale la quotidianità era soggetta a superstizioni, riti magici, terrore dell’imperio del demonio,  al sangue era attribuito un potere taumaturgico, oltre a quello di risanare le ferite, favorire la fertilità, e altro ancora. Per tali motivi,soprattutto nel mondo germanico, era normale che i capifamiglia sia cristiani sia ebrei si dotassero, a caro prezzo fornito anche da venditori ambulanti, di sangue umano essiccato da utilizzare al bisogno.  L’autore  individua  nelle comunità fondamentaliste ashkenazite, presenti soprattutto nelle terre di lingua tedesca e nelle valli venete e lombarde, il terreno ideologico adatto a mettere in atto l’utilizzo del sangue nei riti pasquali. Il mondo ashkenazita si caratterizzava infatti per essere chiuso e fortemente aggressivo verso le comunità cristiane con le quali era costretto a relazionarsi, desideroso di riscattare e vendicare le tante angherie di cui erano oggetto nella prospettiva dell’attesa redenzione promessa da Dio. La loro vita era intensamente regolata da riti magici, esorcismi, alchimie e medicina popolare in ciò peraltro non  molto diversamente dai  contemporanei cristiani. Le frange più estreme  che nel tempo si erano  allontanate dalla corretta prassi rabbinica, avevano modificato nelle finalità i significati del  rito pasquale:  la recita da parte del capofamiglia delle maledizioni bibliche delle dieci piaghe contro gli egiziani era ora diretta contro gli odiati cristiani per augurare loro ogni possibile male. Con la contemporanea soluzione di granelli di sangue essiccato di giovani cristiani in una coppa di vino, che poi veniva disperso e non ingerito,  si intendeva utilizzare il potere del sangue per accrescere la pregnanza e la potenza distruttiva delle invettive. E’ ragionevole pensare-secondo Toaff- che in quel mondo irrazionale e superstizioso delinquenti o pazzi ebrei non abbiano avuto scrupoli a rapire e uccidere piccoli cristiani per raccogliere il loro sangue da vendere anche per i riti pasquali dei più fanatici ashkenaziti. Il mondo cristiano che poco o nulla comprendeva delle tradizioni e usanze ebraiche, sempre aggressivo verso coloro che “avevano ucciso  Cristo”, coglieva occasioni da racconti e calunnie ad arte utilizzati da delatori contro gli ebrei, per organizzare processi che, forse nelle intenzioni intendevano giungere alla verità di quanto denunciato e sospettato, ma nei fatti, con l’uso della tortura, facevano dire agli accusati solo quanto da loro ritenuto vero e cioè che gli ebrei realmente uccidevano piccoli cristiani per utilizzarne il sangue o li crocifiggevano in odio a Cristo. Quasi tutti i processi terminavano con la condanna a morte degli accusati e spesso con massacri di intere comunità ebraiche da parte del popolo aizzato dai prelati. Episodi simili, nel pretesto e nelle modalità, con roghi, saccheggi e uccisioni si verificarono anche in varie parti d’Italia fino all’ultimo, accaduto a Badia di Rovigo nel 1855.

Nel caso di nostro interesse che sarebbe avvenuto nel 1347, integrato nella cultura popolare per molti secoli ma nel tempo dimenticato, riportato e dettagliatamente descritto dal Samperi, non si racconta che l’ uccisione del  giovinetto sia avvenuta allo scopo di estrarne il sangue per cannibalismo rituale, ma di una crocifissione come parodia e vilipendio della passione di  Gesù Cristo. Nell’esporre dettagliatamente i fatti tramandati dalla tradizione locale, il gesuita non parla infatti di alcuna  raccolta di sangue né  fa riferimento all’usanza del suo utilizzo, come avveniva nelle comunità  askenazite dell’Europa del nord,  quale componente del pane azzimo della Pasqua.. La comunità ebraica messinese fu invece accusata di omicidio rituale  in odio a Cristo. Il primo caso di una lunga serie di “ omicidi rituali” simile nella procedura  a quello messinese e riportato dalle cronache del tempo avvenne nel 1144 in Inghilterra, anche in quel racconto un bambino di dodici anni sparì e fu poi ritrovato a seguito di fatti miracolosi. Antri casi analoghi avvennero poi in tutta Europa sempre accompagnati da presunti avvenimenti eccezionali e giudicati miracolosi che accadevano attorno al luogo in cui  la vittima  era stata sacrificata o sepolta. La devozione popolare acquisiva in ciascun avvenimento un nuovo santo-martire. Per questo ultimo aspetto il fatto messinese si discostò dallo stereotipo: la tradizione popolare e il martirologio della Chiesa locale  infatti non conservano memoria di quel piccolo martire per la fede cristiana.

Si può proporre l’ipotesi  che quanto tramandato sia stato ampiamente inventato e utilizzato per giustificare le violenze e le uccisioni di ebrei  che avvennero a Messina in quello stesso anno 1347 non a seguito del supposto omicidio rituale ma di un altro importante avvenimento   E’ interessante notare che nello stesso anno in cui, secondo il Samperi, fu consumato il sacrificio  del piccolo cristiano, la città fu colpita da una epidemia di peste. Sembra  certo che il morbo in Europa si sia diffuso a seguito dell’arrivo a Messina di galee genovesi provenienti  dall’Oriente, da Messina dilagava poi veicolato dalle navi mercantili in altri porti (Genova,Marsiglia,Venezia, Pisa…) e da questi nell’entroterra e poi da sud verso nord in tutta Europa. Secondo la mentalità del tempo il grave flagello che uccideva miglia di uomini e donne con atroci dolori anche a Messina era  causato dagli  uomini che con i loro peccati  suscitavano la giusta ira  divina. All’interno di questa logica alla ricerca delle cause,  gli aborriti ebrei, unanimemente ritenuti  peccatori e nemici di Cristo, dovevano essere certamente la causa principale delle giuste punizioni che Dio infliggeva agli uomini, ora con la peste, per redimerli e salvarli. I messinesi atterriti e sconvolti dal morbo che mieteva vittime come nelle altre città, probabilmente pensarono bene di rivolgere la loro disperazione e violenza contro i loro concittadini ebrei, forse  accusati pure di spargere la malattia con magiche condotte, con saccheggi nel loro quartiere e uccisioni.  Similmente ai tanti altri analoghi casi, per le autorità cittadine fu facile  ricorrere allo stereotipo dell’omicidio rituale perpetrato dagli ebrei in odio a Cristo per   giustificare le violenze del popolo cristiano contro di loro. Fu così trasformato un gravissimo misfatto collettivo in una giusta  punizione e correzione dei “perfidi” eretici ebrei,  a lode e gloria  della vera fede. Si può ritenere possibile che –come ancora  afferma Samperi-, per sancire e definire con valide motivazioni   l’accaduto e, affinché il fatto non fosse dimenticato,  sia stata  scritta e murata in origine sulla Sinagoga quella piccola lapide che ancora oggi vediamo. Il fatto di sangue decritto, così simile ai tanti altri che nel medioevo si raccontavano nelle comunità cristiane soprattutto del nord Europa, quasi sempre  frutto dell’immaginazione e delle superstizioni del popolo, è probabile dunque che conservi al suo interno, ampiamente rielaborati e idealizzati, avvenimenti accaduti in città che già allora la coscienza collettiva voleva nascondere e giustificare.  

7.Altre interpretazioni

Al significato dell’iscrizione “ SIGNUM PERFIDORUM IUDAEORUM” alcuni studiosi recenti di storia messinese danno una diversa e certamente plausibile interpretazione che sinteticamente si riporta (F. Chillemi). Abbiamo già ricordato che in quei tempi ai Giudei era fatta imposizione di cucire sugli abiti un segno che li facesse distinguere dai cristiani: una “rotella” di tessuto rosso. Uguale disegno dovevano riportare sulle porte o sugli architravi dei loro negozi o botteghe. Gli ebrei benestanti provavano con il denaro a comprare l’esenzione  da quell’obbligo che, ovviamente, era considerato una ulteriore umiliante discriminazione. E’ ragionevole pensare che nella quotidianità molti provassero a portare abiti senza la prescritta “rotella” sperando così che nel tempo, con la consuetudine, l’obbligo venisse dimenticato. Si sostiene la tesi che l’autorità cittadina, per ribadirne l’imposizione e rinforzarne la memoria pubblica, abbia deciso di scolpire su un  piccolo marmo rosa quella frase con il disegno della rotella- che oggi non è possibile rinvenire- murandolo in bellavista sul prospetto  della cattedrale, perché nessuno potesse affermare di non esserne a conoscenza. Si rileva che coloro che nei secoli si occuparono del cartiglio, più vicini nel tempo alle ragioni che ne avevano determinarono l’iscrizione, non fanno cenno alcuno alla ipotesi che fosse soltanto l’indicazione di una prescrizione normativa relativa a una usanza e non sembra che ci siano prove documentali che ne diano conferma, peraltro, non si hanno notizie di analoghe disposizioni murate su edifici pubblici in altre città della Sicilia.Invece, come si è riportato in precedenza, il Samperi e gli altri autori vissuti in città dopo di lui, danno fede alla tradizione popolare che generazione dopo generazione aveva ricondotto l’origine della frase a quel presunto  fatto miracoloso accaduto nella Giudecca di Messina successivo all’uccisione del fanciullo cristiano. Certo, gli autori messinesi  del XVII e del XVIII secolo non operarono alcuna analisi critica dei fatti che riportarono dandone per scontata la veridicità. In conclusione, si esprime il modesto parere che sembra poco verosimile che le autorità civili e religiose del tempo abbiano  potuto consentire che il prospetto del principale tempio cattolico della città contenesse una frase riferita a un obbligo attinente a una  semplice norma di  vita quotidiana peraltro riferita agli ebrei, pur  ritenuta importante e obbligatoria,  potendo essa trovare più opportuna collocazione, in considerazione della sua finalità, su muri di edifici di minore rilevanza religiosa e civile.   

Riferimenti Bibliografici:

  • Placido Samperi, Iconologia della Gloriosa Vergine Madre di Dio Maria Protettrice di Messina, Messina MDCXLIV,pp.86,469,470.
  • Cajo Domenico Gallo, Annali della Città di Messina Capitale del Regno di Sicilia, Messina MDCCLVIII,p.200.
  • Nicola Cusumano, Ricerche sullaccusa di omicidio rituale nel settecento,  Ricerche storiche, Mediteranea,dic.2004
  • Progetto Manuzio, Giovanni Di Giovanni- Lebraismo della Sicilia, Liberliber.it, p.177
  • Enciclopedia dellecclesiastico, Napoli,1845, tomo IV, pag 696
  • Rivista “Il Cattolico”, Lugano, 1840, vol XV, p.86
  • Ariel Toaff, Pasque di sangue, Ebrei dEropa e omicidi rituali, Ed. Il Mulino,2007
  • Pubblicazioni Archivi di Stato; Italia Judaica, Gli ebrei in Sicilia sino allespulsione del 1492, Palermo 1992
  • Francesco Renda, Gli ebrei prima e dopo il 1942,Pubblicazioni Archivi di Stato
  • Franco Chillemi, I borghi di Messina: Strutture urbane e Patrimonio Artistico, EDAS,1994
  • Franco Chillemi,Testimonianze ebraiche a Messina,Ed Di Nicolò,2009
  • Ariel Toaff, Gli ebrei siciliani in Italia, dopo lespulsione. Storia di una integrazione mancata, Quinto Convegno internazionale, Palermo 1992
  • Silvio A.P. Catalioto, Messina com’era oggi, Ed.Sfameni,1991