Abballati, abballati

Volteggiando tra le note’: Serata danzante con cena sociale, è la indovinata denominazione con cui Angelo Miceli ha definito l’evento di sabato 21 aprile, svoltosi presso il Royal Hotel della nostra città, con esito decisamente felice grazie all’indefesso impegno del presidente di ADSeT.

Non solo ballo, come si potrebbe equivocare ad una frettolosa lettura di questa denominazione, bensì danza, ovvero l’esibizione magistrale di due ballerini di primordine, dal curriculum internazionale: Chiara Consulo e Benedetto Sanò, che, incuranti delle limitazioni osteoarticolari umane, quasi volando a disfida della gravità, hanno volteggiato superbamente sulle note di ogni tipo di danza non solo di quelle diffusamente in voga nelle sale da ballo, ma pure nello scorrere dei tempi.

Su di esse, nel contesto dell’evento, hanno sapientemente dato contezza Rosario Armaleo e Salvatore Di Liberto, i due maestri di ballo che hanno tracciato l’iter di evoluzione nei tempi dell’amore dell’uomo per la danza a partire dalle più remote epoche fino ai nostri giorni.

Nella loro prolusione i Maestri hanno evidenziato come La danza accompagni la storia della civiltà a partire dall'epoca preistorica fino al consolidamento delle prime civiltà, come nel corso dei secoli sia sempre stata lo specchio della società, del pensiero e dei comportamenti umani e come oggi il suo sviluppo è ancora in continua evoluzione, di pari passo con lo sviluppo culturale dell'uomo moderno.

Hanno ben evidenziato che La danza è una disciplina vastissima che riguarda le espressioni etniche e popolari, non solo in quanto balli della società, ma che si offre maggiormente oggi come arte dello spettacolo, che è giunta a coinvolgere il teatro, il cinema, la televisione.

Hanno pure chiarito che le tipologie di danza Classica, Neoclassica, Moderna e Contemporanea sono espressione dalla cultura occidentale-europea, con stili e terminologie poi diffuse in tutto il mondo, ma che tuttavia la nostra non va confusa con altre culture della danza, ad esempio quella dell’India, la quale è totalmente differente e strettamente collegata ai rituali mistici-religiosi induisti e che non ha nulla a che vedere con la nostra: questa attinge le sue origini dall'antica Grecia.

 

L’ Antica Grecia sviluppò numerose tipologie di danze classificate dagli storici in tre categorie:

– Danze guerriere, il Prosodion, l'Enoplion, le Gimnopedie (tipiche della città di Sparta), la Pirrica.

– Danze religiose, il Ghéranos, la Cariatìdes, la danza delle Hiérodules.

– Danze profane, l'Emmeléia, la Bibasis, l'Apokinos.

La danza fu per quel popolo uno dei suoi principali livelli espressivi e l'elemento principale dei rituali religiosi, e fu contestuale ai momenti importanti di aggregazione della collettività, che raccoglievano massima attenzione delle autorità politiche in occasione delle feste dedicate alle varie divinità.

Nella tragedia l'azione era portata avanti dagli attori e dal coro, che si esprimeva cantando e danzando; la parola κόρος, infatti, deriva dal verbo κορέυο, danzare, e dallo stesso verbo derivano alcuni termini ancora oggi utilizzati – come coreografia, coreografo, coreutica; e quell’ ‘orchestra’, che per noi designa un insieme di strumenti musicali, nell'antica Grecia indicava il luogo del teatro dove agiva il coro e derivava da ορκέομαι. Nella prestazione facevano tutt’uno il canto e la danza, che nella tragedia e nella commedia si esprimevano a mezzo della μουσικῄ, inteso come l'insieme inscindibile di poesia, musica e danza. La danza tipica della commedia era la Cordax, caratterizzata dalla lascività e dalla vivacità. Nel dramma satiresco invece si usava danzare la Sikinnis.

 

Durante il Medioevo, altro riferimento storico per la danza nostrana, la danza, che in un primo periodo era praticata anche all'interno degli edifici religiosi come parte dei rituali e accompagnamento dei canti, subì la condanna delle autorità ecclesiastiche che vedevano nella sua pratica il pericolo della lascività dei costumi, data l'ostentazione del corpo in movimento e il tipo di comunicazione prettamente visiva che si andava contrapponendo a quella orale-uditiva dei predicatori.

Tuttavia anche durante questo lungo periodo si hanno numerose forme di intrattenimento spettacolare con danze e/o mascherate danzate, soprattutto ad opera del giullare, che spesso intratteneva il pubblico con balli solistici oppure, in occasione delle feste, guidava le danze collettive dei villaggi o delle città.

Tra le danze popolari quella che viene menzionata più spesso è sicuramente la ‘carola’, danza a catena chiusa (le persone si tenevano per mano e danzavano in cerchio), eseguita soprattutto nelle feste di primavera intorno a un albero o a un personaggio che incitava i ballerini battendo mani e piedi a ritmo. La carola è citata più volte da Boccaccio nel Decamerone e anche da Dante nella Divina Commedia. La ‘farandola’ è invece una danza a catena aperta, nella quale le persone si tenevano ugualmente per mano, ma aprivano il cerchio iniziale per dar luogo a nuove evoluzioni e disegni. Altre danze sono la ‘tresca’, la ‘ridda’ e il ‘ballonchio’.

Dopo l'anno Mille in tutta Europa si diffuse la ‘danza macabra’, che sembra fosse praticata nei pressi dei cimiteri, dato che il termine ‘macabro’ deriverebbe dall'arabo ‘makàbr’, che vuol dire cimitero.

 

Durante il Rinascimento nelle corti italiane la danza era ritenuta una vera e propria forma di educazione; la danza dei nobili era di diretta derivazione da quella del popolo, ma veniva trasformata secondo le regole del perfetto cortigiano: la compostezza, l'atteggiamento nobile, le convenzioni sociali della cavalleria e della galanteria. Nel Quattrocento la figura del maestro di ballo era molto richiesta per istruire i signori e i cortigiani; furono addirittura scritti dei trattati. Nelle corti italiane rinascimentali infatti si sviluppò una forma ricercata di ballo che prevedeva norme da seguire e un certo studio di passi e movimenti. Sempre nel Quattrocento la figura del maestro di ballo era molto richiesta per istruire i signori e i cortigiani, sicché si può affermare che l'attuale Danza occidentale ebbe origine culturale proprio in Italia.

La danza infatti era ritenuta una vera e propria forma di educazione per la compostezza, l'atteggiamento nobile, le convenzioni sociali della cavalleria e della galanteria.

In ogni caso, a prescindere dalla sua origine, il suo marcato sviluppo artistico avvenne in Francia, dove nel 1581, presso quella corte, nacque il primo balletto della storia: il ‘Ballet Comique de la Reine’, composto di brani recitati, danzati e cantati che appartenevano al genere della Commedia; e sempre in Francia, essa ricevette una forte spinta da Luigi XIV, che amava molto danzare ed esibirsi in prima persona negli spettacoli di corte. Fu proprio lui che nel 1661 promosse la nascita dell' ‘Académie Royale de Danse’, istituzione fondamentale per la definizione delle regole inerenti a quest'arte.
Ed è proprio per questo motivo che la terminologia del balletto classico è universalmente in lingua francese.

Nel 700 ci fu un'ulteriore evoluzione: la danza non viene più ideata per il diletto delle corti, ma viene pensata per la rappresentazione su un palcoscenico teatrale, dove gli atteggiamenti dei ballerini si svolsero sempre di più con una cura eccessiva della forma, a scapito dell'espressione.

E’ nel corso dell’ '800, in particolare con la messa in scena all' ‘Opéra’ di Parigi di ‘La Sylphide’ del 1832 – il primo esempio di balletto romantico – che inizia la diffusione del detto Balletto Romantico, basato su una nuova sensibilità, una nuova visione del mondo più libera ed appassionata, che rompe le vecchie formalità per legarsi alla espressione dei sentimenti; in questa occasione viene introdotta dal coreografo Filippo Taglioni, padre della ballerina che lo interpretava, Maria Taglioni, l'uso della danza sulle punte e del tutù.

Sempre nel Settecento ad iniziativa del Noverre, questi esortava a liberare il corpo della ballerina dalle vesti pesanti e ingombranti e dalle maschere e dalle parrucche che nascondevano le forme naturali, ma tuttavia si realizzava un nuovo artificio. É di questo secolo che Danza, recitazione e canto, ormai sono definitivamente separati. Siamo in pieno Neoclassicismo.

Così nell’ottocento si diffonde una tecnica rigorosamente classica che trova nelle punte, nell’arabesque, nel port de bras i suoi principi fondamentali. Ogni movimento, ogni figura sono perfettamente controllati, nascondendo la fatica fisica e il sudore sotto un'immagine di eterea leggerezza che si libra nello spazio esaltando la bellezza plastica degli atteggiamenti nel rigore di una nitida purezza geometrica. Dopo la seconda metà dell'Ottocento, l'Opéra di Parigi entra lentamente in crisi, e non esercita più la sua supremazia, ma sulle sue orme cominciano a dare bella prova di sé altri paesi europei: l’ Italia col Teatro alla Scala di Milano, la Russia degli zar, che giunse a fare di San Pietroburgo un punto di passaggio obbligato per tutti i coreografi e i solisti più rinomati d'Europa.

 

Fin qui giunti, abbiamo goduto dunque di una serata di cultura nella descrizione dei due Relatori sulle danze, e di una serata di spettacolo nelle evoluzioni dei due Ballerini.

 

Ma, in connessione con il simposio colto ed artistico non è mancato, tuttavia, il ballo, infatti dopo una saporitissima cena ben ‘innaffiata’ i Convenuti Soci ed Ospiti si sono prodotti nei balli di coppia e di gruppo che hanno protratto la serata dal suo inizio delle ore 18 fino a ben oltre la mezzanotte.

Ed allora la mente degli Astanti è andata ad un motivo:

Abballati abballati

Fimmini schetti e maritati

E si n'abballati bonu

Non vi cantu e non vi sonu …

… Sciù, sciù sciù

Quanti fimmini ca ci su'…

… Abballati abballati

Uomini schetti e maritati …

… Sciù, sciù sciù

Quanti uomini ca ci su'

 

L’affacciarsi alla mente di questo motivo vi ha riaffacciate le memorie dei nostri verdi anni, ricchi di riunioni danzanti di famiglia nelle case private e di balli decisamente nostrani, accendendo la curiosità verso di essi.

 

Tra i principali studiosi di tradizioni popolari: Lionardo Vigo (1799-1879), Giuseppe Pitrè (1841-1916) coi suoi ‘Canti Popolari Siciliani’, e Salvatore Salomone-Marino (1847 – 1916), va ricordato l’etnomusicologo Alberto Favara (1863-1923), che notava come in Sicilia si siano “succedute civiltà dalle tipiche manifestazioni musicali, ove il popolo ascoltò il ‘nomos’ greco, l’inno bizantino, il ‘maqam’ arabo, la canzone cortese dei Trovatori, il ‘Lied’ dei Minnesanger, fino alla opulenta polifonia cinque-secentesca”, e che questa canzone trascrisse nel ‘Corpus di musiche siciliane’ (la sua importante opera, realizzata tra il 1896 ed il 1923 e data alle stampe dal genero, il musicologo Ottavio Tiby, nel 1957). Egli riportava a memoria dunque proprio la canzone ‘Abballati, abballati’, raccolta a Palermo presso alcune donne di cortile e confermatagli a Mazzara da Antonia Cirabisi; si tratta di una tarantella presente in tutto il Meridione: in particolare in Puglia, Calabria e Napoli; essa ha fornito svariate versioni di sé a tutti i gruppi folkloristici siciliani e calabresi, e molti cantanti ne hanno fatto un inno alla Sicilia.

In merito ai canti popolari il filosofo, teologo e letterato tedesco, Johann Gottfried Herder (1744-1803), osservava che l'insieme di questi canti può mettere in rilievo gli stati d'animo, gli usi, i costumi, le tradizioni, le gioie, le sofferenze di un popolo nelle sue diverse manifestazioni, e va rilevato che dunque è un modo di comunicare i propri sentimenti e gli stati d'animo da parte dei poeti-cantatori popolari, che nella maggior parte dei casi rimangono anonimi.

 

Nel Corpus di musiche popolari siciliane del Favara, Ottavio Tiby scriveva, in merito alla variegata eredità mutuata dal succedersi delle dominazioni, come quelle … “confuse le onde del gran fiume della tradizione” abbiano donato alla Sicilia varietà di balli tra cui lo scottish’, danza di origini germaniche, arrivata in Sicilia entrando nelle corti dei signori locali mantenendo immutate, rispetto ai modelli continentali, musiche e forma, ma che col tempo il popolo si appropriava del ballo, plasmandone forme e melodie, adeguandole ai propri gusti e alle capacità musicali/strumentali delle orchestrine artigiane, col risultato che in Sicilia le forme di scottish siano innumerevoli, varianti di una medesima danza e che distinguono i diversi paesi d’origine (sciutissa, lanzet, quattro passi, scots, scotes); nel sud Italia queste tipologie si sono ballate in coppia da uomo-uomo, donna-donna e uomo-donna all’interno di una ‘rota’ durante le feste stagionali e gli eventi sociali pubblici o privati (carnevale, tosatura, matrimoni, riti di passaggio, uccisione del maiale, vendemmia).

E non meno ricca sarebbe la varietà delle danze tradizionali siciliane, che rappresentano oggi uno degli aspetti meno conosciuti della cultura popolare isolana.

Dei numerosi balli elencati e in alcuni casi descritti dai documenti dell’800, come in Salvatore Salomone Marino “Costumi e usanze dei contadini di Sicilia”, “…il Chiovu, il Purpu, il Tarascuni, la Capona, la Ruggera, la Fasola…”, è sopravvissuto ben poco in giro per la Sicilia, solo alcune tipologie di balli: contraddanze, scottish, valzer, polke, mazurke e forme di ballettu/tarantella in coppia di tipo agropastorali o di più recente tipologia (‘allacciate’); nei Peloritani e nei Nebrodi rimangono vive nella memoria dei suonatori gli accompagnamenti di zampogna, friscalettu, doppio flauto, marranzano e tamburello, e ancor oggi pochi danzatori eseguono il ballettu tradizionale staccato, danza di tipo tradizionale accomunabile alle diverse forme di tarantelle.

Altre forme di ballo sono invece maggiormente rintracciabili e risalgono all’Ottocento provenendo dal nord Europa. Si tratta di quei balli ‘allacciati’ di corte come il valzer (valzer fiorato), la mazurka (sciatamarra di Caltavuturo), la polka (musetta di Troina), lo stesso scottish.

La danza che però forse più rappresenta la vivacità del patrimonio coreutico siciliano è la divertentissima contraddanza o quadriglia. Originaria dalle Country-Dance inglesi del 1500, la contraddanza si diffuse in Sicilia all’epoca della dominazione normanna e come danza di corte del Regno Meridionale tra il XVI e XVII sec. Come per le altre danze, viene inglobata tra i balli del popolo quale una tra le danze sociali di maggior successo, grazie alla possibilità di ballare con più persone e scambiare le coppie. La contraddanza è ‘cumannata’ dal ‘bastuneri’, sapiente ‘mastru ri ballu’ che, in un esilarante siculo-francese maccheronico, ne scandisce l’andamento coinvolgendo i partecipanti in figure e giochi di coppia: arco, tunnel, cerchi concentrici, improvvisi cambi di direzione, in cui tutto è lecito e consentito.

 

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