Macrolepiota rhacodes (Vittad.) Singer (1951)

Specie comune, tipica dei terreni ricchi di humus, a nutrizione saprotrofica, facilmente confondibile con le specie congeneri. Tradizionalmente nota con l’epiteto binomiale di Macrolepiota rhacodes, è stata, in tempi relativamente recenti, unitamente ad altre specie appartenenti al medesimo genere, quali, ad esempio: M. venenata Bon, M. brunnea(Farl. & Burt) Wasser, M. oliveri (Barla) Wasser, riposizionata nel genere Chlorophyllum, di nuova creazione. La ricombinazione delle varie specie dal genere Macrolepiota al genere Chlorophyllum si è resa necessaria soprattutto per la diversa colorazione della sporata: bianca nel primo, verde nel secondo. L’autonomia dei due generi è supportata anche dai risultati delle analisi filogenetiche pubblicate in diversi studi.

Genere Macrolepiota Singer

Pap. Mich. Acad. Sci. 32: 141 (1948)

Specie tipo:

Macrolepiota procera (Scop.) Singer

Pap. Mich. Acad. Sci. 32: 141 (1948) 

Tratto da Miceli, 2021 (118): 28-37

Al genere, la cui denominazione fa riferimento al micologo tedesco Rolf Singer (Schliersee, 1906 – Chicago, 1994), appartengono funghi saprofiti (che crescono su sostanze organiche morte delle quali si nutrono, provocandone la decomposizione), eterogenei (quando il cappello ed il gambo, stante la loro diversità strutturale, si staccano facilmente l’uno dall’altro senza lasciare tracce evidenti di frattura),con imenoforo (parte inferiore del cappello ove è posizionato l’imenio, formato, nel genere Macrolepiota, da lamelle) non asportabile e residui del velo parziale sotto forma di anello, che presentano le seguenti caratteristiche morfologiche:

Cappello di grandi dimensioni, raggiunge facilmente, e spesso supera, in alcune specie, i 30 cm di diametro; inizialmente subgloboso, emisferico, campanulato, poi piano, disteso; caratterizzato in diverse specie alla presenza di un umbone più o meno prominente; generalmente decorato da squame concentriche; colore variabile da nocciola più o meno chiaro a bruno-nocciola, bruno-castano, fino a bruno-ocra, bruno-nerastro.

Lamelle bianco-biancastre, leggermente imbrunenti verso la maturazione in alcune specie. Libere (quando si interrompono prima di raggiungere il gambo) ed inserite in un collarium (struttura anulare posizionata all’apice del gambo sulla quale si inseriscono le lamelle). Le spore in massa di colore bianco identificano le specie come appartenenti al gruppo dei funghi leucosporei (eccezione: M. olivascens che ha sporata rosata).

Gambo cilindrico, slanciato, molto alto, supera spesso i 30-35 cm., liscio in alcune specie, screziato per la presenza di squamule più o meno evidenti in altre. Nella zona apicale è ornato da un anello semplice o doppio, a volte scorrevole; la base si presenta ingrossata e tondeggiante per la presenza di un bulbo più o meno grosso. È costituito da cellule filamentose di consistenza molto fibrosa, cavo all’interno, si schiaccia facilmente alla pressione sfilacciandosi longitudinalmente, formando lunghi e consistenti filamenti. Il colore, sui toni bianco-rosati, varia dal bianco, bianco-biancastro, al bruno, bruno-rosato, bruno-rossastro.

Carne bianca immutabile in alcune specie, più o meno arrossante o imbrunente al taglio in altre specie. Odore e sapore generalmente gradevoli.

Habitat:

al genere, come già detto, appartengono funghi saprofiti che prediligono, quale habitat di crescita, terreni ricchi di humus, pertanto non hanno un legame simbiotico con specie arboree specifiche ed è facile trovarle sia in terreni incolti quanto in radure ai margini dei boschi e nei boschi stessi sia di latifoglie che di conifere.

Fruttificano, generalmente, nel periodo autunno-inverno ma, a seconda delle condizioni climatiche, è possibile trovarle anche in primavera o in estate.

Commestibilità:

il genere comprende specie di buona commestibilità e molto ricercate per il consumo (es. M. procera) e specie tossiche che se consumate provocano sindrome gastrointestinale (es. M. rhacodes = Chlorophyllum rhacodes; M. venenata = Chlorophyllum venenatum). Tutte le specie commestibili devono essere private, prima del consumo, del gambo in quanto particolarmente fibroso, legnoso, difficilmente masticabile ed indigesto. Il cappello, unica parte edule, viene generalmente cucinato a cotoletta o alla griglia, non è commestibile da crudo e deve essere consumato ben cotto.

Etimologia:

la denominazione del genere nasce dall’unione di tre diversi termini: macro = grande, lepis = squama, otos = orecchio… ovvero grande orecchio squamoso.

Le numerose specie appartenenti al Genere, specialmente quando si presentano di piccole dimensioni, si prestano facilmente ad essere confuse con specie fungine appartenenti al Genere Lepiota che, tradizionalmente, ospita specie velenoso-mortali. É consigliabile, al fine di evitare errori di determinazione con conseguenti esiti di natura spesso irreversibile, astenersi dal raccogliere specie fungine ancora poco sviluppate e, in ogni caso, sottoporre, prima del consumo, gli esemplari raccolti all’esame di un micologo professionista al fine di acquisirne la corretta valutazione di commestibilità.

Macrolepiota rhacodes (Vittad.) Singer 

Lilloa 22: 417 (1951)

Basionimo: Agaricus rhacodes Vitt. [as ‘rachodes’] (1835)

Accentazione: Macrolepióta rhacódes

Nome corrente: Chlorophyllum rhacodes (Vittad.) Vellinga

Mycotaxon 83: 416 (2002)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Agaricales, famiglia Agaricaceae, Genere Macrolepiota

Etimologia: rhacodes dal greco ῥαχόδες (rhachódes) = lacerato, stracciato, cencioso con espresso riferimento alla particolare conformazione squamulata del cappello

Principali sinonimi: Lepiota rhacodes (Vittad.) Quel. 1872; Mastocephalus rhacodes (Vittad.) Kuntze (1891); Leucocoprinus rhacodes (Vittad.) Pat. (1900); Lepiotophyllum rhacodes (Vittad.) Locq. (1942)

 Descrizione macroscopica

Cappello da oviforme a sferico, poi piano-convesso; superficie discale unita nella zona centrale in una calotta di colore bruno-nocciola, sfaldata nella zona periferica in squame larghe, grossolane, concentriche di colore più chiaro. Imenoforo a lamelle inizialmente bianche poi imbrunenti, facilmente separabili, libere, inserite in collarium. Gambo cilindrico, tozzo con grosso bulbo marginato (delimitato da un bordo netto e ben definito) alla base, liscio, inizialmente bianco-biancastro tende al bruno-rossastro con l’età ed allo sfregamento. Anello doppio, scorrevole, bianco-grigiastro nella parte esterna, brunastro in quella interna. Carne bianca con viraggio al rosso vinoso al taglio, specialmente nel gambo. 

Habitat: in parchi, giardini e boschi misti, dall’estate all’autunno.

Commestibilità: Tossico – non commestibile, provoca sindrome gastrointestinale.

Macrolepiota rhacodes (nome corrente: Chlorophyllum rhacodes) - Foto  Marco Bianchi
Macrolepiota rhacodes (nome corrente: Chlorophyllum rhacodes) – Foto Marco Bianchi

Caratteri differenziali

Si caratterizza per le grandi dimensioni; per la cuticola che si presenta, inizialmente, intera e, successivamente, verso la maturazione, dissociata in squamule poligonali non sovrapposte tra di esse; per l’anello doppio; per la base del gambo ingrossata a forma di bulbo; per il viraggio della carne tendente ad assumere colorazioni su toni rossastri, rosso-brunastri.

Specie simili

  • Macrolepiota rhacodes var. bohemica (Wichanský) Bellù & Lanzoni (1987)

[Nome corrente: Chlorophyllum brunneum (Farl. & Burt) Vellinga (2002)]

Differisce per le dimensioni mediamente maggiori; per il rivestimento del cappello di colore bruno, inizialmente unito, poi, verso la maturazione, dissociato in squame grosse e regolari disposte in maniera concentrica; per l’anello semplice, senza doppia corona; per il gambo liscio, con bulbo marginato e leggermente arrosante solo alla base; per il viraggio della carne al taglio che, anche se analogamente arrossante, si presenta con una minore intensità. 

Ritenuta, inizialmente, una semplice varietà, è stata elevata, successivamente, al rango di specie ed inserita nel Genere Chlorophyllum.

  • Macrolepiota venenata Bon (1979)
    [Nome corrente: Chlorophyllum venenatum (Bon) C. Lange & Vellinga (2004)]

Macrolepiota venenata (nome corrente: Chlorophyllum venenatum) - Foto Marco Bianchi
Macrolepiota venenata (nome corrente: Chlorophyllum venenatum) – Foto Marco Bianchi

Specie molto simile e facilmente confondibile presentando analoghe caratteristiche morfologiche ed analogo viraggio della carne. Differisce per l’anello semplice e per la base del gambo che ha bulbo marginato.

Sulla posizione tassonomica della specie c’è diversità di vedute tra i vari studiosi, alcuni dei quali ritengono che sia da sinonimizzare con Chlorophyllum brunneun, quindi anche con Macrolepiota rhacodes var. bohemica, altri, invece, ritengono possa considerarsi specie autonoma ed inserita nel genere Chlorophyllum.

Curiosità tassonomico-nomenclaturali

La prima descrizione della specie fa riferimento al micologo italiano Carlo Vittadini (San Donato Milanese, 11 giugno 1800 – Milano, 20 novembre 1865), che la descrisse in maniera eccellente e molto accurata in “Funghi Mangerecci” (1835) con l’originaria denominazione di “Agaricus rachodes” che, in seguito, per probabile errore di trascrizione, molti micologi a lui successivi, fatta eccezione per alcuni, trasformarono in “rhacodes” [Candusso & Lanzoni, 1990], facendo scivolare la “h” che compone l’epiteto di un paio di posizioni. Successivamente, per problematiche di natura etimologica, assolutamente indiscutibili, come approvato da numerosi linguisti, si convenne di utilizzare definitivamente l’ortografia “rhacodes” [Bon, 1993] che deve essere considerata, a tutti gli effetti, quella corretta.

La specie, dopo l’originaria descrizione e l’inserimento nel genere Agaricus, fu riposizionata, nel tempo, prima nel genere Lepiota, poi nel genere Macrolepiota e infine nel genere Chlorophyllum.

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Foto: Marco Bianchi, Carmelo Di Vincenzo, Nino Fiocco, Marco della Maggiora, Graziella Starvaggi.

Bibliografia Essenziale:

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  • Candusso Massimo, Lanzoni Gianbattista, 1990: Lepiota s. l. Collana Fungi Europaei Vol.4. Libreria Editrice Giovanna Biella, Saronno. I
  • Illice Mirko, Tani Oscar, Zuccherelli Adler, 2011: Funghi velenosi & commestibili. Manuale macro-microscopico delle principali specie. Tipoarte Industrie Grafiche. Ozzano Emilia (BO). I
  • La Chiusa Lillo, 2013: Funghi Agaricoidi, Vol. I – Agaricaceae. ANDER Editore, Monza. I
  • Lavorato Carmine, Rotella Maria, 2004: Funghi in Calabria. Guida per il riconoscimento delle specie. Raccolta e commercializzazione, Tutela ambientale e sanitaria. Edizioni Pubblisfera . San Giovanni in Fiore (CS). I
  • Maletti M., 2016: Due Macrolepiota spostate nel Genere Chlorophyllum. Micologia nelle Marche. Bollettino del C.A.M.M. (Coordinamento Associazioni Micologiche delle Marche) Anno X(2): 11-15.
  • Miceli Angelo, 2021: Macrolepiota procera. Passione Funghi & Tartufi, (118): 28-37. ErrediGrafiche, GE. I
  • Papetti Carlo, Consiglio Giovanni, Simonini Giampaolo, 2004: Atlante fotografico dei Funghi d’Italia, Vol. 1 (seconda ristampa). A.M.B. Fondazione Centro Studi Micologici, Trento. I
  • Sorbi Claudio, 2010: Le Macrolepiota più comuni delle nostre zone, le mazze di tamburo. MicoponteBollettino del Gruppo Micologico Massimiliano Danesi, n. 4: 5-12, Ponte a Moriano (LU). I
  • Vittadini Carlo, 1935: Funghi mangerecci più comuni dell’Italia e de’ velenosi che possono co’ medesimi confondersi. Edizioni Felice Rusconi, Milano. I

Sitografia