Gesto grafico – gesto creativo

Pubblicato su Moleskine Anno 7 n. 10 ottobre 2014

L’espressione grafica caratterizza da sempre l’uomo. Numerosi sono stati nel corso dei secoli i sistemi grafici che hanno permesso agli uomini di comunicare fra loro, a partire dai segni e simboli primitivi fino ad arrivare alla nostra attuale scrittura latina, passando per la scrittura cinese, i geroglifici egiziani e i loro derivati, l’alfabeto semitico, la scrittura indiana, araba ecc e tutte queste scritture erano e sono altamente rappresentative delle civiltà delle diverse epoche, esprimono le “sensibilità” di questi popoli. Già dai tempi in cui viveva nelle caverne l’individuo ha sentito il bisogno di lasciare la propria traccia.

Lo faceva con gli strumenti e con i supporti che aveva a disposizione ma comunque voleva lasciare un segno tangibile della propria esistenza, del proprio passaggio sulla terra. Ma non è forse così anche ai giorni nostri?Basta osservare i muri delle nostre città per accorgerci che il desiderio di marchiare, di imbrattare, di lasciare il proprio segno, di esprimere il proprio pensiero e la propria personalità attraverso una traccia grafica è rimasto immutato.

Il graffitismo è una manifestazione artistica, sociale e culturale diffusa in tutto il pianeta, basata sull’espressione della propria creatività tramite interventi pittorici sul tessuto urbano. Talvolta è correlato ad essa l’atto dello scrivere il proprio nome d’arte diffondendolo come fosse un logo,  quasi come un DNA dell’autore appiccicato su una parete visibile al mondo intero. Un fenomeno criticabile ma a volte anche artistico ed espressivo di emozioni, di disagi, di proteste, di “diversità”, di denuncia e a volte anche di amore e di amicizia. Sebbene ci siano leggende sulle sue origini che risalgono agli anni ’40, il graffitismo nasce ufficialmente a Filadelfia nei tardi anni sessanta sui treni e si sviluppa in seguito a New York negli anni settanta fino a raggiungere una prima maturità stilistica a metà degli anni ottanta.

Esite un vero e proprio mondo che circonda i graffitisti che si identificano con uno pseudonimo, o meglio con un “tag”, con una firma che viene scelta dal writer stesso, partendo da giochi di parole sulla propria identità, o semplicemente scegliendo la parola che più lo aggrada, in base al suono o più frequentemente in base alle lettere che lo compongono. In alcuni casi il tag è seguito da un suffisso (molto comune il suffisso “one”). I primi writer usavano unire un numero al nome, come fece Julio 204 per primo, indicando con il numero la strada nel quartiere in cui viveva (204th street), imitato poi dal più celebre Taki 183, che spinse il suo nome oltre i confini del proprio quartiere. L’elaborazione del tag può seguire lo stesso percorso stilistico che intraprende un individuo nella definizione della propria grafia, con l’aggiunta di grazie o svolazzi, oppure semplicemente nel cercare di rappresentare uno stile personale. Quello che agli occhi di un profano potrebbe sembrare un semplice scarabocchio è per la maggior parte dei writer il frutto di un esercizio costante nel tentativo di coniugare estetica e rapidità.

Le “scuole di pensiero” si dividono e se dalla parte di chi li criminalizza è facile annoverare le  amministrazioni comunali, proprietari di case e negozi che spesso si trovano muri e saracinesche imbrattate da tag, a favore dei graffiti,  ci sono molti ragazzi che li considerano aventi una funzione di abbellimento di zone urbane che altrimenti risulterebbero grigie e anonime.

 La pratica è certamente da condannare  quando si toccano monumenti e beni pubblici.  Molti comuni italiani si sono mossi per cercare di arginare il fenomeno dell’imbrattamento ma al tempo stesso si sono levate anche voci contro corrente. Non mancano infatti  i comuni che hanno aperto le porte ai graffitari, organizzando manifestazioni e cedendo loro spazi per realizzare i loro disegni, che in alcuni casi non possono non essere considerati opere d’arte vere e proprie, come un sistema di espressione del popolo.