Amanita muscaria, il fungo delle fiabe

Articolo pubblicato su MicoPonte n. 10 – 2017

Introduzione

E’ il “fungo delle fiabe” che con il suo meraviglioso cappello rosso vivo, rosso-scarlatto, ricoperto da numerosi fiocchetti bianchi, vivacizza i colori del bosco nel periodo autunnale. Deve la sua notorietà, senza ombra di dubbio, alla simbologia fiabesca, fumettistica e cinematografica che ha senz’altro contribuito a consolidare la sua fama di fungo malefico e velenoso per antonomasia, spingendosi oltre i confini della realtà ed esaltando in maniera eccessiva la sua effettiva pericolosità. In effetti, in considerazione delle sostanze chimiche che contiene, si tratta di un fungo tossico che provoca intossicazioni anche di una certa entità generalmente risolvibili con un pronto intervento medico ma non è mortale come nell’immaginario collettivo viene considerato.

Genere Amanita Pers. (1797)

Al genere appartengono sporofori ben differenziati e facilmente individuabili, limitatamente alla loro posizione sistematica generica, per la presenza di particolari e caratteristiche ornamentazioni che si formano sul cappello e sul gambo, tanto nella parte apicale quanto nella parte inferiore. Sono funghi bivelangiocarpici ossia muniti di due veli. Uno detto velo generale che avvolge l’intero carpoforo fin dalla sua formazione allo stadio di primordio che lo rende simile, per la sua strutturazione, ad un uovo e per tale caratteristica consente di conferirgli, appunto, la denominazione di “ovolo”; l’altro, detto velo parziale, inteso a proteggere l’imenoforo (parte fertile del fungo – formata, nel caso delle Amanite, da lamelle e situata nella parte inferiore del cappello ove si formano gli elementi riproduttivi: le spore) che dall’orlo del cappello si estende fino al gambo.

La formazione dello sporoforo, con il suo accrescimento sia in altezza sia in larghezza, causa, man mano che il processo di formazione procede, la lacerazione dei due veli; questi, a rottura, lasciano, per quanto riguarda il velo generale, un residuo nella parte bassa del gambo che dà origine alla formazione di una specie di guaina basale detta “volva” ed anche, a volte, alla formazione di residui dissociati sul gambo ed alla formazione, anche se non sempre, sul cappello di ornamentazioni dette, in senso generico, “verruche”. Per quanto riguarda il velo parziale, la sua lacerazione, con il distacco dello stesso dall’orlo del cappello, causa, anche se non sempre, la formazione di un “anello” che va a posizionarsi sul gambo.

Amanita muscaria (L. : Fr.) Lam.

Encycl. Méth. Bot. (Paris) 1(1): 111 (1783)

Basionimo: Agaricus muscarius L. (1753)

Posizione sistematica: classe Basidiomycetes, ordine Amanitales, famiglia Amanitaceae, genere Amanita.

Etimologia: dal latino muscarius, attinente alle mosche per le proprietà, un tempo riconosciutale, di attirare le mosche.

Sinonimi: Agaricus imperialis Batsch.; A. pseudoaurantiacus Bull.

Nomi volgari: ovolo malefico, ovolaccio.

Amanita muscaria, esemplari in habitat
Amanita muscaria, esemplari in habitat. Foto: G. Di Cocco

Descrizione macroscopica

Cappello di mediegrandi dimensioni, raggiunge facilmente anche i 20-25 cm di diametro, inizialmente sodo e carnoso, poi, verso la maturazione, fragile. Nella fase iniziale si presenta sferico, poi, verso la maturazione, sferico-emisferico, convesso, piano-convesso, a volte anche depresso, con margine prima ottuso, poi regolare con corte e leggere striature. Cuticola facilmente separabile, liscia o vischiosa a tempo umido, di un bel colore rosso vivo, rosso scarlatto, rosso arancio, rosso fragola, generalmente ricoperta da residui del velo generale che si presentano sotto forma di verruche bianche, spesse, appuntite e con forma piramidale, in rilievo e posizionate in forma concentrica, facilmente asportabili per effetto della pioggia o del vento. Imenoforo costituito da lamelle fitte, libere (quando si interrompono prima di raggiungere il gambo), ventricose (quando nella zona centrale presentano una convessità più o meno accentuata), intervallate da lamellule (struttura lamellare di dimensioni minori rispetto alle lamelle) di colore bianco o biancastro, a volte sfumate di giallo con fiocchettature concolori. Le spore in massa, di colore bianco, caratterizzano l’appartenenza della specie al gruppo dei funghi leucosporei. Gambo bianco, cilindrico, robusto, slanciato, attenuato all’apice ed ingrossato alla base per la presenza di un bulbo subsferico-ovoidale. Si presenta pieno, a volte midolloso (quando all’interno ha consistenza molliccia), asciutto, ricoperto da una leggera pruina nella parte superiore ed irregolarmente fioccoso nella zona inferiore. Anello posizionato nella zona medio-alta del gambo, membranoso, ampio, frastagliato con fiocchetti di colore giallo sul margine. Volva totalmente ricoprente il bulbo basale, aderente, dissociata in perline o placchette squamose di colore bianco che si avvolgono in maniera più o meno concentrica sul gambo.

Habitat

Cresce abbondante in gruppi di numerosi esemplari, nel periodo estivo e fino al tardo autunno, associandosi con numerose colture arboree in boschi di latifoglie (faggi, betulle, querce) e di conifere (pecci e pini) ed ancora, con essenze della macchia mediterranea (cisto).

Rappresentazione di Amanita muscaria nei vari stadi di sviluppo
Rappresentazione di Amanita muscaria nei vari stadi di sviluppo. Disegno (incompiuto): G. Bertelli
Esemplari di Amanita muscaria nei primi stadi di sviluppo
Esemplari di Amanita muscaria nei primi stadi di sviluppo, con il velo generale bianco ancora intatto che non lascia vedere il colore rosso della cuticola. Foto: M. Della Maggiora

 

Commestibilità, tossicità e curiosità:

A. muscaria, specie molto nota e universalmente conosciuta in ogni parte del globo terrestre, deve la sua denominazione a Carl von Linné (italianizzato come Carlo Linneo), botanico e naturalista svedese (Råshult, 23 maggio 1707 – Uppsala, 10 gennaio 1778), considerato il padre della nomenclatura binomiale(1), che ne assunse la paternità descrivendola nel 1753 con la denominazione di “Agaricus muscarius”. Tale denominazione, pur non avendo la specie alcun riferimento morfologico alle mosche, la accomuna a questi fastidiosi insetti per la peculiare proprietà, riconosciutale in tempi assai remoti nei paesi del Nord Europa, di attirare ed uccidere le mosche. Era uso comune, tra le popolazioni germaniche, commercializzare il fungo che veniva sbriciolato sui davanzali delle finestre mescolato a sostanze zuccherine per attirare le mosche che rimanevano uccise. Il famoso micologo siciliano Giuseppe Inzenga (Palermo 1815 – 1887), relativamente a tale proprietà si esprimeva in tal senso: “Sin da tempo antico impiegasi questo fungo polverizzato per la distruzione delle mosche e forse di altri insetti, probabilmente mischiato a sostanze zuccherine diverse per adescarne l’appetito e d’onde il suo nome di Agaricus muscurius attribuitogli dal sommo Linneo” [Insenga, 1869].

In merito a questa ipotetica proprietà è stato chiarito, da studi ed esperimenti condotti in varie parti del mondo, che l’acido ibotenico, sostanza tossica contenuta nel fungo, ha solamente un effetto anestetizzante sulle mosche le quali, dopo un periodo più o meno lungo, riacquistano le proprie facoltà motorie. Bisogna sottolineare che la stessa sostanza tossica è contenuta anche in A. pantherina, specie alla quale non sono mai state attribuite proprietà moschicide [Bettin, 1971].

In netta contrapposizione con il suo epiteto specifico, contrariamente a quanto si può pensare, non provoca sindrome muscarinica (2), della quale si rendono responsabili specie fungine appartenenti ai generi Inocybe, Clitocybe e Mycena, bensì sindrome panterinica (3) dovuta essenzialmente ai componenti chimici in essa contenuti che sono stati individuati quali acido ibotenico, muscazone e muscimolo, sostanze idrosolubili resistenti sia alla cottura sia all’essiccamento sia ad ogni altra manovra empirica tendente alla loro eliminazione. Tali sostanze si presentano maggiormente concentrate nella cuticola e nella zona sotto cuticolare, tanto che in alcune zone dell’est Europa ed anche in alcune regioni d’Italia, veniva consumata previa asportazione della cuticola e prebollitura [Cetto, 1970].

Esemplari giovani, con lamelle non ancora esposte, di Amanita muscaria. Foto: G. Di Cocco
Esemplari giovani, con lamelle non ancora esposte, di Amanita muscaria. Foto: G. Di Cocco

Le venivano riconosciute, specialmente in passato e presso alcune popolazioni meso- americane, quali i Maia e gli Atzechi, particolari proprietà eccitanti, afrodisiache ed allucinogene tanto da farlo entrare nell’uso comune della medicina popolare e della stregoneria. Reperti archeologici delle antiche culture di numerose etnie sono, oggi, valida testimonianza del suo uso sciamanico, terapeutico e religioso [Pelle, 2007]. Le sue proprietà allucinogene sono state confermate da Robert Gordon Wasson (etnomicologo statunitense, Great Falls (Montana) 22 settembre 1898 – New Jersey 23 dicembre 1986)  che le ha sperimentate personalmente durante un suo viaggio di studio presso popolazioni indiane nel cuore delle montagne della regione di Mixteco nel Messico meridionale che la utilizzavano con scopi prettamente allucinogeni nel corso di riti tribali, unitamente ad altre specie fungine, registrandone effetti sorprendenti quali sonno profondo e nitide visioni meravigliose [Wasson, 1968; Milanesi, 2015].

Considerato che in alcune regioni della Francia, della Svizzera e della Russia, A. muscaria viene regolarmente consumata senza conseguenze, si ipotizza che la sua tossicità possa essere fortemente condizionata da alcuni fattori estrinseci che influiscono sulla maggiore o minore concentrazione delle micotossine che, secondo varie ipotesi potrebbero essere collegati alla particolarità del terreno di crescita che, stante la propria struttura chimica, limiterebbe la formazione delle tossine o alla abitudine a consumare la specie che avrebbe creato, nei consumatori abituali, una specie di immunizzazione [Buffoni, 1983].

In Giappone, dove viene chiamata “benitengutake” ovvero “tengutake rosso”, per distinguerla da A. pantherina che è conosciuta come “tengutake”, limitatamente alla regione di Nagano, viene regolarmente consumata o conservata in salamoia dopo bollitura ed eliminazione dell’acqua di cottura. Il suo consumo è talmente diffuso che viene addirittura preferita ai porcini che rimangono ignorati dagli abitanti del luogo [Arora, 2000].

Nonostante sia stata utilizzata o continua ad esserlo, in alcune regioni italiane ed in altre parti del mondo, per il consumo alimentare, se ne sconsiglia l’uso precisando che è universalmente conosciuta come fungo NON commestibile, tossico-velenoso, causa di sindrome panterinica a breve incubazione.

Forme e varietà di Amanita muscaria

Molte sono le entità che, tra sottospecie, varietà e forme, a seconda dei vari autori, si muovono attorno ad A. muscaria, per completezza dell’argomento trattato riportiamo le più significative rinviando il lettore, per eventuali approfondimenti, a testi monografici specifici:

  • A. muscaria f. formosa (Pers.) Gonn. & Rabenh., 

Totalmente simile alla specie tipo, A. muscaria, tranne che per i residui del velo generale (verruche e volva) che si presentano inizialmente di un colore giallo intenso, giallo vivo, giallo uovo, tendendo, verso la maturazione dei carpofori, a sbiadire trasformandosi in bianco-crema, bianco-sporco, grigio-giallo-bruno.

Esemplari giovani di Amanita muscaria f. formosa;
Esemplari giovani di Amanita muscaria f. formosa; si noti il velo generale (verruche sul cappello) completamente giallo anziché bianco. Foto: M. Della Maggiora
  • Amanita muscaria f. aureola  (Kalchbr.) J. E. Lange

Si differisce dalla forma muscaria inizialmente per il colore del cappello, mai rosso, rosso-vivo, ma arancione, arancio-scuro, giallo-arancio, sempre privo delle tipiche verruche bianche che caratterizzano la specie tipo e, in maniera prioritaria, per la conformazione della volva che si presenta semilibera, poco aderente al gambo e leggermente dissociata in cercini fioccosi ed irregolari.

  • Amanita muscaria var. inzengae Neville & Poumarat

Varietà dedicata al famoso micologo siciliano Giuseppe Inzenga.

Praticamente molto simile, nella strutturazione morfologico-cromatica, alla specie tipo dalla quale si differisce per il colore dei residui velari (verruche, anello e volva) che si presentano bianchi ma tendenti ad ingiallire e per l’habitat di crescita preferendo fruttificare lontano dagli alberi ed in associazione con colture arbustive di Cistus.

 

Specie simili:

  • A. caesarea (Scop. : Fr.) Pers.

Anche se dal punto di vista morfologico completamente diversa, in caso di pioggia e conseguente perdita delle tipiche ornamentazioni del cappello, A. muscaria, per la similarità della colorazione del cappello, può essere confusa con A. caesarea; in ogni caso, comunque,  presenta una tipica conformazione morfo-strutturale diversa, caratterizzata da lamelle, gambo ed anello totalmente di colore giallo che la rendono perfettamente diversificata da A. muscaria che presenta gli stessi elementi di colore bianco e, quindi, riconoscibile in ogni momento delle sue fasi di crescita. Ulteriore importante elemento differenziante è costituito dalla volva che, in A. caesarea è ampia e membranosa, sacciforme, lobata, con apice libero al gambo, di colore inizialmente bianco candido tendente, verso la maturazione, al crema-biancastro e poi beige chiaro, mentre in A. muscaria è sempre dissociata in perline o placchette squamose di colore bianco.

Note dell’Autore

Nell’affidare questa mia nuova “Riflessione Micologica” alla stampa ed ai moderni sistemi di condivisione mezzo web, intendo sottolineare la particolarità del momento che, con l’inserimento delle meravigliose tavole pittoriche realizzate da Gianbattista Bertelli, mi onora di associare questo modesto lavoro al nome di chi, con la sua notevole ed apprezzata opera pittorica e con le sue profonde competenze micologiche, ha inteso lasciare un notevole e ricco bagaglio culturale al servizio della micologia e di quanti altri, micologi, micofili, micofagi o semplicemente curiosi ed appassionati come me, intendono approfondire le proprie conoscenze su questo meraviglioso campo. Ritengo opportuno, inoltre, sottolineare l’importante opera di diffusione condotta da Aldo, figlio di Gianbattista Bertelli, intesa a diffondere, ai fini conoscitivi, le numerose e meravigliose tavole micologiche realizzate dal padre.

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  1. Nomenclatura Binomiale: prevede che ogni organismo vivente venga identificato da un nome composto da due epiteti: il primo, generico, riferito al genere di appartenenza, il secondo, specifico, riferito alla specie. La combinazione degli epiteti generico e specifico forma il nome che ne identifica la specie: esempio Amanita muscaria; Boletus edulis; Russula vesca; Macrolepiota procera ecc. E’ opportuno precisare che il nome attribuito va sempre indicato in forma latina e scritto in corsivo con l’iniziale maiuscola per quanto riguarda l’indicazione del genere e con l’iniziale minuscola per quanto riguarda l’indicazione della specie. I nomi scientifici dei funghi, come avviene per le piante in genere, vengono attribuiti secondo norme stabilite dal “Codice Internazionale di Nomenclatura per le alghe, funghi e piante” (ICN). Questo viene realizzato e mantenuto aggiornato da botanici provenienti da tutto il mondo che si riuniscono ogni 5 anni in una sessione precongressuale del Congresso Internazionale di Botanica. Il Codice attuale è stato formalizzato nel Congresso di Melbourne nel mese di luglio 2011 ed è operativo dall’anno 2012; è anche conosciuto semplicemente come “Codice di Melbourne”.
  2. Sindrome muscarinica: detta anche colinergica, si tratta di una sindrome a breve latenza (quando si manifesta entro 6 ore dall’ingestione dei funghi), viene causata da un alcaloide isolato, per la prima volta nel 1869, dall’A. muscaria, derivandone, di conseguenza, la propria denominazione: muscarina. La limitata quantità contenuta nell’A. muscaria è irrilevante ai fini dell’insorgenza della specifica sindrome della quale si rendono responsabili specie fungine appartenenti ai generi Inocybe, Clitocybe e Mycena nei quali il contenuto di muscarina risulta essere considerevole.

La sintomatologia tipica si manifesta, tra i 15 minuti e le tre ore dal consumo dei funghi, con dolori addominali, vomito, diarrea, cefalea, ipersalivazione, intensa sudorazione, disturbi visivi, lacrimazione, tremori, bradicardia, broncocostrizione. L’intensa perdita di liquidi può portare a disidratazione.

E’ l’unica forma tossica per la quale è stato individuato un antidoto: l’atropina, anche se il suo impiego non viene più consigliato in quanto può aumentare la fase eccitatoria del sistema nervoso centrale [Milanesi, 2015].

  1. Sindrome panterinica: detta anche micoatropinica o anticolinergica, ha un periodo di latenza variabile tra i 30 minuti e le tre ore (sindrome a breve latenza). I sintomi si manifestano, in un primo momento con disturbi gastrointestinali ed eccitazione psicomotoria, per passare, successivamente, a manifestazioni di euforia, ebbrezza, stato confusionale, difficoltà di coordinazione, allucinazioni, ed ancora, in una fase più avanzata, astenia, sopore, amnesia e, come avvenuto in alcuni casi, decesso, registrati soprattutto per consumo di A. pantherina, con maggiore concentrazione di sostanze tossiche rispetto ad A. muscaria.

I principi tossici sono acido ibotenico, muscazone e muscimolo che si trovano, principalmente, nella cuticola e nello strato sottocuticolare. Anche se la cuticola viene eliminata, come più volte dimostrato scientificamente, il fungo mantiene la sua tossicità.

Le specie responsabili dell’intossicazione sono A. pantherina, A. muscaria, A. junquillea (= A. gemmata s. auct.) e le loro varietà e forme che mantengo la loro tossicità anche dopo bollitura, salatura e/o essiccazione.

Ringraziamenti

Un grazie particolare va rivolto a Aldo Bertelli per avere fornito ed autorizzato la pubblicazione delle/a tavole/a micologiche di A. muscaria artisticamente realizzate dal padre Gianbattista Bertelli ed a Gianfranco Di Cocco per la gentile concessione delle foto

Foto: Marco Della Maggiora; Gianfranco Di Cocco

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